Associazione Italiana dei Professori di Storia della Chiesa

Dizionario Storico Tematico La Chiesa in Italia
Dopo l'Unità Nazionale
Roma 2015
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Giustizia ecclesiastica - vol. II


Autore: Davide Cito

Il sistema della giustizia ecclesiastica si pone storicamente come una peculiare funzione collegata all’esercizio della potestà pastorale o di governo che rappresenta una forma di partecipazione allo stesso potere di Cristo per attuare nel tempo e nello spazio la sua missione di salvezza nei riguardi del popolo di Dio. Essa pertanto si va modulando entro due coordinate fondamentali, vale a dire, la materia su cui essa si esercita e i soggetti titolari di tale potestà

Quanto al primo punto, si è andata nei secoli fissando una terminologia, frutto anche di vicende conflittuali nei confronti dell’analoga potestà civile, e ripresa dall’attuale Codice di Diritto Canonico del 1983 e che afferma l’originarietà e l’esclusività della competenza della Chiesa nel giudicare: 1° le cause che riguardano cose spirituali e annesse alle spirituali; 2° la violazione delle leggi ecclesiastiche e tutto ciò in cui vi è ragione di peccato, per quanto concerne lo stabilirne la colpa ed infliggere le pene ecclesiastiche (can. 1401 CIC).

Per quanto attiene ai soggetti titolari, essi sono i medesimi soggetti investiti della potestà di governo e pertanto i primi ed originari amministratori della giustizia sono il Romano Pontefice e il Collegio episcopale per la Chiesa universale, ed i Vescovi per le Chiese particolari. Questa titolarità, che affonda le sue radici nel diritto divino, conferisce loro la possibilità di esercitare personalmente tale funzione, qualora lo ritengano opportuno, sebbene per motivi di organizzazione pratica e di efficacia pastorale si sono andati configurando organi stabilmente deputati ad esercitare in modo vicario, ossia in nome e per conto di essi, l’amministrazione della giustizia nella Chiesa.

E pertanto lungo la storia si vanno delineando gli organi cui è istituzionalmente affidato il concreto esercizio della funzione giudiziaria coadiuvando da un lato il Sommo Pontefice come supremo giudice di tutto l’Orbe cattolico, e dall’altro le istanze che svolgono la funzione di amministrare la giustizia in ambito diocesano o sovradiocesano secondo le prescrizioni del diritto.

Questo complesso di organismi si articola quindi fondamentalmente su due livelli. Il primo, per tutta la Chiesa, è costituito dai tribunali apostolici; il secondo, dai cosiddetti tribunali locali di ambito diocesano o più ampio. In Italia, ad esempio, accanto ai tribunali diocesani esistono, come si vedrà meglio in seguito, diciotto tribunali ecclesiastici regionali, competenti esclusivamente nelle cause matrimoniali.

I principali riferimenti normativi che hanno disciplinato nell’ultimo secolo l’organizzazione e l’esercizio dell’amministrazione della giustizia nella Chiesa sono stati i Codici di diritto canonico del 1917 e il vigente del 1983 ed inoltre, per quanto riguarda i tribunali apostolici, le tre riforme della Curia Romana disposte da Pio X nel 1908 con la cost. Sapienti consilio, da Paolo VI nel 1967 con la cost. Regimini Ecclesiae Universae, successiva alla celebrazione del concilio Vaticano II, ed infine da Giovanni Paolo II nel 1988 con la cost. Pastor bonus, promulgata in occasione del quarto centenario della cost. di Sisto V Immensa aeterni Dei del 1588 che diede una nuova organizzazione alla Curia papale. Peraltro i tribunali apostolici sono pure retti da leggi proprie promulgate ad integrazione della normativa generale.

L’attuale assetto dei tribunali apostolici, che peraltro ha le sue radici tra il XII e il XIV sec., prevede tre organismi non subordinati uno all’altro ma con competenze differenti: la Penitenzieria Apostolica; il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica e il Tribunale della Rota Romana. Ad essi va anche aggiunto, soprattutto a seguito del m.p. Sacramentorum sanctitatis tutela del 2001 aggiornato nel 2010, il Tribunale Apostolico della Congregazione per la Dottrina della Fede che ha acquistato negli ultimi anni una grande importanza e visibilità dal momento che è il tribunale penale competente per giudicare i delitti contro la fede e i delicta graviora contro i la morale e nella celebrazione dei sacramenti, come indicato dall’art. 52 della cost. ap. Pastor bonus, tra i quali spicca il delitto di abuso di minori da parte di un chierico.

Anche la Congregazione per le Cause dei Santi ha profili di tipo giudiziario, ma la peculiarità del suo oggetto, i processi di beatificazione e di canonizzazione, la fa esulare dal concetto di giustizia ecclesiale esercitato dai tribunali in senso stretto. I tribunali apostolici non vanno nemmeno confusi con il sistema giudiziario, giudice unico, tribunale di appello e di cassazione, in vigore nello Stato Città del Vaticano preposto ad una finalità più affine a quella di una comunità politica seppure con le singolarità proprie di questo Stato.

La Penitenzieria Apostolica, il più antico tra i dicasteri che collaborano con il Sommo Pontefice, e la cui legge propria è del 1935 con la cost. Quae divinitus di Pio XI, rappresenta una realtà del tutto particolare e tipica solo dell’ordinamento canonico. Sebbene sia annoverato come il primo dei tribunali, esso non si presenta come un tribunale in senso tecnico, in cui si rivendicano diritti o pretese, ma si configura come il tribunale universale di foro interno, ossia non di pubblico dominio e in vista del bene spirituale di colui che ad essa fa ricorso, e mediante il quale si concedono le assoluzioni, le dispense le commutazioni, , le sanazioni i condoni ed altre grazie (PB art. 118), attraverso una procedura non contenziosa ma in cui si implora una grazia che attiene alla coscienza del richiedente in vista di quel bene particolare costituito dalla salus animarum, suprema legge della Chiesa. Proprio questa sua apertura al bene di tutte le anime fa sì che ogni fedele, senza dover ricorrere prima a nessun altra istanza, possa far ricorso alla Penitenzieria per questioni di coscienza.

Il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, la cui legge propria è stata promulgata da Benedetto XVI nel 2008 con il m.p. Antiqua ordinatione, si presenta al contempo come tribunale giudiziario, tribunale amministrativo e dicastero preposto all’organizzazione e vigilanza dell’amministrazione della giustizia realizzata dai tribunali locali sparsi nel mondo. La sua competenza in materia giudiziaria riguarda soprattutto l’esame di ricorsi di carattere straordinario contro decisioni emesse dalla Rota Romana e contro gli stessi Uditori rotali ed anche i conflitti di competenza sorti tra tribunali e fra gli stessi dicasteri della Curia Romana. Le competenze in materia di giustizia amministrativa gli furono attribuite da Paolo VI che nella cost. Regimini Ecclesiae Universae, istituì appositamente una sezione della Segnatura come tribunale amministrativo con potestà di giudicare i ricorsi avverso decreti emanati da autorità amministrative ecclesiastiche sia locali che dicasteri della Curia Romana. Quanto, infine alla sua attività di organizzazione e di vigilanza, essa si configura come fosse una Congregazione della giustizia, ossia con il compito di vegliare sulla retta amministrazione della giustizia, con poteri ispettivi e di indagine, ma anche di promozione ed approvazione dei tribunali interdiocesani costituiti al fine di provvedere ad una migliore organizzazione degli uffici giudiziari.

Il Tribunale della Rota Romana, si presenta come il tribunale ordinario costituito dal Romano Pontefice per ricevere gli appelli (can. 1443 CIC). è quello che presenta la fisionomia più simile ad un tribunale vero e proprio rispetto alla Penitenzieria e alla Segnatura. È costituita da un certo numero di Giudici o Uditori, di nomina pontificia; essa giudica, di norma, in collegi o turni di tre Uditori con precise regole di rotazione. Sebbene le sue funzioni, verso la metà dell’Ottocento, si fossero ridotte alquanto in favore delle Congregazioni della Curia Romana, fu la riforma di Pio X a riorganizzare le funzioni dei Dicasteri riportando le Congregazioni alla loro specifica natura di organismi amministrativi e a restituire alla Rota Romana le sue competenze giudiziarie. Le norme proprie ora vigenti sono state approvate e promulgate da Giovanni Paolo II il 7 febbraio 1994, ed in vigore dal 1° ottobre 1994. Attualmente la Rota Romana giudica in prima istanza, nelle cause non penali, i Vescovi e in generale le persone ecclesiastiche sia fisiche che giuridiche che non hanno Superiore al di sotto del Romano Pontefice (can. 1405 §3 CIC); in seconda istanza le cause giudicate dai tribunali ordinari di prima istanza e deferite alla Santa Sede con appello (can. 1444 §1, 1° CIC); in terza od ulteriore istanza tutte le cause già giudicate dalla Rota stessa o da qualunque altro tribunale purché non siano passate in giudicato e quindi non più esaminabili. In questo senso le cause matrimoniali, poiché vertono sullo stato delle persone, non passano mai in giudicato (can. 1643 CIC).

La Congregazione per la Dottrina della Fede, così denominata a partire dal m.p. Integrae servandae di Paolo VI del 1965 in luogo di Sacra Congregazione del Sant’Uffizio come la cost. Sapienti consilio di Pio X aveva modificato quello di Sacra Congregazione della Romana e Universale Inquisizione, ha mantenuto lungo i secoli la fisionomia di Tribunale penale in particolare nelle cause riguardanti la fede o ad essa connesse. Queste competenze penali sono state ampliate dalla cost. Pastor bonus del 1988 che ha ricompreso non solo i delitti contro la fede ma anche contro la morale e i sacramenti, facendo sì che la Congregazione per la Dottrina della Fede sia ora il dicastero che giudica in modo esclusivo tutti i delitti stabiliti nel m.p. Sacramentorum sanctitatis tutela, nei confronti dei fedeli sia di rito latino che orientale.

Passando all’organizzazione giudiziaria a livello locale, essa si articola, come da tradizione risalente al diritto romano, secondo diversi gradi o istanze che, attraverso l’esame delle cause da parte di soggetti differenti, possa garantire un migliore accertamento della verità e della giustizia. Sebbene il giudice di prima istanza sia il Vescovo diocesano, egli è tenuto a costituire un Vicario con potestà giudiziale ordinaria e che forma un unico tribunale con il Vescovo ma che non cessa dall’incarico quando la sede si rende vacante. Contro le sentenze emesse dal tribunale di prima istanza è consentito appello al tribunale di grado superiore. Fatta salva sempre la possibilità di appellarsi alla Rota Romana (can. 1444 §1, 1° CIC) il Codice stabilisce le regole che indicano il tribunale competente a ricevere l’appello e che va dal tribunale del Metropolita a quello costituito dalla Conferenza Episcopale con l’approvazione della Sede Apostolica (cann. 1438-1439 CIC).

Come ricordato in precedenza, in Italia si è avuta la prima esperienza di ordinamento giudiziario a base interdiocesana sebbene limitata alle sole cause matrimoniali. Con il m.p. Qua cura furono istituiti nel 1938 diciotto tribunali regionali, diciannove se si considerano separatamente il tribunale di prima e di seconda istanza del Vicariato di Roma, uno per ogni regione conciliare ecclesiastica in cui venne suddivisa l’Italia nel 1889 sotto il pontificato di Leone XIII. Per ciascun tribunale regionale è designato un altro tribunale regionale competente a decidere le cause d’appello. La normativa sui tribunali regionali è stata poi integrata dalla Conferenza Episcopale Italiana nel 1997 e nel 2001 che ne ha riordinato la disciplina e il funzionamento. Tali norme sono state di recente sostituite (2018) per adeguarle alla riforma del processo di nullità matrimoniale realizzata dal motu proprio di papa Francesco Mitis Iudex Dominus Iesus del 15 agosto 2015.

Fonti e Bibl. essenziale

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LEMMARIO