Quietismo – vol. I

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    Autore: Pietro Zovatto

    Per quietismo si intende quel movimento si spiritualità che si propone di raggiungere «velociter» la perfezione evangelica con un tipo di esperienza di carattere mistico. Storicamente compare nel XVII sec. particolarmente in Italia, Francia e Spagna. Esso ha interessato sotto il profilo dottrinale tutta l’Europa occidentale, ma più in generale ha riguardato anche l’Islam con il sufismo. La sua affermazione fondante va individuata attorno al principio di “passività”, che ha trovato collocazione presso i catari, i Fratelli del libero spirito, le beghine, i pelagini, e anche presso gli “alumbrados” spagnoli. Nel caso specifico in Italia compare con“l’oratione detta di pura quiete”, o “orazione degli affetti” (card. Francesco Albizzi, 1682), o ancora prima con il card. Caraffa, nunzio a Venezia, che denuncia un laico della diocesi di Brescia (Valcamonica), G.F. Milanese, che insegnava nel suo Oratorio di s. Pelagia non essere necessaria la recezione dei sacramenti, essendo sufficiente “l’orazione mentale”, mentre le altre devozioni popolari venivano disattese (Madonna e santi). Le tesi che gli venivano contestate riguardavano “l’unione sublime passiva, ed estatica, senza haver passato per i gradi della purgativa ed illuminativa”. La denuncia più significativa è quella del card. Innico Caracciolo (30-1-1682) al papa Innocenzo XI. In questa si descrivono le caratteristiche essenziali del quietismo, che non sempre trovano un corrispondente storico.

    1). Il loro orare è “un sommo quieto e silenzio muti, come morti”, abbandonandosi “alle divine influenze”, snobbano quindi il meditare raziocinando, quello che rende scopribili i propri difetti. 2) Pensano così di raggiungere “quel sublime grado di orazione passiva di contemplazione, che Iddio per suo liberal dono concede a chi vuole, e quando vuole”.3)Ignorano che è necessaria la via purgativa e di purificazione prima di accedere al vertice della vita d’unione. 4) Non sanno che la contemplazione o “orazione passiva”, è dono di Dio, e che il demonio si riveste sotto la forma di “angelo della luce”. 5) Addirittura alcuni quietisti rinunciano alla “orazione vocale”, per buttarsi nella “orazione di pura fede e di quiete”, tralasciando il rosario, la preghiera vocale quotidiana, restando come “morti alla presenza di Dio”. 6) Muti davanti a Dio, rifiutano anche le immagini di Gesù Cristo, della Madonna e dei santi, poiché in questo stato di esperienza ritengono che ogni pensiero sia ispirato da Dio. 7) il card. Caracciolo non lo dice esplicitamente che essi snobbano la confessione, sottolinea però che si credono degni di ricevere la comunione quotidiana.

    Storicamente i quietisti, o semiquietisti, rientrano nella categoria delle élites spirituali; sono meno frequenti, anche se non mancano, “gli idioti”, cioè gli illetterati, che obbediscono ciecamente al loro direttore spirituale. Come impazienti di fronte all’ideale della santità la vogliono raggiungere velocemente e con sicurezza per mezzo di una metodologia semplificata al massimo. La via è quella della opzione interiore radicale in un processo di interiorizzazione esperienziale che scavalca, o male se ne appropria, persino della tradizione consacrata dalla storia dei grandi maestri, come s.Giovanni della Croce. Per il quietismo l’attenzione più che sull’aspetto ascetico e della mortificazione si concentra nel riposo interiore di una vita, il cui protagonista è Dio stesso. Nella orazione passiva acquisita infatti è Dio che la elargisce a coloro che vi si dispongono. In tutto questo insieme l’anima di verità sembra consistere nel riflettere un tipo di spiritualità esperienziale, come l’orazione di silenzio interiore, di semplice fede, di contemplazione affettiva, coinvolgente tutte le facoltà umane. In polemica o per sfuggire al carico del devozionale e alla aridità spirituale di un tipo di teologia intellettualistica di derivazione tomistica. Purtuttavia, neanch’essi riescono sempre a sfuggire del tutto al devozionale.

    Precursore del quietismo italiano si può considerare Isabella Cristina Berinzaga sotto la guida del gesuita Achille Gagliardi (d’origine padovana), autore del Breve Compendio della perfezione (1597) a inizio del Seicento a Milano. Con Angelo Elli l’uomo annientando radicalmente se stesso “si divinizza” a condizione di restare passivo. Questo minore osservante si spinge fino a negare la responsabilità morale e il valore delle opere in determinati stadi mistici. Insistendo sullo stato di amore puro, di amare cioè Dio per se stesso e non per paura dell’inferno. A Brescia presso i Preti della Pace, amalgamati attorno alle costituzioni di san Filippo Neri, emerge Giacomo Filippo Cosolo, che godeva fama di santo e di operare addirittura dei miracoli. I Pelagini della Valcamonica sostenevano che è necessaria l’orazione mentale per la salvezza, disprezzando la pratica sacramentale e il matrimonio. Al gruppo lombardo appartengono i fratelli Leoni, Simone e Andrea Maria; essi con una rozza psicologia delle strutture conoscitive “di parte superiore” e “di parte inferiore”, propugnavano una unione a Dio passiva in cui solo Dio agisce, diventando l’uomo impeccabile, poiché mette in opera solo la parte superiore.

    A Vercelli il vescovo Vittorio Ripa aveva chiamato il padre barnabita La Combe (subito raggiunto da madame Guyon, di questi due aveva dato l’approvazione per la stampa delle loro opere) per dirigere i casi di coscienza da tenere al clero, portandoseli anche nelle visite pastorali. L’orazione del cuore (1686) del Ripa evidenzia un amore puro che si trasforma in passività annichilante per le facoltà sensibili al cuore. A Venezia Michele Cicogna, un sacerdote titolato della chiesa parrocchiale di sant’Agostino di Venezia, scrittore spirituale letterariamente seicentesco (Ambrosia divina, 1682), offrendo a Dio il libero arbitrio, è disposto a sopportare le più orribili sofferenze (anche l’inferno) per compiere un atto di carità totalmente disinteressato. Fecondo di opere di edificazione a più riprese l’Indice intervenne (1683; 1690;1691;1702).

    Alla duchessa Laura di Modena, altro centro di spiritualità semiquietistica, il padre Giovanni Paolo Rocchi di Città di Castello (Umbria) le dedicava il libro Passi dell’anima per il cammino di pura fede (1677, posto all’Indice dieci anni dopo) dati dai tre gradi dell’orazione di pura fede, raccogliendo l’eredità di Ugo di san Vittore, santa Caterina da Genova, san Giovanni della Croce, sostenendo che l’anima opera sia nella contemplazione passiva che in quella acquisita; mantenendosi, tuttavia, in una posizione di un incerto equilibrio.

    In Pietro Battista da Perugia, minore osservante, il mistico deve restare immobile, affinché “Dio dipinga nell’anime le misericordie”, senza cercare consolazioni, illuminazioni o sentimenti spirituali. La sua opera Scala dell’anima per arrivare in breve alla contemplazione, perfettione ed unione con Dio fu posta all’Indice nel 1689). Giovanni Antonio Solazzi, (all’Indice nel 1689 con Modo facile per far acquisto dell’oratione di quiete) operante a Roma, conosce le posizioni del Petrucci e del Molinos, e afferma che lo spirito “nell’orazione di quiete è assonnato” nell’essenza di Dio “con l’anima dell’anima”. Oltre ai due massimi rappresentanti del quietismo citati, sente l’influenza di santa Maria Maddalena de’ Pazzi, l’estatica carmelitana di Firenze.

    Tommaso Menghini, domenicano di Albacina, insiste sulla “orazione degli affetti” (Opera della divina grazia, 1680) tanto da attenuare la fase ascetica del cammino spirituale, questa può determinare l’amor proprio. Questa “orazione degli affetti” consiste nell’elevare la mente a Dio in silenzio e lasciarlo parlare “nel fondo del cuore”. Così da eliminare la fase meditativa. Con il Menghini si spezza l’equilibrio tra abbandono fiducioso in Dio e la forza della natura sorretta dalla grazia (Indice, 1688). Si possono considerare petrucciani il marchigiano Benedetto Biscia dell’Oratorio che fa un lungo elenco delle difficoltà di pensieri, di distrazioni, di immaginazioni per attingere Dio che rimane inconoscibile, per cui altro non resta che la fede che crede e non conosce, esperienza intellettiva che sarà possibile nella dimensione eterna con il lume della beatitudine. Carlo Caldori di Fabriano, canonico, dedica un suo libro al Petrucci: Del sacro santo sacrificio della messa (1682), ma risulta più guardingo del suo maestro, poiché unisce l’ascetica alla mistica piena di slanci letterari con una vigile coscienza riflessa, non sfuggì, tuttavia, all’Indice (1690). Anche i Pii Operai di san Balbina a Roma risentono del clima generale, tanto che il loro Preposito Generale, padre Antonio Torres di Napoli (ammirato da G.B. Vico e poi anche nel Settecento da sant’Alfonso), convinto assertore della “orazione mentale” fu condannato e quindi riabilitato dalla sospensione, poiché non negava né l’orazione mentale né quella vocale.

    In Sicilia suor Geltruda, benedettina, sosteneva i vari gradi di unione con Dio (unioni di matrimonio) negando la responsabilità in atti del “de sexsto”; e un fra’ Romualdo, suo compagno di sventura, non riconosceva l’efficacia oggettiva dei sacramenti se il sacerdote non era in stato di grazia nell’amministrarli, confondendo la liceità con la validità. Entrambi, dopo alterne vicende del processo finirono sul rogo.

    Questa fenomenologia mistica con notevoli intemperanze dottrinali non rappresenta un organismo sistematico logico con un centro unitario interno. E mostra di non soddisfare le esigenze antropologiche delle singole persone in cammino di perfezione, indicando una inquietudine religiosa diffusa. Il quietismo del resto non rappresenta una dottrina teologica sistematica, ma piuttosto un insieme di insegnamenti di carattere pratico, collocandosi in un grado avanzato del percorso spirituale. Si potevano trovare dei quietisti che consideravano la contemplazione acquisita uno stato permanente dell’anima. Non esistevano singoli quietisti, poiché essi si presentano perlopiù organizzati in gruppi, “conventicole”, ove era quasi sempre un sacerdote che li dirigeva, o un laico. Le smagliature di condotta licenziosa attinenti il “de sexto”, là ove c’erano, si potevano trovare tra la gente di basso profilo culturale e quindi facilmente vittime della presunzione. Le polemiche insorte riguardavano le facili estasi, le visioni a richiesta e altre forme vistose della fenomenologia mistica. Di certo non si trattava di quietismo quando si parlava di “orazione degli affetti o di quiete”, come esigenza di coinvolgere la totalità della persona. Emergeva, tuttavia, questo, quando per affermarlo, si eludevano esplicitamente le orazioni vocali considerate inutili, dal momento che ci si collocava in uno stadio più elevato dello spirito. L’incapacità della teologia del tempo di considerare le tre età della vita interiore, purgativa, illuminativa e unitiva, fasi di un processo in un rapporto dialettico di flessibilità tra loro, secondo cui il momento prevalente non esclude, ma suppone gli altri. Basti vedere i punti qualificanti del quietismo come erano stati concepiti dal card. Girolamo Casanata (1682) quando la vertenza sul quietismo aveva raggiunto il suo apice (J. De Guibert, Documenta ecclesiastica Christianae perfectionis, 1931, n. 445-452; Id., Theologia spiritualis ascetica et Mystica, 1952, n 518). Storicamente la più grande querelle l’aveva scatenata Molinos (a Roma dal 1663 al 1693) con la sua Guida Spirituale (1675) qui uscita con l’approvazione dei censori ecclesiastici e del maestro dei Sacri Palazzi. La sua dottrina si dirige a chi ha superato la fase ascetica di purificazione e s’incammina alla contemplazione, facilmente raggiungibile attraverso la contemplazione appunto, ma possibile pure per via meditativa. Nell’unione con Dio l’anima fissa la volontà in Dio, ma con “ripulsa di pensieri e tentazioni” con la maggiore calma possibile. Questo percorso attinge molto dal magistero di s. Giovanni della Croce. Di lui lo specialista carmelitano­ E. Pacho (DSp., X, 1486-1514 e DM, s.v.)­ ha indicato la sua ortodossia e la sua assenza di turpitudini di cui fu accusato. Negli articoli (Denzinger n. 1221-1288) la condanna (1687) si concentra sulla “orazione di quiete” o passiva e sulla conciliazione di pensieri immorali senza responsabilità personale, poiché considerati violenza diabolica.

    Per il citato card. Pier Matteo Petrucci (Jesi, 1636-1701), amico di Molinos, la meditazione non va trascurata, ma concentrandosi il cammino di perfezione sulla contemplazione di abbandono o di quiete, non ammette l’impeccabilità in questo stato, come altri pur sostenevano. Nell’opera Mistici enigmi, (1680), presa di mira dal Sant’ufficio, parla de “l’unione tutta perduta in Dio”, da cui non deriva un panteismo negatore della individualità personale, ma “la perfetta indifferenza” dal momento che l’anima “fissa” in Dio vive con la sola possibilità di “amare con tutta la totalità della sua volontà”. Anche il Petrucci si rifà alla dottrina sanjuanista, oltre che a F. Malaval, I. Berinzaga, A. Gagliardi, J. Falconi, A. Elli e P. Manassei. E ha come interlocutore chi è già avanzato nel cammino di perfezione e non il cristiano comune, che pur è chiamato alla santità. A Roma intanto fioccavano le denunce sul Petrucci, chiamato “begardo”, “calvinista”, “iconoclasta”, “giansenista”e insieme “quietista”. Anche nella denuncia del Caracciolo tra i quietisti si nominava il Petrucci. E la condanna non tardò ad arrivare, sulla scia del Molinos. Certo non si può considerare il Petrucci quietista, poiché risulta cristocentrico nell’organizzare la sua dottrina spirituale, mentre i quietisti sono fondamentalmente teocentrici; e inculca la necessità dell’ascesi quotidiana, senza frettolosi scavalcamenti dall’ascetica alla mistica. Il Petrucci domina la scena nel panorama quietistico o semiquietistico italiano con il suo innato senso della diplomazia. Quietisti o vicini al quietismo ormai sparsi alla macchia se ne trovavano in Italia in Angelo Elli, Sisto Cucchi e Paolo Manassei.

    Dei due citati fratelli Leoni: Antonio Maria (n. 1639), laico, della diocesi di Como. Con le sue affermazioni bizzarre propugnava: la riforma della chiesa sotto il papa Alessandro VIII (1689-1691) in virtù di una cristologia antiatanasiana. Con la morte mistica si realizza l’impeccabilità e l’indifferenza totale dell’uomo con Dio, separandosi la parte inferiore dell’anima da quella superiore si acquista l’impeccabilità e l’indifferenza tra il sensibile e il visibile. In questo cristianesimo decurtato e semplificato i sacramenti non sono necessari, in particolare la confessione, anche se si incoraggia la comunione quotidiana. Questo quietismo eterodosso, che con varianti emerge nella penisola, è lungi da quello ben strutturato e colto di Petrucci; e di Molinos che tanta influenza ha esercitato anche al di là di Roma, ove operava, nel mondo protestante.

    Il fratello Simone Leoni, sacerdote, rifiuta la meditazione, le invocazioni dei santi con la conseguente svalutazione dei sacramenti. Quello che è più inquietante in lui è l’affermazione secondo cui l’anima nello stato passivo è impeccabile e non deve opporsi alle tentazioni, poiché tutte le attività sono sospese (compreso il libero arbitrio) e la creatura divinizzata. Stranezze vengono proposte anche intorno alla Trinità, in cui il Figlio è inferiore al Padre; e nella incarnazione tutta l’essenza trinitaria si unisce alla carne, e la divinità di Cristo è creata. Lo stesso Cristo non fu esente dalla macchia originale. Tutti e due i fratelli furono condannati al carcere, oltre che all’Indice (1689; 1717).

    In generale a questa dottrina quietista, non sempre con smagliature ereticali, s’opposero A. Regio, in particolare Gottardo Belluomo (gesuita †1690) ( con Il pregio e l’ordine dell’orationi ordinarie e mistiche, (Modena 1678) in maniera radicale, affermando, quest’ultimo, il valore previo della meditazione e delle virtù per via unitiva, a cui si perviene, tuttavia, “in modo perfetto” senza attingere la contemplazione. Contemplazione che non può concepirsi come “un addormire dello spirito”, ma piuttosto “un movimento della libertà”. Paolo Segneri con Concordia tra la fatica e la quiete nell’orazione (Firenze 1680) difende la meditazione senza attenuare il valore della contemplazione, anche se sospettoso della fenomenologia mistica, come rapimenti e visioni. L’opera fu posta all’Indice (1681) “donec corrigatur”. Tuttavia, Alessandro Regio con Clavis aurea assieme alla Concordia del Segneri contro i quietisti (Molinos compreso) furono messi all’Indice, poiché in quella fase storica il quietismo godeva di un particolare momento di favore. Al Segneri si affiancava Daniello Bartoli, pure gesuita, con l’opera Scrittura contro li quietisti, in cui si sottolineava la tradizione storica di quel movimento quietista con i Begardi, condannati da papa Clemente V al Concilio di Vienne (1312)

    Altri antiquietisti furono, i vescovi Mercurio Maria Teresi e Nicolò Terzago nel XVIII sec., quando ormai la questione quietista era diventata un oggetto storico. E il Manzoni stesso si può collocare tra gli antiquietisti, non solo perché di atteggiamento “filogiansenista”, ma perché considerava il desiderio della felicità una legge universale del cuore umano (contro l’amore puro indifferente alla beatitudine). Così era stato condannato Molinos (1687) dapprima dal Sant’Ufficio e poi dalla costituzione di Innocenzo XI Coelestis pastor (1687), con conseguente incarcerazione perpetua. Nello stesso anno il card. Petrucci dovette emettere, in forma discreta, una ritrattazione di 54 proposizioni davanti al segretario del Sant’Ufficio, il card. Alderano Cybo.

    Con la condanna di Molinos e del Petrucci il quietismo italiano si poteva considerare sconfitto e con quella di Fénelon (1689), che ebbe la peggio nel duello con Bossuet sulla vertenza del “puro amore”, la mistica stessa veniva considerata virtualmente messa sotto accusa. Sotto il profilo storico il suo insistere sulla contemplazione acquisita mostra l’importanza accordata alla presenza silenziosa davanti a Dio, al di là di ogni formulazione, in adorazione dello spirito; segna l’inizio di un’era di crisi della mistica, o perlomeno di un guardarla con sospetto per favorire ogni metodologia alla perfezione, con la preponderanza ascetica; lascia libero spazio alla spiritualità gesuita che nelle mani dei suoi figli andava progressivamente rafforzandosi con “l’asceticismo” (Bremond), oscurando la radice mistica delle sue origini; poneva il problema della possibilità di considerare la contemplazione sì uno spazio riservato ai vertici, ma a portata di mano anche dei “semplici” o degli “idioti”, per rendere possibile la vocazione universale alla santità; nella ricerca dell’affettività nel porsi presso Dio in contemplazione, il quietismo affermava inconsapevolmente una antropologia molinista, cioè la definizione egologica nel vertice dell’itinerario a Dio, al di là d’ogni intellettualismo dottrinario elevato a sistema. Senza avvedersene si scopriva così l’esigenza ineludibile dell’esperienza cristiana profonda, per viverla con radicale impegno. I quietisti anche se elitari (quelli che lo erano) come i giansenisti, proprio questi essi sembrano controbattere, senza nominarli, per il loro rigorismo etico e aprirsi così la strada per rendere accessibile i più alti gradi di perfezione a ogni uomo. Il principio di passività quietistico di fronte alla preponderante grazia di Dio veniva interpretato come una svalutazione delle opere presso il mondo protestante e un argomento apologetico anticattolico (una negazione pericolosa, se non ereticale, dell’economia sacramentale presso quello cattolico), per cui la Guida spirituale di Molinos, formulata nel cuore della cristianità, ha goduto di una notevole fortuna nelle molteplici traduzioni in tedesco.

    Fonti e Bibl. essenziale

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