Liturgia – vol. II

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    Autore: Angelo Lameri

    Il Movimento liturgico in Europa. Nel cammino della Chiesa in questo nostro mondo, la fine del XIX secolo è ricca di fermenti, di passione, di attenzione alle res novae. In questo contesto si inserisce anche un rinnovato interesse e una rinnovata attenzione alla liturgia celebrata e vissuta. Ci riferiamo a quel fenomeno universalmente noto come Movimento liturgico. Anche se è difficile indicare quando esso prese inizio, possiamo trovare i primi significativi passi nella Francia di fine ottocento e nella rinascita della vita benedettina promossa da Prosper Guéranger (1805-1875). Egli fu infatti il primo abate della riaperta abbazia di Solesmes, soppressa nel 1791. La spiritualità di Guéranger è fortemente radicata sul rapporto tra vita cristiana, vita monastica e vita benedettina. In questo contesto egli si rivolge alla liturgia come fonte di un’autentica spiritualità cristiana. La sua definizione di liturgia è infatti: «preghiera della Chiesa», come forma di preghiera eccellente e superiore ad ogni altra perché realizza l’unità delle anime con Dio e l’unità delle anime nella Chiesa. Gesù Cristo stesso infatti è l’oggetto della liturgia e l’anno liturgico è la manifestazione dei misteri di Cristo nella Chiesa e nell’anima del fedele. Egli espone queste sue riflessioni nelle due opere principali: Istitutions liturgiques (Paris 1840-1851) e soprattutto l’Année liturgique (Paris 1841-1866).

    Ben presto la rinascita della vita benedettina e le idee del movimento liturgico si diffondono in Europa, in particolare in Germania e in Belgio. Qui, nell’abbazia di Mont-César a Lovanio, troviamo Lambert Beauduin (1873-1953). La vita liturgica nel monastero, unita alla meditazione dei misteri che era chiamato a insegnare, lo persuasero del grande valore pastorale della liturgia, vista come alimento della fede. Egli ebbe modo di esporre le sue idee nel 1909 al congresso di Malines dove sostenne che la maniera migliore per tenere uniti alla Chiesa «coloro che ancora vi entrano e per riportarvi quelli che l’hanno abbandonata», fosse quella di rendere ai fedeli l’intelligenza e quindi l’amore dei misteri che si celebrano all’altare. La sua opera più significativa fu La Piété de l’église (Paris 1914) nella quale definisce la liturgia «culto della Chiesa», del quale il soggetto unico e universale è il Cristo risuscitato che opera la salvezza. Il culto della Chiesa appare quindi principalmente come esercizio del sacerdozio di Cristo e diventa così storia della salvezza in atto.

    In Germania, nell’abbazia di Maria Laach, troviamo Odo Casel (1886-1948). La sua riflessione, prendendo avvio dallo studio della celebrazione liturgica, costantemente chiamata “mistero” nel linguaggio dei Padri della Chiesa e in quello eucologico, arriva a definire la liturgia come «il mistero di Cristo e della Chiesa». Nella sua opera fondamentale Das christliche Kultmysterium [Il mistero del culto cristiano] (Regensburg 1932) egli sostiene che il mistero del culto è la realizzazione, sotto la modalità dei simboli e dei riti liturgici, del mistero di Cristo che continua nella Chiesa per santificarla lungo i secoli. A questo proposito egli parla di una presenza misterica di Cristo, di una ri-attualizzazione e di una ri-presentazione del mistero della salvezza nella liturgia. Le intuizioni di Casel sono fortemente innovative rispetto all’idea stessa di culto allora prevalente. Il culto per Casel non è infatti prima di tutto l’azione dell’uomo che cerca un contatto con Dio attraverso l’offerta della sua adorazione, è invece l’azione salvifica stessa di Dio, in modo che l’uomo, partecipe del mistero di Cristo reso presente nel rito, possa lodare e adorare Dio in “spirito e verità”.

    Non possiamo infine non citare anche Romano Guardini (1885-1968), che nella collana lacense “Ecclesia orans” pubblica il volume Vom Geist der Liturgie [Lo spirito della liturgia] (Freiburg 1919). Per Guardini, che si avvicina alla riflessione sulla liturgia grazie al suo impegno nel campo della pastorale giovanile, la liturgia è l’ambito nel quale rifluiscono le ricchezze della verità rivelata e proprio per questo diventa riferimento imprescindibile della vita cristiana individuale e comunitaria.

    Il Movimento liturgico in Italia. Diversi autori (Rousseau, Marsili, Falsini, Magrassi) concordano che in Italia il Movimento liturgico procedette con molta lentezza, anche se proprio in Italia possiamo trovare alcuni fatti che già nel XVIII secolo furono antesignani delle idee che il Movimento liturgico diffonderà. Possiamo riferirci a titolo esemplificativo alla controversia di Crema sulla necessità di distribuire la Comunione durante la Messa (1737-1742), al Sinodo di Pistoia (1786), agli studi del card. Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1649-1713), di Ludovico Antonio Muratori (1652-1750) e, nel secolo successivo, ad Antonio Rosmini che, nella sua opera Delle cinque piaghe della santa Chiesa (Lugano 1848), individua con la «piaga della mano sinistra della santa Chiesa» la divisione del popolo dal Clero nel culto pubblico.

    Tra le ragioni della minore efficacia di risultati del Movimento liturgico italiano rispetto a quello di altre nazioni, oltre al tradizionalismo spirituale e a una pietà devozionale, E. Cattaneo, individua l’assenza, nel movimento, dell’episcopato. Non mancarono comunque figure di vescovi che orientarono la loro attività pastorale verso un rinnovamento liturgico. Tra questi pastori possiamo citare mons. Filipello – vescovo di Ivrea – che nella sua lettera pastorale La liturgia parrocchiale, scritta per la Quaresima del 1914, mostra di aver maturato alcune intuizioni in merito al valore della liturgia. Essa è intesa come la strada privilegiata per l’educazione del popolo. Viene da lui messa in chiara luce la centralità della celebrazione eucaristica e l’importanza della partecipazione attiva.

    Un altro vescovo a cui stava particolarmente a cuore il tema liturgico fu certamente mons. Geremia Bonomelli (1831-1914), vescovo di Cremona, che nel 1913 scrisse una lettera pastorale – La Chiesa – con la quale entrò direttamente nell’argomento liturgico. A Cremona egli promosse in mezzo al popolo il canto delle parti fisse della Messa e propose che se ne spiegassero le formule ai fedeli.

    Una menzione particolare spetta poi al card. Ildefonso Schuster (1880-1954), non solo per la sua formazione benedettina e per la sua opera di studioso di liturgia, ma soprattutto per la sua attività come arcivescovo di Milano. Egli cercò di inserire nella vita pastorale, come mezzo essenziale di vita cristiana, la liturgia con tutto quello che comporta di sacramenti, di culto e di partecipazione: su questo punto fu in notevole anticipo sui tempi.

    Rivista liturgica. Per molti studiosi del Movimento liturgico italiano il 1914 costituisce la data ufficiale del suo inizio con il nascere di Rivista liturgica, fondata dai monaci di Finalpia e sostenuta con competenza e rigore dal suo primo direttore dom Emanuele Caronti. Nell’editoriale del primo numero egli, delineando il programma della rivista, dichiara l’intento di far maturare anche in Italia quel movimento che era già diffuso in Francia e in Belgio. La sua insistenza è sulla realtà della liturgia come vita della Chiesa e sul carattere teologico-ecclesiale di essa e del Movimento liturgico che si intende iniziare. Il merito di Rivista liturgica, secondo S. Marsili, fu quello di aver concepito la liturgia non come una dottrina esoterica, ma di aver impostato il sorgere del Movimento liturgico con un carattere spiccatamente teologico che forse è stata anche una causa del ritardo che ha poi incontrato nel penetrare la massa, non solo del popolo, ma dello stesso clero e dei ceti anche qualificatamente intellettuali.

    Movimento liturgico e pastorale liturgica. Espressione del rinnovamento liturgico in Italia non furono solo gli scritti e l’opera di vescovi o la benemerita attività di studio e di riflessione di Rivista liturgica. È necessario fare anche riferimento a quella miriade di iniziative e pubblicazioni che singoli, diocesi o associazioni hanno realizzato nelle varie parti della penisola. Sono particolarmente significativi tutti quei tentativi per favorire la partecipazione dei fedeli alla Messa. A Roma i Missionari del Sacro Cuore pubblicano Il foglietto della domenica, proprio con lo scopo di aiutare il popolo all’assistenza della Messa festiva; a Genova la congregazione mariana parrocchiale di San Giovanni di Prè pubblica nel 1915 Preghiere per la S. Messa, che parafrasano il testo della Messa adattandolo allo spirito dei giovani. Sempre a Genova un primo tentativo in questo senso fu realizzato da mons. Moglia che nel 1912 stampò a titolo personale un volantino per la partecipazione alla Messa. L’intuizione continuò anche durante la prima guerra mondiale dove il Moglia, cappellano militare, la sperimentò, con diffusione però molto irregolare, tra i soldati. Mons. Moglia nel 1930 fondò a Genova l’Apostolato Liturgico con lo scopo di allargare nei diversi settori il lavoro di formazione e di apostolato, dando sviluppo ad iniziative di più ampio respiro. Ben presto il centro dell’Apostolato Liturgico divenne ricco di attività. Tra queste va segnalato il primo Congresso Liturgico Nazionale che si tenne a Genova nel 1934. In mons. Moglia era viva la convinzione del valore della liturgia come partecipazione alla vita della Chiesa e come efficace mezzo di apostolato.

    Sulla stessa direttiva di marcia procede poi il trevigiano don Francesco Tonolo, famoso per le sue iniziative liturgico-pastorali tra le quali segnaliamo “la crociata della Messa”, tesa a creare nella parrocchia un movimento intenso di partecipazione alla Messa quotidiana. L’obiettivo più profondo dell’iniziativa fu quello di fare in modo che il cristiano rendesse la Messa il centro della propria vita. Per realizzare questo suo intento il Tonolo era convinto che fosse necessario ridare il Messale nelle mani del popolo.

    Tra le attività delle associazioni cattoliche segnaliamo in modo particolare quelle della Gioventù Femminile di Azione Cattolica, il cui consiglio superiore operò la scelta dell’educazione liturgica delle giovani.

    L’Opera della Regalità. È sicuramente degna di menzione la meritoria opera di promozione e di apostolato liturgico dell’Opera della Regalità. L’Opera, fondata da P. Agostino Gemelli e approvata dalla Santa Sede nel 1928, annoverò ben presto tra le sue attività l’apostolato liturgico attraverso numerose iniziative e pubblicazioni. In modo particolare, oltre alle settimane liturgiche parrochiali, agli esercizi spirituali a carattere liturgico, ai convegni liturgico-pastorali che continuano ancora oggi, è da segnalare «La Santa Messa per il popolo italiano». Si tratta di una semplice pubblicazione settimanale, che a partire dal 1931 fino al 1945, ha accompagnato migliaia di fedeli nella loro partecipazione e comprensione della liturgia eucaristica, dei suoi testi, dei suoi gesti e riti.

    Il Centro di Azione Liturgica. Un organismo benemerito nella promozione della liturgia in Italia è senz’altro costitutito dal Centro di Azione Liturgica, fondato nel 1947 a Parma nel contesto di un convegno liturgico svoltosi il mese precedente alla pubblicazione dell’enciclica Mediator Dei. Il suo primo presidente fu mons. Adriano Bernareggi, vescovo di Bergamo, a cui seguirono mons. Carlo Rossi (Biella), mons. Carlo Maziana (Crema), mons. Mariano Magrassi (Bari), mons. Luca Brandolini (Sora-Aquino-Pontecorvo), mons. Felice Di Molfetta (Cerignola-Ascoli Satriano), mons. Alceste Catella (Casale Monferrato) e mons. Claudio Maniago (Castellaneta). Lo scopo del CAL, fin dal suo primo statuto del 1949, fu quello di dare incremento e aiuto al movimento liturgico in Italia in sintonia con le direttive della Santa Sede e della Conferenza Episcopale Italiana, che nel 1964 lo dichiarò proprio Institutum liturgicum a norma dell’articolo 44 della Costituzione liturgica conciliare. Tra le attività di cui il CAL si fece e si fa tuttora promotore segnaliamo i corsi di formazione per operatori liturgici, l’organizzazione della “Settimana liturgica nazionale”, la pubblicazione di sussidi di studio e di divulgazione, in modo particolare la rivista Liturgia, gli annuali corsi di formazione destinati ai seminaristi.

    In sintesi. Non era nostra intenzione presentare uno sviluppo particolareggiato e organico del Movimento liturgico italiano, ma soltanto fornire alcuni dati, con un’attenzione privilegiata ai suoi primi passi. Dall’analisi svolta emerge un primo dato di fondo: il Movimento liturgico italiano non fu caratterizzato da grandi originalità di intuizioni e di riflessioni. D’altra parte tale era anche la situazione della teologia italiana a esso contemporanea. Tra i motivi di una simile situazione due pensiamo siano i più significativi. Innanzitutto il fatto che il Movimento liturgico in Italia nacque successivamente a quello di altri paesi europei e questo ha senz’altro condizionato i suoi indirizzi e i suoi sviluppi che, pur con le loro sottolineature, si sono mossi su percorsi già tracciati e sperimentati. Questo gli ha permesso però di assumere posizioni più equilibrate, lontane da ogni forma di romanticismo e di archeologismo. Il secondo motivo sta nel fatto che in Italia si privilegiò l’aspetto spiccatamente pastorale.

    La produzione di quegli anni più che su grandi studi a carattere storico o teologico si diresse verso numerosissime pubblicazioni di propaganda e di divulgazione. Ci si preoccupò di una diffusione capillare anche per guadagnare al movimento il popolo, la parrocchia e il clero, che spesso, seppur persuaso in teoria delle ragioni del Movimento liturgico, nella pratica era portato a continuare secondo quello che si era sempre fatto. Convinzione di fondo degli artefici del Movimento liturgico in Italia era lo stretto legame tra liturgia e vita cristiana, per cui una rivalorizzazione e una rinascita dello spirito liturgico avrebbero favorito la ripresa di una vita cristiana più autentica contro i vari mali della società contemporanea. Suo merito indiscusso fu l’aver riaccostato il popolo alla liturgia e averne indirizzato la pietà e la devozione. Molto meno presente fu invece la preoccupazione di andare oltre, cioè di verificare le condizioni di celebrabilità della liturgia nel contesto culturale dell’epoca e la consapevolezza che la liturgia da sola non era in grado di far fronte al crescente processo di scristianizzazione.

    Il Motu proprio si san Pio X «Tra le sollecitudini». È diffusa convinzione che, sul versante del magistero pontificio, il documento che nel secolo scorso ha iniziato a promuovere un autentico interesse per la liturgia e a dare nuovo impulso al Movimento liturgico fu il Motu proprio di Pio X Tra le sollecitudini (22 novembre 1903). Il paragrafo più citato è il n. 3: «Essendo infatti  nostro vivissimo desiderio che il vero spirito cristiano rifiorisca in tutti i modi e si mantenga nei fedeli tutti, è necessario provvedere prima di ogni altra cosa alla santità e alla dignità del tempio, dove appunto i fedeli si radunano per attingere tale spirito dalla sua prima e indispensabile fonte, che è la partecipazione attiva ai sacrosanti Misteri e alla preghiera pubblica e solenne della Chiesa».

    In esso il papa fa propria l’idea dei primi autori del Movimento liturgico sottolineando il nesso tra la rinascita dello spirito cristiano e la liturgia, come sua «prima e indispensabile fonte»: si tratta di un’idea che verrà sempre più condivisa dal Movimento liturgico, anche se in quei tempi essa non fu sempre pienamente compresa. In questo documento inoltre per la prima volta compare ufficialmente l’espressione «partecipazione attiva», che tanto sviluppo avrà in seguito. Il documento in realtà aveva obiettivi più modesti nel campo della musica sacra: por fine agli abusi (presenza di musica teatrale) e avviare un’azione di riforma nel campo della musica sacra. Forse anche per questo motivo il passaggio del paragrafo sopra riportato non è stato immediatamente compreso e ripreso dai suoi contemporanei.

    In ogni modo si possono cogliere i segni di un fermento nuovo che vede accresciuto l’interesse per la liturgia e per il suo valore in relazione alla vita cristiana, anche se ancora in assenza di una considerazione teologica della stessa. Il nuovo fermento trova le sue prime attuazioni proprio durante il pontificato di Pio X che, oltre all’attenzione al rinnovamento della musica sacra, promuove la comunione frequente (Motu proprio Sacra Tridentina Synodus, 1905), l’ammissione dei fanciulli alla comunione (Decreto Quam singulari, 1910) e avvia una riforma del Breviario (Costituzione apostolica Divino afflatu, 1911) e dell’anno liturgico (Motu proprio Abhinc duos annos, 1913).

    L’enciclica «Mediator Dei». Bisogna giungere al 20 novembre 1947 per trovare una lettera enciclica interamente dedicata alla liturgia: la Mediator Dei di Pio XII. La preoccupazione del papa è duplice: una, di carattere pastorale, in relazione ai nuovi fermenti presenti e agli eccessi che inevitabilmente essi portarono con sé, l’altra tesa a portare il discorso sulla liturgia su un piano direttamente teologico. Proprio per questo egli rigetta come errate le concezioni della liturgia che la riducono al suo aspetto esteriore o alle leggi che la regolano. In positivo l’enciclica definisce la liturgia esercizio del sacerdozio di Cristo, sempre in atto nella successione dei tempi, e in modo più globale: «il culto pubblico che il nostro Redentore rende al Padre come Capo della Chiesa, (…) il culto che la società dei fedeli rende al suo Capo e, per mezzo di lui all’eterno Padre: [la liturgia] è, per dirla in breve, il culto integrale del Corpo mistico di Gesù Cristo, cioè del Capo e delle sue membra».

    Di particolare rilevanza in questa definizione è il punto di partenza: il sacerdozio di Cristo, la sua mediazione sacerdotale, che egli ha esercitato nella pienezza dei tempi rendendo culto al Padre nel proclamare la sua grandezza e nel costituire il suo Regno di gloria. Cristo, con un atto di redenzione eterna, ha istituito la Chiesa rendendo in questo modo noi stessi degni di elevare la nostra lode al Padre. Il sacerdozio di Cristo quindi continua nella Chiesa, la cui liturgia non è altro che la continuazione del culto già prestato da Cristo durante la sua vita terrena, e precisamente nella duplice dimensione di glorificazione di Dio e di santificazione degli uomini.

    Proprio questo secondo aspetto rimanda alla dimensione sacramentale della liturgia in quanto conseguenza della partecipazione dell’uomo ai misteri salvifici di Cristo attraverso i riti della Chiesa, perché «in ogni azione liturgica insieme con la Chiesa è presente il suo Divino Fondatore». È rilevante la conseguenza di queste affermazioni: la liturgia prima di essere azione della Chiesa tesa a onorare Dio, è l’azione di Cristo nella Chiesa. Vi è quindi una priorità della liturgia sulla Chiesa. La Chiesa, prima di essere soggetto attivo dell’azione liturgica, è destinataria della sua stessa azione, che non è separabile da quella di Cristo.

    L’enciclica inoltre riserva grande spazio al tema della partecipazione attiva. Riprende l’espressione già utilizzata da Pio X e la precisa ulteriormente nel contesto della parte dedicata al culto eucaristico. In essa il papa dichiara che la partecipazione dei fedeli si colloca su tre livelli: esterna, interna e sacramentale. Il primo livello è costituito dal semplice essere presente all’azione sacra. Il secondo si ha quando alla partecipazione esterna si aggiungono le disposizioni interiori, la pia attenzione dell’animo e del cuore: in questo modo i fedeli si uniscono intimamente a Cristo e questa loro partecipazione (esterna + interna) diviene “attiva”:

    Il Concilio Vaticano II. La Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium venne approvata a larghissima maggioranza dai padri conciliari (2147 placet – 4 non placet) e promulgata da papa Paolo VI il 4 dicembre 1963.

    Possiamo per prima cosa constatare con immediata evidenza che l’approccio conciliare alla liturgia si discosta di molto dal tradizionale metodo dei manuali preconciliari che, dalla generale riflessione sulla natura del culto e sulle sue forme di attuazione (interno – esterno; pubblico – privato), giungevano a definire la liturgia come il culto pubblico e ufficiale che la Chiesa rende a Dio. SC 5-7 pone come punto di partenza della riflessione teologica sulla liturgia la volontà salvifica universale di Dio, che trova attuazione nella storia dell’uomo e compimento negli eventi pasquali del Cristo morto e risorto, dai quali è scaturito il mirabile sacramento della Chiesa. In questo contesto viene esplicitato il rapporto di continuità-discontinuità tra l’opera salvifica di Cristo e la sua attuazione nell’oggi della Chiesa: «Pertanto, come il Cristo fu inviato dal Padre, così anch’egli ha inviato gli apostoli, ripieni di Spirito Santo. Essi, predicando il Vangelo a tutti gli uomini, non dovevano limitarsi ad annunciare che il Figlio di Dio con la sua morte e risurrezione ci ha liberati dal potere di Satana e dalla morte e ci ha trasferiti nel regno del Padre, bensì dovevano anche attuare l’opera di salvezza che annunziavano, mediante il sacrificio e i sacramenti attorno ai quali gravita tutta la vita liturgica» (SC 6). La liturgia della Chiesa appare quindi come celebrazione della salvezza: il piano concepito da Dio fin dall’eternità si attua “storicamente” nell’AT e nel NT e si ri-attualizza “sacramentalmente” nelle azioni liturgiche della Chiesa fino al definitivo compimento escatologico nel secondo avvento di Cristo. Questa attuazione dell’opera della salvezza è resa possibile dal fatto che «Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, e in modo speciale nelle azioni liturgiche» (SC 7).

    Particolarmente significativo nel documento conciliare è la sottolineatura del rapporto tra liturgia e sacra Scrittura: «Nella celebrazione liturgica la sacra Scrittura ha una importanza estrema» (SC 24). Da questa affermazione conciliare è scaturita la riforma del lezionario con una più abbondante presenza della parola di Dio offerta alla meditazione del popolo di Dio, che anche al di fuori della liturgia ha progressivamente imparato a leggere la Bibbia e a maturare nella familiarità con essa.

    La SC può essere a ragione considerata un chiaro segno anche dell’ecclesiologia conciliare. Da un lato essa è maturata con il fiorire della visione di Chiesa fatta propria dal Concilio, dall’altro la sua pubblicazione ha coinciso con il dibattito appassionato sulla domanda fondamentale che ha interpellato l’assemblea conciliare: “Chiesa, cosa dici di te stessa ?”. Le affermazioni dottrinali e le indicazioni della SC hanno costituito le primizie della dottrina emersa poi nella Lumen gentium. Fin dai suoi primi articoli la SC mostra la consapevolezza dell’impreteribilità del rapporto tra Chiesa e liturgia. (cf SC 2) Così, il n. 26 dall’affermazione che le azioni liturgiche non sono azioni private, ma celebrazioni della Chiesa, fa derivare la conseguenza: «Perciò appartengono all’intero corpo della Chiesa, lo manifestano e lo implicano».

    Nella Costituzione conciliare e nella riflessione che ne è seguita si avverte la necessità di una rinnovata concezione di Chiesa da parte di tutti coloro che ne sono membri. In modo particolare la considerazione della concreta assemblea dei fedeli che si riunisce per la celebrazione, come luogo proprio del darsi dell’evento liturgico-sacramentale nella storia, ha favorito il concretizzarsi della nozione di Chiesa universale in quella di Chiesa locale, fatta di persone in reciproco contatto in un determinato tempo e luogo.

    L’insistente richiamo alla partecipazione attiva come diritto e dovere del popolo cristiano (SC 14), unita alle intuizioni di natura teologica, ha costituito la chiave e la prospettiva per l’attuazione della riforma che ne è seguita. L’elemento più evidente è stato l’introduzione delle lingue parlate dal popolo, proprio per rendere più immediata la partecipazione e far sì che la liturgia si mostri quale essa è: celebrazione del Corpo di Cristo che è la Chiesa, il Capo unito alle sue membra. Il desiderio di santa Teresa di Gesù Bambino che manifestava la sua sofferenza perché non sapendo il latino non era in grado di comprendere quello che diceva quando pregava i Salmi, è stato esaudito! Naturalmente questo non è sufficiente, è necessario continuare l’impegno di riforma sul versante della catechesi liturgica, su quello dell’«arte del celebrare», della cura per i segni e i gesti che vi si compiono, dell’attenzione al canto e alla musica, della valorizzazione del silenzio e della interiorità.

    La riforma liturgica in Italia. Non è possibile presentare qui in modo esaustivo il dispiegarsi dell’appicazione della riforma conciliare in Italia. Tra le possibili scelte, segnaliamo due percorsi.

    Il primo prende come punto di riferimento gli orientamenti pastorali decennali della CEI, precisamente: Evangelizzazione e Sacramenti (1973), Comunione e comunità (1981), Evangelizzazione e testimonianza della carità (1990), Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia (2001), Educare alla vita buona del Vangelo (2010). I citati orientamenti pastorali sono trasversalmente segnati dal tema dell’evangelizzazione all’interno del quale è possibile individuare pure un percorso di tipo liturgico. Si va infatti dall’individuazione di una chiara soggettività ministeriale, sviluppata nel tema dell’assemblea e dei ministeri; all’attenzione all’iniziazione cristiana, come esperienza ecclesiale di annuncio e di celebrazione; all’affermazione del primato della Parola e alla peculiarità della sua proclamazione nella celebrazione liturgica. Da segnalare infine l’emergere della “questione rituale”, attenta al soggetto della celebrazione e al linguaggio simbolico, che conduce anche ad occuparsi della comunicazione liturgica. Nel Direttorio Comunicazione e missione (2004) si afferma infatti che la liturgia è il “codice dei codici”, paradigma di ogni autentica comunicazione.

    L’altro percorso è costituito dall’attenzione all’attività dell’Ufficio Liturgico Nazionale, costituito nel febbraio 1973. In questa sede pare utile segnalare come proprio negli anni della sua costituzione si sono poste le fondamenta di un lavoro che è proceduto per un quarantennio tra propositi mantenuti e questioni ancora aperte ed attuali.

    Tra i primi possiamo annoverare una lunga serie di realizzazioni. Oltre al lavoro di traduzione e, in una seconda fase, di adattamento dei libri litrugici, è opportuno segnalare le due note pastorali dedicate rispettivamente a La progettazione di nuove chiese (1993) e a L’adeguamento delle chiese secondo al riforma liturgica (1996), il repertorio nazionale Canti per la liturgia (2009), la pubblicazione de La messa dei fanciulli (1976) seguita dalla nota dell’ULN (1977), l’istruzione Sulla comunione eucaristica (1989), l’edizione della Preghiera del mattino e della sera (1975), soprattutto per i laici. Un prezioso testo è inoltre costituito da Il rinnovamento liturgico in Italia (1983), pubblicato per il ventesimo anniversario di SC.

    Vi sono questioni ancora aperte e sempre attuali non tanto perché non abbiano trovato adeguata soluzione, ma perché costituiscono temi che sempre accompagnano la vita della Chiesa. Tra questi sono da segnalare la formazione liturgica di clero e laici, che si presenta sempre in tutta la sua attualità e urgenza. Ad essa l’ULN ha cercato e cerca di essere presente con proposte a livello nazionale che possano essere di servzio per le diocesi. Pensiamo in modo particolare ai corsi stabili di formazione come il Coperlim o il corso on line per gli operatori liturgico musicali, pensiamo al più recente ProgettOmelia. La recente pubblicazione della seconda edizione italiana del Rito delle Esequie (2011) che ha visto una significativa opera di adattamento, sollecita a riprendere il tema della ministerialità laicale non solo in relazione ai riti esequiali, ma anche ad altri momenti del vissuto liturgico delle nostre comunità, pensiamo a questo proposito, oltre alla consolidata presenza dei ministri straordinari della Comunione eucaristica, ai ministri per le celebrazioni domenicali in attesa di presbitero. Sempre aperto a un sereno cammino di collaborazione reciproca è il tema del rapporto con altri organismi a carattere nazionale. In questi decenni la collaborazione si è attuata soprattutto attraverso le persone, membri di questi organismi, che hanno prestato con generosità e competenza la loro opera a servizio della liturgia in Italia.

    Al lavoro di promozione della riforma liturgica in Italia, svolto in questi quarant’anni, si può applicare quello che a livello di Chiesa universale ha affermato recentemente papa Francesco: «Lo stesso Paolo VI, un anno prima della morte, diceva ai Cardinali riuniti in Concistoro: “È venuto il momento, ora, di lasciar cadere definitivamente i fermenti disgregatori, ugualmente perniciosi nell’un senso e nell’altro, e di applicare integralmente nei suoi giusti criteri ispiratori, la riforma da Noi approvata in applicazione ai voti del Concilio”. E oggi c’è ancora da lavorare in questa direzione, in particolare riscoprendo i motivi delle decisioni compiute con la riforma liturgica, superando letture infondate e superficiali, ricezioni parziali e prassi che la sfigurano. Non si tratta di ripensare la riforma rivedendone le scelte, quanto di conoscerne meglio le ragioni sottese, anche tramite la documentazione storica, come di interiorizzarne i principi ispiratori e di osservare la disciplina che la regola. Dopo questo magistero, dopo questo lungo cammino possiamo affermare con sicurezza e con autorità magisteriale che la riforma liturgica è irreversibile» (Discorso ai partecipanti alla 68ma Settimana Liturgica Nazionale, Roma 24 agosto 2017).

    «Il lavoro della riforma liturgica è stato un servizio al popolo come rilettura del Vangelo a partire da una situazione storica concreta. Sì, ci sono linee di ermeneutica di continuità e di discontinuità, tuttavia una cosa è chiara: la dinamica di lettura del Vangelo attualizzata nell’oggi che è stata propria del Concilio è assolutamente irreversibile» (Intervista rilasciata a Civiltà Cattolica, 19.09.2013).

    Fonti e Bibl. essenziale

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    LEMMARIO