Zingari, Nomadi – vol. I

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    Autore: Matteo Sanfilippo

    La letteratura sulla presenza nell’Italia della prima età moderna dei nomadi, genericamente definiti zingari sin dal Quattrocento, è di solito incentrata sul comprendere quando siano arrivati e quando si sia passati dalla curiosità nei loro riguardi alla repressione. Ferma restando la notevole confusione su presenza e origine di gruppi nomadi, si ha la tendenza a considerarli arrivati nella Penisola già agli inizi del Quattrocento. Per quanto riguarda la reazione della Chiesa alcuni autori riprendono lo spunto cronachistico di un gruppo transitato per Bologna e Forlì nel 1419 e diretto in pellegrinaggio a Roma. Per la maggior parte degli studiosi più recenti tale pellegrinaggio non è mai stato compiuto, né quel gruppo avrebbe allora ottenuto privilegi relativi al vagabondare senza pagare alcuna gabella.

    Nelle fonti segue il vuoto sino agli inizi del Cinquecento, quando lo Stato della Chiesa, dopo essersi assicurato il definitivo controllo delle attuali Emilia-Romagna e Marche, si trova a dover legiferare in merito ai nomadi di passaggio. Iniziano allora i bandi contro “gli zingari” accusati di furto e, secondo alcuni studiosi, le singole amministrazioni locali dello Stato pontificio si distinguerebbero nel perseguitare gli itineranti. La recente letteratura italiana sugli altri stati di antico regime, dal Regno di Napoli alla Repubblica di Venezia, mostra, però, un’univoca reazione negativa contro i nomadi.

    Per quanto riguarda lo Stato della Chiesa i primi provvedimenti sono presi nelle Marche (Macerata 1533, Iesi 1535), in Emilia (soprattutto Bologna) e infine a Roma. Qui le attestazioni di una presenza nomade sono abbastanza numerose, ivi compresa la testimonianza toponomastica di una via degli Zingari. La prima notizia romana risale al 1525 e si trova nei registri dell’arciconfraternita di S. Giovanni Decollato. Tale informazione potrebbe far pensare a una certa attenzione nell’ambito dell’impegno a sostegno, ma in realtà gli “zingari” appaiono in questo e in altri archivi romani, solo nella veste d’imputati o condannati in processi di vario genere. Inoltre si ripetono dal 1566 i bandi che intimano ai nomadi di abbandonare lo Stato pontificio, pena la galera o la forca.

    Più o meno negli stessi anni diverse diocesi s’impegnano contro i nomadi. Qualcosa traspare già nei dibattiti tridentini; inoltre Federico Borromeo si occupa di loro nel Concilio provinciale di Milano del 1565, apparentandoli ad altri gruppi pericolosi come gli attori, i girovaghi, i giocatori di azzardo. Nel capitolo II delle deliberazioni del Concilio di Ravenna, indetto nel 1568, si afferma con ancora maggiore decisione che gli zingari sono una “genia di gente vagante colma di ogni empietà” e che devono essere allontanati, se non accettano di vivere cristianamente. Indicazioni analoghe si diffondono soprattutto nell’Italia meridionale, dove gli “zingari” paiono stabilirsi in un primo tempo dalla Campania alla Sicilia.

    Nel concilio provinciale di Napoli del 1575 vi è un capitolo “De meretricibus, lenonibus, circulatoribus, zingaris, turcis et mauris, mendicis et aleatoribus”, presto imitato dalle altre diocesi coinvolte. In esso e in testi analoghi viene espresso il sospetto che le nomadi pratichino la prostituzione e ingannino gli astanti con la lettura della mano o delle carte. Nei decenni successivi la questione attira l’attenzione del Sant’Uffizio, perché sorge il dubbio che si pratichi una forma di magia, ma presto si riconosce trattarsi piuttosto di un imbroglio. I vescovi definiscono quindi i nomadi come ladri e imbroglioni, per esempio a Messina nel 1588, e sostengono che ciò avvenga a causa della loro itineranza.

    Si ripete quindi per tutto il Sei-Settecento, ma sempre più stancamente, che bisogna convincere gli “zingari” a insediarsi stabilmente, ma di fatto essi scompaiono progressivamente dall’orizzonte di attenzione delle autorità ecclesiastiche, mentre non si afferma mai una spinta verso la concreta evangelizzazione di questi gruppi. Nel frattempo crescono i racconti e le leggende su questi “cattivi cristiani” e, soprattutto nel Sud, si diffonde l’idea siano una genia antica, la quale avrebbe provveduto a fondere i chiodi con cui il Cristo sarebbe stato crocifisso. Si rafforza così un sentimento di diffusa ziganofobia.

    Fonti e Bibl. essenziale

    F. de Vaux de Foletier, Le pèlerinage romain des Tsiganes en 1422 et les lettres du pape Martin V, “Études tsiganes”, 12 (1965), 13-19, e Mille anni di storia degli zingari, Milano, Jaca Book, 2010; G. De Rosa, Vescovi, popolo e magia nel Sud, Napoli, Guida, 1971; B. Geremek, Uomini senza padrone: poveri e marginali tra medioevo e età moderna, Torino, Einaudi, 1992; V. Martelli, Gli Zingari a Roma dal 1525 al 1680, “Lacio Drom”, 32, 4-5, 1996, 4-5, 2-86, e Roma tollerante? Gli zingari a Roma tra XVI e XVII secolo, “Roma Moderna e Contemporanea”, II, 2 (1995), 485-509; P.C. Stasolla, La chiesa cattolica e il popolo zingaro nell’Italia del XVI secolo, Roma, Fondazione Migrantes, 2001; G.M. Viscardi, Tra Europa e Indie di quaggiù: Chiesa, religiosità e cultura popolare nel Mezzogiorno, secoli XV-XIX, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2005; E. Novi Chavarria, Sulle tracce degli zingari. Il popolo rom nel Regno di Napoli. Secoli XV-XVIII, Napoli, Guida, 2007; B. Fassanelli, “Considerata la mala qualità dellicingani erranti”. I rom nella Repubblica di Venezia: retoriche e stereotipi, “Acta Histriae”, 15, 1 (2007), 139-154, e Un’ostinata autonomia. I rom nell’Europa moderna, “Zapruder”, 19 (2009), 26-44; Aurora Cimini, Zingari nell’Italia moderna: il caso di Vetralla, “Studi Emigrazione”, 187 (2012), 511-524.


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