Arte cristiana – vol. I

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    Autore: Andrea Spiriti

    Gesù di Nazareth, i suoi apostoli e i suoi discepoli sono vissuti all’interno di spazi architettonici e figurativi della tradizione ebraica post-esilica, ossia in un connubio di forme israelitiche classiche e di influssi ellenistici; ma la rapida diffusione del cristianesimo all’interno di strutture politiche consolidate (impero romano, impero partico, regno di Armenia) ha determinato il confronto fra le esigenze iconografiche della nuova religione e il patrimonio figurativo di quegli stati, oltretutto in un contesto di persecuzione sempre più estesa. A Oriente la tendenza all’astrazione simbolica e la difficoltà ad ammettere il realismo dell’incarnazione portano all’elaborazione precoce di una iconografia basata sugli animali (pesce, pavone, aquila…), sugli oggetti (trono vuoto, croce gemmata, evangeliario) e direttamente sulla metafora della luce (finestre d’alabastro, fondi oro). A Occidente le catacombe di Roma ci forniscono una tipologia completa delle alternative: utilizzo a fini cristiani di immagini mitologiche (Ercole e l’Idra del Lerna come Cristo che abbatte Lucifero, Ipogeo di Via Latina), di immagini classiche (Moscoforo come Buon Pastore, catacombe di Domitilla), di costumi romani con cui vengono resi episodi evangelici (Cristo e la Samaritana, catacombe di Priscilla). E’ parallela la lettura patristica degli episodi dell’Antico Testamento quali anticipazioni di quelli del Nuovo, con conseguente moltiplicazione iconografica. Nell’impero, i due secoli e mezzo di persecuzioni implicarono l’identificazione di spazi tipici: la domus ecclesiae, con decorazioni musive e pitture murali spesso allusive ai misteri cristiani in termini allegorici; la sepoltura extramuraria (singola, di gruppo o catacombale) condotta negli stessi termini. Un caso-limite è la domus di Doura Europos, con immagini esplicite, tollerata verso il 220 in quanto sede di una guarnigione di frontiera.

    La progressiva legittimazione del cristianesimo (301 in Armenia, 312/313 nell’impero romano, 530 nell’impero sasanide) determinò la nascita di un’edilizia monumentale cristiana spesso di committenza statale: paradigmatici gli interventi di Costantino e di Elena in Terra Santa (basiliche di Gerusalemme, Betlemme, Nazareth), nella Roma cristianizzata (basiliche di San Pietro in Vaticano, San Paolo fuori le mura, San Giovanni in Laterano, Santa Croce in Gerusalemme, Sant’Agnese e mausoleo dei Costantinidi, Sant’Anastasia), Milano (basilica di San Lorenzo) e Costantinopoli (basilica della Divina Pace – Sant’Irene). Il tardo impero romano assistette quindi ad operazioni cristianizzanti di forte impatto urbano: esemplari quella episcopale di Ambrogio a Milano (374-397) e quella imperiale di Galla Placidia a Ravenna (423-450). L’età delle migrazioni dei poli germanici determinò un interessante dualismo valido per buona parte dell’alto medioevo: da un lato la forte influenza orientale, specie nel periodo della riconquista bizantina dell’Italia (535/562-568, che è anche il periodo di San Benedetto e della nascita dell’arte monastica benedettina), con il culmine delle committenze a Ravenna mediate dall’arcivescovo Massimiano (San Vitale, Sant’Apollinare Nuovo, Sant’Apollinare in Classe); dall’altro l’adozione di modelli germanici come la tendenza all’astrazione decorativa e all’ornamento a intreccio, di matrice ora germanica (continente europeo) ora celtica (isole britanniche). Un ciclo nodale come quello di Santa Maria foris Portas a Castelseprio (variamente datato fra l’inizio dell’VIII e l’inizio del IX secolo) dà la misura dell’influenza orientale a livello sia iconografico sia stilistico. L’impero carolingio (800-887) contribuì potentemente allo scambio di esperienze artistiche europee, codificando quell’Europa Christiana che per secoli avrebbe costituito un elemento-base dell’arte e dell’architettura. La produzione romanica, dipendente in parte non secondaria da modelli orientali, è però autonoma del realismo robusto, nella concretizzazione della narrazione sacra: e questo soprattutto in quelle aree (Lombardia storica, Borgogna, Catalogna, valle del Reno) dove la presenza di edifici sacri è fittissima. La seconda metà dell’XI secolo vide tre eventi decisivi: lo scisma d’Oriente del 1054 determinò al rottura con la chiesa bizantina (ricucita nel 1274 e nel 1439, ma in entrambi i casi per poco) e l’allentarsi della sua influenza artistica, sempre più autoreferente nel mondo delle icone e nella loro riduzione a stereotipi; la riforma gregoriana (epicentrata ma non esaurita nel papato di Gregorio VII, 1073-1085) riqualificò l’autopercezione della Chiesa Cattolica determinando sul momento un’arte a Roma dai tratti neopaleocristiani, ma ponendo le basi per un linguaggio autonomo; la prima crociata (1095-1099) si concluse con la riconquista di Gerusalemme e sull’immissione di ritorno in Europa di molti elementi della tradizione architettonica e figurativa orientale.

    Solo nel XIII secolo gli sforzi paralleli lungo un secolo dei grandi stati (Regno di Francia; Sacro Romano Impero – Regno di Sicilia) e dei grandi Ordini religiosi riformati (benedettini cistercensi) o nuovi (francescani) determinarono la nascita del nuovo stile gotico, non privo di spunti orientali (a partire dall’arco a ogiva) e giocato su di una estetica della luce pura o mediata dalle vetrate policrome che implica un’accentuata verticalizzazione dello spazio architettonico. Il cammino si apre con la ricostruzione del coro (1140-1144) della basilica di Saint-Denis, alla porte di Parigi, opera dell’abate/ministro Suger e prosegue con tappe nodali come le cattedrali dell’Île-de-France, le abbazie cistercensi, San Francesco d’Assisi, le basiliche renane, i castelli federiciani in Puglia, per concludersi con la Sainte-Chapelle di Parigi (1246-1248). In pittura la rivoluzione ha inizio a Roma con l’anonimo ciclo del Sancta Sanctorum (1278) e si declina dal 1260 al 1350 (con culmine nell’ultimo quarto del secolo) ad Assisi con il rapido susseguirsi dei grandi maestri umbri (maestro di San Francesco), romani (Pietro Cavallini, Jacopo Torriti), fiorentini (Cimabue, Giotto) e senesi (Pietro e Ambrogio Lorenzetti). In scultura, il crogiuolo federiciano mette a confronto artisti pugliesi, renani e nord-francesi: lì si forma il genio di Nicola Pisano. Dal punto di vista iconografico, i secoli dal IX al XIII vedono molte evoluzioni iconiche: il Cristo che dalle astrazioni orientali passa al ruolo pure orientale di Pantocrator per subire in Europa occidentale progressive umanizzazioni, che puntano sulla dolcezza del Bambino e sulla sofferenza del Crocefisso; Maria che da Orante e Madre della Chiesa sempre più si umanizza nelle storie dell’Infanzia di Cristo e si drammaticizza ai piedi della Croce; i Santi che aumentano ampiamente di numero, spesso con larga diffusione devozionale (Gregorio Magno, Benedetto, Bernardo, Francesco, Domenico).

    Delimitata dal primo Giubileo (1300) e dalla terribile pandemia della Peste Nera (epicentro nel 1348-1349), la prima metà del Trecento vede fiorire un gotico sempre più attento alla drammatica figura del Crocefisso, spesso deformato e sofferente ai limiti del verosimile; mentre il trasferimento della curia papale ad Avignone (convenzionalmente 1309-1377) determina la nascita di un gotico internazionale sempre più attento alle arti suntuarie e all’incontro fra pittura italiana (Simone Martini, Matteo Giovannetti) e francese. Il grande scisma d’Occidente (1378-1417) è lo sfondo del gotico internazionale, giocato su parametri di eleganza esasperata e di finezza disegnativa, ma anche di una presenza sempre più massiccia di produzione profana; si pensi, per significativa coincidenza, come alla filosofia “ufficiale” di Alberto Magno (1206-1280) e di Tommaso d’Aquino (1225-1274) succeda quella “moderna” di Guglielmo di Occam (1288-1349). Ma il grande scisma e la difficile età dei concili di Costanza (1414-1418), Basilea (1431-1449, canonico fino al 1438) e Ferrara-Firenze (1438-1439) vede anche la nascita, dapprima in ambiti ristretti poi più diffusi, di due espressioni del calibro dell’arte fiamminga e dell’umanesimo italiano. Per epicentri, a Bruges Roberto Campin, Hubert e Jan van Eyck, Rogier van der Weyden elaborano un’arte iperveristica, dove il microcosmo riassume il macrocosmo, di forte impatto affettivo secondo i dettami della devotio moderna; a Firenze Filippo Brunelleschi, Paolo Uccello, Donatello, Luca della Robbia e Masaccio danno la versione radicale di un antropocentrismo rigoroso nei rimandi classici e che applica la prospettiva come arma simbolica. La diffusione europea dell’arte fiamminga e la gemmazione dell’umanesimo italiano (Urbino, Milano, Genova, Venezia, Roma, Napoli) sono fenomeni ben noti del pieno e tardo Quattrocento, ma le numerose influenze reciproche si sommano (nel 1439 la riunificazione delle Chiesa Cattolica e Ortodossa è celebrata sotto la cupola brunelleschiana del Duomo fiorentino e accompagnata dal Nuper rosarum flores del sommo polifonista fiammingo Guillaume Dufay) alle differenze interne agli stessi filoni: si pensi a come il concorso per la porta Nord del battistero fiorentino (1399-1401) sul tema del Sacrificio di Isacco contrapponga il radicalismo umanistico ma anche i ricordi gotici del Brunelleschi all’umanesimo moderato del vincitore Ghiberti; o a come il Crocefisso “francescano” di Santa Croce contrapponga il vigore anatomico quasi brutale di Donatello alla dolcezza credibile di quello “domenicano” di Santa Maria Novella del Brunelleschi.

    La scoperta dell’America (1492) e la formazione delle compagini internazionali spagnola e portoghese segnano l’inizio della mondializzazione dell’arte cristiana: e per secoli le tradizioni locali troveranno accordi geniali con la presenza dei modelli europei. L’inizio del Cinquecento vede l’affermazione, destinata a durare oltre un secolo e mezzo, della Roma pontificia quale capitale europea dell’arte. Il papato di Giulio II (1503-1513) promuove operazioni colossali come la ricostruzione della basilica vaticana, la prosecuzione della cappella sistina, la risistemazione dei palazzi pontifici con l’appartamento papale e le logge, la creazione del cortile del Belvedere, la musealizzazione del Belvedere che vedono attivi artisti come Michelangelo, Bramante, Raffaello; e che rappresentano il culmine della conciliazione ideale col mondo classico visto quale introduzione al cristianesimo. La prosecuzione di queste grandi imprese durante il pontificato di Leone X (1513-1522) coincide con l’inizio della rivoluzione protestante (1517), che nel giro di pochi decenni non solo strappa alla Chiesa gran parte del Nordeuropa ma determina un’architettura rigorosa, spesso iconoclasta, di grande austerità formale e con notevoli innovazioni liturgiche (basti l’assenza del tabernacolo). Di contro la riflessione cattolica del concilio di Trento (1545-1563) portò per tutto il secondo Cinquecento ad un’architettura classica e trionfale (chiesa romana del Gesù) ma anche sobria e capace dell’uso di materiali poveri; e ad un’arte figurativa chiara, comprensibile, capace di utilizzare il Manierismo come fonte inesausta di immagini. Il Giudizio di Michelangelo nella Cappella Sistina (1536-1541) e la sua “moralizzazione” (1564-1565) sono passaggi emblematici. A cavallo del Giubileo 1600 la coesistenza del primo Barocco (Rubens), dell’iperverismo di Caravaggio e del classicismo emiliano dei Carracci trova a Roma la propria sede naturale, e sotto il papato di Paolo V (1605-1621) l’ultimazione della fabbrica vaticana con la facciata del lacuale Carlo Maderno (1607-1614) apre una stagione Borghese culminante nel David e nell’Apollo e Dafne di Gianlorenzo Bernini (1622-1625), manifesti del nuovo corso. A Roma la prima metà del Seicento vede succedersi le grandi committenze di Urbano VIII, Innocenzo X e Alessandro VII, che codificano un modello barocco ormai diffuso in tutta l’Europa cattolica e non privo d’influenza su quella protestante, specie anglicana: un modello cioè nel quale l’enfasi teatralizzata, il metamorfismo, la grandiosità coesistevano in un linguaggio dai forti toni emotivi. Nel 1665 il viaggio fallimentare di Bernini in Francia segna la fine del primato artistico romano a vantaggio di Parigi-Versailles, ma anche una conseguenza perdita di peso dell’arte cristiana rispetto a produzioni sempre più spesso profane, nel quadro della “crisi della coscienza europea”. Ma al tempo stesso il Seicento vede l’affermarsi iconografico dei Santi controriformati (Ignazio di Loyola, Filippo Neri, Carlo Borromeo, Teresa d’Avila e infiniti altri); e la vittoria antiturca di Vienna nel 1683, patrocinata da Innocenzo XI, segna la codificazione dell’Immacolata con il Bambino che regge la croce-lancia. Si trattava di una geniale sintesi della Madonna della Vittoria con la Purísima, versione iberica dell’Immacolata che rielaborava a sua volta il paradigma lombardo della Madonna dell’Umiltà in veste bianca; il tutto spesso combinato con l’altra grande devozione mariana non ancora dogma, l’Assunta, ormai stabilizzata nella tipologia con veste rossa e manto blu; o con quella della Madonna del rosario, onnipresente coi Misteri nelle chiese europee.

    La nascita del rococò (avvenuta nelle Terre Ereditarie austriache ad opera degli artisti dei laghi lombardi nel primo quinquennio del Settecento, non certo in Francia quindici anni dopo) segna anche un ulteriore passo verso un arte non fortemente caratterizzata in senso religioso, anzi sostanzialmente omogenea nel trattare le storie sacre e le “favole degli antichi”: in questo senso è esemplare la pittura di Giovanni Battista Tiepolo. Ma il Settecento rocaille vede anche la nascita di nuovi culti (si pensi solo al forte rilancio devozionale delle figura di San Giuseppe, che diviene patrono della buona morte), mentre l’antitetica cultura muratoriana punta (soprattutto a metà secolo, con il grande pontificato di Benedetto XIV) mira ad un modello di sobrietà, di “moderata devozione” ottenibile in spazi razionali e privi di emozioni spettacolari. Il dato più decisivo è comunque l’inizio delle soppressioni, inizialmente polarizzate sui Gesuiti (che verranno infine soppressi nel 1773 da Clemente XIV, per rinascere nel 1814 sotto Pio VII), poi articolate nella massima parte degli Ordini religiosi. Gli esiti furono terribili: dispersione di opere d’arte, distruzione di edifici, perdita di un ruolo di committenza che era stato decisivo per secoli, modifica radicale dell’immagine urbana. La contemporanea questione dei riti cinesi, conclusa in modo sfavorevole alla missionarietà acculturata dei Gesuiti, implicò la perdita di molte occasioni, a cominciare da quella cinese; e dal nostro punto di vista, la fine di episodi di meticciamento culturale dalle grandi anche se non sempre limpide potenzialità. La rivoluzione francese e l’impero napoleonico determinarono l’accentuazione di questi fenomeni: si pensi a Notre-Dame de Paris ridotta a tempio della Dea Ragione, o alla distruzione sistematica di luoghi-simbolo del monachesimo medioevale come Cluny, Cîteaux o la Grande Chartreuse. Di contro dal quarto decennio del Settecento lo stile neoclassico portava alla logiche conseguenze la sostanziale indifferenza ideologica rococò: stile dell’antico regime, della rivoluzione, di Napoleone, dell’Inghilterra antirivoluzionaria e antinapoleonica, della restaurazione, il neoclassicismo è in grado di incarnare ideologie diverse e contrapposte, come pure di essere stile della chiesa (si pensi al caso-limite del mausoleo vaticano di Pio VII, opera del luterano Thorwaldsen), stile della massoneria (si pensi alla pianta di Washington D.C. o all’Università della Virginia), stile dell’illuminismo (i cui filosofi peraltro erano vissuti in contesti rocaille).

    La restaurazione non può quindi fare altro che accettare questo linguaggio polivalente ormai diffuso, recuperando semmai alcune iconografie classiciste (si pensi al Sacro Cuore di Batoni), ma anche dando inizio a devozioni nuove: si pensi, nel lungo e decisivo papato di Pio IX (1846-1878), alla diffusione di immaginette (con annesso ripensamento dell’intera tradizione iconografica), all’universalizzazione del culto del Sacro Cuore (1856), alla presenza sempre più massiccia di soluzioni architettoniche e figurative storiciste ed eclettiche, altro modo per ripensare il passato.

    Fonti e Bibl. essenziale

    Il tema è così sterminato da trovare riferimento generale nei soli repertori: Lexikon der Christlichen Ikonographie, L’iconographie de l’art crétienne del Reau, Le vie della creazione nell’iconografia cristiana di Grabar (tr. it. 1983), The iconography of Saints del Kaftal.


    LEMMARIO