Teologia – vol. II

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    Autore: Gianfranco Calabrese

    Premessa. La teologia, in qualche modo, dopo il concilio di Trento fino al Vaticano e anche dopo l’unità di Italia, ha tentato, con alterne vicende e non sempre lineari risultati, un percorso di rinnovamento metodologico della teologia per superare le contraddizioni che derivavano dal controllo severo e dalla reazione ultramontana come emerge con la crisi modernista. La teologia cerca di rinnovarsi fondandosi sulla rivelazione e sulla tradizione patristica. Per questo nel periodo post-tridentino e soprattutto dopo il Vaticano I, la teologia ha un notevole sviluppo e produce anche una molteplicità di opere, espressione di alcune scuole teologiche presenti in Italia come in altre nazioni europee: la scuola domenicana, la scuola francescana, la scuola romana. Tuttavia la divisione ecclesiastica lungo la penisola in tre grandi zone finisce per influenzare la stessa posizione culturale e teologica della Chiesa nei riguardi dell’età moderna. Nella zona settentrionale, dove sono presenti i centri religiosi e culturali più sensibili alle sollecitazioni dell’epoca moderna, si sviluppano circoli culturali e centri teologici aperti al rinnovamento della teologia e alla riforma della Chiesa. Nella zona centrale, costituita per la maggior parte dallo Stato pontificio, il governo pontificio opera una censura delle nuove idee e delle nuove richieste politiche, filosofiche e culturali. Quest’atteggiamento causa la crescita di un’opposizione anticlericale, soprattutto dopo l’unità di Italia. Infine, nella zona meridionale, che comprende anche le isole, il dominio spagnolo non aiuta il rinnovamento e facilita il tradizionalismo culturale e teologico, il conservatorismo rituale e devozionale nella pastorale. All’interno di questo panorama ricordiamo alcune figure significative come Angelo Maria Querini (1680-1775), attento al dialogo con le altre chiese cristiane, il cardinale di Bologna Prospero Lambertini (1675-1758), l’abate Antonio Rosmini (1797-1835) e, sul versante politico, lo stesso Vincenzo Gioberti (1801-1852). La parentesi della rivoluzione francese (1789) e l’invasione napoleonica con il concordato italiano (1803), invece, influenzano solo marginalmente la cultura cattolica e la teologia italiana. La restaurazione, poi, riproponendo la frammentazione territoriale della penisola, blocca ogni innovazione socio-politica e civile e ogni apertura culturale dei circoli cattolici e liberali. I moti rivoluzionari del 1830-31 e quelli seguenti accentuano ancora la divisione tra i cattolici: una minoranza liberale e una maggioranza conservatrice. La politica dello Stato pontificio, dopo le prime aperture di Pio IX, è caratterizzata da una ferma chiusura verso ogni tipo di dialogo con il mondo moderno e con le nuove correnti culturali, teologiche ed ecumeniche.

    La presenza in Italia dello Stato pontificio e il forte anticlericalismo del governo italiano influiscono sullo sviluppo dell’unità politica dello Stato nazionale e sul rinnovamento culturale e teologico della Chiesa in Italia. La nascita dal XVII° al XIX°secolo a Roma di molti Collegi nazionali, per la formazione del clero e di molte Facoltà teologiche, sponsorizzate da alcune Congregazioni religiose, producono un vivace confronto teologico, condizionato dalla fedeltà al magistero pontificio, dalla concezione apologetica delle fonti e da un rinnovato interesse alla questioni bibliche e patristiche. I rappresentanti più autorevoli di questa corrente neotomista si collocano all’interno di una continuità della tradizione scolastica: Bartolomeo Cappellari (1765-1846), eletto nel 1831 papa con il nome di Gregorio XVI (1831-1846); Giovanni Perrone (1794-1876); Carlo Passaglia (1812- 1887); Johan Baptist Franzelin (1816-1886); Tommaso Maria Zigliara (1833-1893); Domenico Palmieri (1828-1909), Francesco Satolli (1839-1910), Camillo Mazzella (1833-1900). Questa riflessione teologica, attenta alla dimensione gerarchica e societaria della Chiesa ma poco sensibile al dialogo con le altre chiese e comunità cristiane, incide sulla contrapposizione tra la cultura illuminista, romantica e positivista e la teologica cattolica e permette l’evoluzione di una teologia manualistica.

    Con Leone XIII la corrente neotomista trova, nell’enciclica “Aeterni Patris” (4 agosto1879) (DS 3135-3140), un appoggio e un incoraggiamento. Tale enciclica richiede una particolare cura nella metodologia teologica, nei riguardi delle scienze e, particolarmente, della filosofia, che deve essere insegnata nel rispetto della fede cattolica. Vengono sostituiti, per questo, nelle Facoltà Teologiche a Roma, a Piacenza e a Napoli e in altri luoghi i professori che non si conformano al neotomismo e all’impostazione neoscolastica. In Italia nel secolo XIX° la teologia è considerata in una scienza a servizio della dottrina cattolica e del magistero della Chiesa. Dal momento che in Italia la riforma protestante, escluse alcune zone del nord-Italia (le Valli valdesi del Piemonte), non aveva avuto molta diffusione, alla teologia cattolica manca un attento confronto con il protestantesimo. La struttura fortemente verticistica e “gerarcologica” della Chiesa in Italia e la scarsa attenzione nei riguardi delle sollecitazioni del mondo moderno, proprie dei secoli XVIII° e XIX°, hanno contribuito a giustificare una teologia difensiva e chiusa ad ogni dialogo culturale, impermeabile alla molteplici sollecitazioni, che emergono dalla vita del popolo di Dio e solo concentrata sulle problematiche interne e sulla tutela del ruolo dell’autorità nella gestione della vita della Chiesa.

    Lo sviluppo della teologia dal concilio Vaticano I (1869-1870) e verso il concilio Vaticano II (1962-1964): la teologia tra difesa e rinnovamento. La formazione dell’unità nazionale del Regno d’Italia, con la perdita violenta dello Stato pontificio e del potere temporale, accentua, in modo radicale, la mutua diffidenza tra la cultura cattolica e la cultura moderna del nuovo Stato. La teologia in Italia, anche se non direttamente, è influenzata da questo radicale anticlericalismo, da questo ostracismo non del popolo ma della maggioranza degli intellettuali e dei politici, che, dopo l’unità d’Italia, condizionano la politica sociale e culturale dell’Italia unita sotto la monarchia sabauda. La Chiesa si oppone a questa prevaricazione, accentuando la propria visione teologica, istituzionale e culturale in senso reazionario e conservatore, attraverso alcune correnti tradizionaliste, che erano contrarie ad ogni dialogo, collaborazione e anche alle nuove libertà politiche e civili, affermate dal nuovo Stato unitario. La prima corrente accusava la Chiesa cattolica di opporsi al sogno risorgimentale e all’unità d’Italia, la seconda, invece, accusava lo Stato italiano di aver voluto realizzare l’unità socio-politica contro gli interessi della Chiesa cattolica e in nome di una visione naturale della religione, secondo una concezione positivistica, illuministica e massonica dell’uomo e della società. Il Vaticano I, convocato da Pio IX durante il periodo di maggiore tensione tra la Chiesa e i diversi Stati e Regni, è accolto non solo con diffidenza da parte dei circoli politici e culturali, liberali e nazionalisti, ma anche da alcune correnti interne alla Chiesa cattolica. In seguito, è anche interpretato, in modo ambiguo, da chi lo aveva compreso come un’occasione per ristabilire e rinforzare la centralità del primato e del magistero pontificio e della visione gerarchica della Chiesa (tesi della corrente ultramontana), in contrapposizione a tutti coloro che desideravano rispondere ad alcune esigenze culturali, sociali, politiche proprie della cultura moderna (tesi del cattolicesimo liberale).

    La crisi modernista e la condanna di alcuni teologi e uomini di cultura, sensibili alle rivendicazioni del mondo moderno, del rinnovamento biblico, patristico, storico e politico, creano una situazione di conflitto e di tensione tra la Chiesa cattolica ed il nuovo Regno d’Italia. Di fatto, questo condiziona lo sviluppo e il rinnovamento della teologia in Italia. La corrente modernista ha, in Italia, molti centri di Formazione ecclesiastica: a Roma si possono ricordare tra gli altri il Seminario dell’Apollinare, il Collegio Capranica e l’Università Gregoriana; e altri in Lombardia, in Liguria, in Toscana, in Emilia Romagna, in Umbria e in Campania. Alcuni rappresentanti di questa corrente ecclesiastica, sono: Salvatore Minocchi (1869-1943), Giovanni Genocchi (1860-1926), Ernesto Bonaiuti (1881-1946), Giovanni Semeria (1867-1931) e, in campo sociale e letterario, Romolo Murri (1870-1944) e Antonio Fogazzaro (1842-1911). Mentre la corrente conservatrice trova la propria espressione nella scuola romana e napoletana, con gli scritti di Mons. Umberto Benigni (1862-1934), e la «Rivista di Filosofia Neoscolastica», fondata nel 1909 da padre Agostino Gemelli (1878-1959) ed appoggiata dallo stesso papa Pio X (1903-1914).

    Il Concilio Vaticano I (1869-1870). Questo clima, che caratterizza il periodo dal XVIII° al XIX° secolo fino al concilio Vaticano II, accentua la contrapposizione tra i diversi Stati europei, il Regno d’Italia e la Chiesa cattolica, viene rafforzato da alcuni fattori esterni alla stessa teologia come la questione romana, le leggi Siccardi sulla proprietà ecclesiastica (1850), la breccia di Porta Pia (1870), il non expedit (1871) che vieta la partecipazione dei cattolici alla politica del nuovo Stato unitario; ma anche da alcuni fattori interni come la lotta contro il modernismo e contro il cattolicesimo liberale, il difficile svolgimento del concilio Vaticano I e la sua ambigua e pregiudiziale accoglienza e recezione. Il concilio, voluto e guidato con decisione da Pio IX, fin dall’inizio è influenzato da una prospettiva difensiva e intransigente rispetto alle istanze liberali e moderne da parte di una maggioranza conciliare, comprendente il segretario di Stato, il cardinale G. Antonelli (1806-1876). In seguito, è recepito dalla maggioranza dei cattolici, dagli stessi governi nazionali e dalla maggioranza dei vescovi come un tentativo estremo, per ristabilire la centralità della Chiesa di Roma e del potere pontificio.

    L’interpretazione postconciliare delle decisioni dottrinali del Vaticano I può essere collocata, tranquillamente, all’interno della contrapposizione tra la teologia difensiva cattolica e la cultura a moderna. In questo senso la cultura della seconda metà del XIX° secolo si allontana sempre più dai principi e dai valori antropologici e teologici della Chiesa cattolica. L’interpretazione ultramontana e la concezione apologetica della teologia e dell’ecclesiologia, invece, contribuisce ad elaborare il trattato sulla vera Chiesa di Cristo, che è la Chiesa cattolica romana. Questa concezione impedisce ogni dialogo ecumenico tra la Chiesa cattolica e le altre Chiese e comunità cristiane.

    Queste intenzioni sono affermate, in modo esplicito, prima dell’inizio del concilio Vaticano I dalla rivista dei gesuiti, “La Civiltà Cattolica”, e riprese da alcune personalità del mondo cattolico. Esse condizionano la riflessione teologica, durante e dopo il Vaticano I, e influiscono sulla stessa recezione dei suoi documenti: la costituzione dogmatica «Dei Filius» sulla fede cattolica (24 aprile 1870) (DS 3000- 3045) e la prima costituzione dogmatica «Pastor aeternus» sulla Chiesa di Cristo (18 luglio 1870) (DS 3050-3075). Il primo documento sulla fede cattolica vuole contrastare il razionalismo, il fideismo, lo scientismo e proporre una concezione armonica tra la fede e la ragione. Il secondo documento sul primato e sul magistero infallibile del Papa, ha lo scopo di definire la dottrina cattolica sul ministero petrino. Molteplici sono le cause del progressivo allontanamento della Chiesa e della teologia dalla vita e dalle esigenze reali del popolo cristiano presente in Italia: l’interruzione forzata del concilio, il clima ostile, la diffidenza nei riguardi del clero e della gerarchia da parte dell’élite culturale dominante, progressista e radicale, l’allontanamento della borghesia e della classe operaia dagli insegnamenti dottrinali, sociali e morali della Chiesa cattolica e dalle sue stesse strutture formative e pastorali ecclesiali.

    L’attenzione del mondo cattolico e della gerarchia nei riguardi delle questioni assistenziali, il contributo della Chiesa all’istruzione delle classi più povere, e lo sviluppo di una molteplicità di opere sociali soprattutto nelle regioni settentrionali sono il segno della vitalità della presenza e dell’azione della Chiesa cattolica e del suo magistero, teologico e morale: G.B. Bosco (1815-1888); G.B. Cotolengo (1786-1842); Francesca Cabrini (1850-1917); G. Bonomelli (1831-1914); G.B. Scalabrini (1839-1905). La stessa formazione del clero, nell’ottocento e nel novecento in Italia, si caratterizza per la preoccupazione rituale della pastorale e devozionale della teologia e della spiritualità. Essa è legata ad una predicazione tradizionale, preoccupata più dell’ortodossia che del dialogo culturale con il mondo moderno, più attenta a difendere e custodire che a rispondere alle esigenze reali del popolo cristiano. Questo clima generale, di fatto, impoverisce la riflessione teologica in Italia e rallenta il necessario dialogo. Inoltre dopo alcune tenue aperture socio-politiche, alcune riforme nel campo della promozione del laicato e dell’associazionismo cattolico sotto il lungo pontificato di Leone XIII (1878-1903), a causa dell’intensificazione della lotta antimodernista da parte di Pio X (1903-1914) e della Curia romana ha un’accentuazione del clima di sospetto e di diffidenza nei riguardi degli intellettuali, seguaci delle nuove teorie filosofiche, scientifiche e politiche, legate al positivismo, all’idealismo e al romanticismo, e di alcuni teologi, vescovi e intellettuali cattolici, colpevoli semplicemente di voler dialogare con la nuova cultura. Essi, all’interno di alcuni Seminari, Università pontificie, Collegi di formazione, manifestano un particolare interesse con le nuove istanze di rinnovamento, per ricercare più adeguate espressioni di fede dei dogmi cattolici.

    Alcuni teologi vogliono superare, anche in Italia, la teologia neoscolastica, troppo strutturata, spesso ripetitiva e poco attenta al rinnovamento della ricerca storico-esegetica e patristica del novecento. Il decreto del S. Uffizio «Lamentabili» (3 luglio 1907) (DS 3401-3466), è confermato da Pio X con il primo documento papale contro il modernismo, l’enciclica «Pascendi domini gregis» (8 settembre 1907) (DS 3475-3500) e il giuramento antimodernista, il Motuproprio «Sacrorum antistitum» (1 settembre 1910) (DS 3537-3550). Questo giuramento è obbligatorio per il clero impegnato nella pastorale, per gli insegnanti di religione e di teologia. L’abolizione per legge da parte dello Stato, sin dal 1871, della presenza delle Facoltà di teologia nelle Università pubbliche influisce ancor di più sull’allontanamento e sulla dicotomia tra la cultura laica e la teologia cattolica in Italia e sollecita la teologia a diventare una semplice disciplina, finalizzata alla formazione dottrinale, spirituale e pastorale del clero diocesano e dei religiosi nei seminari e nelle Facoltà teologiche. La teologia, in questo modo, lungo la via tracciata sia dal concilio di Trento sia dal Vaticano I, diventa sempre più manualistica, apologetica, preoccupata a difendere i dogmi ed a dimostrare le posizioni del magistero e della fede cattolica. Essa, nel periodo seguente al concilio Vaticano I, diventa sempre più confessionale e interessata a presentare la Chiesa cattolica romana come l’unica e vera Chiesa di Cristo e a combattere le eresie e le false concezioni filosofiche, sociali e teologiche del mondo moderno.

    Verso il Vaticano II. Il dramma della prima guerra mondiale (1915-1918), la partecipazione dei cattolici al conflitto, il loro impegno nella difesa del territorio nazionale e nella ricostruzione post-bellica, il pontificato di Benedetto XV (1914-1922), attento alle relazioni diplomatiche e aperto all’impegno dei cattolici nella vita sociale e politica dell’Italia, sono le ragioni che hanno permesso la nascita del partito «popolare» di ispirazione cattolica, fondato nel 1919 da don Luigi Sturzo. La stessa attenzione, tuttavia, non si è manifestata da parte dell’Episcopato e del Papa nei riguardi del rinnovamento in campo teologico e dottrinale. La teologia in Italia, infatti, è rimasta negli anni precedenti al Vaticano II, confinata all’interno degli ambienti formativi e protetti dei Seminari e dei centri di spiritualità e, per questo, sotto lo stretto controllo dell’autorità dei vescovi diocesani e della stessa Curia romana, che con il S. Ufficio dovevano verificare l’ortodossia e la fedeltà dei teologi, dei loro scritti e del loro insegnamento. Questa linea di tendenza non si è attenuata sotto il pontificato sia di Pio XI (1922-1939) sia di Pio XII (1939-1958).

    Dal punto di vista dell’impostazione e dello sviluppo della teologia si possono ricordare di Pio XI l’enciclica «Studiorum ducem» (29.06.1923) (DS 3665-3667) sul carattere vincolante della dottrina di Tommaso d’Aquino; l’enciclica «Mortalium animos» (06.01.1928) (DS 3683) sulla funzione e l’ambito del magistero ecclesiastico; la Costituzione «Deus Scientiarum Dominus» (24.05.1931) (AAS 23) sugli studi teologici; di Pio XII l’enciclica «Mystici corporis» (29.06.1943) (DS 3800-3822) sul mistero della Chiesa; l’enciclica «Divino afflante Spiritu» (30.09.1943) (DS 3825-3831) sull’adeguata ricerca storico-critica della sacra Scrittura; l’enciclica «Mediator Dei» (20.11.1947) (DS 3840-3855) sul significato della sacra Liturgia; la costituzione apostolica «Sacramentum Ordinis» (30.11.1947) (DS 3857-3861) sul sacramento dell’Ordine; la lettera del S. Uffizio all’arcivescovo di Boston (08.08.1949) (DS 3866-3873) sull’uso del principio «al di fuori della Chiesa nessuna salvezza»; l’enciclica «Humani generis» (12.08.1950) (DS 3875-3899) sui nuovi sviluppi e pericoli della teologia.

    La teologia italiana, prima del Vaticano II, vede in questa prospettiva alcune influenti personalità, che hanno cercato di rinnovare, nel rispetto delle esigenze neo-scolastiche e del magistero ufficiale della Chiesa, la riflessione teologica: Pietro Parente (1891-1986) e Antonio Piolante (1911-2001). Un cammino teologico, originale, innovatore, più attento alle esigenze e alle sollecitazioni della teologia e alle richieste dei movimenti biblico, patristico ed ecumenico, può essere verificato in alcuni autori italiani, anche se in tono minore rispetto alla Germania, alla Francia, al Belgio, all’Olanda e alla Svizzera. Circa gli studi biblici è bene ricordare l’opera di Alberto Vaccari (1875-1965), di Giuseppe Ricciotti (1890-1964) e di Salvatore Garofalo (1911-1998). Per lo sviluppo del pensiero patristico in Italia è importante la pubblicazione di tutta una serie di opere e collane patristiche, anche se avvenuta in modo incostante, come «Nova Patrum Bibliotheca», «Corpus scriptorum latinorum Paravianum», «Corona Patrum» Salesiana e «Classici Cristiani» e gli studi di Ubaldo Mannucci sulle «Istituzioni di Patrologia» e di Umberto Moricca sulla «Storia della patrologia». Anche il movimento liturgico ha avuto rappresentanti autorevoli, che hanno influenzato la riflessione del Vaticano II sulla teologia e sulla liturgia: Dom Alfredo Ildefonso Schuster (1880-1954), in seguito cardinale a Milano; Giacomo Lercaro (1981-1976), in seguito cardinale a Bologna; l’abate Mario Righetti (1882-1975); a Genova, con l’Apostolato liturgico, Mons. Giacomo Moglia; Vagaggini Cipriano (1909-1999). La rinascita tomista, iniziata nel XIX secolo a partire da Leone XIII, rende l’Italia la culla del neotomismo con l’opera di Matteo Liberatore (1810-1892), Luigi Tappareli d’Azeglio (1793-1862), Geatano Sanseverino (1811-1865) e, nel XX secolo, Amato Masnovo (1880-1955), Cornelio Fabro (1911-1995), Francesco Olgiati (1886-1962), Sofia Vanni Rovighi (1908-1990). Dal punto di vista del rinnovamento della riflessione teologica incide l’opera teologica di Carlo Colombo (1909-1991) prima e durante il concilio Vaticano II e nella teologia post-concilio. Egli, nel suo insegnamento, presso la ripristinata Facoltà teologica del seminario di Milano, tenta di uscire dallo studio teologico presente in Italia, legato allo schema ripetitivo della manualistica e delle formule dogmatiche, per una nuova metodologia teologica. Carlo Colombo cerca di ripensare sia l’insegnamento teologico dogmatico sia lo statuto della teologia come “scienza” del mistero cristiano nella prospettiva storico- sistematica in dialogo con il pensiero filosofico soprattutto francese e tedesco. Per il teologo Colombo la riflessione teologica non è fine a se stessa, ma alla carità.

    Dunque, la presenza del Papa, vescovo di Roma e guida della Chiesa universale, e l’influenza della Curia romana condiziona inevitabilmente lo sviluppo della ricerca teologica italiana, rallentano le richieste delle nuove correnti pastorali, culturali e teologiche in Italia e non tengono in giusta considerazione le esigenze, che emergevano dalla vita quotidiana del popolo di Dio. Tuttavia queste condizionamenti non impediscono la penetrazione in Italia e nella Chiesa italiana di alcuni movimenti di riforma, sorti in altre nazioni come la Francia e la Germania e che di fatto hanno il merito di preparare già nella prima parte del XIX° secolo, soprattutto, dopo la fine della seconda guerra mondiale (1939-1945) e negli anni 1950- 1960, le idee ispiratrici del concilio Vaticano II. La teologia si è lasciata guidare dalle prospettive originali ed ispiratrici dei movimenti biblico, liturgico, patristico, ecumenico e missionario. Questi movimenti non sono né ufficiali né organizzati, eppure hanno il merito di sostenere gli studi e le ricerche di alcuni teologici e storici, che, spesso nella diffidenza della Chiesa e, alcune volte, nell’incomprensione, influiscono per il loro ruolo nell’insegnamento e per la loro funzione pastorale e culturale nella preparazione di teologi e pastori. Essi permettono e preparano il rinnovamento e la riforma del concilio Vaticano II: Romano Guardini (1885-1968); Odo Casel (1886-1948); Karl Rahner (1904-1984); Ugo Rahner (1900-1968); Marie-Dominique Chenu (1895-1990); Jean Daniélou (1905-1974); Henri De Lubac (1896-1991); Yves Congar (1904-1995); Hans Urs von Balthasar (1905-1988); Edward Schillebeeckx (1914-2009); Hans Küng (1928); Joseph Ratzinger (1927). La conoscenza e lo studio di questi autori stranieri è possibile per il fatto che in Italia si è ha la possibilità di accedere alle loro opere in lingua originale e alla traduzione italiana, per merito di alcune case editrici. Nonostante alcuni autorevoli rappresentanti di questi movimenti, prima del concilio Vaticano II, siano stati costretti al silenzio e all’isolamento, le loro opere sono diventate, tra i teologi italiani, uno stimolo di riflessione e di approfondimento. Alcuni teologi italiani, in alcune occasioni, insieme ai loro colleghi stranieri hanno avuto la fortuna di partecipare a congressi, conferenze e seminari di studio, durante i quali questi teologi hanno condiviso le loro scoperte, le loro intuizioni e le loro proposte di rinnovamento. Infine, un ruolo non secondario al rinnovamento della teologia deve essere riconosciuto alle riviste teologiche e filosofiche, che hanno permesso la conoscenza e la diffusione delle nuove ricerche in campo teologico, storico-biblico, patristico, liturgico e filosofico.

    La teologia italiana nel concilio Vaticano II e nel post-concilio in dialogo con le altre scienze. L’attuazione del concilio Vaticano II è un’occasione provvidenziale per il rinnovamento e lo sviluppo della teologia italiana. Infatti, molti teologi italiani hanno avuto la possibilità di collaborare con i vescovi e con gli altri colleghi stranieri sia nella fase della consultazione (1959-1960), nella commissione teologica preparatoria e nell’elaborazione e nella definizione degli stessi documenti conciliari. Per molti aspetti è possibile verificare l’influsso di alcuni teologi su molte affermazioni del Vaticano II. Il concilio ha certamente inciso sull’elaborazione di una rinnovata concezione della natura e della funzione della teologia come risulta da affermazioni contenuti in importanti documenti conciliari: OT 15-16-17; PO19; GS 53-54.62. Da questi e da altri testi conciliari è possibile indicare alcuni principi di rinnovamento, che il Vaticano II ha ribadito rispetto alla natura, alla funzione e alla missione della teologia: a) la Scrittura è «anima di tutta la teologia»; b) l’importanza dello studio dei santi Padri; c) il necessario rapporto tra la teologia, la filosofia e le scienze umane e, in generale, con la cultura; d) la valorizzazione della spiritualità. Per la teologia la santità, l’agiografia e la prassi testimoniale devono essere accolte come «luoghi teologici pratici»; la stessa teologia deve porsi a servizio della crescita e della maturazione della vita spirituale dei credenti; e) l’attenzione della teologia al laicato.

    Queste prospettive permettono di descrivere una rinnovata visione della natura e della funzione della teologia in ordine alla missione della Chiesa nel mondo. Dall’esperienza conciliare la teologia può abbozzare, anche in Italia, un proprio e originale percorso innovativo. D’altronde, lo stesso linguaggio magisteriale conciliare nel periodo postconciliare è certamente cambiato rispetto all’epoca precedente. Esso è maggiormente attento alla storia, alla cultura, alla dimensione salvifica e missionaria dell’annuncio evangelico per la vita dell’uomo, della società e del popolo di Dio. Questo stile è l’unica ragione che può giustificare il rinnovamento e la maturazione nella comunità cristiana di un più attento dialogo con il mondo e con le diverse culture dell’uomo e di una valorizzazione di una concezione antropologica e teologica, attenta all’evangelizzazione e alla promozione del bene comune e dell’armonia cosmica.

    Il contributo della teologia italiana all’elaborazione della dottrina del Vaticano II non è oggettivamente né determinante né decisivo rispetto alle prospettive teologiche, elaborate in altre nazioni europee. Tuttavia, non si deve dimenticare il ruolo di alcune personalità e teologici italiani, che hanno influito sulla elaborazione di una innovativa e originale ricerca teologica. La teologia nel periodo postconciliare sa fondare il rinnovamento della fede e della morale nella tradizione dei primi secoli dell’era cristiana, in ascolto delle esigenze del mondo. Il ritorno alle fonti e l’apertura al mondo sono i due aspetti che permettono lo sviluppo, anche in Italia, della teologia, scienza e riflessione critica della fede sulla vita dell’uomo, del mondo e della Chiesa. La teologia del XX° e del XXI° secolo elabora un percorso idoneo e scientifico, capace di incidere culturalmente sulla Chiesa e sulla società contemporanea. Questa potenzialità critica richiede ancora uno sviluppo reale e conseguenziale.

    Nel periodo post-conciliare il sodalizio tra il magistero ecclesiastico e il ministero teologico ha alterni e contraddittori sviluppi. Infatti, la teologia ha il grande merito di mantenere viva la recezione del concilio Vaticano II, di vigilare e di stimolare, al tempo stesso, sul magistero e sulla comunità cristiana a riguardo della reale rilevanza pastorale ed istituzionale delle indicazioni dottrinali conciliari. Questo ruolo in alcune occasioni si è sostituito al ruolo ministeriale del magistero gerarchico. Per questo, l’interpretazione teologica, in alcune occasioni, non ha rispettato la recezione dei documenti conciliari, ne ha modificato la finalità e ha finito, in modo consapevole o inconsapevole, per forzare le stesse intenzioni dei Padri e dei testi conciliari. Il dissenso cattolico in Italia è un esempio paradigmatico di quella corrente teologico-pastorale, che in nome dello “spirito del concilio”, ha tentato di contrapporre la prassi della Chiesa, popolo di Dio, con la dottrina della Chiesa gerarchica, la Chiesa «popolare» alla gerarchia, la comunità di base con la Chiesa ufficiale. In questa prospettiva si comprende anche il rapporto della teologia postconciliare con i movimenti e le associazioni legate al movimento studentesco del ’68, condizionato da una concezione marxista e socialista del cristianesimo. Lo sviluppo, ambiguo e contraddittorio, della teologia in Italia in questi ultimi quarant’anni giustifica anche una reazione forte da parte di alcuni settori tradizionalisti, presenti nella Chiesa e nella teologia. Essi, non avendo accolto con entusiasmo il rinnovamento conciliare, tentano di recuperare, nella dottrina e nella pastorale, alcune istanze conservatrici e reazionarie in nome della fedeltà e della purezza del concilio e della tradizione. Anche questo conflitto non permette lo sviluppo di un’effettiva collaborazione, anche se dialettica, tra la teologia e il magistero nella Chiesa cattolica. La teologia continua, in Italia, ad essere considerata una disciplina funzionale, che ha come fine primario la formazione del clero e dei laici impegnati, che si esercita all’interno di alcune strutture ufficiali e che si struttura all’interno della difesa e della giustificazione del magistero e dei dogmi della Chiesa. Certamente sono aumentati i Centri di ricerca teologica, le Facoltà teologiche, gli Istituti superiori di Scienze religiose. Sono aumentati i soggetti interessati alla studio della teologia e sono sorti promettenti Centri Interdisciplinari, dove la teologia è considerata all’interno della formazione come disciplina fondamentale: l’Università Cattolica di Milano e la Libera Università di Urbino e di Roma. Tuttavia questo non aiuta, in generale, la qualità e la stessa scientificità della proposta teologica, né permette alla teologia di incidere sulla cultura italiana.

    Le diverse riforme della «Ratio studiorum» delle Facoltà teologiche e dei Centri di Formazione teologica da parte della Congregazione per l’educazione cattolica non producono un’armonizzazione sui criteri e sui percorsi disciplinari, riguardo anche la formazione dei docenti e degli studenti. Ma aumenta, purtroppo, la confusione e l’ambiguità, e il rinnovamento della teologia in Italia è rallentato da posizioni conservatrici e all’interno di un sistema centralizzante. Sono aumentati gli strumenti di lavoro teologico come le riviste, i dizionari e i manuali, sono sorte nuove associazioni teologiche (la prima associazione teologica italiana ATI è nata nel 1967 a Napoli), ma il rinnovamento della teologia, secondo le indicazioni del Vaticano II, resta ancora latente, soprattutto per quanto riguarda il dialogo ecumenico ed interreligioso, l’apertura alla cultura e la ricerca di uno specifico e scientifico statuto metodologico delle scienze teologiche. Occorre investire maggiormente nella formazione dei docenti, dei presbiteri, dei religiosi, dei laici, soprattutto di coloro che sono chiamati a svolgere a tempo pieno la funzione di ricerca e di insegnamento teologico. È necessario, per questo, investire economicamente negli Istituti di ricerca e nelle biblioteche interne alla Facoltà teologiche. È fondamentale stimolare una maggiore e più incisiva collaborazione tra gli Istituti di ricerca teologica e gli Istituti universitari statali, sfruttando i nuovi spazi di comunicazione come la Rete e il Web. Inoltre, in virtù delle sfide culturali e pedagogiche, presenti anche in Italia, e in ragione della globalizzazione si devono superare alcune riduttive e provinciali concezioni della natura e della funzione della teologia: la teologia come semplice disciplina finalizzata alla formazione e alla conoscenza catechistica del cristianesimo. È necessario, anche, smascherare la falsa visione di coloro che considerano la teologia come un’attività accademica che non ha nessuna rilevanza pastorale, o di coloro che riducono la pastorale a pura strategia di evangelizzazione, senza alcun riferimento teologico e culturale. Invece, la teologia del terzo millennio deve promuovere la competenza professionale del teologo, stimolare la Chiesa a riconoscere nella ministerialità del teologo un dono ed un servizio per la crescita della comunità cristiana. Occorre ampliare e sollecitare la collaborazione tra il magistero e i teologici ed investire in luoghi di dialogo tra la teologia e la cultura. Queste prospettive potranno contribuire, a rendere la teologia uno spazio idoneo per la maturazione cristiana e civile degli uomini e dei credenti, come è accaduto nella storia della Chiesa, e, in questo modo, formare una mentalità e una sensibilità civile, sociale e religiosa adeguata alla proposta cristiana nel contesto europeo e mondiale ed a servizio della società e della Chiesa in Italia.

    Fonti e Bibl. essenziale

    A. Giuseppe, Il cristianesimo in Italia, Bari 1997; P. Ciardella – A. Montan ( a cura di), Le scienze teologiche in Italia a cinquant’anni dal concilio Vaticano II. Storia, impostazioni, metodologie, prospettive, Leumann (Torino) 2011; R. Fisichella ( a cura di), Storia della teologia. 3. Da Vitus Pichler a Henri de Lubac, Roma – Bologna 1996; J.-Y. Lacoste (ed), Storia della teologia, Brescia 2011; A. Marranzini, La teologia italiana dal Vaticano I al Vaticano II, in Bilancio della teologia del XX secolo diretto da R. Vander Gucht e H. Vorgrimler Volume II: La teologia del XX secolo, Roma 19972, 95-112; G. Occhipinti (a cura di), Storia della teologia. 2. Da Pietro Abelardo a Roberto Bellarmino, Roma-Bologna 1996; B. Mondin, Storia della teologia Volume 4: epoca contemporanea, Bologna 1997; Id, Le teologie del nostro tempo, Roma 1975; R. Osculati, La teologia cristiana nel suo sviluppo storico. II- Secondo millennio, Cinisello Balsamo (Milano) 1997; G. Trabucco – M. Vergottini, Il concilio Vaticano II e il nuovo corso della teologia cattolica, in G. Angelini – S. Macchi (ed.), La teologia del Novecento. Momenti maggiori e questioni aperte, Milano 2008, 297-377; C. Vasoli, La crisi del tardo Umanesimo e le aspettative di Riforma in Italia tra la fine del Quattrocento ed il primo Cinquecento, in Storia della teologia. III: Età della Rinascita, Casale Monferrato (AL) 1995, 397-485; G. Verucci, La Chiesa nella società contemporanea, Laterza, Bari 1988.


    LEMMARIO