Storiografia (età moderna) – vol. I

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    Autore: Stefano Tessaglia

    L’umanesimo. L’affacciarsi nel XIV-XV secolo della cultura umanistica porta anche nell’ambito storiografico il germe di cambiamenti epocali e duraturi. La riscoperta della classicità greca e latina, in particolare nello studio delle lingue originali, riconduce al contatto diretto con le fonti; nasce un’attenzione nuova di tipo eminentemente critico, impostata sull’indagine filologica e linguistica dei documenti, volta a verificare l’autenticità delle fonti. Vengono così realizzate in questo periodo importanti edizioni critiche, con l’ausilio straordinario della stampa a caratteri mobili.

    Tra gli studiosi italiani è significativa la figura di L. Valla, maturo interprete della cultura umanistica, che coniuga l’amore per le humanae litterae con l’impegno nella vita civile, la fede cristiana con la ragione filosofica. Valla si distingue tuttavia soprattutto per la ricerca linguistica e filologica, eletta a strumento critico e storico per eccellenza. Di qui l’importanza delle sue Annotazioni sul testo del Nuovo Testamento (1444; pubblicate nel 1505 da E. da Rotterdam) e soprattutto del De falso credita et ementita Constantini donatione declamatio (1440), che dimostra la non autenticità (già sostenuta da N. Cusano) del documento sulla donazione di territori fatta da Costantino alla Chiesa. Si tratta di un approfondito e complesso trattato in cui la falsità del Constitutum è dimostrata con argomentazioni filologiche e storiche, mettendo in evidenza anacronismi stilistici e contraddizioni di contenuto, soprattutto in rapporto alla fonti antiche (Eusebio e poi Rufino e il Liber pontificalis).

    Accanto a Valla è da ricordare in questo periodo B. Sacchi, detto il Platina, Prefetto della Biblioteca vaticana, la cui fama è legata al Liber de vita Christi ac omnium Pontificum (o Vitae Pontificum, 1479), una silloge di biografie di papi sulla scia delle raccolte di uomini illustri, basata sul Liber pontificalis, su Damaso, Paolo Orosio e altri scritti antichi. La sua opera sarà in seguito continuata dall’agostiniano O. Panvinio, grande conoscitore delle antichità romane.

    Storiografia controversistica. Negli anni della Riforma protestante e di quella cattolica anche la storiografia segue i destini delle diverse confessioni cristiane, con scritti dai presupposti spesso più teologici e apologetici che storici. La ricostruzione storica è utilizzata strumentalmente per dimostrare e fondare l’apostolicità della Chiesa, la continuità della propria tradizione e del magistero, l’antichità delle istituzioni.

    È ripresa in questi anni, da parte protestante e con accenti a tratti fortemente escatologici, la teoria della decadenza e dell’allontanamento dall’ideale dei primi secoli: basti qui ricordare il De captivitate babylonica Ecclesiae (1520) in cui M. Lutero tratteggia la figura di una Chiesa decaduta, prigioniera del papato e della curia romana. Proprio quest’idea di una Chiesa che si è andata pervertendo e allontanando dalle origini apostoliche, porta a ricostruire e studiare la storia delle comunità dei primi secoli per arrivare a conoscere il volto della Chiesa primitiva.

    Dello stesso periodo sono le Vitae Romanorum Pontificum (1536) di R. Barnes, agostiniano convertito al luteranesimo, che nelle biografie dei papi elaborate sulla scorta del Platina, inserisce medaglioni di commento con critiche protestanti.

    L’opera più emblematica di questa temperie, è però senza dubbio l’Ecclesiastica historia…secundum singulas centurias (o Centurie di Magdeburgo, dalla città tedesca in cui sono redatte), opera in 13 libri diretta dal riformatore M. Flacio Illirico con l’ausilio di molti collaboratori e pubblicata a Basilea (1559-1574). I Centuriatori, ripercorrendo la storia del cristianesimo dalle origini al Duecento, si propongono di scardinare la legittimità della Chiesa romana, mostrandone i tradimenti, a fronte della persistenza di una minoranza ininterrotta di testimoni fedeli alla verità delle origini, dai Padri della Chiesa ai movimenti medievali, fino agli albori della Riforma protestante. Lo stesso Flacio aveva preparato questo lavoro con il Catalogus testium veritatis qui ante nostram aetatem reclamarunt papae (1556), un’imponente raccolta di circa quattrocento testimonianze storiche antipapali, che entrando in altri scritti diventeranno poi ricorrenti.

    Le Centurie non utilizzano la classificazione cronologica per gli eventi ma, fedeli al titolo, dividono la materia all’interno di ogni secolo per tematiche e argomenti: principalmente di tipo storico, sono affiancati dalle diverse dottrine e contenuti teologici, liturgici, giuridici, politici, e dalle vite delle personalità più importanti. Le fonti principali, studiate con un metodo critico a volte non pienamente scientifico, sono costituite dalla Scrittura e dagli antichi storici cristiani, Eusebio in specie, cronache e opere di tipo giuridico (decretali).

    Tentativi di risposta da parte cattolica non tardano a giungere: così l’opera di P. Canisio, condotta con argomenti storici e dottrinali; allo stesso modo R. Bellarmino, che, da teologo, utilizza le acquisizioni storiche per esporre i dati della fede cattolica.

    Solo alla fine del secolo, dopo questi tentativi di “catechismi storici”, giunge con C. Baronio la risposta storiografica adeguata, nella monumentale Historia ecclesiastica controversa, comunemente nota con il nome di Annales ecclesiastici (1588-1607), impresa a lui affidata sotto gli auspici di papa Sisto V, con l’esplicitazione, nella dedica del primo volume, del fine perseguito: “eccitare gli animi alla virtù…e contro i novatores di questo tempo”. I dodici volumi, che giungono fino al 1198, costituiscono probabilmente una risposta ai Centuriatori, tuttavia mai menzionati, ma anche il desiderio di mostrare la continuità della Chiesa del tempo con quella delle origini.

    Baronio, che aveva già lavorato sulle fonti antiche per la revisione del Martirologio romano (1583) e insegnato storia su incarico di F. Neri e della Congregazione degli oratoriani, cui apparteneva, analizza sistematicamente il prezioso materiale di biblioteche e archivi romani, citando testimonianze inedite e prendendo posizione riguardo all’autenticità di alcuni documenti.

    Il procedere degli Annales è sempre cronologico, non più per secoli ma per anni, dalla nascita di Cristo e secondo l’imperatore e il papa regnante. A differenza delle Centurie che procedono per argomenti, seguendo un metodo più innovativo, l’opera di Baronio è più tradizionale e, con minuziosa ansia di precisione, dipana la narrazione secondo la tipologia della cronache medievali, ma con procedimento critico umanistico. La raccolta, ricco insieme di apologetica, controversia ed erudizione, è certamente il frutto più compiuto dell’epoca controriformistica, il distillato dell’impegno della generazione che si sentiva chiamata ad arginare le nuove tendenze religiose e insieme ad applicare e completare le misure del Concilio di Trento. Gli Annales ebbero certamente anche critici (I. Casaubon, S. Basnage), ma anche compendi, commenti e continuatori, tra cui gli oratoriani O. Rinaldi, che portò l’opera fino all’anno 1565 e G. Laderchi, fino al pontificato di Pio V. In ambito italiano sono poi da ricordare gli eruditi C. Sigonio, A. Possevino e A. Rocca.

    Concilio di Trento. Nell’alveo della storiografia controversistica la polemica sull’interpretazione del Concilio di Trento occupa senza dubbio un posto di rilievo e giova ricordare almeno le due opere più significative.

    Sarpi, servita simpatizzante per le idee protestanti, teologo ufficiale della Repubblica di Venezia, è autore dell’Historia del concilio tridentino, iniziata nel 1608 e pubblicata a Londra nel 1619 sotto lo pseudonimo di P. Soave Polano, condannata e posta all’Indice nello stesso anno. Egli, servendosi di ottimo materiale storico (relazioni degli ambasciatori veneti al Concilio, testimonianze orali) e con prosa agevole, imposta una critica feroce del Concilio, ritenuto soltanto uno strumento nelle mani della curia papale. Secondo Sarpi, a Trento, si sarebbe affermata la più dura politica accentratrice romana mentre sarebbe stato eluso l’unico vero scopo del Concilio, la riforma della Chiesa a partire dal suo vertice; a scapito degli interessi religiosi e spirituali avrebbero prevalso quelli temporali e politici. L’Historia, composta da un teologo e con intenti polemici antiromani, non coglie in pieno l’importanza storica del Concilio, un indubbio passo avanti nell’opera di riforma, e, configurandosi come un trattato politico, pone invece in primo piano le carenze della curia romana.

    Sul versante opposto si pone l’Istoria del concilio di Trento (1656-1657) del gesuita P. Sforza Pallavicino. Servendosi della vasta mole di materiale già raccolta da T. Alciati e F. Contelori, e per ordine di papa Innocenzo X e della Compagnia di Gesù, egli compone una vera e propria arringa contro Sarpi, con intento apertamente apologetico e dal conseguente stile a volte minuzioso e pedante. L’opera si fonda su fonti romane di grande valore e l’accurata interpretazione dei documenti e degli avvenimenti la pone ad un livello di ricerca superiore, pur soffermandosi a tratti su particolari marginali e sorvolando su quelli più rilevanti ma problematici. Come Sarpi, neanche Pallavicino, di formazione prevalentemente giuridica, riflette sul valore del Concilio né problematizza l’importanza delle opere di riforma da esso scaturite.

    Storiografia critico-erudita. Nei decenni successivi, sopite almeno in parte le polemiche più accese, la produzione storiografica riprende il proprio corso nel solco tracciato dagli umanisti. È questo il periodo in cui la fioritura della filologia porta a edizioni critiche di molti scritti, senza il condizionamento d’intenti polemici o di difesa, ma pur sempre sotto lo sguardo vigile delle autorità ecclesiastiche, preoccupate che la messa in discussione di ingenti certezze storiche potesse indebolire il fragile equilibrio ad intra e ad extra.

    È questa l’epoca di monumentali pubblicazioni di fonti antiche e, superando i confini confessionali, studiosi delle diverse chiese ritornano documenti delle origini. Sono così da ricordare almeno gli studi del pastore calvinista D. Blondel, che dimostrano la falsità delle decretali.

    Nella seconda metà del ‘500 soprattutto in Francia si approntano diverse edizioni: fra gli studiosi cattolici, M. de la Bigne compone la Sacra Bibliotheca Sanctorum Patrum (1575-1579); D. Pétau (lat. Petavius) con altri gesuiti lavora alle traduzioni di Padri greci in latino, già sullo sfondo della polemica giansenista.

    Sono tuttavia i benedettini parigini della congregazione di S. Mauro (maurini) a realizzare una delle imprese più significative della seconda metà del XVII secolo. Con l’intento di dare nuova linfa agli ideali culturali del monachesimo e seguendo un grandioso programma, essi portano a termine grandi edizioni, spesso insuperate, dei Padri della Chiesa, prima fra tutte quella di Agostino, quanto mai fondamentale in epoca di scontri sull’interpretazione della grazia. Tra le opere, redatte sotto la guida di J. Mabillon, si ricordano gli Acta Sanctorum Ordinis Sancti Benedicti (9 voll., 1668-1701), gli Annales Ordinis Sancti Benedicti (6 voll., 1703-1709), la Gallia cristiana (13 voll., 1715-1785). Soprattutto però nelle discipline “ausiliarie” i maurini lasciano una traccia profonda, fondativa: con il suo trattato De re diplomatica libri sex del 1681 Mabillon pone le basi della moderna ricerca storica basata sulla critica diplomatica e paleografica dei documenti.

    Anche nel campo dell’agiografia si assiste alla nascita di grandi opere, nel tentativo di far chiarezza sull’antichità dei documenti e sulla presenza di elementi fantasiosi e non veritieri: sono riprese in esame le passioni dei martiri e le vite dei confessori, anche in funzione di difesa del culto dei santi, minato dai riformati.

    Si hanno così due raccolte: le Sanctorum priscorum patrum vitae (8 voll., 1551-1560) di L. Lippomano, di non pieno valore scientifico, che costituisce la base per le De probatis sanctorum historiis (7 voll., 1576-1581) del tedesco L. Surio.

    Queste opere ebbero larga diffusione, ma ancora non vi è in esse la precisione critica che si riscontra negli Acta sanctorum dei gesuiti belgi, impresa corale divenuta simbolo della produzione erudita del tempo. Il progetto iniziale di H. Rosweyde, autore dei Fasti sanctorum (1607), prevedeva un piano di ricerca complessivo, confluito poi nei lavori di J. Bolland – dal suo nome l’appellativo di bollandisti per questi studiosi gesuiti. Dal 1643 iniziano ad uscire i primi volumi degli Acta, e fino al 1794 si contano cinquantatre volumi cui lavorano con severo metodo critico gli assistenti e successori di Bolland, G. Henschen e sopratutto D. Papebroch, compilatore di diciannove volumi, autore dell’importante Propylaeum antiquarium circa veri ac falsi discrimen in vetustis membranis (1675), nel quale è esplicato il metodo scientifico per lo studio delle documenti medievali. Ciascun volume degli Acta procede secondo rigorosi criteri programmatici: ordine dei santi secondo il calendario romano, introduzione critica dei documenti, pubblicazione dei testi più attendibili posti come base per poi discutere gli altri, come varianti da recepire o ricusare. La severità, a volte eccessiva di questi studiosi nel vagliare le fonti, causò in qualche occasione le reazioni delle gerarchie ecclesiastiche e la messa all’Indice di volumi degli Acta.

    Un simile metodo storico-critico viene applicato anche ai testi dei Concili, con le revisioni delle raccolte medievali e la ricerca di interpolazioni o di falsi. L’opera più importante in questo senso, riedita e ampliata fino al XX secolo, è la Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio (31 voll., 1759-1798) di G. D. Mansi, contenente Concili generali ed ecumenici ma anche Sinodi provinciali.

    Nell’ambito della storia delle diocesi si hanno alcune importanti raccolte, tra cui i volumi dell’Italia sacra (9 voll., 1642-1662) del cistercense F. Ughelli, prima storia completa delle diocesi italiane divise secondo le province ecclesiastiche, con l’indicazione della serie completa dei vescovi, notizie biografiche, cenni storici dei luoghi di culto più importanti, tradizioni locali e documenti inediti. L’opera, pur non propriamente critica, apre la strada a raccolte simili: Gallia christiana (dal 1715, a cura dei maurini) ed España sagrada (dal 1747). Un’impresa ancora più ambiziosa, rimasta incompiuta e mai pubblicata è l’Orbis christianus di G. Garampi, Prefetto dell’Archivio vaticano, che avrebbe dovuto comprendere più di venti volumi e abbracciare le diocesi e la gerarchia di tutto il mondo, utilizzando l’immensa mole di documenti vaticani.

    Nascono in questi decenni e sulla stessa scia anche raccolte e bullaria dei vari ordini religiosi. Primi sono i francescani, con gli Annales Ordinis Minorum di L. Wadding, pubblicati a partire dal 1625; seguono poi i già citati Annales Ordinis Sancti Benedicti redatti dai maurini e altri.

    Sviluppi successivi. Nel contesto della storiografia critica sono significativi anche gli scritti influenzati dal gallicanesimo e molti degli studiosi francesi sono espressione delle idee gallicane o gianseniste, sensibili dunque al tema del primato papale e del centralismo romano. Ricordamo L.S. Le Nain de Tillemont, giansenista studioso dei primi sei secoli, non molto critico; N. Alexandre, domenicano moderatamente giansenista e di tendenze gallicane e conciliariste; C. Fleury, che pur difendendo idee gallicane, compie notevoli sforzi di imparzialità e compone un catechismo storico per la divulgazione ad un pubblico più vasto (Catéchisme historique, 1679), vero esempio di narrazione storica moderna. Sia Alexandre sia Fleury sono messi all’Indice e tradotti in diverse lingue dopo esser stati purgati, rimanendo alla base di molti studi fino al XIX secolo.

    Esponente significativo delle tendenze gallicane e personalità influente è J. B. Bossuet, autore del Discours sur l’histoire universelle (1681), scritto in prospettiva provvidenzialistica. A questo si affianca l’Histoire des variations des églises protestantes (1688), opera innovatrice che utilizza fonti protestanti per dimostrare gli errori e l’allontanamento dei riformati dalla Chiesa delle origini.

    Tra i vari tentativi di risposta e confutazione da parte romana ricordiamo la Storia ecclesiastica (21 voll., 1747-1762) del domenicano G. A. Orsi e il più modesto Breviarium historiae ecclesiasticae usibus academicis accomodatum (1760) dell’agostiniano G. L. Berti, significativo perché nato per l’insegnamento.

    Nello stesso periodo in Italia si hanno varie esperienze di erudizione, spesso locale. Spicca in questo contesto L.A. Muratori, che si considera discepolo di Mabillon, rispetto al quale compie il passo decisivo di indagare non soltanto l’autenticità delle fonti, ma anche l’attendibilità/veridicità di esse. Egli, sacerdote e parroco, non si dedica a studi specifici di storia ecclesiastica, ma i suoi sono scritti di storia generale, in cui le radici culturali italiane sono ricercate piuttosto nelle fonti medievali che nell’antichità: su tutto le Antiquitates italicae medii aevi (6 voll., 1738-42), vera miniera di nozioni sulle istituzioni, la politica, l’economia, il costume, la religione della penisola. I suoi Annali della storia d’Italia (12 voll., 1744-49) sono particolarmente apprezzati nell’epoca del Risorgimento, per il tentativo di ricostruire una storia unitaria del Paese al di là delle frammentazioni contingenti; mentre riferimento ancora fondamentale rimane la monumentale Rerum Italicarum Scriptores (25 voll., 1723-1751), contenente le sue ricerche sulla storia d’Italia dal 500 al 1500, considerata a ragione la prima vera grande raccolta di fonti medievali della storiografia moderna.

    Significativi editori e studiosi di testi furono anche B. Bacchini, maestro a Modena di Muratori e i fratelli P. e G. Ballerini.

    I decenni successivi, con l’insorgere dell’Illuminismo, non vedono studiosi di rilievo dedicarsi esplicitamente alla storia del cristianesimo, limitandosi piuttosto ad utilizzare il materiale messo a disposizione degli eruditi per fini polemici e senza una vera rielaborazione in senso storico. L’approccio degli illuministi, nel tentativo di sottolineare l’oscurantismo e l’arretratezza della Chiesa, in specie nel medioevo (Voltaire), suscita un filone di storia apologetica e controversistica simile al passato, tesa a confutare filosofi e rivoluzionari, sostituitisi ora ai riformati. Nell’ambito più specificamente storiografico il fine per cui nasce uno scritto viene così a prevalere nuovamente sul valore storico dei documenti in sé, in una prospettiva ultramontana e intransigente.

    Espressione moderata di questa tendenza è il breve trattato polemico Il trionfo della S. Sede e della Chiesa contro gli assalti dei novatori respinti e confutati colle loro stesse armi (1799) di B.A. Cappellari, futuro papa Gregorio XVI, argomentazione storica in difesa della natura monarchica della Chiesa (identificata ipso facto col papato), del primato e dell’infallibilità pontificia, della piena indipendenza della Sede apostolica dall’autorità temporale.

    Fonti e Bibl. essenziale

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