Autore: Stefano Cavallotto
Il movimento valdese nasce tra il XII-XIII secolo intorno alla figura di Valdo (†1206), commerciante di Lione convertitosi nel 1170 ca. dopo una profonda crisi religiosa agli ideali evangelici della povertà e della predicazione itinerante secondo il modello apostolico (Mt 10) nella scia peraltro dei movimenti penitenziali e pauperistici. Intenzionato inizialmente a rinnovare la chiesa dal suo interno, Valdo ne viene messo ai margini con l’accusa di eterodossia e ribellione. La stessa sorte tocca ai suoi seguaci (chiamati all’inizio “poveri di Lione” e più tardi “valdesi”), i quali dopo una prima approvazione papale nel 1179 rifiutano la proibizione imposta dalla gerarchia di predicare senza autorizzazione, radicalizzando via via in alcuni filoni la loro critica contro la chiesa istituzionale a sostegno di una «chiesa di laici» con culto e sacramenti propri e in cui anche le donne possono accedere al ministero della predicazione. Condannati come eretici, assieme ai catari, da Lucio III nel 1184 e dal IV Concilio Lateranense nel 1215 sotto Innocenzo III, sono sottoposti a repressione e persecuzione da parte dei poteri civili e religiosi. Paradossalmente, però, le difficoltà e gli attacchi inquisitoriali finiscono per accrescere il consenso popolare nei loro riguardi e a far sì che nonostante il forzato ricorso alla clandestinità si espandano non soltanto nella Francia meridionale e in Lombardia, ma un po’ in tutta l’Europa. Fra il XIV-XV secolo la loro presenza appare lungo le valli alpine del versante piemontese fino all’Austria, all’Ungheria e specialmente in Boemia, dove influenzano i seguaci di Jan Hus (†1415) e i Taboriti.
Le zone in cui però si radicano maggiormente sono il Delfinato, le Alpi Cozie, la Provenza, la Calabria, la Puglia e la Germania meridionale. L’espansione del movimento valdese è dovuta principalmente al carattere missionario della sua predicazione, ma anche alla radicalità degli ideali proposti in antitesi col quadro ufficiale della societas christiana e alla natura popolare, fraterna, solidale e ugualitaria della comunità. Centro della testimonianza valdese sino al Cinquecento sono la fedeltà al Vangelo nell’obbedienza “letterale” agli insegnamenti di Gesù e la conseguente scelta di povertà della chiesa con la rinuncia al potere politico e all’uso della violenza; testimonianza continuamente alimentata dai predicatori itineranti, i “barba” o “barbetti” secondo un termine popolare che indica una persona di riguardo, i quali visitando le comunità svolgono la funzione di maestri e curatori delle anime. A giudizio di alcuni studiosi più che di un movimento unitario bisognerebbe parlare di “valdismi medievali” al plurale (c’è anche un movimento di «Poveri cattolici» guidati da Durando di Osca [† dopo 1210] e sottomessi al papa) e ciò anche a motivo del debole collegamento istituzionale che vige tra i diversi gruppi. Altri si chiedono pure, se e fino a che punto i movimenti valdesi del Trecento e Quattrocento abbiano conservato l’identità propria dei seguaci del “povero di Lione”. E’ indubbio comunque che la loro convinzione, come si evince dalla letteratura valdese del tempo, è di essere rimasti in linea di continuità con i “figli di Valdo”.
Ciò non impedisce alle comunità del Meridione francese e del Piemonte, costrette anche dalle persecuzioni della fine del XV secolo, di aderire alla Riforma calvinista nel 1532 col sinodo di Chanforan. Una data di svolta (di “morte” del movimento medievale secondo lo storico Gabriel Audisio) nella storia dei valdesi che li porta a chiudere l’esperienza medievale e ad organizzarsi secondo il modello della [→] Riforma ginevrina in chiese locali con predicatori-pastori propri per il culto e la celebrazione dei sacramenti. Come minoranza protestante ormai fuori della clandestinità, seppur circoscritta nello Stato Sabaudo, subisce assieme alle altre presenze evangeliche in diverse città dell’Italia gli attacchi della Controriforma fino alla Convenzione di Cavour del 1561, con cui Emanuele Filiberto di Savoia sancisce il libero esercizio del culto riformato-valdese in modo limitato e all’interno dei confini nelle Valli. Tali comunità, formate da poche migliaia di persone, costituiranno per quasi tre secoli una specie di avamposto del [→] protestantesimo europeo. Diversa è invece la sorte del valdismo in Calabria e in Puglia, dove a causa delle persecuzione e della diaspora tende a scomparire, lasciando comunque significative testimonianze di martirio, come quella del predicatore Giovan Luigi Pascale (†1560). Oltre all’emarginazione, le comunità valdesi delle Valli sperimentano nella seconda metà del Seicento nuove persecuzioni, dovute anche al progetto, mai abbandonato, dei sovrani francesi e piemontesi di riportarle alla chiesa cattolica. Così nel 1655 subiscono il tremendo eccidio, noto come «Pasque piemontesi», ad opera dell’esercito sabaudo (secondo fonti valdesi i morti sono oltre 1700); una strage, stigmatizzata con forza dall’Europa protestante e che provoca l’intervento dell’Inghilterra di Oliver Cromwell.
Un’altra prova che mette in pericolo la stessa loro sopravvivenza è effetto del decreto emanato in Piemonte nel 1686, su pressione di Luigi XIV, che l’anno prima ha revocato l’Editto di Nantes: Vittorio Amedeo II di Savoia impone di scegliere tra l’abiura e l’esilio. La risposta dei valdesi è la resistenza armata, conclusasi però con una disfatta e l’espatrio dei pochi sopravvissuti nei cantoni protestanti svizzeri. Da Ginevra tre anni dopo tornano con un’operazione politico-militare spettacolare e coraggiosa («Glorioso rimpatrio») guidati da Enrico Arnaud (†1721) per occupare alcune valli delle Alpi piemontesi, rimanendo però confinati in un’area intorno a Pinerolo, che verrà chiamata il «ghetto alpino», e subendo ogni tipo di discriminazioni. La sopravvivenza delle comunità viene assicurata dagli aiuti dei protestanti di tutto il mondo, in particolare dagli inglesi (notevole l’apporto del quacchero rev. William Allen [†1843] e del rev. Stephen Gilly [†1855]). Negli anni Venti dell’800 i valdesi piemontesi «risvegliati» dalla predicazione carismatica di Felix Neff (†1829) partecipano non senza rotture interne al rinnovamento della vita protestante europea («Risveglio»).
L’affrancamento dalla ghettizzazione viene solo nel 1848 grazie alle “Regie Lettere Patenti”, con cui Carlo Alberto pone fine a secoli di discriminazione, riconoscendo ai suoi sudditi valdesi i diritti civili e politici. Un editto di tolleranza che comunque concede una libertà molto limitata, dal momento che «nulla [è] innovato» per quanto riguarda la libertà religiosa, e perciò restano in vigore tutte le restrizioni dell’età controriformista. Il Risorgimento vede i valdesi impegnati in prima linea: per loro è un’occasione provvidenziale per “ridiventare italiani” e riprendere nello spirito del «grande Risveglio» la predicazione e la diffusione della bibbia assieme ad altri gruppi protestanti («Liberi», «Fratelli», metodisti, battisti, pentecostali). Col processo di unificazione dell’Italia e il conseguente conflitto tra Chiesa romana e Stato si aprono nuove possibilità di evangelizzazione, specialmente nel Meridione, e di presenza con attività accademiche e culturali (risale al 1855 la fondazione della Facoltà Valdese di Teologia, la più importante istituzione culturale di tutto il Protestantesimo italiano) e nel settore dell’educazione e della carità con molteplici opere sociali.
Nella seconda metà dell’Ottocento si intensifica inoltre, anche per ragioni economiche, l’emigrazione valdese verso l’America Latina e gli Stati Uniti (esiste oggi una chiesa valdese di migliaia di membri anche nel distretto del Rio de la Plata [Uruguay e Argentina]). Emarginati durante il ventennio fascista (1922-1943) e protagonisti convinti nella Resistenza (1943-1945) con un notevole contributo di sangue (le Valli sono uno degli epicentri più significativi della lotta antifascista), nel secondo dopoguerra i valdesi avviano un duplice processo: di negoziazione per un riconoscimento statale e di unificazione con le altre realtà evangeliche italiane, in linea con lo spirito ecumenico che pervade la cristianità evangelica dopo il conflitto mondiale, e di dialogo “sincero” con le componenti più aperte della chiesa cattolica specialmente a partire dal Concilio Vaticano II. Nel 1984 siglano un’Intesa con lo Stato italiano in applicazione dell’art. 8 della Costituzione; intesa che sarà integrata nel 1993 e perfezionata nel 2007.
Nel 1975-1979 assieme ai metodisti, con i quali sin dal 1948 hanno partecipato al Consiglio Ecumenico delle Chiese, realizzano un patto d’integrazione, basato sulla medesima confessione di fede calvinista del 1655 e nel rispetto delle proprie identità, creando una struttura amministrativa comune: le due chiese si presentano con il nome di «Chiesa Evangelica Valdese – Unione delle Chiese Valdesi e Metodiste» con un unico organo esecutivo, che è la «Tavola Valdese», e un Sinodo annuale “unito”, composto di laici e pastori, dove si assumono le decisioni più importanti per la vita delle chiese e la loro testimonianza. Anche con i battisti realizzano un accordo: dal 1990 la Chiesa Evangelica Valdese e l’Unione Cristiana Evangelica Battista d’Italia si riconoscono reciprocamente e insieme pubblicano il settimanale “Riforma”. La Chiesa valdese, che ha un’organizzazione di tipo presbiteriano e sinodale (i «presbiteri» – uomini e donne – a cui è affidato il ministero della predicazione hanno il titolo di pastori; la comunità locale è guidata da consigli di «anziani» eletti dai fedeli), fa propria la teologia calvinista con i principi del solus Christus, sola fide, sola gratia, sola Scriptura, e conserva alcune tradizioni ecclesiastiche tipiche del mondo riformato (matrimonio dei pastori, comunione col pane e vino, rifiuto del culto delle immagini e del principio episcopale). Nel campo dell’etica sessuale e in quello politico-sociale non interviene con disposizioni obbliganti i propri fedeli, mentre sull’aborto e l’eutanasia lascia aperto il dialogo con la scienza in linea con gli orientamenti del gruppo di lavoro sui problemi di bioetica nominato dalla Tavola Valdese.
A partire dagli anni Settanta del XX secolo dietro l’impulso ecumenico del Vaticano II si sono intensificati, seppure con alti e bassi, i rapporti dei valdesi con la chiesa cattolica italiana. Se nell’orizzonte europeo la Carta Ecumenica, sottoscritta a Strasburgo il 22 aprile 2001 dai rappresentanti della KEK e del CCEE e accolta lo stesso anno dal Sinodo valdese, costituisce il documento più importante dell’incontro istituzionale tra le due chiese, a livello nazionale uno dei documenti più rilevanti del dialogo ufficiale con la Conferenza Episcopale Italiana è il Testo comune per un indirizzo pastorale dei matrimoni tra cattolici e valdesi o metodisti, approvato nel 1997, a cui ha fatto seguito, nel 2000, il Testo applicativo. Sempre nel solco del nuovo clima ecumenico post-conciliare bisogna ricordare la traduzione interconfessionale della bibbia in lingua corrente negli anni Settanta, promossa dalla Società Biblica in Italia. E ancora: una rappresentanza della Commissione per il dialogo ecumenico ed interreligioso della C.E.I. è regolarmente invitata quale ospite al sinodo che ogni anno le comunità valdesi italiane celebrano a Torre Pellice; così come docenti valdesi insegnano in varie strutture universitarie pontificie, tra cui vale la pena menzionare il ben qualificato Istituto di Studi Ecumenici s. Bernardino di Venezia. Cattolici e i valdesi, assieme ad ortodossi ed ebrei, sono tra gli animatori dell’associazione laica ed interconfessionale Segretariato Attività Ecumeniche che in Italia già dai primi anni Sessanta è impegnata a promuovere in sede locale e nazionale con molteplici iniziative la formazione ecumenica delle diverse comunità cristiane. Frequenti e significativi sono pure i rapporti e le collaborazioni tra le due confessioni in ambito locale nelle varie diocesi della chiesa italiana.
Fonti e Bibl. essenziale
G. Audisio, Les «Vaudois». Naissance, vie et mort d’une dissidence (XII-XVI siècles), Claudiana, Torino 2000; C. Maurizio, L’emigrazione dei valdesi in Sud America: 150 anni fa dalla Val Pellice a Montevideo, Pinerolo (TO) 2008; G.G. Merlo, Valdesi e valdismi medioevali. Itinerari e proposte di ricerca, Claudiana, Torino 1984; ID., Valdesi e valdismi medioevali. 2. Identità valdesi nella storia e nella storiografia. Studi e discussioni, Claudiana, Torino 1991; ID., Valdo. L’eretico di Lione, Claudiana, Torino 2010; G. Spini, Risorgimento e protestanti, Mondadori, Milano 1989 (nuova edizione Claudiana, Torino, 1998); Storia dei Valdesi: vol. 1 di A. Molnar, Dalle origini all’adesione alla Riforma (1176-1532), Claudiana, Torino 1974; vol. 2 di A.A. Hugon, Dall’adesione alla Riforma all’emancipazione (1532-1848), Claudiana, Torino 1984; vol. 3 di V. Vinay, Dal movimento evangelico italiano al movimento ecumenico (1848-1978), Claudiana, Torino 1980; G. Tourn, I valdesi, La singolare vicenda di un popolo-chiesa, Claudiana, Torino, 2008; S. Peyronel Rambaldi – M. Fratini, 1561. I valdesi tra resistenza e sterminio: in Piemonte e in Calabria, Claudiana, Torino 2011; S. Velluto, Valdesi d’Italia, Edizioni Sonda (1a ed. 2003), Casale Monferrato 2008.