Emigrazione, Immigrazione – vol. II

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    Autore: Matteo Sanfilippo

    La situazione post-1870 vede la Chiesa continuare quanto impostato nei decenni precedenti. Da un lato, prosegue l’apertura ai fedeli, ma anche ai protestanti venutisi a insediare in Italia. Dall’altro, lotta per mantenere il controllo degli emigrati italiani e per usarli come testa di ponte nella conquista di paesi anticlericali come la Francia o protestanti come gli Stati Uniti. A tale scopo ricorre all’apporto dei nuovi istituti di vita consacrata che sopperiscono alle difficoltà del clero diocesano, pur se non nati per occuparsi dell’emigrazione, ma si trovano rapidamente nella necessità di farlo. È il caso dei salesiani di don Giovanni Bosco, che, su richiesta di Pio IX, intervengono fra gli italiani di Buenos Aires. Agli inizi del Novecento i salesiani assistono i compatrioti in quasi tutta l’America Latina, negli Stati Uniti, in Svizzera e in Germania, in Tunisia, a Costantinopoli e nel Medio Oriente.

    Nel 1887 Propaganda Fide autorizza le parrocchie nazionali, chiamate anche personali o linguistiche, negli Stati Uniti. Queste devono integrarsi nel tessuto diocesano, ma hanno giurisdizione su una comunità immigrata e non su un quartiere. La raccolta di documenti, che precede tale decisione, mette i funzionari di Propaganda in contatto con la realtà nordamericana e con analoghe esperienze europee. Inoltre permette loro di stringere rapporti con le associazioni di altri paesi, in particolare la società di patronato degli emigranti tedeschi.

    I funzionari di Propaganda realizzano che per gli italiani non esiste niente di simile e che questo si riflette nell’incapacità di avere edifici di culto e d’incontro. Inoltre scarseggiano i sacerdoti provenienti dalla Penisola o, se vi sono, hanno seguito percorsi non sempre approvati dalla Santa Sede. La soluzione, contemporanea alla deliberazione sulle parrocchie nazionali, prevede di confidare a Giovanni Battista Scalabrini, vescovo di Piacenza, l’istituzione di una congregazione di religiosi che assista gli italiani nelle Americhe e al contempo gestisca un collegio per formare i missionari addetti a tale compito. Leone XIII approva con breve del 25 novembre 1887 e quindi presenta il progetto ai vescovi d’oltreoceano (Quam aerumnosa, 1888). Inizialmente si prevede un esperimento quinquennale, mirato agli Stati Uniti e al Brasile, ma in quel lustro il pontefice e la curia si rendono conto dell’ineluttabile necessità di prestare maggiore attenzione alle migrazioni (Rerum Novarum, 1891).

    L’ultimo decennio del pontificato di Leone XIII vede montare l’interesse per la mobilità umana e di ciò beneficia il progetto scalabriniano. Il vescovo di Piacenza ritiene in un primissimo tempo che il nuovo istituto debba essere un’appendice di Propaganda. Nel 1889 decide, però, di affiancargli una Società di patronato degli emigranti sulla falsariga della Raphaelsverein. Scalabrini ottiene buoni risultati nei luoghi d’arrivo, grazie all’impegno dei suoi missionari e al fondamentale aiuto delle congregazioni femminili, basti qui ricordare le Apostole del S. Cuore di Francesca Saverio Cabrini, ma il numero delle congregazioni femminili che seguono gli italiani nelle scuole e negli ospedali è infinito.

    Alla morte nel 1905 Scalabrini lascia quaranta case in America, con annesse chiese e scuole, nonché un orfanotrofio a San Paolo. La riuscita non è stata, però, esente da polemiche con altre congregazioni e con la Curia. Da oltre dieci anni Propaganda non sostiene il vescovo piacentino, inoltre la Segreteria di Stato, sulla scia delle rimostranze di alcuni salesiani, sospetta che gli scalabriniani siano troppo acquiescenti nei riguardi del Regno d’Italia. Lo stesso Scalabrini diviene consapevole della difficoltà di bilanciare appartenenza nazionale e appartenenza religiosa; è inoltre spaventato dall’aumento delle contrapposizioni oltreoceano tra le comunità emigrate. Prima di morire, propone quindi alla Santa Sede di istituire un dicastero, o eventualmente solo una commissione, pro Emigratis Catholicis. Ritiene infatti che si è cominciato a fare qualcosa per ogni gruppo, ma che bisogna coordinare gli sforzi.

    Nel nuovo secolo l’attenzione cattolica alle questioni migratorie non decresce, anzi si aprono nuovi fronti. L’istituto scalabriniano è sempre focalizzato sulle Americhe e soltanto più tardi tornerà verso il Vecchio Mondo. Di quest’ultimo si occupa invece Geremia Bonomelli, vescovo di Cremona, che nel 1900 fonda l’Opera di assistenza agli operai italiani emigrati in Europa e nel Levante. Le decine di sacerdoti impegnati sono quasi tutti secolari e nel volgere di qualche anno riescono a intervenire tra gli italiani in Svizzera, Francia e Germania, fondando scuole, parrocchie e ospizi. La loro azione è coadiuvata dai barnabiti a Parigi, i dehoniani a Marsiglia, i salesiani a Lione e Zurigo, i cappuccini nel sud della Francia.

    Si ha bisogno di un maggiore coordinamento e nel 1909 è fondata l’Italica Gens (1909), che federa congregazioni religiose e associazioni laiche interessate agli italiani nelle Americhe, ma presto il Vaticano riprende il comando. Pio X istituisce nel 1912 il primo ufficio della curia romana per l’emigrazione, una sezione speciale della Concistoriale che ha competenza sull’orbe cattolico e risponde al suggerimento di Scalabrini di badare a tutti i migranti, smussando conflitti tra loro e con le diocesi di accoglienza. Nel 1914 è decisa la fondazione a Roma del Pontificio Collegio per l’emigrazione italiana, che dovrebbe formare il clero diocesano per seguire gli italiani in tutto il mondo: l’apertura effettiva avverrà, però, solo nel 1920. Nel frattempo i dicasteri romani affidano l’Opera Bonomelli a un vescovo, senza compiti territoriali, il cosiddetto Prelato per l’emigrazione italiana, cui è sottoposto il Pontificio Collegio.

    Fra le due guerre cambia direzione l’emigrazione, a causa della chiusura degli sbocchi americani e della diaspora antifascista verso la Francia. Inoltre il regime entra in conflitto con le organizzazioni cattoliche obbligandole a mantenersi defilate. Durante il ventennio, il Prelato per l’emigrazione funziona a scartamento ridotto e nel frattempo nascono problemi con le missioni oltreoceano, cui non sono più inviati rinforzi. L’assistenza agli emigrati ricade quindi sulle chiese locali. Nel 1944 Pio XII istituisce la Pontificia Commissione Assistenza Profughi (in seguito solo Pontificia Commissione Assistenza e infine Pontificia Opera Assistenza) che negli anni tra il 1945 e il 1948 soccorre quasi mezzo milione di italiani e stranieri stabilitisi in vari centri della penisola e ne organizza la partenza verso l’Europa, le Americhe e l’Australia. È la riorganizzazione della rete di assistenza cattolica, ora sostenuta dalla statunitense National Catholic Welfare Conference.

    Subito dopo la guerra la Pontificia Commissione e i principali dicasteri (la stessa Segreteria di Stato crea un ufficio apposito nel 1947) si occupano del movimento di migranti e rifugiati di tutto il mondo. Lentamente, però, i funzionari vaticani tornano a guardare soprattutto ai propri connazionali. Nel 1949 il Pontificio Collegio per l’emigrazione è riaperto e affidato agli scalabriniani. Nel 1951 è fondata a Roma la Giunta Cattolica per l’emigrazione e a Ginevra la Commissione Cattolica Internazionale per le Migrazioni. Nel 1952 la Costituzione apostolica Exsul Familia stabilisce le nuove norme relative all’assistenza spirituale degli emigranti e conferma che questa compete alla Concistoriale. Il documento pontificio ribadisce l’opportunità delle parrocchie nazionali e personali, con competenza sui fedeli di una determinata nazionalità e affidate ai sacerdoti dello stesso gruppo. Sottolinea quindi il diritto naturale ad emigrare, suggerisce lo scambio tra clero delle diverse parti del mondo per venire incontro ai migranti. Infine ricorda come l’emigrante non sia obbligato a integrarsi immediatamente nella società d’accoglienza, ma abbia diritto a una propria autonomia culturale.

    A quest’ultimo tema Pio XII ha già accennato sul finire della guerra e si potrebbe pensare a una ripresa delle idee di Scalabrini per proteggere l’italianità dei suoi emigranti. Ora il discorso riguarda, però, tutti gli emigranti e risponde a preoccupazioni analoghe a quelle di fine Ottocento, quando la paura della propaganda socialista scalza il timore di quella protestante. Negli anni 1950 siamo in piena guerra fredda e l’impegno anticomunista tra i migranti è fondamentale; non è, però, l’unica molla della loro protezione. Il mondo cattolico sta riscoprendo l’impegno nel sociale e i missionari usciti dal Pontificio Collegio, divenuto di completa responsabilità scalabriniana, si muovono in sintonia con le nuove esperienze e non sempre accettano i dettami geopolitici più retrivi. Nel complesso il magistero di Pio XII e di Giovanni XXIII portano a un maggior rispetto dell’identità dei migranti e aprono la strada alle riflessioni di Paolo VI e Giovanni Paolo II. Il primo in particolare approfondisce le problematiche migratorie, pur se concernono sempre meno la popolazione italiana, tanto che nel 1973 è chiuso il Pontificio Collegio. Il motu proprio PastoralisMigratorum Cura (1969) analizza la nuova mobilità e i processi di integrazione, insistendo sui diritti della persona umana: è chiosato dagli interventi del pontefice successivo, che, però, si occupa ormai di flussi non più italiani. Nel frattempo le stesse strutture curiali si evolvono: la Concistoriale diviene nel 1967 la Congregazione dei Vescovi, mentre nel 1970 è creata al suo interno la Pontificia commissione per la cura spirituale dei migranti e degli itineranti, resa autonoma dal 1988 come Pontificio Consiglio  da allora sempre più attento anche all’assistenza, in genere tramite parrocchie nazionali, dell’immigrazione in Italia. Negli anni successivi l’attenzione si sposta ulteriormente e si concentra sul fenomeno dei rifugiati. Nella riorganizzazione della Curia voluta dall’attuale Pontefice, la cura di questi ultimi e di tutti i migranti è demandata a una speciale sezione del nuovo Dicastero per lo Sviluppo umano integrale, sezione nella quale è rifuso il Pontificio consiglio prima citato.

    Fonti e Bibl. essenziale

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    LEMMARIO