Educazione – vol. II

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    Autore: Rachele Lanfranchi

    Le Scuole nuove come movimento di riforma pedagogica. Nell’ultimo decennio dell’Ottocento e nella prima metà del Novecento si avverte una crescente attenzione all’educazione e alla scuola: c’è una vera fioritura di proposte e di esperienze. Si è potuto parlare, al riguardo, di un «movimento di riforma pedagogica». Pedagogisti ed educatori, grazie alla conoscenza di autori come Comenio, Locke, Rousseau, Pestalozzi, Herbart, muovono una critica severa, spesso polemica e un po’ ingenua, alla cosiddetta “scuola tradizionale”, vista come scuola dello sforzo, del castigo, come scuola passiva, adultistica, centrata sul programma, lontana dalla vita reale. Una critica, che non rimane sterile perché è accompagnata da una proposta: porre in atto una “Scuola nuova” per cui si hanno esperienze di “Scuole nuove” in Europa e in tutto il mondo.

    In Italia le sorelle Agazzi – Rosa (1866-1951) e Carolina (1870-1945) – criticano gli asili aportiani e fröbeliani basandosi sull’esperienza compiuta nell’asilo di Mompiano (BS). Per loro è fondamentale l’attenzione ai bisogni e alla situazione concreta del bambino. Finalità della scuola materna è l’educazione armonica di tutto il bambino nelle sue varie componenti: fisica, intellettiva, morale, sociale, religiosa. Il bambino è inteso come essere attivo, come «germe vitale che aspira al suo completo sviluppo». Il germe, per svilupparsi, necessita di un ambiente adatto e l’ambiente adatto al bambino è quello della casa, dove ci si muove, si lavora, si prendono i pasti, ci si aiuta e ci si vuole bene. La scuola del bambino, quindi, deve essere «scuola materna» dove il bambino è aiutato a osservare la vita e la realtà partendo dagli esercizi di vita pratica: soffiarsi il naso, lavarsi i denti, salire e scendere le scale, rimboccarsi le maniche, apparecchiare la tavola, sfogliare un libro, vestirsi, attenzione al bambino piccolo da parte del più grande. In tal modo gli esercizi di vita pratica diventano lavoro, in cui si sa quello che si fa e si ha il passaggio dalla spontaneità alla consapevolezza, dal gioco al lavoro, dalla vita libera all’ordine. Le intuizioni e le istanze più valide delle Agazzi – il senso del bambino e della sua spontaneità e capacità inventiva, la cura dell’ambiente, la semplicità dei mezzi e dei materiali didattici – sono accolte nelle Istruzioni e programmi per gli asili e i giardini d’infanzia, promulgati nel 1914 da Credaro, ministro della Pubblica Istruzione, come pure negli Orientamenti per l’attività educativa della Scuola materna del 1958 e quelli del 1969. Molti asili e scuole materne diretti da Istituti religiosi e parrocchie si aprono alle istanze pedagogiche e didattiche delle “Scuole nuove” facendo proprie le indicazioni ministeriali.

    Contemporanea alle Sorelle Agazzi è Maria Montessori (1870-1952)laureata in medicina. Agli inizi del ’900 è incaricata di organizzare gli asili all’interno delle case popolari del quartiere S. Lorenzo di Roma e nel 1907 si inaugura la prima “Casa dei bambini”: una scuola per bambini dai 3 ai 7 anni. Ben presto questa esperienza si moltiplica e il nome della Montessori acquista fama nazionale e internazionale, grazie alla pubblicazione dei suoi scritti, dei suoi molti viaggi e conferenze all’estero, al sorgere di Enti per la diffusione del suo metodo. Ciò che caratterizza il pensiero e anche il metodo della Montessori è la concezione del bambino come essere attivo, protagonista della sua educazione nel libero svolgersi delle sue forze. La scuola dev’essere in funzione dell’auto sviluppo e dell’autoeducazione del bambino. Ciò richiede un ambiente adatto, o adattato, un materiale appositamente costruito, un maestro che sappia riconoscere l’apparire delle nuove esigenze del bambino. Il materiale di sviluppo, che si presenta rigoroso nella sua costruzione e nell’uso, tende a curare la perfezione delle sensazioni. Anche la lettura, la scrittura e l’aritmetica vengono apprese con materiale speciale. La fortuna del metodo Montessori è molto vasta: ovunque si moltiplicano le “Case dei bambini” e le “Scuole Montessori”. Non mancano critiche e riserve al metodo, accusato di isolare il bambino dall’ambiente reale, di ricorrere a mezzi artefatti quando la vita ne presenta di più semplici e veri, di ignorare il mondo sociale e, in particolare, di non possedere una fondata consapevolezza dei fini dell’educazione. Tuttavia alla Montessori va riconosciuto il merito di aver segnalato la necessità di ancorare la pedagogia a studi scientifici e di aver promosso una scuola rispettosa del bambino.

    Sono esperienze tra le più note, le cui istanze pedagogiche e didattiche sono entrate a pieno titolo nell’allora Scuola materna, Case dei bambini, Scuola Elementare e, oggi, nella Scuola dell’infanzia e Primaria.

    Altra esperienza è lo Scautismo che, fondato in Inghilterra da Baden Powell nel 1908, si diffonde ben presto ovunque grazie alla sua proposta educativa che ben individua alcuni interessi fondamentali del ragazzo. In Italia le prime esperienze di scautismo vengono realizzate nel 1910 dall’educatore genovese Mario Mazza (1882-1959). Attualmente, all’interno della Federazione Italiana dello Scautismo (FIS), sono federate due organizzazioni: il Corpo Nazionale Giovani Esploratori Italiani (CNGEI), di orientamento non confessionale, e l’Associazione Guide e Scout Cattolici Italiani (AGESCI). Quest’ultima continua a crescere in modo considerevole.

    L’educazione tra orientamenti collettivistici e personalistici. Teorie pedagogiche ed esperienze educative si sono sempre richiamate a una precisa concezione filosofica dell’uomo, della storia, della società. Lo stesso si dica per quelle del XX secolo. L’orientamento collettivista dell’educazione si pone nell’orizzonte marxista-leninista e in Italia è rappresentato da Antonio Gramsci (1891-1937). Egli interpreta il marxismo come storicismo: l’uomo è una serie di rapporti attivi e coscienti che egli instaura con la natura e con gli altri uomini in un determinato momento storico. Si ha il primato dell’esistenza sull’essenza, del collettivo sull’individuale: l’uomo è storicità, società, coscienza; l’uomo «si fa», si costruisce nei rapporti sociali. Gramsci è convinto che nel mondo contemporaneo la realtà può essere trasformata partendo dall’ideologia, dalla cultura, prima e meglio che dall’economia. In quest’opera di trasformazione il problema pedagogico acquista una rilevanza primaria perché l’egemonia culturale – che porterà a quella politica – si costruisce con il concorso di molte forze che insieme interagiscono per organizzare la cultura in modo da formare il «blocco storico». Si tratta di creare, attraverso la scuola, la stampa, l’editoria, il teatro, l’azione degli «intellettuali organici» e del partito, una cultura storica, scientifica e critica attraverso la quale il proletariato prende coscienza del suo valore e della sua funzione non solo in campo economico, ma anche in quello sociale e politico, mettendo in crisi la cultura di chi è al potere. Gramsci è per una scuola formativa, unitaria e per tutti, che richiede impegno e sforzo, perché solo con una scuola esigente si assicura alla classe lavoratrice «un nuovo strato di intellettuali». Gli intellettuali sono gli organizzatori, i persuasori permanenti, i funzionari di una nuova visione del mondo. Il “nuovo” intellettuale non appartiene al gruppo sociale superiore: sorge direttamente dalla massa e rimane a contatto con essa. Si crea così quasi un’osmosi tra «sentire» del popolo e «sapere» dell’intellettuale attraverso cui si perviene a un tipo di sapere scientificamente fondato e condiviso, il cosiddetto «blocco storico», che è l’egemonia intellettuale-morale del gruppo che va al potere. Il partito elabora, per mezzo di una élite, le nuove concezioni del mondo, dirige organicamente «tutta la massa economica attiva» eliminando i vecchi schemi. Si giunge in tal modo all’egemonia culturale, premessa di quella politica. Gramsci, come uno dei fondatori del Partito Comunista Italiano; come pensatore politico ed interprete della coscienza culturale espressa dal movimento operaio; come esegeta originale del marxismo occidentale esercita sulla cultura italiana ed europea un notevole e duraturo influsso che ha il suo apice negli anni Settanta.

    Il Personalismo pedagogico rimanda a quello filosofico, nato in Francia a seguito alla crisi del 1929: si presenta come analisi del mondo moderno contrapponendosi sia all’individualismo che al marxismo. Suo scopo è la difesa dell’uomo come persona, come soggetto libero, responsabile delle proprie azioni, non riducibile a determinismi di natura biologica, meccanicistica o dialettica. Ciò che costituisce l’uomo è la sua spiritualità, che implica la nozione di totalità e indipendenza. Ne consegue che l’uomo non è un “risultato”, un “evento”, “un momento” dell’evoluzione cosmica e del divenire storico.

    In Italia Luigi Stefanini (1891-1956) è il primo a proporre una pedagogia personalista a metà degli anni ’50, proposta seguita da molti altri tra cui Aldo Agazzi (1906-2000), Giuseppe Flores D’Arcais (1908-2004), Marcello Peretti (1920-1998). Nell’immediato dopoguerra si adopera per la rinascita culturale dell’Italia. Insieme ad altri colleghi dà inizio al Centro Studi di Filosofia di Gallarate, che dal 1945 indice annuali convegni allo scopo di favorire un confronto tra pensatori cattolici. In questi incontri di studio matura la sua ricerca teoretica in direzione personalista. Nel 1954 favorisce il sorgere di Scholé, Centro di Studi Pedagogici fra docenti universitari cristiani. Il Personalismo pedagogico di Stefanini si fonda su quello filosofico, che egli si premura di distinguere da altre filosofie anch’esse denominate “personaliste” e che fanno la loro comparsa attorno agli anni ’50. Stefanini parte dalla definizione di persona come «sostanza spirituale, razionale, singolare, libera, responsabile, incarnata e mondanizzata». Il primato metafisico, sociale e morale della persona comporta il primato della persona in campo educativo. L’educazione è intesa come il processo attraverso il quale la persona viene alla luce e prende possesso di sé. Le note caratterizzanti la persona indicano in quale direzione deve muoversi l’educazione scolastica. Per Stefanini occorre “personalizzare” la scuola e ciò implica la difesa del primato del singolo alunno rispetto al gruppo scolastico riconoscendo ad ogni allievo il diritto a un’educazione che rispetti i suoi ritmi evolutivi; l’attenzione al soggetto da educare visto nel suo concreto contesto socio-culturale; la possibilità di vedere nel maestro una persona riuscita; l’instaurazione di un rapporto dialogico e reciprocamente attivo tra maestro e allievo, in cui l’autorità sia suscitatrice della libertà dell’educando; la considerazione del sapere non fine a se stesso, ma in prospettiva sapienziale; l’organizzazione della scuola in modo che assicuri l’istruzione di base a tutti e l’accesso agli studi superiori ai capaci e meritevoli. Nell’ultimo anno di vita, nella relazione tenuta a Trento per la XXVIII Settimana Sociale dei cattolici italiani (1955), Stefanini mette in guardia contro i rischi insiti nelle moderne teorie pedagogiche (attivismo, strumentalismo, paidocentrismo, sperimentalismo, globalismo): tendono a «volatilizzare l’intimità» spirituale del singolo, la quale fonda la ragione della sua dignità. È un richiamo a non perdere “la parte migliore” nell’affannosa ricerca di rendere la scuola e l’allievo attivi a qualsiasi costo, senza neppure interrogarsi in che consista l’attività autentica del soggetto. Il pensiero e l’attività di Stefanini si segnalano nel panorama filosofico-pedagogico del secondo dopoguerra. L’originalità della sua riflessione personalista è colta non solo in Italia, ma anche all’estero, soprattutto in Francia.

    L’educazione alle soglie del terzo millennio. L’educazione delle nuove generazioni costituisce, per le società di ogni tempo, la sfida più grande per l’avvenire dell’umanità. Infatti, attraverso l’educazione l’adulto intende condurre il fanciullo ad apprendere gradualmente il mestiere di uomo e la società inizia la giovane generazione ai valori e alle tecniche che caratterizzano la sua cultura. Oggi questa capacità di accompagnare i giovani a divenire ciò che sono chiamati ad essere, a raggiungere una libertà matura capace di decisioni responsabili; di proporre e consegnare loro valori e tradizioni che segnano la crescita dell’umanità sembra venir meno. Si avverte più che mai la difficoltà, da parte dell’adulto, di accompagnare il fanciullo nel suo processo di crescita umana. Una difficoltà che ha mosso un gruppo di intellettuali a lanciare un Appello: «Sta accadendo una cosa che non era mai accaduta prima: è in crisi la capacità di una generazione di adulti di educare i propri figli. Per anni dai nuovi pulpiti – scuole e università, giornali e televisioni – si è predicato che la libertà è l’assenza di legami e di storia, che si può diventare grandi senza appartenere a niente e a nessuno, seguendo semplicemente il proprio gusto o piacere. È diventato normale pensare che tutto è uguale, che nulla in fondo ha valore se non i soldi, il potere e la posizione sociale. Si vive come se la verità non esistesse, come se il desiderio di felicità di cui è fatto il cuore dell’uomo fosse destinato a rimanere senza risposta» (Appello: Se ci fosse una educazione del popolo tutti starebbero meglio, in Atlantide [2005] 4,119). Si tratta di una grande sfida che, insieme ad altre, quali la complessità, la globalizzazione, la pervasività delle nuove tecnologie della comunicazione, la velocità dei cambiamenti, il tempo “compresso”, la presenza di profughi, rifugiati, migranti, la multiculturalità, multireligiosità, la violenza, ecc. ci chiede insistentemente e senza dilazioni di ripensare più a fondo il significato e le condizioni dell’impegno educativo: l’educazione esige di essere studiata seriamente. L’educazione, è bene ricordarlo, è chiamata – oggi come ieri – a scelte: educare ad essere o ad avere? Educare alla libertà o al consenso? Educare al giudizio critico, alla coerenza o al conformismo? Educare all’agire morale o alla manipolazione della coscienza? Educare ad elaborare un pensiero personale o a ripetere quanto si legge, si sente e si vede? Educare a liberare l’intelligenza o appesantirla di nozioni? E si potrebbe continuare. «È qui il bivio del nostro tempo: decidersi per le idee, per le cose, la scienza che fanno l’uomo, oppure per l’uomo che fa le idee, le cose, la scienza» (G. Massaro, Soggettività e critica in pedagogia, La Scuola,Brescia, 1984, 39). Si tratta di individuare nell’educazione un tesoro, come sostiene J. Delors nel rapporto all’Unesco della Commissione Internazionale sull’Educazione per il XXI secolo: «Di fronte alle molte sfide che ci riserva il futuro, l’educazione ci appare come un mezzo prezioso e indispensabile che potrà consentirci di raggiungere i nostri ideali di pace, libertà e giustizia sociale» (J. Delors (a cura di), Introduzione, in Nell’educazione un tesoro, Armando,Roma, 1997, 11). Un compito, quello di educare, che ogni adulto è chiamato a svolgere non in modo isolato, bensì in collaborazione con le istituzioni, facendo rete con quanti hanno a cuore l’educazione, ben sapendo che educare non è facile, perché «l’educazione è un’arte, un’arte particolarmente difficile» (Maritain 2001, 61) e che «l’éducation est et sera toujours à la fois nécessaire et difficile». (G.M. Garrone, Réflexion sur l’éducation dans le monde d’aujourd’hui, in Rivista di Pedagogia e Scienze Religiose [1973] 3, 293).

    Fonti e Bibl. essenziale

    R. Lanfranchi – J.M. Prellezo, Educazione scuola e pedagogia nei solchi della storia. Vol. 2: Dall’Illuminismo all’era della globalizzazione, LAS, Roma, 2011; M. Grazzini, Sulle fonti del Metodo Pasquali-Agazzi e altre questioni. Interpretazioni, testi e nuovi materiali. Contributi per una Storia dell’Educazione e della Scuola infantile in Italia, Istituto di Mompiano Centro Studi pedagogici “Pasquali-Agazzi”, Brescia, 2006; R. Regni, Infanzia e società in Maria Montessori. Il bambino padre dell’uomo, Armando, Roma, 2007; F. Cambi, Libertà da… L’eredità del marxismo pedagogico. La Nuova Italia, Milano, 1999; L. Corrieri, Luigi Stefanini: un pensiero attuale, Prometheus, Milano, 2002; J. Maritain, Per una filosofia dell’educazione, a cura di G. Galeazzi, La Scuola, Brescia, 2001; Globalizzazione e nuove responsabilità educative, Atti del XLI Convegno di Scholé, La Scuola, Brescia, 2003; Educazione cristiana e trasformazioni religiose, Atti del XLII Convegno di Scholé, La Scuola, Brescia, 2004; Educare tra scuola e formazioni sociali, Atti del XLIX Convegno di Scholé, La Scuola, Brescia, 2011; L’educazione tra reale e virtuale, Atti del L Convegno di Scholé, La Scuola, Brescia, 2012; R. Lanfranchi, Don Lorenzo Milani: un maestro che educa al pensiero critico, in Rivista di Scienze dell’Educazione 51(2013)1, pp. 48-70; R. Lanfranchi, La scuola cattolica in Italia e la FIDAE. Dal Concilio ad oggi, in CENTRO STUDI per la SCUOLA CATTOLICA, Una pluralità di gestori. Scuola Cattolica in Italia. Quindicesimo Rapporto, Brescia, La Scuola 2013, pp. 37-59; R. Lanfranchi, Aporti e don Bosco. Per un’educazione popolare e preventiva, in M. Ferrari – M.L. Betri – C. Sideri (a cura di), Ferrante Aporti tra Chiesa, Stato e società civile. Questioni e influenze di lungo periodo, Milano, Franco Angeli 2014, pp. 171-191; R. Lanfranchi, La città dei ragazzi di Roma. Una scuola di responsabilità educativa, in G. Zago (a cura di), Sguardi storici sull’educazione dell’infanzia, Fano (PU) Aras Edizioni 2015, pp. 381-406; R. Lanfranchi, Pietro Braido e la sua teoria dell’educazione, in Orientamenti pedagogici (2017) vol.64, n.2, pp. 235-246; M. Gecchele – S. Polenghi – P. Dal Toso (a cura di), Il Novecento: il secolo del bambino?, Milano, Edizioni Junior, 2017; C.M. Fedeli, Guardini educatore, Lecce-Brescia, Pensa 2018; E. Diaco (a cura di), L’educazione secondo Papa Francesco, Bologna, Dehoniane 2018.


    LEMMARIO