Barbari – vol. I

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    Autore: Paolo Fusar Imperatore

    Tracciare delle linee di sintesi sul rapporto fra la chiesa e i barbari fra V e VIII secolo è un lavoro che ancora oggi può portare a nuovi percorsi storiografici: le ultime ricerche hanno messo in luce quanto lo stesso concetto di “barbaro” sia inadeguato ad esprimere una realtà così diversificata dal punto di vista cronologico, geografico e culturale. Notevoli furono le differenze fra la discesa in Italia, dalla Francia o dalla Spagna, di popolazioni nomadi stanziate già entro i confini dell’impero, il contatto con genti di stirpe germanica, dislocate oltre i confini, ma abituate a vivere in stretti rapporti con il mondo romano o il fenomeno di migrazioni violente, in cerca di terre in cui abitare o di un ricco bottino da spartire. In senso opposto, per quelle popolazioni fu diverso incontrare il mondo culturale romano del III secolo, fortemente imbevuto del concetto di “impero”, o, un secolo e mezzo più tardi, l’Italia uscita dalle guerre greco-gotiche, priva di un fronte comune anche in ambito religioso. Aspetti di carattere economico, sociale e politico, oltre a quelli di ordine linguistico, culturale e religioso, rendono quest’epoca molto più policroma di quanto non si pensasse prima. Gli studi più recenti forniscono informazioni dettagliate sulle modalità di insediamento e sui reciproci influssi culturali e civili che il mondo “barbaro” ha condiviso col mondo romano: oggi, l’attenzione alle rovine e agli incendi è affiancata ad uno studio delle interazioni e degli scambi fra le due differenti realtà.

    L’aspetto religioso necessiterebbe, invece, di una rilettura generale più ampia per l’epoca tardo-antica. Il sacco di Roma del 410 e la deposizione dell’ultimo imperatore d’occidente avvengono a meno di un secolo dall’intervento di Teodosio per l’imposizione della religione cristiana a tutto lo Stato romano: l’impero era tanto cristiano da percepire come estraneo l’elemento religioso delle nuove popolazioni? In Italia, in un primo momento, le invasioni barbariche, comunque le si voglia definire, furono anzitutto un problema politico e sociale piuttosto che un problema religioso. Una prima situazione da prendere in considerazione è quindi quella che vede l’incontro fra il barbaro, ex mercenario o federato, e il cittadino romano dell’Italia: che fossero i Goti di Alarico, gli Unni di Attila, o i Vandali di Genserico, poco importa; ci troviamo davanti a capi militari che conducono le loro milizie attraverso l’Italia per fare bottino e dare dimostrazioni di forza. Il cristiano non poté che mettersi al riparo sperando che se ne andassero presto: i barbari erano dei nemici, al massimo degli alleati pericolosi che servivano a conservare meglio l’impero. Incendi, rapimenti, uccisioni, saccheggi col trascorrere degli anni portarono soltanto a scegliere siti più indicati per la difesa e per le comunicazioni: Ravenna divenne corte imperiale al posto di Milano e Grado, e poi Venezia, sostituirono la più esposta Aquileia. Persone più giovani e disinteressate nel gestire la res publica cittadina sostituirono la corrotta amministrazione precedente e spesso i vescovi diventarono la figura ideale di questa nuova gestione. A livello sociale tutto ciò portò ad un ulteriore scontro fra cristianesimo e cultura pagana romana, riscontrabile, ai massimi livelli, nella Città di Dio di Agostino, impegnata difesa del cristianesimo dall’accusa di essere stato la rovina dell’impero e tentativo di trovare una sintonia piena tra cristianesimo, romanità ed impero.

    Un secolo di “età costantiniana”, come si suole definire il IV secolo, e un altro di comune difesa dalle invasioni, furono sufficienti a rendere i cristiani non solo interessati, ma affezionati all’impero. Al cedere delle strutture politiche i vescovi presero il ruolo di difensori della città e della romanità, punto di riferimento essenziale per tutti gli abitanti, pagani o cristiani che fossero. Ambrogio a Milano prima, Massimo di Torino, Paolino da Nola e, ancor più enfatizzato dai racconti della tradizione, Leone magno poi, diventeranno i modelli di questo ruolo civico del cristianesimo di V secolo: soffrire per la crisi dell’impero fu il sentimento comune anche di persone votate a vita ascetica come Girolamo, Rufino e la giovane Melania.

    Il breve regno di Odoacre diede inizio ad una nuova fase, quella dell’insediamento stabile di intere popolazioni in Italia: l’aspetto religioso divenne più importante. Con i Goti di Teoderico, infatti, entrò nella penisola l’elemento ariano del cristianesimo, politicamente caratteristico di chi doveva governare in contrasto con la sponda greca del mediterraneo: il barbaro divenne usurpatore e potenziale persecutore religioso ma, forse proprio per questo, oggetto di evangelizzazione. L’Italia, memore di un glorioso passato di fedeltà nicena, vedeva con distacco l’arianesimo dei governanti e, per quanto il regno goto avesse cercato di presentarsi in continuità col passato romano, non vi furono integrazioni: nel tumultuoso tentativo di equilibrio con Costantinopoli essere ariani consentiva di mantenere la pressione politica e militare, a scapito delle relazioni con la popolazione locale; i re faticarono ad essere tolleranti nei confronti dei sudditi, visti come potenziali alleati del nemico. La testimonianza di una difficile convivenza è visibile ancora oggi nella presenza del duplice battistero di Ravenna, capitale del regno goto, e nel toponimo romano di sant’Agata dei Goti, oltre che nelle moltissime località italiane con toponimi bizantini, dove si giocò, metro per metro, la difesa della fede nicena fra V e VII secolo. I vescovi del VI secolo diventarono difensori della retta fede sull’esempio di papa Leone o dei loro predecessori ai tempi di Atanasio. Al contempo, mantennero la prerogativa di difensori dei popoli e garanti della giustizia, poiché il regno goto, conservando le linee romane di governo, dovette riconoscere ai vescovi la dignità giuridica e sociale che nel IV secolo la figura episcopale aveva acquisito: i doveri religiosi e civili del vescovo furono la chiave di volta di una nuova testimonianza cristiana sul territorio, fatta di carità, onestà e giustizia, ma, soprattutto, del coraggio di presentarsi davanti al potente per contrattare e coordinare la vita italiana.

    Il periodo che va dalla morte di Teoderico alla discesa dei Longobardi in Italia fu segnato da due importanti avvenimenti che modificarono la situazione sociale e religiosa fin qui delineata: le guerre greco-gotiche e lo scisma tricapitolino. Dal 533 al 553 l’imperatore Giustiniano organizzò la riconquista dell’Italia: l’elemento gotico e l’elemento romano vennero totalmente spazzati via da una stagione di spietate guerre e l’Italia ne uscì distrutta e spopolata. I Goti restarono immortalati nei ricordi del passato come i sanguinari eretici dei Dialoghi di Gregorio magno; il Senato romano per sopravvivere dovette avvalersi della protezione offerta dalla Chiesa e Roma fu ridotta a parte del prestigioso passato dell’impero bizantino. Dal punto di vista religioso, devastante quanto le guerre, fu lo scisma tricapitolino, imposto a forza da Giustiniano nel 553 a tutto il territorio dell’impero: gli aspetti teologici della condanna dei tre maestri antiocheni al secondo concilio di Costantinopoli e le vicende politiche annesse sono molto complesse per essere affrontate qui, ma possiamo ben segnalarne le conseguenze. A livello ecclesiale, per la prima volta, il cristianesimo italico risultò ostinatamente diviso, per tutto un secolo, fra romani e tricapitolini: non ci furono conseguenze teologiche, ma molte furono le ricadute politiche e giurisdizionali, prima fra tutte la separazione fra Roma e il resto della penisola. L’Italia e i suoi vescovi avevano definitivamente acquisito libertà e prestigio e non erano ormai più capaci di comprendere come proprie le scelte politiche e religiose dell’imperatore bizantino: in Italia non c’era più un impero romano in cui riconoscersi.

    La discesa dei Longobardi fu facilitata da questi segni di disgregazione: con una politica religiosa caratterizzata da un forte opportunismo politico, i Longobardi pare abbiano fatto la scelta di scardinare quel poco di geografia imperiale ed ecclesiastica che ancora si reggeva alla fine delle guerre gotiche. Una diversa gestione delle terre e degli stanziamenti, la divisione in ducati territoriali e la volontà di porsi in antagonismo con Costantinopoli sancirono la divisione dell’Italia in sfere di influenza ben precise. La stessa testimonianza delle fonti, Gregorio magno in particolare, ce li descrivono come popolazione nefanda e terribile, forse proprio per marcarne la differenza culturale rispetto alle altre popolazioni. Lo strato di paganesimo e la risoluta volontà di inquadrare l’Italia nel proprio modo di vedere e gestire il mondo rese la comparsa dei Longobardi sul suolo italiano un evento apocalittico. Ariani forse per accattivarsi la fiducia dei goti rimasti, niceni tricapitolini per mantenere un’adeguata tensione politica con Costantinopoli, i Longobardi seppero ben sfruttare le divisioni presenti sul suolo italiano. La loro conversione al cattolicesimo non convinse mai del tutto la chiesa di Roma, ma permise, infine, di chiudere lo scisma tricapitolino: le stesse diocesi italiane comprendevano sempre meglio la necessità di essere in comunione con Roma contro i monoteliti e gli iconoclasti orientali del VII secolo e anche il regno longobardo si schierò su queste posizioni. La chiesa di Roma poteva così riconquistare i rapporti col resto della penisola e, alla fine dell’VIII secolo, tornare ad orientare il mondo politico e religioso italiano: la scelta dei Franchi fu il tentativo di impedire la formazione di un’Italia longobarda e di acquisire autonomia dal pericoloso vicino e dall’ormai sempre più scomodo impero d’oriente.

    Il pensiero di Gregorio magno sulla vecchiezza del mondo fa di lui l’ultimo antico romano, la sua eredità monastica, con l’esaltazione della figura di Benedetto, e il suo desiderio di vedere il mondo interamente cristiano permetterà, col tempo, al regno longobardo di accogliere le tradizioni monastiche irlandesi, ma il monito contro le genti infernali che distruggono le chiese e testimoniano l’avvento escatologico delle genti di Og e Magog, assieme all’instabilità delle scelte religiose longobarde, impediranno, a lungo termine, una valutazione positiva dei Longobardi e del loro dominio nei confronti di quello franco. Quando in Italia, agli inizi del X secolo, scenderanno gli Ungari, popolazione inarrestabile e parlante una lingua sconosciuta, la terribile nomea dei “nefandi barbari longobardi”, lasciata intatta nei mutamenti del VI e VII secolo e confermata dalla politica franca, non potrà altro che essere trascritta nella storiografia successiva.

    Fonti e Bibl. essenziale

    C. Azzara, Le invasioni barbariche, il Mulino, Bologna 1999; C. Azzara, Teoderico, Il Mulino, Bologna 2013; A. Barbero, Barbari. Immigrati, profughi, deportati nell’impero romano, Laterza, Roma-Bari 2006; P. Brown, La formazione dell’Europa cristiana. Universalismo e diversità, Laterza, Roma-Bari 2003; U. Dovere, La figura del vescovo tra la fine del mondo antico e l’avvento dei nuovi popoli europei, AHP, 41 (2003), 25-49; S. Gasparri, Italia longobarda, Laterza, Roma-Bari 2012; G. Penco, Storia della Chiesa in Italia. I Dalle Origini al Concilio di Trento, Jaca Book, Milano 1977, 77-143.


    LEMMARIO