Catechesi, Catechismi – vol. I

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    Autore: Luigi La Rosa

    Periodizzazione. A partire da uno stadio zero con cui indichiamo la situazione di “stato nascente” del movimento di Gesù e dei suoi discepoli, tipico del I secolo, possiamo distinguere due grandi periodi: secoli II-XV e secoli XVI-XIX.

    Lo stadio zero è caratterizzato dalla relazione privilegiata con Gesù e con le persone che lo hanno conosciuto direttamente. Attraverso la conversione, questa relazione fa sì che uomini e donne si stacchino dal proprio ambiente e producano al posto di questo una entità sociale e culturale nuova che permette di ristrutturare tutta la vita alla luce della sequela Christi. Si attua una rivoluzione. Le persone si sentono avvolte in uno stato emozionale e mentale che li spinge a considerare il tempo precedente una prigionia. Solo adesso si respira aria di libertà e novità di vita. Dato il carattere volontaristico dell’esperienza e la non necessaria appartenenza etnica, la situazione di “stato nascente” si ripresenta ogni qualvolta un individuo decide di convertirsi a Cristo ed entrare nella sua chiesa. Cosicché ciò che è avvenuto alle origini si ripresenta come una linea di continuità attraverso i secoli pur nella differenza fenomenica.

    Le età tardo-antica e medievale costituiscono un continuum, nonostante le vistose e molte diversità. L’unità di fondo è data dalla dimensione comunitaria dell’iniziazione alla fede e della vita cristiana e, insieme, dalle leggi della comunicazione orale, che tende ad una catechesi “per immersione globale”, cosicché, anche con la presenza di una vasta pubblicistica a carattere catechistico, il ruolo formativo è legato alla predicazione e al vissuto familiare e sociale. Appaiono i sussidi per il contesto liturgico: sermonari, omeliari, artes praedicandi; per la vita cristiana: specchi, penitenziali, libretti d’ore e di preghiere, manualetti per la pastorale catechistica; per la missione: sermoni di primo annuncio per i rustici e i pagani, scritti apologetici e primi tentativi di dialogo con gli ebrei e i musulmani.. Se gli scritti sono per gli alfabetizzati, per tutti gli altri (più del 90%), le immagini costituiscono un catechismo visivo e un devozionario. L’altro elemento unificatore è il formarsi, rinsaldarsi e disgregarsi di quella realtà sociale, economica, politica e religiosa che è stata la christianitas, con la sua profonda tensione all’unità, spesso tradotta in uniformità costrittiva e violenta. Questo periodo può essere suddiviso in: secoli: II-VII; VIII-X; XI-XIII; XIV-XV.

    L’età moderna (XVI-XIX) è l’era del catechismo, considerato lo strumento principale della formazione cristiana, del rinnovamento della chiesa e la risposta a qualsiasi carenza della vita cristiana, causata, secondo le convinzioni del tempo, dalla persistente ignoranza del popolo cristiano. Il Catechismo Romano è lo strumento-base che permea di sé tutta la pastorale catechistica tridentina, ma preceduto, affiancato e seguito da una grande molteplicità di catechismi per i fanciulli e i rudes. Tutta l’Europa diventa campo di missione e le zone più interne, raggiungibili tra molte difficoltà, della Calabria, della Sicilia e della Sardegna sono considerate “le nostre Indie” al pari dei luoghi delle missioni estere, che vedono la splendida attività catechistica, rispettosa delle culture, degli italiani A. Valignano, M. Ruggieri, M. Ricci, R. De Nobili, F. Ingoli, primo segretario di Propaganda Fide (1622). Le due riforme, cattolica e protestante, animate dall’urgenza della salus animarum, insieme all’incipiente cultura legata alla nascita della stampa, costituiscono una frattura nei confronti dell’epoca precedente. Il “catechismo”, libro-formulario, scritto nelle varie lingue locali e diffuso dai missionari popolari, e, insieme, istituzione capillare, promossa dalle Confraternite delle Dottrina cristiana, ha come compito principale quello di trasmettere, autorevolmente, la sana dottrina in maniera chiara, elementare ed esatta (si distingue tra verità di precetto, da sapere a memoria, pena la dannazione eterna, e le verità di mezzo che completano la formazione del buon cristiano). Il linguaggio dei catechismi-formulari diventa sempre più tecnico e dottrinale per essere appreso, pedissequamente parola per parola, a memoria, con l’aiuto della versificazione, della ritmicità della frase e del canto, con la conseguenza di far prevalere la dottrina sulla vita di pietà.

    Dal punto di vista della letteratura catechistica i due periodi possono essere segnati: dalla Dimostrazione della predicazione apostolica di Ireneo (II sec.); dal De Agone Cristiano (396); dal De parvulis ad Christum trahendis (1406), che pone al centro della pastorale catechistica i fanciulli e inaugura l’epoca dei catechismi moderni; dal Catechismo Romano (1566); dagli Atti dei Concili Provinciali di Milano (1565-1579); da Dell’educazione cristiana e politica dei figliuoli di Silvio Antoniano (1584), tipico esempio di pedagogia e catechesi controriformista; dall’Acerbo nimis di Pio X (1905), che rilancia il catechismo come Summa credendi et agendi.

    Dal punto di vista catechetico ricordiamo come marcatori: De catechizandis rudibus (405) di Agostino, Theologia catechetica di Antonio Possevino (1593), Instructio practica de munere concionandi, exhortandi, catechizandi di Tobia Lohner (1699), l’elaborazione di quattro manuali, attenti alla metodologia catechistica e all’uso di un linguaggio adatto agli uditori (Hortus pastorum di G. Marchand del 1626), Trésor de la Doctrine chrétienne di N. Turlot del 1620 ca., Pédagogue chrétien di Ph. D’Outreman del 1622, la Dottrina cristiana, ricca di riferimenti biblici, del chierico regolare G. Savonarola del 1773), l’istituzione, a fine settecento, della Cattedra di Teologia pastorale nelle università di lingua tedesca, che si fanno promotrici della catechesi storico-biblica, il Metodo normale di von Felbiger (1724-1788), tradotto in Italia da P.Soave e applicato da G.A. De Cosmi nel Regno delle Due Sicilie (1788), il rinnovamento pedagogico a cavallo dell’Ottocento-Novecento (pedocentrismo, attivismo, centri di interesse), con la nascita della Catechetica come scienza fondata teologicamente e strutturata scientificamente, in cui le discipline teologiche dialogano interdisciplinarmente con le scienze dell’educazione a favore dell’uomo educabile e capace di relazionarsi con Dio nel suo contesto esistenziale, ecclesiale, sociale e culturale, storicamente determinato.

    Secoli II-XV. I primi quattro secoli, attraverso l’inculturazione ellenistico-romana del vangelo, producono un’unità culturale e un patrimonio comune di pensiero, donando ai secoli futuri un’organizzazione formativa di base, cioè il catecumenato e un nucleo catechistico fondamentale (il Credo, espresso dal Simbolo e dal segno di Croce, il Padrenostro, i Sacramenti e il Decalogo, unito alle liste di vizi e virtù). Il “catecumenato”, prima di essere una struttura formativa ben organizzata, è l’esperienza di una Chiesa che, in tutti i suoi membri, si sente madre e accoglie nel suo seno coloro che accolgono la novità di Cristo, li nutre e li educa al discepolato. Dopo il battesimo il neofita non è più un catecumeno, ma sarà sempre un discepolo ed è chiamato a divenirlo sempre di più fino alla piena conformazione a Cristo. In questo modo, il discepolato, che era l’elemento strutturale cardine del movimento di Gesù, resta vivo anche all’interno della comunità cristiana istituzionalizzata, e riesce a conglobare, a livello mistico, l’altra struttura portante della società che è la parentela. I credenti formano la familia Dei. Il catecumenato, come istituzione pastorale-liturgica si è affermato alla fine del II secolo e si è diffuso rapidamente in tutte le comunità cristiane, raggiungendo il suo periodo d’oro nel III secolo (come ci testimonia la “La Tradizione Apostolica” di Ippolito), mentre comincia a sentire i primi limiti nella seconda metà del IV secolo, a decadere nel V per scomparire completamente nel VI e VII secolo. Nel catecumenato si distinguono tre momenti fondamentali, caratterizzati dai principi di progressività, essenzialità, organicità ed esistenzialità: la preparazione remota al battesimo dei catechoumenoi/audientes; la preparazione immediata, dei photizomenoi/electi; e la catechesi mistagogica dei neofiti. Durante la profonda crisi del catecumenato i vescovi non smettono di ricordare le esigenze della vita battesimale e i principi di una sana e seria iniziazione, ma imparano ad adattarsi ai tempi nuovi e a ripiegare sul catecumenato quaresimale. Agostino, rifiutando l’eccesso donatista che tende a formare una “chiesa di puri”, esorta ad unire insieme fermezza e bontà <senza mostrarci deboli in nome della pazienza, né duri con il pretesto dello zelo> (De fide et operibus,5.7). Ma verso il VI secolo ingresso nel catec. e celebrazione del battesimo avvengono nello stesso giorno: ormai il catec. è svuotato del suo significato e Severo di Antiochia (+ 518) usa il termine catechesi come termine tecnico per designare l’istruzione specifica dei candidati al battesimo.

    La catechesi assume le caratteristiche della comunità cristiana che la esprime o del pastore-catecheta che l’anima. Così possiamo parlare di una catechesi bizantina come quella svolta dai monaci basiliani, dal VI-VIII sec. in Sicilia e Calabria, tutta incentrata sulla sinfonia fra le cose divine e gli affari umani per formare un cristiano, che si percepisce “servo e familiare” di Dio e dell’imperatore, membro della grande famiglia dei figli di Dio; e anche di una catechesi romana, come quella realizzata da Ambrogio di Milano (333/34-397). Per lui la vita cristiana è vita in Cristo, ma si sostanzia di una sintesi armonica tra i valori del cristianesimo e quelli della romanità, al punto da far coincidere l’umanesimo romano con l’umanesimo cristiano. Nelle sue opere (De Abraham, Explanatio Simboli, De Sacramentis, De Mysteriis, De officiis, e gli Inni) possiamo cogliere la visione di una catechesi come educazione alla vita cristiana, articolata sulla triplice dimensione di natura, fede e grazia; e l’elaborazione di un discorso catechistico, organizzato in maniera storico-narrativo, che segue i principi didattici della gradualità, progressività e ciclicità in modo da permettere all’ascoltatore di interiorizzarne la dimensione, morale, dogmatica, misterica e trarne luce per la propria esistenza. Mentre il tardo-antico trascolora nelle tinte medievali, il monachesimo occidentale, manifesta la sua forte carica evangelizzatrice. L’unione tra peregrinatio eremitica, evangelizzazione e martirio, insieme alla realizzazione di un corpus di scritti catechistici ad uso dei missionari come il De correctione rusticorum di Martino di Braga (†579), lo Scarapsus di Pirmino (†753/8), i Sermoni di Cesario di Arles (†542), l’Indiculus superstionum (743), gli epistolari di Alcuino (†804), e di Bonifacio (†754), la Disputatio puerorum, la Storia ecclesiastica degli Angli di Beda (†735), fa sì che dai monasteri escano i padri e i maestri del popolo cristiano. Ricordiamo quelli che possiamo considerare i “fondatori” del medioevo, poiché hanno inserito la c. in un piano globale di educazione cristiana: Cassiodoro (†580) che con le sue Istituzioni fa del Vivarium calabrese un centro di cultura al servizio della conoscenza della S. Scrittura e della formazione del popolo cristiano nella fede retta e nella vita onesta; Colombano (†615) che, missionario tra i pagani e riformatore tra i cristiani, nei suoi sermoni, tenuti a Milano tra il 612 e il 615, traccia un itinerario di fede, intessuto di semplicità di cuore, di pietà e timore di Dio, di preghiera (Credo e Padrenostro), di penitenza, di fuga dal peccato e di perseveranza nella vita battesimale; Benedetto da Norcia (†547 ca.) che evangelizza le genti delle campagne, trasformando il sacro pagano in segni cristiani, e le affida alla cura pastorale dei suoi monaci; Gregorio Magno (†604), promotore della cura animarum (Regola pastorale, Omelie, Moralia, Dialoghi in cui ci dà uno spaccato sull’evangelizzazione delle campagne italiche) e dell’ evangelizzazione degli Anglosassoni, all’insegna della libera adesione dell’intelligenza e del cuore al messaggio evangelico, dell’adattamento alla cultura locale, della tolleranza; Isidoro di Siviglia (+636), che trasmette alla chiesa una vera enciclopedia del sapere (De natura rerum, De ecclesiasticis officiis, Sententiarum libri), utile a guidare i credenti sulla duplice via della contemplazione del careato e dell’ ascolto della Scrittura, per giungere alla beatitudine eterna. Dopo la caduta del regno longobardo (774), Carlo Magno si trova nella necessità di integrare in unità i vari popoli del suo vasto impero e si avvale dell’opera di un’élite culturale (Alcuino, Paolino di Aquileia, Rabano Mauro et alii), capace di fornire un quadro culturale e religioso sopranazionale e cattolico-umanitario, e, conseguentemente, di promuovere un serio impegno pastorale nei confronti del popolo, considerato “familia Christi”. Assistiamo così a un grande sforzo per formare un clero capace di educare il popolo credente con un minimo di conoscenze religiose (Credo e Padrenostro, opere di misericordia, SS. Trinità, incarnazione di Cristo e redenzione, vizi, peccati e virtù) e con un inquadramento socio-religioso adatto a sostenerlo nella vita cristiana. L’imperatore Lotario nel capitolare di Corteolona dell’825 applica all’Italia settentrionale tutte le normative precedenti (Admontio generalis del 789, Litteris colendis del 794/797, concilio di Attigny dell’822) ed organizza una vasta rete di scuole episcopali con centri a Pavia, Ivrea e Torino. La meta è “l’unità nella retta fede”, mediante una prassi cristiana uniforme. Si vuole l’unità del movimento monastico attraverso l’imposizione a tutti della Regola benedettina, l’unità pastorale dei vescovi mediante la Regola pastorale di Gregorio Magno, l’unità del clero con le Regole di Aquisgrana, l’unità dei laici mediante il De institutione laicali di Giona di Orleans, la formazione dei re con il De institutione regia. Si afferma una sola liturgia, quella romana, una sola lingua sacra, quella latina. Paolino d’ Aquileia (†802) è l’animatore principale della pastorale catechistica del Nord-Italia: per mantenere i fedeli nella retta fede, scrive per i preti la Regula fidei affinché li istruiscano in maniera uniforme ed esorta gli uni e gli altri ad apprendere e recitare a memoria il Simbolo e il Pater; compone, inoltre, Inni ritmici e Cantici spirituali in modo che, con la dolcezza del ritmo e della melodia, vengano interiorizzate le verità della fede, imitate le virtù degli uomini biblici, e gli animi vengano orientati alla celebrazione del mistero di Cristo; scrive anche uno specchio Libro dell’esortazione dove svolge una catechesi cristocentrica, utile all’esercizio fervente della vita cristiana. Mentre la chiesa carolingia è nel suo splendore, la Sicilia cade progressivamente (827-902) nelle mani dei musulmani e la fede cristiana sopravvive tra grandi difficoltà, grazie alla profonda cristianizzazione operata dai monaci basiliani di indirizzo studita, nel secolo VIII, mediante la predicazione, l’agiografia e l’innologia.

    Nei secoli XI-XV si impone con forza il problema pastorale-catechistico della comunicazione della fede agli infedeli e ai cristiani semplici. Non basta credere, ma bisogna conoscere ciò che si crede. Ragione e fede sono considerate due vie complementari di conoscenza, in cui bisogna progredire. Mentre il clero è tenuto a conoscere esplicitamente le verità della fede, a motivo del proprio ministero, ai minores è sufficiente l’adesione alla fede della Chiesa ed impegnarsi ad ascoltare la predicazione, a recitare devotamente il Credo, il Padrenostro e (dal sec. XII) l’Avemaria, segnarsi con il segno della croce, partecipare alle feste dell’anno liturgico e accostarsi alla confessione. Siamo di fronte ad una “devotio” che è sostenuta dalla cristianizzazione dello spazio e del tempo per cui tutto parla di fede e, quindi, da una forte socializzazione religiosa costrittiva. Ma il desiderio che ogni cristiano giunga a possedere una fede consapevole, retta, viva, autentica, spinge concili e pastori a prescrivere, elaborare e diffondere tra il clero e i laici piccoli formulari e compendi della fede. È il tempo della moltiplicazione degli “Specchi” (descrizioni del profilo virtuoso del cristiano), dei Lucidari, dei Settenari e degli Interrogatori ad uso dei confessori. Il lucidario più famoso, che attraversa i secoli fino all’età moderna con il titolo Libro del Maestro e del discepolo, stampato più volte nel sec. XV a Milano, Brescia, Venezia, Ferrara e diffuso in tutti i paesi europei, è l’Elucidarium di Onorio di Autun. I Settenari espongono la dottrina cristiana con formule impostate sul numero sette. Famosi sono stati: il settenario di Ugo di S. Vittore, gli opuscoli di. Tommaso d’Aquino, e la Somme-le-Roi. Questa, compilata dal frate domenicano Lorenzo (1279) e tradotta anche in siciliano, contiene i dieci comandamenti, i dodici articoli del Credo, i sette peccati capitali, le sette domande del Pater, i sette doni dello Spirito Santo, le stette virtù, le beatitudini. Il metodo settenario, iniziato da Ugo di S. Vittore (1096-1140) col suo munusculum de quinque septenis per fornire al buon cristiano ciò che è necessario alla salvezza, trova la sua “consacrazione” nella Summa vitiorum ac virtutum del domenicano Guglielmo Peralto. Gli opuscoli catechistici di Tommaso d’Aquino contengono la sua predicazione al popolo napoletano, durante la quaresima del 1275; essi tracciano un cammino di fede, che spinge alla pratica delle tre virtù teologali mediante l’apprendimento e l’interiorizzazione del Credo, del Pater (insieme all’Ave Maria) e del Decalogo, sintetizzato nel duplice comandamento dell’amore di Dio e del prossimo. Lo strumento principale della formazione cristiana del popolo è proprio la predicazione degli ordini mendicanti. Essi sono capaci di coinvolgere la mente, la memoria e la volontà degli ascoltatori, avvolgendoli in un ricco immaginario fisico (pitture, mosaici, sculture, ancone, vetrate, xilografie) e mentale carico di insegnamenti e di stimoli spirituali, e trasformano il cristianesimo in una religione veramente popolare. Seguendo le espressioni del Manipulus curatorum di Guido de Monte Rocheri e le prescrizioni del Conc. di Tortosa (1429), possiamo dire con Matteo d’Agrigento (1380ca.-1450) che essi si fanno obbligo di insegnare: ciò che bisogna credere (Credo), ciò che bisogna chiedere (Pater), ciò che bisogna fare ed evitare ( Comandamenti), ciò che bisogna sperare (Gloria del paradiso), ciò che bisogna temere (le pene dell’Inferno). Cicli interi di predicazione diventano catechismi; per es. le prediche di Maria da Gennazzano (1484-89) o il Libro de la divina legge (1486) di Marco da Montegallo. Tra i grandi predicatori ci limitiamo a ricordare i nomi di Antonio di Padova, Bernardino da Siena, Giovanni da Capestrano, Giacomo della Marca, Matteo d’Agrigento e Antonino di Firenze; quest’ultimo con il suo catechismo Libretto della doctrina cristiana ricorda a tutti la meta da conseguire: <sapere, servire et onorare Idio benedetto et schivare le temptationi et peccati> (1473). Alla fine del medioevo il catechismo diventa un fenomeno diffuso: è presente nei conventi; nelle parrocchie ove si é obbligati ad usare il catechismo scritto dal proprio vescovo; nelle case ove i genitori devono educare cristianamente i figlioli e istruirli nella fede; nelle scuole sia umanistiche che di abaco, ove si apprende a leggere sul salterio o sul catechismo, oltre a ricevere dal proprio maestro una guida ferma all’esercizio della vita devota. Ricordiamo le scuole più famose, e cioè la Casa giocosa di Vittorino da Feltre (†1446) e la Scuola-convitto di Guarino Veronese (†1460), la Scuola del Paradiso di Angelo Porro, le scuole ambulanti di Albertino Bellerati di Busto Arsizio, l’opera di Maffeo Grassi (Liber formule vite insipienti et docti), sostenitore e promotore del progetto di educazione e istruzione voluto da Filippo Maria Visconti; ma non dobbiamo dimenticare tutti quei comuni e corporazioni che si facevano un onore di gestire l’educazione e la formazione cristiana dei fanciulli affinché acquistassero una personalità armonica, ricca di virtù cristiane e civiche. La nuova sensibilità catechistica trova il suo paladino in Giovanni Gersone (†1429), autore del “De parvulis ad Christum trahendis” (1406).

    Degna di nota è la “catechesi politica” realizzatasi, ad opera della predicazione francescana, nella Sicilia aragonese, in una situazione di pluralismo religioso. L’opera missionaria-catechistica (spesso forzata) si muove in un intreccio di due atteggiamenti opposti: il primo aperto alla conoscenza e, quindi, al dialogo e alla valorizzazione della cultura ebraica e musulmana, connesso alla visione francescana della missione come testimonianza ed evangelizzazione esplicita; il secondo di carattere polemico e controversista, animato da sentimenti di superiorità che facilmente sfociano nella crociata violenta o in leggi discriminatorie. Questi due atteggiamenti li ritroviamo anche nella proposta della costruzione di una società cristiana presentata e caldeggiata da Villanova (1238 ca-1311) con il suo Alphabetum catholicorum, da Lullo (1232-1316) con la sua vasta pubblicistica (particolarmente Liber clericorum, Doctrina pueril, Blanquerna e Ars Magna), da Eiximènis (1327?-1409) con Regiment de la cosa publica e El Crestià; e da Matteo d’Agrigento (1380ca-1450) con i suoi sermoni. A partire dalla fede in Cristo crocifisso, modello di carità operosa, essi presentano i valori della fides, caritas, et fidelitas come i pilastri del bene comune della res publica. La loro interiorizzazione è il nucleo-base per la formazione del suddito/cittadino come fidelis, amico di Cristo, e civis leale e onesto, al punto che il discrimine tra fedele e infedele non viene dato tanto dal battesimo ma dalla partecipazione alla realizzazione del bene comune. È la carità operosa, fatta di generosità e liberalità, il cuore della vita e della società cristiana, strutturata monarchicamente o in maniera pattizia. Per cui può avvenire che il vero infedele per es. è l’usuraio o il lussurioso o il vagabondo o l’amante del lusso, che priva di risorse la società cristiana, e non l’ebreo o il musulmano che con la loro operosità possono essere cittadini fedeli. E inoltre l’aspetto operativo della carità insieme alla fiducia e alla lealtà comunitaria fanno sì che il mercante diventi la figura del cristiano ideale, che trova nella conformazione a Cristo quella sapienza capace di fare fruttificare la saggezza e le perizie umane per la costruzione del bene comune. In lui, le virtù civiche (industriosità, operosità) si intrecciano con le virtù ascetiche del digiuno e del corretto uso delle ricchezze, in modo tale che può divenire la punta di diamante dell’espansione della società cristiana e dell’evangelizzazione degli infedeli.

    Secoli XVI-XIX. La seconda metà del sec. XV segna la fine della società e della chiesa medievale. È un universo che si sgretola e spinge il fedele cristiano a cercare Dio camminando verso il centro della propria anima, ove sono i segni della sua presenza. Siamo di fronte ad un cammino interiore (opposto all’esteriore che è vanità), che trova il suo linguaggio nella tradizione e in un equilibrio, in verità instabile, fra soggettività credente e oggettività della fede. Si afferma una nuova immagine della plantatio ecclesiae e del buon cristiano devoto, con il passaggio da un cristianesimo a carattere collettivo a un cristianesimo a carattere individuale, fondato sulla coscienza individuale consapevole della propria fede, ma, nello stesso tempo, inquadrato rigidamente e uniformemente nella struttura ecclesiale. Si passa lentamente da una catechesi, obbediente alle leggi della comunicazione orale, ad una catechesi legata alla nascita della stampa; da una catechesi ambientale, ad una catechesi di istruzione attraverso i catechismi dottrinali. Diventa certezza comune, sancita anche dal Concilio di Trento, che “senza un minimo di conoscenza non si può essere salvati”. Per cui i padri conciliari fanno obbligo ai vescovi e ai responsabili della cura d’anime di predicare frequentemente (tutte le domeniche e feste solenni e quotidianamente o almeno tre volte la settimana in Avvento e Quaresima), di fare, nelle medesime circostanze, il catechismo serale agli adulti e di curare diligentemente l’istruzione dei fanciulli nei rudimenti della fede e nell’obbedienza a Dio e ai genitori. Per aiutare il clero nello svolgimento della sua missione, il Concilio si fa promotore della compilazione di un catechismo, affidato a un gruppo redazionale di teologi tomisti, che viene alla luce nel 1566 con il titolo Catechismus ex decreto Concilii Tridentini ad Parochos. Questo, tradotto nello stesso anno in italiano da A. Figliucci, si diffonde subito per tutta l’Italia e diventa oggetto di riassunti, parafrasi, commenti, suddivisioni in lezioni, per le domeniche dell’anno liturgico, da leggersi durante la celebrazione delle messe (A. Ferentillo 1570; A. Sauli, Pavia 1581; G. Bellarino, Brescia 1601, 1610); E. Nieremberg (Roma 1658, Venezia 1676, Milano 1691). Ma è nell’organizzazione sistematica e capillare del catechismo alle nuove generazioni che viene riposta la fiduciosa speranza di potere riformare la società cristiana. <Si dee penetrare che la via prencipale di riformare il mondo e la Chiesa è la buona e santa institutione della gioventù, castigando li figliuoli et allevandogli col timor di Dio>. Così si esprimono gli anonimi Avertimenti et brievi ricordi circa il vivere christiano, editi a Bologna nel 1563 e similmente quelli del De Torres, arcivescovo di Monreale, nel 1638. Il primo obbligo educativo spetta ai genitori, che devono istruire i loro figli “nella pietà e devozione”, devono correggerli con “discrezione” e “senza crudeltà” e insieme alle parole devono dare il “buon esempio”. La loro azione è sostenuta, completata e, spesso, sostituita dai membri (chierici e laici) della Congregazione della Dottrina cristiana (famosa quella fondata da Castellino da Castello a Milano nel 1536, autore anche di un Interrogatorio del maestro e del discepolo, e fondamentale per la sua azione coordinatrice l’Arciconfraternita della Dottrina cristiana di Roma), dai maestri di scuola, dalle Congregazioni devote e di perseveranza, e dalle molteplici iniziative e strutture educative create da Girolamo Miani (†1537) con i suoi Somaschi, dai Gesuiti con i loro Collegi, da Angela Merici (†1540) con le sue Orsoline, da Antonio M. Zaccaria (†1539) con i suoi Barnabiti, dai Dottrinari di Cesare de Bus (†1606), la cui ricerca di una catechesi viva ed inventiva trova una bella espressione negli italiani O. Imberti (1650-1731) e G.D. Moriglioni (1652-1735), dagli Scolopi di Giuseppe Calasanzio (†1648), dai Fratelli delle Scuole Cristiane di Giovanni Battista de La Salle (†1719). L’insegnamento del catechismo diventa il fulcro delle stesse missioni popolari, promosse da Gesuiti, Redentoristi, Cappuccini, Preti della Missione, Pii Operarij, Barnabiti, Teatini. Essi mettono in moto un grandioso processo di ricristianizzazione delle popolazioni, cittadine e rurali, anche le più disperse, servendosi, anche di. catechismi propri come il Piccolo metodo di Vincenzo de’ Paoli (†1660), il Compendio della dottrina cristiana (1743), Breve dottrina cristiana (1762), e Istruzione al popolo (1768) di Alfonso de Liguori (†1787), il Piccolo catechismo di G. Calasanzio (†1648). Ben presto i catechismi si moltiplicano rapidamente nel tentativo di trasmettere la dottrina e l’esercizio della vita cristiana in maniera facile e chiara. La stessa impostazione teocentrica dei catechismi, cerca di superare l’astrattezza teologica per coniugarsi alla vita cristiana dei fedeli, che devono diventare sempre più consapevoli della loro fede. Decisiva è l’influenza esercitata dai catechismi del card. Bellarmino (1542-1621): la Doctrina Christiana breve (1597) e la Dichiarazione più copiosa (1598) Per la chiarezza del contenuto, per la praticità del loro uso, grazie alla brevità e ritmicità delle frasi, la ricchezza di esempi tratti dalla vita quotidiana, la sottolineatura dell’oggettività delle verità di fede, vengono tradotti nelle varie lingue regionali italiane, oppure adattati con aggiunte, modifiche, riduzioni da teologi, vescovi zelanti, missionari in infinite edizioni fino al sec. XX. Altri testi di notevole successo sono i catechismi del Canisio (1524-1597) (grande, piccolo, minimo, redatti rispettivamente nel 1555,1556,1559), di Ledesma (1519-1575) il cui formulario del 1567 conosce una vasta diffusione in tutta l’Italia continentale ed insulare), di Montorfano (Venezia 1629), di G. Paleotti (Bologna 1578), di A. Gagliardi (Milano 1584), di GB. Eliano (1587), di GP. Pinamonti (1632-1703). Alla fine del XVI secolo alcune innovazioni catechistiche sono ormai un fatto assodato: a) l’organizzazione del catechismo e la sua diffusione capillare è un ministero pastorale fondamentale, diretto particolarmente ai fanciulli e alla gente semplice; b) il catechismo si configura come un insegnamento umile, familiare, avulso dalle regole dell’arte oratoria, capace di ritagliarsi i suoi spazi nella vita quotidiana del popolo; c) lo strumento didattico per eccellenza è il formulario a domande e risposte, che può essere accompagnato da melodie e composizioni in versi; d) la prevalenza dei catechismi dottrinali, sono ritenuti i migliori strumenti per difendere la retta fede. Nel settecento la nuova mentalità antropocentrica e razionale dell’illuminismo se da un lato porta un nuovo slancio catechistico, promosso dai vescovi, sostenuto da preti zelanti, riuniti nelle Congregazioni clericali della Dottrina cristiana, dall’altro genera una deriva moralistica della catechesi e una sua strumentalizzazione in ordine alla formazione di un cittadino ossequioso delle leggi, sottomesso alla guida del principe illuminato. Si va alla ricerca di nuovi metodi di insegnamento, particolarmente di quelli induttivi basati sulla storia biblica, attenti ai processi del pensiero, per facilitare nei fanciulli e nella gente semplice un apprendimento significativo. Per cui si compilano nuovi catechismi più idonei al processo formativo, tanto da favorire la proliferazione di una grande quantità di catechismi in una stessa diocesi. Particolarmente significativa mi appare la situazione siciliana, crogiuolo di multiculturalità. Influssi spagnoli, francesi, inglesi, asburgici, sabaudi, borbonici si intrecciano lasciando il loro segno nella prassi catechistica e dando origine a prodotti originali. Molti vescovi siciliani si dedicano all’impresa con il desiderio di promuovere nei loro fedeli una fede consapevole e una vita cristiana devota e sobria, moralmente irreprensibile e osservante della “creanza cristiana” Se S. Ventimiglia di Catania rifiuta il Catechismo di Bossuet, impostogli dal vicerè Fogliani e pubblica un suo catechismo siciliano ispirandosi al Catechismo Romano e al Bellarmino, F. Testa di Monreale elabora un suo catechismo diocesano in siciliano prendendo come fonte principale proprio il Bossuet. Di Blasi e Gambacurta di Messina compila il suo catechismo rifacendosi al Ledesma e al Bellarmino, mentre G. Gasch di Palermo traduce in siciliano la Dottrina copiosa del Bellarmino. Mineo di Patti, pur rifacendosi al Bellarmino, si preoccupa della gradualità di un insegnamento catechistico, che vuole integro e capace di promuovere la vita cristiana dei fanciulli. Il giansenismo non riesce ad attecchire, ma sono presenti ed usati i testi di Pouget, di Mésenguy, di Gourlin per la loro impostazione didattica. Il catechismo storico-biblico di C. Fleury viene ampiamente usato nelle scuole di metodo normale e nelle scuole lancastriane e trova un imitatore nel palermitano Domenico Campione (1827), convinto seguace delle teorie pedagogiche di Ch. Rollin (1661-1741); mentre il catechismo, ricco di citazioni scritturistiche, dell’edimburghese Giorgio Hay viene apprezzato come testo adatto alla comprensione del semplice fedele. e tradotto dal palermitano Domenico Turano.

    Il secolo XIX, vede il trionfo della neoscolastica con la produzione di catechismi dottrinali che, all’interno di una pastorale difensiva e di “riconquista” e di un progetto formativo popolare, che si avvale dell’incremento delle devozioni, della pietà popolare, della predicazione quaresimale e delle missioni, sono considerati lo strumento prezioso per difendere i semplici fedeli dagli errori della modernità. Essi intendono trasmettere una dottrina universale, eterna, immutabile, le cui verità sono garantite da Dio e strutturate in maniera sistematica con un rigoroso linguaggio filosofico-teologico, che trova la sua esemplare espressione nel catechismo di J. Deharbe (1865). In genere si articolano in tre testi: uno per la prima confessione, uno per la prima comunione e uno di perseveranza. Ma i nuovi catechismi si assommano a quelli dei secoli precedenti, che sono ancora in circolazione. Potremmo distinguere tre filoni: il primo fa capo ai testi del Bellarmino, che godono di ampio uso nel nord-est, a Roma e in Sicilia; il secondo fa riferimento al Compendio della dottrina cristiana (1765) di M. Casati, che viene scelto dagli episcopati piemontesi e lombardi come testo unico; il terzo filone potrebbe essere costituito da tutti quei tentativi, che pur all’interno della scelta dottrinale, aprono vie nuove in campo pedagogico e didattico sulla scia della riflessione di A. Rosmini (1797-1855), F. Aporti, G.A. Rayneri (1810-1867) o sulla scia del metodo normale come cerca di fare il Catechismo graduato del messinese G.S. Burrascano (1841-1903). L’Ottocento si chiude con il desiderio espresso dal Vaticano I (1870) di superare la pluralità dei catechismi con l’elaborazione di un unico catechismo, adatto a trasmettere in maniera autorevole le verità della fede cattolica.

     

    Fonti e Bibl. essenziale

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    LEMMARIO