Seminari – vol. I

    image_pdfimage_print
    Autore: Maurilio Guasco

    Il 5 luglio 1563 il Concilio di Trento avrebbe approvato un documento, noto come Cum adolescentium aetas dal suo incipit, con il quale invitava le varie diocesi ad aprire una casa in cui radunare i giovani che intendevano avviarsi al sacerdozio per fornire loro una formazione di carattere spirituale e culturale adatta ai tempi. Precisava che in presenza di difficoltà di carattere economico, o per delle diocesi particolarmente piccole, si poteva pensare a strutture interdiocesane. Tali case venivano indicate, utilizzando un termine già presente in alcuni paesi europei, come seminari.

    Si pensava così di unificare dei modelli formativi diversi, in uso in varie diocesi, per preparare i futuri preti. Vi erano le scuole cattedrali, in certi casi dette anche canonicali, in quanto gestite dai canonici. In altri luoghi i corsi erano dettati da qualche maestro, la cui scuola avrebbe preso il nome di Studium Generale, premessa delle future università. In alcuni luoghi, grazie anche agli Ordini religiosi, tali Studi Generali avevano avuto uno sviluppo particolarmente significativo e quindi attiravano alunni da vari paesi. Si può pensare, ad esempio, a Parigi e Bologna.

    In altri luoghi, dove già erano nate le università, diventava prassi seguire i corsi in tali istituzioni. Una prassi abituale per esempio in Germania, ma in molti casi anche a Roma, dove erano aperti alcuni collegi, quali il Capranica e il Nardini, in cui vivevano giovani che seguivano le lezioni nelle Università dove quasi sempre era presente la facoltà di teologia. Collegi analoghi per la vita comune dei futuri preti erano aperti in Spagna e in Francia. Qui i giovani seguivano le lezioni alla Sorbona, e nel corso del secolo XVII avrebbero avuto come esempio significativo la parrocchia di Saint-Sulpice, dove vivevano alcuni giovani sotto la responsabilità del parroco, seguendo i corsi nella vicina università. Era anzi questo un altro dei modelli formativi: la vita in comune con un parroco, che poi presentava il giovane al vescovo per l’ordinazione. In altri casi poi, era la stessa casa del vescovo ad accogliere i giovani che si preparavano al sacerdozio.

    La prima vera modifica avviene a Roma con la fondazione da parte di Ignazio di Loyola del Collegio Romano (1551), che attirerà subito molti studenti e diventerà in seguito l’Università Gregoriana, e quindi del Collegio Germanico (1552), destinato soprattutto alla formazione “romana” di futuri preti tedeschi, che rischiavano nel loro paese d’origine di essere orientati in altro modo dal clima della Riforma. Possiamo aggiungere che l’esempio della Germania fu seguito da altri paesi, che aprirono a Roma dei Collegi nazionali per formarvi alcuni dei loro futuri pastori.

    Il modello seguito dal Concilio di Trento, sia per gli studi che per i vari regolamenti, veniva dall’Inghilterra, dove il Cardinale Pole in occasione del Sinodo del 1555 aveva invitato le diocesi ad aprire delle scuole da dove, “tamquam ex seminario”, si potessero scegliere i candidati al sacerdozio.

    I Padri conciliari avrebbero poi indicato le condizioni per l’ammissione nei seminari: giovani di almeno 12 anni, figli legittimi, capaci di leggere e scrivere e con un indole che lasciasse presagire la scelta dello stato sacerdotale. Nelle diocesi in cui non erano presenti facoltà teologiche all’interno delle università, il seminario era destinato a diventare una istituzione globale, dove cioè il giovane veniva formato con scarsi contatti esterni, dal momento che tutto veniva organizzato all’interno della struttura stessa, compresa la scuola. Per questa lo stesso Concilio indicava degli orientamenti culturali, insieme con quelli di natura spirituale e disciplinare. Si può anzi dire che il Concilio offriva un modello che prevedeva per la formazione al sacerdozio tre veri e propri pilastri, che sarebbero rimasti come elemento di riferimento fino al secolo XX: la pietà, lo studio e la disciplina, e per ognuno di tali pilastri offriva delle indicazioni pratiche.

    Bisogna subito aggiungere che in diversi paesi europei non avvennero grandi cambiamenti, o per mancanza di docenti, o per ragioni economiche, o perché rimanevano in vigore i vecchi modelli formativi, in particolare quello che vedeva la separazione tra il luogo di vita, il Collegio, e il luogo di studio, l’Università. Inoltre, sarebbe rimasto a lungo in vigore un altro modello, quello del chiericato esterno: vi erano cioè giovani che restavano nelle loro case e si preparavano privatamente al sacerdozio oppure frequentavano, appunto da esterni, le scuole del seminario o delle Università.

    In Italia, e anche in Spagna, molti vescovi applicarono il decreto, e poi ci fu l’opera indefessa di san Carlo Borromeo, che non solo si occupò di istituire il seminari nella sua diocesi milanese (1564), ma collaborò alla fondazione anche in altre diocesi, scrivendo poi quel regolamento, che teneva conto delle indicazioni del Concilio di Trento, in particolare nel riferimento a quelli che abbiamo definito i tre “pilastri”, che sarebbe stato utilizzato in molte diocesi italiane. Il giovane doveva acquisire una profonda vita spirituale, derivante soprattutto dalla sistematicità degli esercizi di pietà, una buona formazione culturale di carattere teologico, morale, giuridico e pastorale su base sopratutto umanistica, e infine una rigorosa disciplina di vita. Ad ogni settore era preposto un responsabile, che avrebbe fatto capo al responsabile generale, il rettore.

    Quasi come esempio per le altre diocesi, Roma aprì nel 1565 il proprio seminario, che venne però affidato non a preti romani ma a membri della Compagnia di Gesù. Negli anni successivi al Concilio di Trento in Italia vennero aperti un centinaio di seminari, molti dei quali però avrebbero avuto vita difficile, soprattutto per mancanza di docenti e di mezzi economici, al punto che non furono pochi che avrebbero chiuso poco dopo la loro inaugurazione, in attesa di essere poi rifondati o ristrutturati in epoca successiva.

    Nel corso del ’600 diversi seminari italiani subirono l’influsso della scuola francese, che faceva capo soprattutto a San Vincenzo de’ Paolo e a Jean Jacques Olier, e quindi a Jean Eudes. A monte vi era ancora il seminario-parrocchia, cioè alcuni giovani vivevano con il parroco e frequentavano le facoltà universitarie. L’aumento di tali presenze portò alla nascita di veri e propri seminari, con due novità: la distinzione, causa la difficoltà a far convivere e formare persone di età troppo diverse, tra il petit séminaire e il grand séminaire, che in Italia sarebbero diventati seminario minore, comprendente le medie e il ginnasio, e seminario maggiore, con il liceo (detto anche filosofia) e la teologia; e un modello formativo diverso, con la vita comune tra superiori ed alunni, e una forma di spiritualità fortemente legata alla cristologia. Ma in Italia sarebbe rimasto il modello carolino, con la netta separazione tra alunni e superiori, e il ruolo fondamentale affidato al rettore. Inoltre, in Italia e a differenza della Francia, il padre spirituale era una figura a parte, che non partecipava alle riunioni in cui gli stessi superiori prendevano le decisioni circa la vita degli alunni.

    A partire dal Concilio di Trento, non saranno pochi i papi che interverranno, o con documenti o con indicazioni e norme, per rendere sempre più efficace la formazione sacerdotale. Nel 1725 verrà anche instituita da Benedetto XIII, con la Costituzione Credite nobis, una Congregazione dei Seminari, con il compito di vegliare alla applicazione dei decreti tridentini.

    Il papa indicava anche come reperire i fondi necessari alla vita dei seminari, e quindi dava istruzioni sulle materie che vi dovevano essere insegnate: la grammatica, il canto gregoriano, il computo ecclesiastico, e quindi le Sacre Scritture, i catechismi e i vari manuali ecclesiastici, in particolare quelli concernenti i sacramenti e le sacre cerimonie.

    Non era comunque scomparso il chiericato esteriore: numerosi candidati al sacerdozio continuavano a prepararsi restando nella loro casa e frequentando scuole pubbliche o private, oppure le stesse scuole del seminario: che tra l’altro in molti casi sono frequentate anche da giovani che non intendono avviarsi al sacerdozio, soprattutto per gli anni antecedenti la teologia. In altri termini, non sono pochi i seminari che svolgono anche la funzione di collegi, o luoghi di istruzione pubblica, frequentati da futuri preti ma anche da altri studenti. Vi è una ragione economica: spesso sono questi ultimi a pagare la retta, ma anche una ragione di carattere culturale. Si pensa che sia un fatto positivo che parte della futura classe dirigente abbia avuto una soda formazione religiosa. Ma altri pensano che tale convivenza tra candidati al sacerdozio e chi pensa ad altre carriere rischi di rendere più difficile la formazione dei primi. Per questo si svilupperanno ampie discussioni fra i fautori dei seminari solo per futuri preti, e i fautori del seminario chiamato misto, cioè con la presenza di futuri preti e altri che restano in seminario, o lo frequentano, solo perché spesso è l’unico luogo in cui sono organizzate delle scuole.

    Non è quindi strano che nella ricordata Costituzione di Benedetto XIII si dessero anche delle indicazioni per il reperimento di fondi per la vita dei seminari, anche se gli esiti non sarebbero stati quelli che il pontefice aveva auspicato.

    Nel corso del XVIII il potere civile cercò di avere voce nelle nomine dei rettori e dei professori, soprattutto in alcune zone, come nel lombardo-veneto, e successivamente anche nel Piemonte di casa Savoia. Il prete era spesso considerato alla stregua di un funzionario di stato civile, capace di esercitare un forte influsso sulla popolazione. Per questo diversi governanti pensavano che fosse indispensabile un vero e proprio controllo della formazione di tali futuri funzionari.

    Fra i vari tentativi fatti in proposito, possiamo ricordare l’opera di Giuseppe II che, dopo aver soppresso diversi seminari lombardi, nel 1786 faceva aprire a Pavia un “Seminario generale per la Lombardia austriaca” in vista della formazione di un clero che fosse anche al servizio dello Stato. Qualcosa di analogo, ma di segno diverso, avrebbe fatto in Toscana Pietro Leopoldo, le cui riforme avrebbero avuto come esito nel 1786 il noto Sinodo di Pistoia. I decreti del Sinodo contengono elementi di forte novità. La formazione del clero, secondo il Sinodo, deve privilegiare la pastoralità, e quindi il giovane sarà ordinato non in vista di un beneficio da acquisire, ma in funzione di un servizio pastorale da svolgere. Il vescovo quindi ordinerà un numero di preti in vista del servizio pastorale richiesto, ponendo così fine alla presenza di una moltitudine di ecclesiastici inutili e privi di ogni formazione. Per questo si dovranno ordinare solo dei giovani che abbiano svolto in seminario la formazione richiesta. Questo avrebbe portato in alcune zone alla scomparsa dei seminari-collegi, dal momento che venivano esclusi dai seminari quanti non manifestavano l’esplicita volontà di avviarsi al sacerdozio.

    Il breve periodo della dominazione napoleonica, con l’accentramento nella mani dello Stato di tutta la formazione scolastica, avrebbe lasciato scarsi influssi nelle zone asburgiche, più significativi in altre zone, accentuando anche una certa diversificazione culturale, dal momento che i seminari privilegiavano la formazione umanistica, mentre si andavano diffondendo modelli culturali segnati da altre scienze.

    Un significativo ritorno alle pratiche religiose proprio del periodo della Restaurazione, che avrebbe visto un proliferare di fondazioni di Congregazioni religiose, avrebbe anche spinto molti vescovi a rifare o ingrandire i loro seminari. Questo tra l’altro avrebbe reso possibile l’ingresso in seminario di quegli alunni che non potevano essere ospitati. Il che avrebbe contribuito alla lenta diminuzione dei chierici esterni e a una modifica anche dei programmi scolastici.

    La base di tale modifica sarebbe stata la Costituzione Quod divina sapientia, emanata da Leone XII nel 1824, che prevedeva la ristrutturazione degli studi teologici nelle facoltà pontificie, e che avrebbe portato, con altri provvedimenti pontifici, a una sempre più accentuata separatezza tra il clero e la società civile. Il seminario diventa sempre più un’istituzione globale, autosufficiente, che eviterà di subire influssi esterni. Tale tendenza verrà accentuata dal conflitto tra Chiesa e Stato che si aprirà in diversi paesi europei, Italia compresa, dove il conflitto sarà accentuato dalla decisione presa dal governo dell’Italia unita di nominare nel 1864 dei visitatori incaricati di ispezionare anche i seminari e di presentare una relazione sullo stato interno degli istituti di formazione. Tra le motivazioni, si adduceva anche il fatto che in molti seminari svolgevano di fatto il ruolo di una scuola pubblica, e il governo riteneva suo diritto vegliare sulla formazione di molti futuri cittadini. Tale indagine avrebbe portato tra l’altro alla chiusura di ben 82 seminari, ma avrebbe anche spinto i vescovi a migliorare le condizioni di vita dei seminari stessi e il livello di istruzione, aprendo anche il dibattito sulla opportunità di introdurre i programmi governativi nelle scuole del seminario.

    Se questo valeva soprattutto per le scuole medie e liceali, un problema diverso si poneva per gli studi teologici. Il conflitto determinatosi in Italia dopo l’occupazione di Roma avrebbe portato alla scomparsa nelle università statali degli alunni delle facoltà di teologia, che di conseguenza verranno soppresse, nel 1873. Tali insegnamenti saranno da allora confinati esclusivamente nelle facoltà ecclesiastiche e nei seminari.

    Fonti e Bibl. essenziale

    E. Brambilla, Società ecclesiastica e società civile: aspetti della formazione del clero dal Cinquecento alla Restaurazione, in “Società e Storia”, 1981, 299-366; C. Fantappiè, Istituzioni ecclesiastiche e istruzione secondaria nell’Italia moderna: i seminari-collegi vescovili, in “Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento”, 1989, 189-240; M. Guasco, La formazione del clero: i seminari, in Storia d’Italia, Annali, IX, La Chiesa e il potere politico dal Medioevo all’età contemporanea, a cura di G. Chittolini e G. Miccoli, Torino, Einaudi 1986, 629-715; G. Pelliccia, La preparazione ed ammissione dei chierici ai santi ordini nella Roma del secolo XVI, San Paolo, Roma 1946; J.A. O’Donohoe, Tridentine Seminary Legislation. Its Sources and its Formation, Université de Louvain 1957; Sacra Congregatio pro Institutione Catholica, Enchiridion Clericorum. Documenta Ecclesiae futuris sacerdotibus formandis, Typis Polyglottis Vaticanis 1975; Sacra Congregatio de Seminariis et Studiorum Universitatibus, Seminaria Ecclesiae Catholicae, Typis Polyglottis Vaticanis 1963: C. Sagliocco, L’Italia in seminario 1861-1907, Roma, Carocci 2008; L. Sala Balust – F.M. Hernandez, La formacion sacerdotal en la Iglesia, Juan Flors, Barcelona 1966; M. Sangalli (ed.), Chiesa chierici sacerdoti. Clero e seminari in Italia tra XVI e XX secolo, Herder, Roma 2000.


    LEMMARIO