Industrializzazione – vol. II

    image_pdfimage_print
    Autore: Gennaro Cassiani

    Processo di trasformazione delle attività economiche secondo criteri industriali. Il lemma richiama la locuzione storiografica “rivoluzione industriale” che rinvia all’irreversibile trasformazione del sistema di produzione agricolo e manifatturiero tradizionale mediante l’uso generalizzato di strumenti meccanici e di nuove fonti energetiche.

    La stagione della “prima rivoluzione industriale”, estesa dal 1760-1780 al 1830 circa e che ebbe protagonista l’Inghilterra, coinvolse prevalentemente i settori tessile e metallurgico e segnalò l’introduzione della spoletta volante e della macchina a vapore. La seconda “rivoluzione industriale”, l’avvio della quale è convenzionalmente ricondotto agli anni Settanta-Ottanta del XIX secolo, registrò l’avvento dell’elettricità, dei prodotti chimici e del petrolio e vide l’Inghilterra raggiungere uno sviluppo industriale paradigmatico sul piano continentale e mondiale.

    Fattore decisivo del processo di industrializzazione è l’accumulazione, mediante floride attività commerciali e abbondante disponibilità di materie prime (carbone e acciaio), dei capitali necessari alle iniziative imprenditoriali. Non meno rilevante concorso all’avvio della trasformazione in senso industriale della produzione è l’espansione demografica, latrice dell’accrescimento dell’offerta di manodopera. All’incremento della disponibilità di forza-lavoro contribuisce in misura rilevante il fenomeno migratorio dalle campagne alle città, esito di una compiuta “rivoluzione agraria” coniugata alla privatizzazione e alla messa a coltura dei terreni già demaniali e alla trasformazione in senso capitalistico del sistema di conduzione dei fondi agricoli anzitempo destinati a uno sfruttamento di mero consumo.

    Tra gli effetti della rivoluzione industriale spicca a sua volta lo sviluppo demografico (effetto dell’accrescimento delle rese agricole e, quindi, della maggiore disponibilità complessiva di risorse alimentari) e così pure un netto miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie generali, ragione, quest’ultima, del calo dei tassi di mortalità e dell’innalzamento dell’aspettativa di vita media della popolazione.

    La rivoluzione industriale, mutò i rapporti fra gli attori economici e favorì la nascita della figura del capitalista titolare dei mezzi di produzione e di quella del dipendente di fabbrica compensato per il suo lavoro mediante un salario, l’equità del quale diverrà bandiera delle lotte del movimento operaio e sindacale.

    L’industrializzazione e il progresso tecnologico determinarono profondi effetti di ordine sociale. Modificarono secolari abitudini di vita; contribuirono al cambiamento di radicate mentalità. Favorirono altresì l’espansione del processo di alfabetizzazione e quello di emancipazione femminile attraverso l’ingresso su vasta scala delle donne nel mondo del lavoro. La rivoluzione industriale trasformò inoltre il sistema dei trasporti; dette impulso allo sviluppo delle reti stradali, fognarie e dei servizi pubblici. Gli stessi connotati urbani conobbero vistosi cambiamenti: si demolirono le antiche mura di cinta; sorsero nuovi quartieri residenziali; si conferì maggior decoro ai centri cittadini. Al tempo stesso, si assistette alla dilatazione delle periferie, sede dei quartieri popolari, degli stabilimenti industriali e, da presso a questi ultimi, di vasti sobborghi sovraffollati destinati al proletariato di fabbrica ben presto al centro di una vasta produzione scrittoria intenta nell’analisi delle declinazioni del tema dell’ingiustizia sociale, delle condizioni di sfruttamento delle masse operaie e delle nuove forme di povertà indotte dal progresso industriale e tecnologico.

    Mediante la Rerum Novarum (1891), enciclica decisiva nella definizione del pensiero sociale cattolico, Leone XIII intervenne sul tema del conflitto tra capitale e lavoro e sulla scottante questione sociale connessa all’industrializzazione. Il pontefice, che degli effetti di quest’ultima aveva fatto esperienza diretta durante la sua nunziatura in Belgio, condannò il socialismo; invitò gli operai a rispettare i loro doveri nei confronti degli imprenditori e a rifiutare la violenza come strumento di difesa dei loro diritti. Al tempo stesso, stigmatizzando gli eccessi del capitalismo, si soffermò sulla condizione dei lavoratori e sull’attacco alla loro dignità morale portato dai nuovi schemi organizzativi e dall’introduzione delle nuove tecnologie.

    L’enciclica, mentre esclude lo sciopero come strumento di lotta, propone la riconciliazione fra le classi sociali, l’armonizzazione dei loro reciproci diritti e doveri e – a tutela della comunità, delle sue parti e del bene comune – caldeggia l’assunzione da parte dello Stato di una responsabilità arbitrale e l’istituzione di organizzazioni professionali miste di imprenditori e di operai.

    Nel corso dei decenni seguenti all’apparizione dell’enciclica leoniana, in ragione dall’azione di autodifesa dei gruppi, dalla legislazione sociale e dagli interventi di politica economica anche sollecitati dagli elementi di denuncia insiti nella stessa Rerum novarum, cominciarono ad emergere i molteplici aspetti di segno positivo coniugati al processo di industrializzazione che, in Italia, nel corso del decennio giolittiano – mentre il peso dell’agricoltura nell’economa nazionale subiva una flessione – determinò l’impennata del valore della produzione manifatturiera, di quella metallurgica e di quella meccanica.

    Sulla scia della Rerum novarum e dietro la spinta delle agitazioni e degli scioperi promossi dai socialisti, negli ultimi anni del secolo, ebbe maturazione il movimento della Democrazia cristiana alla testa del quale fu il prete marchigiano Romolo Murri. Si trattava di un movimento animato da giovani cattolici, che non avevano vissuto il travaglio della Questione romana e che sentivano l’esigenza di operare nella società civile apportandole il loro contributo di idee ispirate a un profondo rinnovamento socioeconomico e organico delle strutture dello Stato liberale. Nel loro programma (1899) si chiedeva: libertà sindacale; l’introduzione della proporzionale nelle elezioni; il referendum e il diritto di iniziativa popolare; un largo decentramento amministrativo; una efficace legislazione sociale; una riforma tributaria basata sulla giustizia; la lotta contro le speculazioni capitalistiche; la tutela della libertà di stampa; di associazione; di riunione; l’allargamento del suffragio universale; il disarmo generale.

    I democratici-cristiani trovarono appoggi anche presso la Santa Sede. Leone XIII, mediante l’enciclica Graves de communi (1901), sanzionò che il nome di Democrazia cristiana poteva essere adottato solo sul terreno sociale, nel significato di lotta e di aspirazione alla giustizia. Escluso era il suo significato politico.

    Il movimento incontro l’opposizione dell’ala più conservatrice dell’Opera dei Congressi, legata alla memoria della battaglia dell’intransigentismo post-unitario. La crisi si acuì con l’ascesa di Pio X. Se Leone XIII aveva invitato i cattolici ad uscire dalle sacrestie e a portare in seno alla società civile il loro contributo di idee e di opere aprendo strada al loro impegno sociale, Pio X pretese, invece, un laicato rigorosamente sottoposto all’autorità diocesana. Allorché le forze democratico-cristiane presero il sopravvento sugli intransigenti in seno all’opera dei Congressi, il pontefice deliberò lo scioglimento di quell’assemblea che per trent’anni era stato l’organismo-guida dei cattolici militanti. Murri, a valle della condanna del modernismo sancita dall’enciclica Pascendi (1907), sospeso a divinis, fu costretto ad uscire dalla Chiesa, ove sarà riammesso poco prima della morte (1944).

    Laddove Leone XIII aveva tematizzato il conflitto capitale-lavoro nella questione operaia, Pio XI, nella Quadragesimo anno (1931), apparsa nel quarantennale della Rerum novarum, assunse una prospettiva di osservazione che, ben oltre lo specifico della condizione degli operai, abbraccia l’intero ordine sociale ed economico vigente. Papa Ratti focalizzò i temi della giustizia sociale violata, della vistosa concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi e del giusto salario, in un quadro socio-economico che, anche in Italia, era ormai caratterizzato dall’industrializzazione, dall’urbanizzazione e dai fenomeni di massa.

    Le ricadute potenzialmente positive della ricerca scientifica e tecnologica sull’economia e sullo sviluppo industriale, saldamente recepite dal magistero pontificio, alimentarono i pronunciamenti di Pio XII (il radiomessaggio del 1° giugno 1941, nel cinquantesimo della Rerum novarum; quello del Natale del 1942; il discorso alle ACLI sul sindacalismo cristiano dell’11 marzo 1945).

    Giovanni XXIII, nella Mater et magistra (1961), non esitò a considerare con favore il processo di industrializzazione. Al tempo stesso, non mancò di rilevare i gravi squilibri determinati dall’innovazione tecnologica e dal progresso industriale, tanto all’interno dei singoli Stati, come su scala mondiale. Di qui, trasse spunto l’appello del pontefice all’intensificazione della cooperazione internazionale in vista dell’innalzamento dei bassissimi livelli di reddito pro capite conosciuti dai Paesi del Terzo mondo a motivo dell’attardato o dell’ancora mancato avvio del loro sviluppo infrastrutturale e della loro modernizzazione socioeconomica.

    In rapporto di continuità e di sintonia con la rivendicazione del valore del lavoro formulato dalla costituzione pastorale Gaudium et spes (1965), la riflessione di Paolo VI, nella Populorum progressio (1967), affrontò il tema delle profonde disuguaglianze vigenti nel mondo contemporaneo. Il papa richiamò gli effetti traumatici dell’avvicendamento della civiltà industriale a quella tradizionale e sottolineò come, ai primordi di quel processo, la concezione del profitto come motore essenziale del progresso economico, l’idea della concorrenza come legge suprema dell’economia e quella della proprietà privata dei mezzi di produzione come un diritto assoluto era stata ragione di profonde sofferenze e ingiustizie dagli effetti ancora perduranti. Il pontefice, pur riconoscendo nell’avvento dell’industrializzazione un segno e un fattore di sviluppo, sollecitò la moderna cultura economica a imporsi quei limiti morali e quegli obblighi sociali che, da tempo, avrebbe dovuto impartirsi a salvaguardia dell’uomo, della sua dignità e del suo sviluppo integrale. L’enciclica sottolinea il crescente squilibro vigente tra Paesi sviluppati e Paesi ai margini delle aree privilegiate dal benessere. E pone l’accento sulle dimensioni mondiali acquisite dalla questione sociale congiuntamente alla diffusa consapevolezza dei meccanismi alla base del fenomeno: in primo luogo il mercato internazionale e una logica degli scambi subordinata agli interessi dei Paesi ricchi, sempre più ricchi rispetto a quelli sempre più poveri.

    Paolo VI tornò a richiamare l’elemento di ambiguità insito nella civiltà industriale nella lettera apostolica Octogesima adveniens (1971), nell’ottantesimo anniversario della Rerum novarum: il conflitto tra capitale e lavoro, tema dominante dell’enciclica leoniana, era diventato il conflitto tra la moderna realtà economica, sociale e civile e la capacità culturale e morale dell’uomo di dominarla, evitando di cercare rifugio nell’utopia e di confidare nelle potenzialità illimitate della scienza e della tecnica.

    Giovanni Paolo II, nella Laborem exercens (1981), il messaggio della quale si comprende a dovere solo in relazione alla riflessione religiosa sull’uomo affidata alla Redemptor hominis (1979), riprese la riflessione del predecessore. L’enciclica – di certo non estranea all’esperienza dei lavoratori e del sindacato polacco di Solidarnosc – evoca il conflitto tra capitale e lavoro e ne riconduce le matrici alla cultura e alla prassi economico-sociale caratteristica della “prima rivoluzione industriale”, quando in nome delle ragioni del profitto, si misconobbe l’uomo come primo fondamento del valore del lavoro. Woytjła non esitò tuttavia a riconoscere nel progresso industriale un fattore di sviluppo e, potenzialmente, di emancipazione morale dell’uomo e della comunità.

    Giovanni Paolo II tematizzò l’uomo lavoratore anche nella Centesimus annus (1991): scopo dell’impresa non è semplicemente la dilatazione degli utili, ma l’esistenza stessa dell’azienda come aggregato di persone che perseguono, in diverso modo, il soddisfacimento dei loro bisogni e, come gruppo, si pongono al servizio della società. Tra la Laborem exercens e la Centesimus annus, Karol Woytjła dette in luce la Sollecitudo rei socialis (1987). Ivi, il papa pose l’accento sulla dilatazione della questione sociale; sul sempre più marcato carattere sovranazionale delle dinamiche industriali e delle problematiche del lavoro operaio; sull’assai diseguale distribuzione di beni e servizi addotti dallo sviluppo economico. Siffatti concetti echeggiano altresì nella Caritas in veritate (2009), nella quale la riflessione di Benedetto XVI affronta la prassi della delocalizzazione della produzione industriale, meccanismo che, promosso dall’obiettivo dell’incremento della competitività, finisce spesso col determinare nuove emergenze occupazionali nei Paesi d’origine delle imprese, senza accrescere il benessere delle aree nelle quali le attività sono state trasferite allo scopo ridurre i costi della manodopera.

    Fonti e Bibl. essenziale

    V. Castronovo, Rivoluzione industriale, in Enciclopedia Europea, IX, Milano, 1979, 794-797; R. Giannetti, Rivoluzione industriale, in Dizionario di storiografia, Varese, 1996, 893-895; G. Bianchi, Il lavoro nella società industriale, in Dizionario di dottrina sociale della Chiesa. Scienze sociali e magistero, a cura del Centro di ricerche per lo studio della dottrina sociale della Chiesa, Milano, 2004, 795-802; E. Botto, Giustizia sociale, ivi, 338-344; A. Cova, Industria, ivi, 370-374; P. Galea, I sistemi economici di Otto e Novecento, ivi, 747-760; M. La Rosa, Classi sociali; ivi, 193-194; D. Parisi, Capitalismo, ivi, 177-183; A. Zanetti, Impresa, 364-367; E. Zucchetti, Questione sociale, ivi, 536-539. Si segnalano inoltre con ulteriori richiami: T.S. Ashton, La rivoluzione industriale. 1760-1830, Prefazione di C. Cipolla, trad. it., Bari, 1953; G. Jarlot, Doctrine pontificale et histoire. L’enseignement social de Léon XIII, Pie X et Benoit XV vu dans son ambiance historique (1878-1922), Roma, 1964; A. Gambasin, Il movimento sociale nell’Opera dei Congressi (1874-1904). Contributo per la storia del cattolicesimo sociale in Italia, Roma, 1958; Id., Gerarchia e laicato in Italia nel secondo Ottocento, Padova, 1969; G. De Rosa, Storia del movimento cattolico in Italia. Dalla Restaurazione all’età giolittiana, I, Bari, 1966; D.S. Landes, Prometeo liberato. Trasformazioni tecnologiche e sviluppo industriale nell’Europa occidentale dal 1750 ai giorni nostri, trad. it., Torino, 1978;M. D. Chenu, La dottrina sociale della chiesa. Origine e sviluppo (1891-1971), Brescia, 19822; L’enciclica Laborem exercens e la società industriale. Incontro di studio tra «La Civiltà Cattolica» e Confindustria, Roma, 25 febbraio 1982, supplemento a «La Civiltà Cattolica», 3177 (1982); R. Aron, La società industriale, Milano, 1983; J.M. Ibánez Langlois, La dottrina sociale della chiesa. Itinerario testuale dalla Rerum novarum alla Sollicitudo rei socialis, Milano, 1987; M. Romani, La Mater et magistra e i problemi del lavoro nella dottrina sociale della Chiesa, in ID., Il risorgimento sindacale in Italia. Scritti e discorsi 1951-1975, a cura di S. Zaninelli, Milano, 1988, 149-158; O. Garavello, La Populorum progressio fra contrastanti visioni del processo di sviluppo economico dei paesi del Terzo Mondo, in Il magistero di Paolo VI nell’enciclica Populorum progressio, Giornata di studio (Milano, 16 marzo 1988), Brescia, 1989, 60-97; Dalla Rerum novarum alla Centesimus annus. Le grandi encicliche sociali, a cura di R. Spiazzi, Milano, 1991; G. Vecchio, La dottrina sociale della Chiesa. Profilo storico dalla Rerum Novarum alla Centesimus Annus, Milano, 1992; D. Menozzi, La Chiesa cattolica e la secolarizzazione, Torino, 1993, 72-106 (§ 2.- Cristianità e questione sociale. Da Pio IX a Leone XIII); P. Hudson,La rivoluzione industriale, trad. it., Bologna, 1995; I tempi della Rerum Novarum, Atti del Convegno (Roma, 16-20 ottobre 1991), a cura di G. De Rosa, Soveria Mannelli, 2003; M. Toso, Welfare Society. La riforma del welfare: l’apporto dei pontefici, Roma, 2003; D. Forte, Encicliche sociali, capitalismo e socialismo, in «Atlantide», 4 (2006), 44-51; W. Magnoni, La Laborem exercens nel contesto della dottrina sociale della Chiesa, in I problemi del lavoro a trent’anni dalla Laborem exercens, in «Quaderni per il dialogo e la pace», 3 (2011), 8-12.


    LEMMARIO