Autore: Guido Formigoni
La corrente cattolica che si ispira a un netto e deciso rifiuto della modernità, in quanto identifica nel portato delle trasformazioni moderne la causa della rottura del tradizionale assetto di “cristianità”. In Italia, un aspetto specifico di questa polemica era la condanna del processo risorgimentale, in quanto la costruzione politica di uno Stato italiano unitario era giudicata come frutto di correnti anticlericali, laiciste e massoniche, il cui effetto era stato visto dominante in ultima analisi nell’irreversibile frattura con la Chiesa, sedimentatasi attorno alla “questione romana”. La mentalità intransigente affondava le sue radici in una serie di posizioni controriformistiche, anti-illuministe e anti-rivoluzionarie sviluppatesi da parecchi secoli, ma si codificò soprattutto nel corso dell’800. Il contributo di alcuni autori dell’età della Restaurazione venne poi sintetizzato e tradotto in una vera prospettiva collettiva e di massa nell’epoca post-unitaria.
Le origini del movimento cattolico e dell’associazionismo cattolico (v.) post-unitario furono ispirate in modo largamente maggioritario da questo tipo di mentalità. Il rifiuto dell’aggiunta di “aggettivi” al cattolicesimo (si aborriva soprattutto la formula “cattolicesimo liberale”), fu espressa nella “dichiarazione” letta dal conte Vito d’Ondes Reggio al primo congresso cattolico nazionale di Venezia nel 1874 e poi ribadita nei successivi congressi: “Il congresso è cattolico e nient’altro che cattolico. Imperocché il cattolicismo è dottrina compiuta, la grande dottrina del genere umano. Il cattolicismo non è liberale, non è tirannico, non è d’altra qualità; qualunque qualità vi si aggiunga, da per sé è un gravissimo errore…” (Primo congresso cattolico italiano tenutosi in Venezia dal 12 al 16 giugno 1874, Bologna 1874, vol. I, p. 43).
In questa visione rientrava non solo la polemica contro lo Stato. C’era una più ampia battaglia contro le dimensioni culturali della modernità: la laicità delle istituzioni, la libertà religiosa, l’indifferentismo morale, lo scientismo positivista. Non a caso, per fare un solo esempio, gli intransigenti continuarono a opporsi alla concessione dei pieni diritti civili alle minoranze non cattoliche (ebrei e protestanti). Fa parte di uno dei grandi paradossi della modernità, peraltro, il fatto che gli intransigenti cominciassero a sfruttare proprio gli spazi costitituzionalmente protetti della libertà di parola, di associazione, di stampa per avviare un progetto di contestazione radicale dell’ordine esistente. Quando nel 1876 a Bologna incidenti organizzati da militanti anticlericali indussero il prefetto a sciogliere il congresso cattolico, gli intransigenti aprirono una forte polemica contro il mancato rispetto della libertà.
Il primo problema degli intransigenti appariva quindi organizzare l’”Italia reale” contro l’”Italia legale”. Tutto ciò approfondiva il solco decisivo scavatosi tra la coscienza cattolica e le modalità concrete del costituirsi dell’Italia in Stato nazionale. La preoccupazione della classe dirigente liberale per questa deriva all’opposizione di una consistente organizzazione cattolica era evidente: i “neri” rischiavano di indebolire l’ordine pubblico quasi come i “rossi” sovversivi. Quando il movimento, negli anni ’80 e ’90, iniziò a organizzare crescenti strati popolari in nome di una istanza “sociale”, tali caratteri divennero ancora più pressanti. Giocava però a smorzare gli aspetti più battaglieri di questo indirizzo un altro elemento, che mitigava la contrapposizione politica ai “fatti compiuti”: la cultura della sostanziale sottomissione alle autorità costituite, che era un perno indiscusso della mentalità politica degli intransigenti, dato il lungo retaggio di un’interpretazione delle pagine paoline sul potere che insisteva fortemente sul carattere sostanzialmente divino e praticamente indiscutibile dell’autorità civile. Tale cultura ora impacciava e limitava gli intransigenti, proprio mentre organizzavano un’operazione politica sostanzialmente extra-costituzionale. C’era poi in questa stessa direzione una remora di ordine sociale: i primi dirigenti dell’Opera dei congressi erano sostanzialmente degli aristocratici o degli alti borghesi, che tendevano a ritenere l’ordine sociale un bene sostanzialmente da non discutere e quindi non immaginavano di dare contenuto rivoluzionari alla propria protesta anti-statuale.
Sul tronco delle posizioni intransigenti, venne via via a delinearsi una divisione di prospettive, che esplose dopo le repressioni del 1898. I dirigenti più anziani, della generazione del conte Paganuzzi, presidente dell’Opera, erano attestati su posizioni polemiche contro lo Stato, motivate sostanzialmente dalla “questione romana”. I più giovani organizzatori sociali, o coloro che verso la fine del secolo si cominciarono a chiamare “democratici cristiani”, sviluppavano l’intransigentismo in un’altra direzione: la polemica contro lo Stato era motivata soprattutto dalla necessità di appoggiare la spinta all’emancipazione delle masse popolari escluse e sfruttate. Le divergenze dovevano diventare insanabili, come si accorse Pio X, che nel 1904 fu costretto a sciogliere l’Opera. L’”equivoco politico-religioso” dell’intransigentismo veniva così al pettine: prendendo parte alle vicende del paese, finivano ingloriosamente le illusioni di poter evitare le scelte di tipo sociale e politico (cioè appunto di non “aggettivare” il proprio cristianesimo).
La cultura intransigente non spariva però affatto dalla scena dopo il fallimento di tale prima versione del movimento cattolico. Rimaneva anche lungo tutto il ‘900 come un fiume carsico, molto diffusa nel cuore della cristianità italiana, anche se non doveva più riuscire a esprimere una specifica e incisiva posizione culturale e politica. L’intransigentismo doveva ad esempio animare la polemica antimodernista del primo decennio del secolo. Doveva continuare a esprimere posizioni polemiche contro il cattolicesimo liberale e le esperienze democratiche. Minoranze intransigenti al tempo della prima guerra mondiale sostennero ad esempio la neutralità italiana per impedire la guerra alla cattolica Austria degli Asburgo. Il popolarismo fu avversato dagli intransigenti, che si scoprirono per certi versi filofascisti, almeno in quanto il fascismo combatteva l’odiato Stato liberale.
Occorre d’altronde specificare come l’intransigentismo radicale (che venne ad essere nominato anche “integrismo” ai tempi della lotta antimodernista), rimase circoscritto ad alcune riviste, alcuni circoli, alcuni ristretti ambienti ecclesiastici. Che in gran parte confluiranno nell’attiva minoranza anticonciliare all’epoca del Vaticano II. Anche a parte questi gruppi estremisti, la mentalità intransigente condizionò comunque ancora per decenni il corpo ecclesiale italiano. L’epoca “movimentista” avviata dai pontificati di Pio XI e Pio XII fu caratterizzata da una grande ondata di attività volte all’obiettivo di una riconquista cristiana della società di massa. Una parte di questo fervore era ormai animato da una prospettiva di prevalenza dell’interiorità, dall’ipotesi di una animazione dall’interno dei nuovi spazi sociali e civili, oltre che da una riflessione inedita sulla “qualità” della fede da far rivivere. Ma la gran parte di questo attivismo restava segnato da una prevalente mentalità intransigente di “rivincita” sulla modernità. L’utilizzo dei mezzi moderni era condotto fino a prospettive molto spregiudicate: si pensi ai mezzi di comunicazione, ai modelli organizzativi, ai rapporti verticistici e alle forme della mobilitazione del consenso. Ma senza alcuna intenzione di un rapporto critico e costruttivo con i portati della modernità.
Non è un caso che al momento della fondazione della repubblica e della democrazia, in cui una parte dei cattolici italiani forniva un contributo politico e ideale significativo, continuassero a esprimersi remore diffuse e critiche di altre componenti cattoliche verso il modello civile moderno e la stessa democrazia. Nella visione di una parte dello stesso movimento cattolico organizzato, la grande vittoria elettorale della Democrazia cristiana del 1948, fu interpretata come l’occasione per utilizzare finalmente il braccio politico per una ricristianizzazione del paese. L’idea di un governo a prevalente guida cattolica che tollerasse l’esistenza di stampa anticlericale o magari immorale, oppure conservasse agibilità ai nemici ideologici della religione, non era una prospettiva facilmente accettabile da parte degli epigoni dell’intransigentismo.
È stato osservato non senza ragione come proprio questa diffusa eredità intransigente spieghi una parte cospicua del disorientamento cattolico nell’epoca della secolarizzazione. Disabituati al discernimento e all’indagine critica, affidati a una prospettiva di massiccia fiducia nell’abitudine e nella tradizione, molti cattolici esposti alla crisi dei modelli tradizionali sono stati travolti e si sono trovati spesso a divenire – per contraccolpo – estremisti dell’assenso a qualsiasi proposta o ideologia che apparisse come il vero portato della modernità. L’acquisizione di una matura mentalità critica, nella logica presente ad esempio nell’approccio del Vaticano II, capace di sceverare il portato evangelico della rivoluzione moderna, mettendo in guardia dalla sua assolutizzazione o dalle sue forme di sacralizzazione di aspetti della vita umana, non è stata maggioritaria nel cattolicesimo italiano.
In quest’ottica, alcuni dei nuovi movimenti cattolici sorti o diffusisi nella seconda metà del ‘900 hanno rilanciato un’impostazione che è stata non a torto definita “neointransigente”. Di essa non fa più parte – salvo esempi marginali – una velleità di rivincita globale contro la modernità. Il sogno del ripristino della cristianità, che ancora correva fino al secondo dopoguerra in molti ambienti cattolici anche “centrali”, è stato abbandonato sotto i colpi della secolarizzazione. Al suo posto è emersa piuttosto l’ipotesi di organizzare in forme visibili minoranze religiose ispirate a una militanza forte e compatta, che si confrontino nello spazio civile con le altre minoranze, in nome dell’affermazione dei valori cristiani nella società.
Fonti e Bibl. essenziale
D. Menozzi, La Chiesa cattolica e la secolarizzazione, Torino 1993; A. Riccardi, Intransigenza e modernità. La Chiesa cattolica verso il terzo millennio, Bari-Roma 1996; D. Secco Suardo, I cattolici intransigenti. Studio di una ideologia e di una mentalità, Brescia 1962. M. Tagliaferri, L’Unità Cattolica. Studio di una mentalità, Roma 1993.