Autore: Marina Benedetti
L’inquisitio haereticae pravitatis si sviluppa a partire dal papato di Gregorio IX e ha un inizio che potremmo definire policentrico. Spesso si indica nella Ad Abolendam (diversarum heresium pravitatem) del 1184 il momento in cui sarebbe nata l’inquisizione. In realtà, la Ad Abolendam rappresenta soltanto un presupposto teorico, ma non implica «inquisitores ab apostolica sede deputati» ovvero scelti dal papa in un rapporto di dipendenza istituzionale. Una serie di norme volte a colpire l’eresia precedono la nascita dell’inquisizione: a partire dal canone Sicut ait beatus Leo del Concilio Lateranense III del 1179 seguito dalla decretale Ad Abolendam emessa nel 1184 a Verona da Lucio III in occasione di un incontro con Federico I. La grande svolta si ha nel 1199 con la decretale Vergentis in senium in cui Innocenzo III equipara il crimine di eresia al crimen lesae maiestatis. Nel breve corso di vent’anni l’eresia viene definitivamente collocata in un ambito disciplinare e politico attraverso l’affinarsi della concezione teorico-giuridica del potere monarchico papale: Solo con Gregorio IX (1227-1241) nasce il negotium inquisitionis, o officium inquisitionis, o inquisitio haereticae pravitatis che, sostituendo le precedenti forme di inquisizione antiereticale demandate ai vescovi, impiegherà circa un secolo a concludere il proprio cammino di definizione istituzionale. Sempre durante il papato di Gregorio IX, il titulus «De Hereticis» trova spazio nel Liber Extra, la raccolta ufficiale di decretali pontificie extra Decretum vagantes raccolte dal frate Predicatore Raimondo da Peñaforte pubblicate dal papa nel 1234. La legislazione antiereticale entrava così a far parte del diritto canonico.
Nel 1254 con la Licet ex omnibus di Innocenzo IV (1243-1254) l’Italia viene divisa in due zone inquisitoriali: la Lombardiacon Bologna e Ferrara sino a Genova corrispondente alla giurisdizione dei frati Predicatori, e il vasto territorio della Marca Trevisana, della Romagna e della Marca d’Ancona affidato ai frati Minori. Tale organizzazione amministrativa è l’esito di una fase di sperimentazione dell’inquisizione in Italia che ebbe in Lombardialo spazio e nei frati Predicatori gli attori del proprio consolidamento. Immediatamente dopo l’elezione, il 29 aprile 1227, Gregorio IX scrive una lettera ai podestà e al popolo di Lombardia sui pericoli dell’haeretica pravitas. In una lettera del 3 novembre 1232, indirizzata ad un non meglio precisabile frate Predicatore Alberico, si riscontra la prima indicazione precisa del nome di un inquisitore e della definizione formale di «inquisitor haeretice pravitatis in Lombardia». Milano e la Lombardia rappresentano un’area privilegiata sia per la presenza di eretici (buoni cristiani dualisti, o catari, e poveri di Lione, o valdesi) sia per il conflitto tra papato e impero. Non a caso il vero rafforzamento propulsivo dell’officium fidei avrà luogo solo dopo la morte di Federico II, nel 1250, e l’uccisione del frate Predicatore e inquisitore Pietro da Verona avvenuta nel 1252. A entrambe le morti Innocenzo IV reagisce con una serie di lettere volte a rafforzare il ruolo e l’intervento degli inquisitori che, anche in questa fase, si caratterizzano per essere personalità d’eccezione con le quali il pontefice ha un contatto personale diretto. Ciò emerge in modo chiaro dalle numerose missive rivolte a frate Raniero da Piacenza, un ex cataro divenuto inquisitore, che mostrano il progressivo delinearsi delle competenze e delle mansioni degli inquisitori “sul campo”. Se nella concezione innocenziana della repressione frate Pietro da Verona, divenuto in tempi brevissimi san Pietro martire rappresenta la santità antiereticale militante, frate Raniero da Piacenza ne impersona il risvolto operativo sul territorio. In tale contesto i frati Predicatori diventano i protagonisti della repressione. Solo in seguito il ruolo dei frati Minori verrà rafforzato da Alessandro IV (1254-1261) – che, tra l’altro, era stato cardinale protettore di quell’Ordine – e le direzioni della repressione antiereticale si spostano verso l’Italia nord-orientale e centrale.
L’importanza strategica e sinergica dell’officium fidei di Lombardia, e in particolar modo della sede milanese in seguito all’uccisione di frate Pietro da Verona, si manifesta anche nella produzione di manuali di procedura e di trattati antiereticali di cui la Summa di frate Raniero da Piacenza rappresenta uno degli esempi più fortunati – se ne sono conservate oltre cinquanta copie coeve e successive – a cui vanno aggiunti la Summa di frate Moneta da Cremona e il Tractatus de hereticis di frate Anselmo d’Alessandria. Si tratta di manuali in cui le procedure inquisitoriali e l’operatività poliziesco-giudiziaria diventano impegno giuridico-normativo attraverso il supporto teologico-dottrinale. A queste due tipologie di fonti vanno affiancati i quaderni contabili degli inquisitori e gli atti dei procedimenti giudiziari i cui esemplari superstiti si collocano soprattutto verso la fine del XIII secolo: se i rendiconti finanziari hanno avuto una conservazione centralizzata (e attualmente si trovano presso la Camera Apostolica dell’Archivio Segreto Vaticano), per i documenti giudiziari si ha una conservazione eccentrica che ne ha determinato la dispersione e, assai spesso, la scomparsa. Non è caso che la maggior parte dei procedimenti giudiziari superstiti non sia stata rinvenuta nei cosiddetti archivi dell’inquisizione, di cui non si può propriamente parlare per il medioevo.
Nonostante la scarsità della documentazione prodotta (o, meglio, sopravvissuta), un quadro meno impressionista del rapporto, interno e esterno, tra inquisizione e Chiesa si precisa tra XIII e XIV secolo con gli interventi nevralgici di Bonifacio VIII (1294-1303). Controlli più attenti e centralizzati dei rendiconti della gestione dell’officium fidei da parte del camerlengo mostrano le anomalie di confische incontrollate di beni di eretici e conducono alla sospensione di alcuni inquisitori appartenenti, per lo più, all’Ordine dei frati Minori. Si tratta di un importante preludio alla progressiva vigilanza sulle questioni patrimoniali strettamente connesse al concreto svolgimento dell’officium fidei da parte dei funzionari della curia papale. Viene inaugurata così una stagione di inchieste, soprattutto di carattere finanziario-amministrativo, che proseguirà con Clemente V (1305-1314). Parallelamente procede l’inserimento delle norme antiereticali e inquisitoriali nel diritto canonico: nel 1298 viene pubblicato il Liber Sextus in cui nel titulus «De Hereticis» viene raccolta parte della normativa antiereticale precedentemente promulgata da Gregorio IX, Alessandro IV, Urbano IV, Clemente IV e, infine, le decretali dello stesso Bonifacio VIII. Specifica attenzione è rivolta al problema della collaborazione tra inquisitori e vescovi, una materia assai delicata che impegnerà in seguito Benedetto XI (Ex eoquod del 2 marzo 1304) e Clemente V (Multorum querela del concilio di Vienne del 1311 inserita, in seguito, nelle cosiddette Clementine).
Il 1300, l’anno del primo Giubileo della Chiesa cattolico-romana e momento promozionale del pontificato di Bonifacio VIII, coincide con la svolta risolutiva di alcuni procedimenti inquisitoriali condotti dall’officium fidei di Lombardia. È assai verosimile che la ricorrenza simbolica del primo Giubileo, il progressivo consolidamento dell’officium fidei e il rafforzamento di legami personali e professionali, soprattutto tra alcuni membri dell’Ordine dei frati Predicatori (in particolare con frate Niccolò di Boccassio, futuro Benedetto XI) e il vertice della Chiesa, abbiano contribuito in maniera convergente alle risoluzioni dei casi lombardi. Emergono gli elementi per confermare un coinvolgimento sempre maggiore di cardinali che, riuniti in apposite commissioni, sono impegnati a risolvere i casi più delicati e controversi. Con il papato di Bonifacio VIII ha luogo un’altra importante mutazione: si colgono i segnali dell’avvio di processi specificamente politici per eresia – di cui egli stesso sarà uno dei primi illustri imputati nei procedimenti intentati dal re di Francia Filippo il Bello in cui sono coinvolti anche i suoi cardinali in qualità di testimoni– giungendo fino alle aperte strumentalizzazioni del pontificato di Giovanni XXII (1316-1334).
Quando il 22 ottobre 1303, Niccolò di Boccassio diventa Benedetto XI (1303-1304) si completa la saldatura tra i vertici della Chiesa cattolico-romana e i frati Predicatori, di cui beneficiano gli inquisitori grazie a rapporti istituzionali e personali di lunga durata. Nonostante la brevità del suo pontificato, Benedetto XI emette provvedimenti importanti per il funzionamento dell’officium fidei nella giurisdizione di competenza dei suoi confratelli. Il 16 febbraio 1304 con la Ad perpetuam rei memoriam ratifica la decisione dei capitoli generali dei frati Predicatori di dividere la Provincia di Lombardia in due circoscrizioni (Lombardia superior e inferior) e di aumentare il numero degli inquisitori (nella Lombardia superior possono raggiungere il numero di sette e nella Lombardia inferior diventano tre). Il 2 marzo 1304 indirizza agli inquisitori di Lombardia la Ex eoquod, nella quale regola la collaborazione tra l’ordinario diocesano e i rappresentanti dell’officium fidei, ma affronta anche problemi patrimoniali e amministrativi frequentemente causa di dissidi all’interno e all’esterno dell’Ordine.
Con il pontificato di Clemente V aumentano le inchieste sull’operato amministrativo degli inquisitori, si intensifica la repressione contro i Templari, e si concludonole ampie indagini sugli inquisitori di Lombardia e della Marca Trevisana.Nel 1307ha luogo la crociata contro il più famoso eretico medievale italiano: frate Dolcino che, con i suoi Apostoli, si era ritirato sulle montagne della Val Sesia in attesa di una palingenesi spirituale e dei “tempi nuovi” dove venne attaccatoe imprigionato con alcuni compagni. Si tratta del caso più clamoroso – soprattutto per l’amplificazione dovuta alla fortuna dei versi nella Divina Commedia di Dante Alighieri (Inf. XXVIII, vv. 55-60) – di crociata interna alla cristianità in territorio italiano di cui abbiamo testimonianze certe. Condotti da inquisitori, gli interrogatori dei prigionieri assumono la forma di veri e propri processi inquisitoriali che, seppur perduti, sono stati riassunti nel trattato De secta illorum qui se dicunt esse de secta Apostolorum. Tale descrizione della dottrina e della vita religiosa degli Apostoli di frate Dolcino è convogliata nel più noto manuale medievale di dottrina e procedura inquisitoriale: la Practica haereticae pravitatis del frate inquisitore domenicano Bernard Gui.
Il passaggio della sede pontificia da Roma ad Avignone con Clemente V nel 1309 non muta la gestione, ormai consolidata, della repressione in Italia bensì le modalità. A causa degli eccessi del pontificato di Giovanni XXII si assiste al deflagrare degli equilibri tra Chiesa e Impero nello scontro con Ludovico il Bavaro, al quale si affianca l’ex ministro generale dei frati Minori Michele da Cesena. Ha luogo unacollisione ferocissimatra il pontefice e alcuni gruppi di frati Minori, dalle cui fila proviene l’antipapa Niccolò V. Tali conflitti assumeranno in Italia le dimensioni di un controllo sempre più diretto e personalmente coinvolto del papa con una ampiezza d’intervento senza precedenti contro i Visconti di Milano, gli Estensi di Ferrara, e i signori delle Marche, dell’Umbria e della Romagna, ovvero contro i cosiddetti ghibellini, i rebelles, a cui si aggiungono i frati Minori spirituali dell’Italia centrale. Con Giovanni XXII l’opposizione politica e religiosa è combattuta tramite l’accusa di eresia in grandi processi indubitabilmente politici– e per lo più in assenza degli imputati – dove non mancano le accuse di magia e di fornicazione, in un clima nutrito anche delle personali ossessioni, o debolezze, del pontefice. In tale contesto, assume dimensioni di grande rilevanza giuridica, pubblicistica e visiva la procedura di raggiungere e coinvolgere tutta la cristianità nell’azione repressiva della Chiesa attraverso l’invio delle sentenze dei processi contro i rebelles da leggere nelle chiese. La cosiddetta età dei processi si conclude con la revisione delle principali inchieste volute da Giovanni XXII da parte dei successori, Benedetto XII e Innocenzo VI, decretandone il sostanziale fallimento.
Con il successore Benedetto XII (1334-1342), il vescovo e co-inquisitore Jacques Fournier, è sempre più evidente il cambiamento di atteggiamento e di mentalità degli uomini al vertice della Chiesa verso l’inquisizione. Importanti e famose inchieste condotte da Jacques Fournier a Pamiers tra il 1317 e il 1325 sono riportate in un codice che nulla ha a che vedere con la tradizionale modalità di redazione di atti giudiziari: le testimonianze processuali si presentano con una inusuale scrittura su due colonne e con spazi bianchi destinati alle miniature mostrando come un testo giudiziario, per sua natura segreto, si fosse trasformato in elegante oggetto-libro, con cambiamento di funzioni e, quindi, di destinatari. A dimostrazione dell’anomalia si aggiunge il luogo di conservazione presso la biblioteca dei papi (ora Biblioteca Apostolica Vaticana) di cui rappresenta uno dei pochi registri inquisitoriali allogati in una istituzione che non mostra sensibilità conservativa verso questa tipologia di manoscritti.
Nel Trecento la Chiesa aveva definitivamente vinto la propria battaglia contro i buoni cristiani dualisti o catari dell’Italia centro-settentrionale, mentre continuerà la repressione contro i Poveri di Lione o Valdesi soprattutto del Piemonte (nel Cuneese, nel Saluzzese, del Pinerolese, del Chierese e delle valli del Sangone e di Susa) che nel 1487 si concretizzerà con una crociata interna alla cristianità voluta da Innocenzo VIII (1484-1492) diretta nell’alta valle del Chisone, detta val Pragelato, nel Piemonte occidentale (ma allora nel Delfinato). Nel corso del Quattrocento proprio nei confronti dei valdesi l’accusa di eresia è associata a quella stregoneria, tanto che il termine vauderie ne diventa sinonimo. È un fenomeno europeo di ampie dimensioni che però non ha né la fase sperimentale né il proprio consolidamento giudiziario in Italia.
Il territorio italiano è l’ambito geografico in cui la repressione degli eretici e il consolidamento dell’inquisizione hanno primariamente luogo (sebbene non vadano dimenticate la crociata e i processi contro i buoni cristiani dualisti, o albigesi, del Midi francese che rappresentarono una importante tappa operativo-organizzativa preliminare). Il fenomeno della caccia alle streghe non è concepito in modo mirato per l’Italia, bensì per i territori tedeschi. Se ne individuano i primordi nel Canon Episcopi inserito nel Decreto di Graziano degli anni Quaranta del XII secolo e aspetti più concreti in una lettera del inviata da Gregorio IX nel 1232 ai vescovi tedeschi invitandoli a procedere «ad exterminium» degli Stedinger accusati di dedicarsi al culto di Satana. Nel 1233, all’arcivescovo di Magonza, al vescovo di Hildesheim, a Corrado di Marburg, a Federico II e al figlio Enrico giunge la Vox in Rama, nella quale è descritta l’adorazione del demonio da parte di coloro che, di conseguenza, verranno chiamati Luciferani. Gli Stedinger che, lungi dall’essere adoratori del demonio, erano contadini che si erano ribellati alle autorità locali, verranno sterminati con una crociata. Tra i più antichi interventi papali circa le divinazioni e i sortilegi si devono ricordare due lettere di Alessandro IV del 1258 e del 1260, mentre risale al 1320, nel pieno corso delle lotte e dei processi contro i ghibellini italiani, una consultazione di Giovanni XXII – apparentemente senza conseguenze giurisprudenziali – sulla possibilità di considerare eretici coloro i quali vengono accusati di magia o di invocazione del demonio: si profilava così il trinomio eresia-magia-stregoneria.
Fonti e Bibl. essenziale
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