Fascismo (1919-1931) – vol. II

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    Autore: Alberto Guasco

    La prima fase dei rapporti tra chiesa cattolica e fascismo coincise con il secondo quadriennio del pontificato di Benedetto XV (1919-1922), segnato da un lato dal progressivo miglioramento delle relazioni tra chiesa cattolica e stato liberale e dall’altro dall’inversione di marcia in materia di politica ecclesiastica consumata da Mussolini tra il 1919 e il 1921.

    Negli anni compresi tra la fondazione dei Fasci di combattimento e l’ascesa del nuovo movimento fino alla conquista del potere, il bagaglio ideologico del Mussolini socialista anticlericale lasciò spazio al progressivo abbandono d’ogni pregiudiziale antireligiosa, fino al completo rovesciamento di posizioni in materia. Mussolini lo esplicitò il 21 giugno 1921, durante il suo primo discorso alla Camera: “La tradizione latina e imperiale di Roma è oggi rappresentata dal cattolicismo. Se… non si resta a Roma senza una idea universale, io penso e affermo che l’unica idea universale che oggi esista a Roma, è quella che s’irradia dal Vaticano”. “Rancoroso e ostile al cattolicesimo” – come notava Jemolo – Mussolini aveva compreso la necessità di renderlo “alleato e … instrumentum regni”, abbinando a tale convinzione l’attacco diretto al Partito popolare di Sturzo, condotto nel tentativo di spaccarlo e di sostituirsi ad esso come interlocutore politico privilegiato della Santa Sede. Il leader fascista intercettava in tal modo gli umori di quei settori del mondo cattolico che – in Vaticano, nell’Azione Cattolica e nel PPI stesso – non condividevano i cardini programmatici del progetto sturziano, dalla forma aconfessionale alla natura dei rapporti con le altre forze politiche e con la Santa Sede stessa, e ritenevano che nei suoi pochi anni di vita il PPI si fosse trasformato da forza d’argine contro la modernità a una forza imbevuta di “pericoloso modernismo morale”.

    Otto mesi dopo l’ascesa al soglio pontificio di Pio XI, all’indomani della marcia su Roma, in San Pietro si nutrivano riguardo al fascismo considerazioni differenti. Da un lato, alla pari del liberalismo e del socialismo, lo si riteneva figlio della modernità e della catena di errori prodotti dalla rivoluzione francese, apostasia frutto della secolarizzazione del mondo moderno. Dall’altro, lo si reputava nemico dei nemici – socialisti, liberali o massoni – e si riteneva che la sua non programmatica professione d’irreligiosità potesse rivelarsi alleata nel progetto di ricristianizzazione della società posto alla base del programma pontificale di papa Ratti. La Santa Sede tanto accolse il primo governo Mussolini con « benevolo riserbo » quanto con prudenza il fascismo, un movimento dedito alla violenza di mestiere, ideologicamente neutro ma con componenti interne in odore di anticlericalismo e massoneria, privo di scrupoli a mescolare simbologie politiche e religiose, teologicamente a rischio per il suo “nazionalismo immoderato”. Alle prudenze di papa Ratti e del segretario di stato Gasparri fecero però da contraltare gli atteggiamenti ben più espliciti di diversi porporati (i cardinali Pompilj e Vannutelli) o del sostituto alla segreteria di stato Pizzardo. Stante l’ufficiale agnosticismo ecclesiastico in materia politica, Pio XI e Gasparri decisero di mettere il governo alla prova, per verificarne la stabilità e il tipo di politica religiosa adottata, vincolando a quest’ultima un giudizio definitivo sul fascismo intero.

    Con Mussolini a capo d’un governo nato da un colpo di stato legittimato dal re, d’una coalizione di forze comprensiva di alleati per lui scomodi come i popolari, costretto a bilanciare le diverse spinte interne al PNF – da un lato i favorevoli a un suo approdo costituzionale, dall’altro i sostenitori della seconda ondata e della fascistizzazione integrale del paese – quelle linee vennero discusse nel corso d’un incontro segreto tra Mussolini e Gasparri nel gennaio 1923. Non ne sortirono trattative concordatarie, ma un nuovo canale ufficioso di contatti (padre Tacchi Venturi) e la prosecuzione della “politica d’attenzioni” già adottata da Mussolini in materia ecclesiastica: si trattò di provvedimenti disorganici, in cui rientrarono gesti simbolici (il crocifisso reintrodotto nelle aule scolastiche), cortesie (il dono della biblioteca Chigiana a quella Vaticana) e disposizioni legislative di varia natura, nel campo dell’istruzione (la riforma Gentile) e dell’edilizia sacra, in materia militare (la reintroduzione dei cappellani militari all’interno delle forze armate) e civile (il riconoscimento in calendario di diverse feste religiose), in campo politico (la lotta contro la massoneria) ed economico (l’aumento della congrua al clero).

    Tuttavia, i provvedimenti di favore varati dal governo viaggiarono di pari passo – come era stato fin dal 1921 – alla violenza con cui, in periferia, i fascisti investirono le parrocchie, le sedi dell’AC, i circoli popolari e le leghe bianche: fu un doppio binario sul quale Mussolini agì spregiudicatamente, ora presentandosi come l’uomo in grado di moderare quelle violenze, ora come l’uomo che non avrebbe fatto nulla per impedirle. Le relazioni giunte a Roma da numerose diocesi di provincia danno un quadro chiaro della morsa che si strinse intorno alle organizzazioni ecclesiali, arma potentissima di ricatto in mano a Mussolini, in particolare durante la vicenda del dimissionamento di Sturzo dalla segreteria del PPI del giugno-luglio 1923, durante il dibattito sul progetto di legge Acerbo.

    Dopo l’approvazione della legge, in vista delle elezioni dell’aprile 1924 la Santa Sede seguì la campagna elettorale ribadendo la sua assoluta professione di apoliticità, da un lato nella certezza d’una vittoria fascista – pena la guerra civile in Italia – dall’altro nella speranza d’una leadership di minoranza da parte dei popolari, a controbilanciare il fascismo vittorioso. Fu un atteggiamento timoroso quanto improduttivo, che non servì a porre al riparo il clero e l’associazionismo cattolico dalla campagna di violenze che caratterizzò il periodo pre e post elettorale. Altrettanto cauta fu la posizione della Santa Sede durante la crisi Matteotti, essenzialmente motivata dal timore che il rovesciamento del governo a seguito del delitto del deputato socialista unitario avrebbe comportato una riaffermazione del fascismo in forma ancor più violenta e radicale. Ugualmente il Vaticano si oppose a un esito potenzialmente rivoluzionario della crisi, sconfessando – tra agosto e settembre del 1924 – per bocca de “La Civiltà Cattolica” e di Pio XI stesso, il progetto di alleanza tra socialisti e popolari proposto da De Gasperi e Turati. Inoltre, di fronte alla possibilità di nuove elezioni, la Santa Sede strinse ancor più i ranghi del clero, ribadendo ai sacerdoti l’ordine d’astenersi da ogni competizione politica, richiedendo al clero e al laicato un impegno esclusivamente religioso e – anche considerando le minacce alla sua vita – facendo allontanare don Sturzo dall’Italia.

    I cardini del progetto ecclesiale di Pio XI – l’abbandono del campo politico a favore di un “arroccamento confessionale”, l’intenzione di permeare la società attraverso l’Azione Cattolica, “pupilla degli occhi” del pontefice, apolitica, confessionale e dipendente dalla gerarchia, la Santa Sede e non i partiti quale protagonista diretta del rapporto con gli stati – come la definitiva liquidazione delle opposizioni e dello stato liberale operata da Mussolini nel 1925-1926 aprirono una nuova fase anche nei rapporti tra chiesa cattolica e governo fascista, sufficientemente forte e stabile per mettere sul tappeto la soluzione della questione romana.

    Una soluzione che il pontefice reputava necessaria per chiudere la ferita aperta dal 1870, ma che avrebbe accettato solo su un piano di parità, non come concessione unilaterale da parte dello stato. Per tali ragioni – come spiegò nella lettera indirizzata a Gasparri il 18 febbraio 1926 – rifiutò le conclusioni della riforma della legislazione ecclesiastica cui era giunta alla fine del 1925, dopo un iter iniziato fin dal 1923, la commissione presieduta da Rocco: “Nessuna conveniente trattativa, nessun legittimo accordo ha avuto luogo né poteva, o potrà luogo avere finché duri la iniqua condizione fatta alla Santa Sede ed al Romano Pontefice”. Mussolini comprese perfettamente la presa di posizione del pontefice, e illustrando a Rocco la necessità di “meditare alquanto sul programma di politica ecclesiastica” lasciò cadere il progetto di riforma per procedere a trattative bilaterali.

    Dall’estate del 1926, quando furono avviate, a quella del 1931, quando si consumò la crisi di Azione Cattolica, il cammino della conciliazione si prolungò tra progressi e interruzioni di trattative che evidenziarono chiaramente come il nodo in questione avesse in realtà riflessi e ricadute molto più ampie rispetto ai soli aspetti diplomatici. I primi contatti passarono dunque attraverso alla frenata imposta dall’attentato a Mussolini del 31 ottobre 1926 e alle susseguenti rappresaglie fasciste, anche contro i cattolici – a loro volta da inquadrarsi nel più vasto mare delle leggi liberticide approntate da Rocco – prima di approdare a un accordo sullo schema del Trattato e passare a discutere di Concordato. Proseguirono a singhiozzo tra il 1927 e il 1928, aggrovigliandosi sul nodo della formazione dei giovani, cioè sul decreto che modificava le norme istitutive dell’Opera Nazionale Balilla e vietava o minacciava l’esistenza degli esploratori cattolici legati all’AC, a cui Pio XI reagì con la sospensione delle trattative, che faticosamente arrivarono a elaborare lo schema di Trattato e Concordato. Fino a che, nel novembre del 1928 il re e il papa incaricano Mussolini e Gasparri di aprire e chiudere le trattative ufficiali, culminate – l’11 febbraio 1929 – nella firma dei Patti Lateranensi.

    Accolta con grande clamore propagandistico, la firma dei Patti non costituì l’inizio di relazioni idilliache, ma di una nuova fase di rapporti che la storiografia ha voluto chiamare “una pace armata”. L’allacciamento di rapporti ufficiali fu dunque segnato da un crescendo di polemiche culminate, il 13 maggio del 1929, nell’aggressivo discorso di Mussolini, pronunciato a conclusione della discussione alla Camera sugli Accordi del Laterano (“nello Stato la Chiesa non è sovrana e non è nemmeno libera”) e della replica del pontefice, consegnata al chirografo indirizzato a Gasparri, fermo sulla linea dell’accordo siglato, stante il rispetto congiunto del Trattato e del Concordato (“simul stabunt oppure simul cadent”), stanti cioè i diritti inalienabili della Santa Sede.

    Le contese – in un quadro generale di buone relazioni – riguardarono soprattutto e ancora una volta la questione dell’educazione della gioventù e il ruolo dell’Azione Cattolica. La crisi del 1931 e la sua ricomposizione mediata da Tacchi Venturi – la “riconciliazione della conciliazione” la chiamò Mussolini – fece cadere le ultime illusioni di Pio XI riguardo alla possibilità d’avere il fascismo al proprio fianco del progetto ierocratico portato avanti dal suo magistero. E proprio nel momento in cui le relazioni con il regime sembravano normalizzarsi, la chiesa imboccava il tornante degli anni Trenta, quello del confronto con il fascismo totalitario e con l’Europa dei totalitarismi trionfanti.

    Fonti e Bibl. essenziale

    R. De Felice, Mussolini, Torino, Einaudi, 1966-1997; L. Ceci, L’interesse superiore. Il Vaticano e l’Italia di Mussolini, Laterza, Roma-Bari 2013; G. De Rosa, Storia del Partito popolare, Laterza, Bari 1958; E. Fattorini, Pio XI, Hitler e Mussolini. La solitudine di un papa, Einaudi, Torino 2007; E. Gentile, Il culto del littorio, Roma-Bari, Laterza 1993; A. Guasco, Cattolici e fascisti. La Santa Sede e la politica italiana all’alba del regime, Il Mulino, Bologna 2013; A.C. Jemolo, Chiesa e stato in Italia negli ultimi cento anni, Einaudi, Torino 1948; F. Margiotta Broglio, Italia e Santa Sede dalla Grande guerra alla Conciliazione. Aspetti politici e giuridici, Laterza, Bari 1966; P. Pecorari, a cura di, Chiesa, Azione Cattolica e fascismo nell’Italia settentrionale durante il pontificato di Pio XI (1922-1939) Atti del V Convegno di storia della Chiesa, (Torreggia 25-27 marzo 1977), Vita e Pensiero, Milano 1979; P. Pennacchini, La Santa Sede e il fascismo in conflitto per l’Azione cattolica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2012; S. Rogari, Santa Sede e fascismo dall’Aventino ai Patti Lateranensi. Con documenti inediti, Forni, Bologna 1977; G. Sale, Popolari, chierici e camerati, 1. Popolari e destra cattolica al tempo di Benedetto XV, Jaca Book, Milano 2006; G. Sale, Popolari, chierici e camerati, 2. Fascismo e Vaticano prima della Conciliazione, Jaca Book, Milano 2007; P. Scoppola, La Chiesa e il fascismo. Documenti e interpretazioni, Laterza, Roma-Bari 1971.


    LEMMARIO