Autore: Giancarlo Rocca
La struttura istituzionale delle congregazioni religiose maschili. Anche per le congregazioni religiose maschili fondate in Italia dopo la rivoluzione francese valse il criterio, sino alla Conditae a Christo del 1900, che esse non erano “religiose” in senso stretto, ma solo pie associazioni di sacerdoti. Ciò era già chiaro – oltre i casi di “istituti secolari” come i Sacerdoti secolari dell’istituto Cavanis, fondati a Venezia nel 1802 o dei “missionari apostolici” come gli Stimmatini, fondati nel 1816 a Verona – al momento dell’approvazione dei Rosminiani, nel 1838. Di fatto, alla domanda se si potevano concedere loro i privilegi come “corporazione religiosa”, la S. C. dei Vescovi e Regolari rispose negando che essi potessero essere considerati “corporazione religiosa”, appoggiandosi sul fatto che essi avevano adottato un loro proprio modo di vivere la povertà religiosa, che lasciava il diritto di proprietà ai singoli religiosi, contrariamente a quanto usato sino alla rivoluzione francese dai religiosi che emettevano voti solenni e quindi rinunciavano a qualsiasi proprietà. E in una stessa linea si pose Giovanni Bosco, fondando nel 1859 a Torino il suo istituto, al quale volle dare il titolo di “Società”, distaccandolo da qualsiasi connotazione religiosa.
Conformemente alle usanze del tempo, anche in Italia alcuni istituti maschili (ad es., Rosminiani e Salesiani) ebbero un parallelo istituto femminile, posto alle dipendenze del superiore generale dell’istituto, ma a questo tipo di struttura si pose fine con la Conditae a Christo del 1900 e con le successive Normae del 1901, che riconoscevano una totale autonomia agli istituti femminili. Ci furono resistenze, perché gli istituti femminili traevano vantaggi da un legame con l’istituto maschile per la loro formazione e le scuole che dirigevano (per il caso salesiano cf Grazia Loparco, L’autonomia delle Figlie di Maria Ausiliatrice…: v. bibl.), e quando don Giacomo Alberione, fondatore nel 1914 della Pia Società di San Paolo e nel 1915 delle Pia Società Figlie di San Paolo, chiese alla S. C. dei Religiosi che il superiore generale dell’istituto maschile fosse anche superiore generale dell’istituto femminili si sentì rispondere che ciò non era più possibile dopo le disposizioni del 1900-1901. Così pure, quando negli anni 1949-1953, adducendo motivi apostolici, egli chiese nuovamente che l’istituto delle Figlie di San Paolo fosse diretto dal superiore generale della Società San Paolo, ricevette ancora una risposta negativa, perché la S. C. dei Religiosi era ormai ferma sulla autonomia di tutti gli istituti femminili.
Un contributo all’ampliamento dei fini delle congregazioni religiose venne offerto dalla Società San Paolo. Di fatto, quando l’istituto si presentò alla S.C. dei Religiosi per ottenerne il nulla osta in vista dell’approvazione diocesana, nel 1921 ricevette una risposta negativa perché l’apostolato della stampa non era ritenuto all’altezza della “congregazione religiosa” ed era preferibile, in quel caso, una semplice associazione di sacerdoti e laici. Fu solo con l’intervento di Pio XI che l’istituto poté essere approvato come congregazione religiosa (Rocca, La formazione della Pia Società San Paolo…: v. bibl.).
Le leggi di soppressione del 1866 e 1873. Come già per gli istituti religiosi femminili, le leggi di soppressioni del 1866, estese poi a Roma nel 1873, non portarono alla scomparsa di alcun istituto. Si continuò, anzi, a fondarne di nuovi, come i Missionari Comboniani nel 1867, i Giuseppini del Murialdo nel 1873, i Giuseppini d’Asti nel 1878, gli Scalabriniani nel 1887, i Saveriani nel 1898, i Piamartini nel 1900, gli Orionini nel 1903, i Poveri Servi di don Calabria nel 1907, i Servi della Carità o Guanelliani nel 1908 sulla scia di altre congregazioni dedite alla cura dei disabili, e tanti altri ancora che preferirono, nella quasi totalità, la struttura di congregazione clericale, riducendosi, quelle laicali, solo a pochi esempi (Fratelli Cottolenghini, Figli dell’Immacolata Concezione ecc.).
Per dare una sistemazione giuridica civile ai loro beni e salvarli da eventuali incameramenti, gli istituti maschili adottarono gli accorgimenti allora abituali. I Rosminiani continuarono a intestare i loro beni ai singoli religiosi, secondo la prassi del voto di povertà da loro instaurata. Il Seminario delle Missioni Estere, di Milano, al contrario, costituì nel 1866 una società privata dalla durata indefinita. I Salesiani, che avevano ormai aperto molte scuole, fondarono diverse società anonime o immobiliari: nel 1908 la “Società Anonima Proprietà Fondiarie”, in questo caso valendosi anche dei suggerimenti di papa Pio X e dandole una struttura pressoché “segreta”, conosciuta solo dal superiore generale dell’istituto e non dai confratelli; nel 1919 a Sampierdarena istituirono la “Società ligure-emiliana di beni immboli”; e a Roma, la “Società per case di educazione e istruzione”. Tanti altri istituti si posero nella stessa scia: i Passionisti fondarono nel 1920 la “Società immobiliare varesina”; i Guanelliani nel 1922 la “Società immobiliare anonima Don Guanella”; i Pavoniani nel 1922 la “Anonima Casa istruzione professionale adolescenti derelitti”; la Società San Paolo nel 1923 la Società anonima per azioni San Paolo; i Saveriani la Società anonima per azioni La Previdente; e ancora i Passionisti la Società Francesco Possenti, fondata nel 1927 a Recanati.
Vi furono anche istituti – ultime espressioni di un fenomeno largamente diffuso alla fine dell’Ottocento, quando molti sacerdoti si erano impegnati nella fondazione e conduzione di istituti di credito – che si impegnarono direttamente nella fondazione di “Piccoli crediti”, come allora si diceva. Gli ultimi esempi sembrano essere stati il Piccolo Credito di Rho, fondato nel 1902 come società anonima cooperativa, di cui fecero parte i Figli dell’Immacolata Concezione o Concezionisti, che avevano una casa a Saronno; e il Piccolo Credito di Alba-Benevello, fondato nel 1922 da don Giacomo Alberione.
Il Concordato del 1929 facilitò la sistemazione giuridica, in campo civile, dei beni degli istituti religiosi. In realtà, l’avvicinamento tra Chiesa e Stato era già avvenuto prima, in almeno tre circostanze. Nella prima, quando lo Stato aveva riconosciuto l’utilità degli istituti religiosi per le sue missioni e già poco dopo il 1890 aveva ottenuto di inviare in Eritrea i Cappuccini italiani per sostituirvi i Lazzaristi francesi, con la conseguenza che di fatto non pochi istituti – solo quelli maschili, a quanto risulta – ottennero il riconoscimento civile dal Governo italiano come missionari, e tra essi anche i Salesiani nel 1924 sotto il titolo di “Istituto salesiano per le missioni”. La seconda circostanza, più politica, era il pericolo socialista, individuato come il comune nemico della Chiesa e dello Stato. La terza, invece, riguardava la prima guerra mondiale quando moltissimi religiosi, al fronte come soldati o come cappellani militari, diedero il loro contributo alla patria.
Lo sviluppo delle congregazioni religiose maschili. Le statistiche mettono chiaramente in luce il crollo numerico dei religiosi in Italia dopo la generale soppressione del 1866 e 1873. In pratica, una ripresa, piuttosto limitata, comincia solo dopo il 1911 (Tabella n. 1).
Popolazione italiana e numero dei religiosi in Italia tra il 1861 e il 1931 | ||||
Numero popolazione | Numero religiosi | Indice popolazione | Indice religiosi | |
1861 | 21.777.334 | 30.632 | 100 | 100 |
1871 | 26.801.154 | 9.163 | 123 | 30 |
1881 | 28.459.628 | 7.191 | 131 | 23 |
1901 | 32.475.253 | 7.792 | 149 | 25 |
1911 | 34.671.377 | 6.644 | 159 | 22 |
1921 | 38.033.000 | 7.309 | 175 | 24 |
1931 | 41.230.047 | 11.907 | 189 | 39 |
Tabella n. 1. Fonte: Tommaso Salvemini, Il clero secolare, i religiosi e le religiose in Italia dal 1881 al 1931 per compartimenti, Spoleto, Arti grafiche Panetto & Petrelli, 1945 (Estratto dagli “Atti della VII Riunione” della Società Italiana di Statistica, Roma, 27-30 giugno 1943).
Se a ciò si aggiunge che nel numero dei religiosi sono compresi anche Benedettini, Cistercensi, Camaldolesi, Francescani delle varie denominazioni, Gesuiti ecc., cioè religiosi che non appartengono alla figura giuridica della “congregazione religiosa”, qui considerata, appare quasi strepitoso lo sviluppo dei Salesiani, che nel 1931 arrivano a essere un terzo di tutti i religiosi italiani (Tabella n. 2).
Popolazione italiana e numero dei SDB tra il 1871 e il 1931 | |||
Popolazione | Numero SDB | Abitanti per un SDB | |
1871 | 26.801.154 | 77* | 348.067 |
1881 | 28.459.628 | 347* | 82.016 |
1901 | 32.475.253 | 857* | 37.894 |
1911 | 34.671.377 | 2.554* | 13.575 |
1921 | 38.033.000 | 2.355* | 16.150 |
1931 | 41.230.047 | 3.595* | 11.469 |
Tabella n. 2. Fonte: Archivio della curia generalizia SDB. I numeri contrassegnati con l’* si riferiscono non agli anni indicati per i censimenti, ma tutti a un anno prima, e quindi: 1870, 1880, 1890, 1910, 1920 e 1930.
L’interesse per l’istituzione salesiana dovette essere notevole anche da parte del Governo italiano, perché quando si discusse a quali istituti religiosi concedere le esenzioni fiscali previste dal Concordato del 1929 ci si rifece ai Salesiani. Se era facile, di fatto, definire quali opere fossero di culto e di religione nel caso di istituti dediti alla predicazione e al ministero pastorale, meno lo era nel caso di quelli che svolgevano attività educative o apparentemente commerciali o che in qualche modo rivestivano una veste commerciale. E per quanto riguarda l’attività educativa, la giurisprudenza considerò enti di culto o di religione le fondazioni destinate all’educazione della gioventù, purché modellate sul tipo di quella fondata da s. Giovanni Bosco, cioè su modello salesiano (Il Consiglio di Stato…: v. bibl.).
La confusa situazione politica dopo la seconda guerra mondiale fece sì che la S. C. dei Religiosi si sentisse in obbligo di esortare religiosi e religiose a partecipare alle elezioni del 1948, e si sa che in quelle circostanze non pochi religiosi non esitarono a rendersi presenti di persona, come oratori, ai comizi elettorali.
Le opere degli istituti. Nella molteplicità di opere svolte dalle congregazioni religiose maschili, con un notevole contributo alla creazione del welfare italiano tramite scuole, orfanotrofi, scuole speciali per sordomuti, oratori, ecc., tre meritano di essere sottolineate.
- a) Le colonie agricole. Nella tipologia della colonia agricola rientravano istituzioni tra loro differenti, come orfanotrofi, istituti di carità, colonie intese come centri in cui convogliare giovani e ragazzi da rieducare e, ovviamente, istituzioni che intendevano la colonia agricola come strumento di rinascita economica, diventando scuole pratiche di agricoltura (Giovanni Gregorini, Le colonie agricole…: bibl.). In questo campo si impegnarono diversi istituti religiosi, dai Giuseppini del Murialdo a Giovanni Piamarta, cui fu affidata la celebre colonia agricola di Remedello Sopra (Brescia); dagli Orionini ai Guanelliani, impegnati nella colonia San Salvatore in Pian di Spagna e poi a Roma nella colonia S. Giuseppe a Monte Mario; ai Salesiani che tra il 1882 e il 1906 ne diressero oltre una decina raggiungendo una notevole fama con don Carlo Baratta che nello sviluppo dell’agricoltura – attuata secondo il programma di Stanislao Solari – vedeva una nuova funzione del clero (Di una nuova missione del clero dinnanzi alla questione sociale, 1895), per giungere a don Giacomo Alberione che, avviando il suo istituto nel 1914, propose, tra l’altro, anche la fondazione di una colonia agricola.
- b) Le scuole professionali. Le congregazioni religiose maschili interessati alla formazione professionale di ragazzi e giovani sono state tante e tra essi vanno annoverate i Pavoniani a Brescia, gli Stimmatini, i Salesiani, i Figli dell’Immacolata Concezione o Concezionisti, i Piamartini, i Frati Bigi, i Fratelli delle Scuole cristiane. In questo quadro certamente i Pavoniani occupano un posto di rilievo con il loro “Istituto S. Barnaba” (con questo nome nel 1821) con le tante specializzazioni di lavoro a favore della gioventù diseredata, tra le quali la più ammirata è la tipografia, che diviene la prima o una delle prime scuole tipografiche italiane. L’interesse qui è notare l’evoluzione di queste scuole. Considerate scuole per ragazzi poveri, orfani e abbandonati, esse avevano inizialmente una preoccupazione soprattutto assistenziale. In questa concezione era naturale che le ore quotidiane di lavoro fossero tante – i ragazzi dovevano in qualche modo provvedere al proprio sostentamento – e poche o pochissime le ore dedicate alla scuola. I Pavoniani, ad es., avevano fissato un tirocinio di ben 9 anni per i loro ragazzi accolti dopo i 10 anni di età, intendendo che il primo triennio fosse tutto a carico dell’istituto; il secondo triennio avrebbe dovuto garantire all’istituto il sostentamento dei ragazzi con il lavoro da essi svolto; il terzo triennio avrebbe costituito un compenso per le spese sostenuto dall’istituto. Ora per questo lungo periodo di formazione essi avevano previsto un orario di lavoro di otto ore quotidiane, rimandando la “scuola” alla domenica. Stessa preponderanza delle ore di lavoro si ritrova all’inizio presso i Salesiani. Poco per volta, la questione mutò e non si tratta solo di imparare un lavoro, ma anche di impartire e ricevere una istruzione. Nasce quindi la questione se queste scuole siano semplicemente dei laboratori-officine per le classi inferiori della società e se non debbono, tenendo conto dell’obbligo di impartire una istruzione, trasformarsi in scuola. La legge del 1902 sul lavoro minorile portò a considerare le scuole professionali come dei laboratori veri e propri, con l’obbligo di fornire dei libretti di lavoro ai loro artigiani. Sarebbe stato lo stravolgimento delle iniziative di religiosi, e per rispondere alle nuove esigenze governative si stabilì una divisione della giornata in quattro ore di lavoro e quattro ore di scuola. Questa particolare struttura portò anche alla edizione di volumi riguardanti il modo di apprendere determinati mestieri (ad es., il tipografo, il calzolaio, il sarto ecc.) e alla figura del maestro coadiutore, maestro d’arti e capo officina nei laboratori e nelle scuole professionali, senza alcun paragone con il fratello converso degli Ordini mendicanti.
- c) Le opere a favore degli emigrati italiani. I Salesiani si impegnarono quasi subito nell’assistenza degli emigrati italiani in Argentina già nel 1875, ma poi anche in Belgio, Francia, Germania, Alessandria d’Egitto e, verso la fine dell’Ottocento, negli USA. Il grande passo, però, fu compiuto con la fondazione, nel 1887, di un istituto tutto dedito agli emigrati, gli Scalabriniani o Missionari di San Carlo. In un momento in cui lo Stato italiano ancora non si occupava esplicitamente del problema, con le loro iniziative gli Scalabriniani e altri istituti religiosi non si occuparono solo dei problemi religiosi, ma accanto alle parrocchie italiane fecero sorgere scuole e servizi di vario genere come assistenza ai porti di imbarco, regolarizzazione di documenti, ricerca di un alloggio e di un lavoro.
Dopo il 1950. Anche per le congregazioni religiose maschili italiane il maggior sviluppo numerico si ebbe attorno al 1960.
Religiosi italiani dopo il 1950 | ||||
Anni | 1966 | 1990 | 2000 | 2010 |
Religiosi | 49.598 | 27.595 | 25.880 | 21.078 |
Tabella n. 3. Fonte. Per il 1966: S. C. dei Religiosi, Ufficio Statistico. Per gli anni successivi: Annuarium Statisticum Ecclesiae, agli anni indicati. Per gli anni 1990-2000-2010 il totale comprende: vescovi, sacerdoti, seminaristi, diacono permanenti, religiosi non sacerdoti e novizi.
Dopo il concilio Vaticano II gli abbandoni furono numerosi: i Salesiani nel periodo 1969-1973 persero circa 750 religiosi; i Fratelli delle scuole cristiane per il solo anno 1970, 11 religiosi; i Comboniani per il periodo 1975-1979, 39 religiosi. E, come nel case delle religiose, le difficoltà hanno portato a un generale impoverimento economico dei religiosi. Dal 1957 i religiosi italiani sono organizzati nella Conferenza Italiana dei Superiori maggiori (CISM), che pubblica la rivista Religiosi in Italia. Complessivamente, le congregazioni religiose clericali contavano in Italia (nel 2008) 5.542 sacerdoti e 1.014 fratelli laici, di cui oltre 4.000 superavano i 60 anni. La congregazione clericale con il maggior numero di membri era quella dei Salesiani, con circa 2.400 religiosi. Le congregazioni religiose laicali, invece, contavano (nel 2008) 48 sacerdoti e 441 fratelli, di cui oltre 200 avevano oltre 60 anni di età. La congregazione laicale con il maggior numero di membri in Italia era quella dei Fratelli delle Scuole cristiane, di origine francese, con circa 220.
Fonti e Bibl. essenziale
G. Rocca, La storiografia italiana sulla congregazione religiosa, in Religiose, religiosi, economia e società nell’Italia contemporanea, a cura di G. Gregorini, Milano 2008, 29-101. Alla sintesi di D. Gabusi, Metamorfosi della vita religiosa: frati e clero regolare, in Cristiani d’Italia. Chiese, società, Stato, 1861-2011, a cura di A. Melloni, II, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2011, 975-986, aggiungere: Ministero dell’Interno, Archivio Storico del Fondo Edifici di Culto, I, Le corporazioni religiose (1855-1977), a cura di C. Iuozzo, Roma, Palombi Editore, 2013. G. Loparco, L’autonomia delle Figlie di Maria Ausiliatrice nel quadro delle nuove disposizioni canoniche, in F. Motto, ed., Don Michele Rua nella storia (Istituto Storico Salesiano – Studi 27), Roma, LAS, 2011, 409-444. G. Rocca, La formazione della Pia Società San Paolo (1914-1927). Appunti e documenti per una storia, in Claretianum 31-32 (1981-1982), 475-690; come estratto: Roma 1992. Per il Consiglio di Stato e il modello salesiano: Il Consiglio di Stato nel sessennio 1941-1946, II, Roma 1949, 99; G. Catalano, Sulla equiparazione agli effetti tributari del “fine di culto o di religione” con i fini di beneficenza e istruzione, in Il diritto ecclesiastico 63 (1952), 268-341. Per il contributo al benessere della società italiana: G. Rocca – T. Vecchiato, edd., Per carità e giustizia. Il contributo degli istituti religiosi alla costruzione del welfare italiano, Padova, Fondazione “Emanuela Zancan”, 2011, in particolare lo studio di G. Gregorini, Le colonie agricole, 142-158, e di V. Rosato, Il contributo degli istituti religiosi a sostegno dell’emigrazione umana, 296-315.