Azione Cattolica – vol. II

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    Autore: Guido Formigoni

    Associazione ecclesiale di laici, strettamente legata alla gerarchia, sviluppatasi nel sec. XX sul tronco del “movimento cattolico” ottocentesco. Il concetto generico di “azione cattolica”, già nell’800, coincideva con l’insieme delle esperienze organizzate di associazionismo (v.) che il cattolicesimo intransigente aveva messo in atto per rispondere alla secolarizzazione e alla modernità, utilizzando i nuovi spazi creati dalle libertà moderne. In questo orizzonte, alcune esperienze avevano esplicita finalità formativa, spirituale e religiosa, come la Società della Gioventù Cattolica Italiana (Sgci), promossa nel 1868 da due animatori di circoli cattolici cittadini: il viterbese Mario Fani e il bolognese Giovanni Acquaderni. Tali giovani si dichiaravano “cattolici di professione”, intendendo alludere a un’intenzione di acquisizione personale e approfondita della fede, espressa anche in una testimonianza pubblica.

    Dopo qualche difficoltà iniziale, attorno alla Sgci nel 1874, con la benedizione di Pio IX, prese forma l’Opera dei congressi e dei comitati cattolici (v. associazionismo cattolico). Dalla scelta di Pio X di sciogliere l’Opera nacque una prima specializzazione nelle forme dell’apostolato laicale, con la formazione nel 1905 di un’Unione popolare (Up), più attenta alla mobilitazione religiosa e morale, e di altri organismi distinti, dedicati a coordinare la presenza sociale e persino elettorale dei cattolici. A livello diocesano, una Direzione diocesana dell’Ac si proponeva di coordinare le diverse organizzazioni, con un modello esteso nel 1915 a livello nazionale. L’Up però stentò a crescere. Fu invece papa Pio XI (1922-1939) a istituzionalizzare l’Azione Cattolica come massima forma di “partecipazione dei laici all’apostolato gerarchico della Chiesa”, in virtù di un vero e proprio “mandato” ecclesiastico. In conseguenza di tale impostazione, si consolidò lo schema tipico dell’Azione Cattolica italiana, sigla ufficializzata con la riforma statutaria del 1923. Radicata capillarmente nelle parrocchie, si costruiva su quattro “rami” nazionali, cioè associazioni distinte per genere ed età (Gioventù femminile di Ac, Gf e Unione donne di Azione cattolica; Gioventù italiana di Ac, Giac, erede della Sgci, e Unione Uomini di Ac). A ogni livello, dal parrocchiale al nazionale, esistevano “giunte” di coordinamento tra i rami, presiedute da una figura unitaria. I dirigenti erano di nomina ecclesiastica, andando oltre le forme democratiche delle origini. Questa Ac prese caratteri di massa, arrivando nel secondo dopoguerra a 3.500.000 aderenti. Era il miglior simbolo di una risposta ecclesiale alle dinamiche e alle regole della mobilitazione delle masse, tipiche della società successiva alla prima guerra mondiale. Intendendo preservare e mobilitare i cattolici attorno alla Chiesa-istituzione, questo modello acquisiva al contempo forme di esperienza centralizzate e standardizzate, tipiche dei tempi moderni. Ai quattro “rami” si aggiunsero federativamente organismi specializzati per studenti universitari (la Fuci, già nata alla fine dell’800) e per Laureati e professionisti.

    Nel ventennio fascista, tale struttura fu una delle poche realtà associate autonome dal regime (la Santa Sede volle tutelarla con il Concordato del 1929): anche se prevalentemente acquiescente allo stato di cose politiche, poté elaborare una formazione morale e religiosa “totalitaria” (l’espressione è di papa Ratti stesso) senz’altro autonoma dall’ideologia fascista. Si è parlato di “afascismo” per definire tale impostazione. Nel dopoguerra, con Pio XII, il modello venne rilanciato e il clima della democrazia condusse tale formazione morale e religiosa ad avere diversi sbocchi possibili: per alcuni dirigenti, si trattava di animare attraverso forme di partecipazione democratiche partitiche distinte dall’Ac le nuove istituzioni costituzionali; per altri, di mobilitarsi come forma di pressione permanente per affermare gli interessi cattolici (anche condizionando i governi a guida democristiana e prendendo forti posizioni nel dibattito civile). La costituzione di Comitati civici nel 1948, a fianco dell’Ac, ad opera del presidente degli Uomini, Luigi Gedda, fu l’avvio di una prevalenza progressiva del secondo modello, che ebbe occasione di svilupparsi nella presidenza nazionale dello stesso Gedda, dal 1952 al 1959.

    Dopo il Vati­cano II, con la rivalutazione del carisma battesimale e della vocazione all’apostolato e alla santità di ogni cristiano, l’Azione Cattolica di massa consegnata dalla tradizione ha conosciuto un’indubbia crisi. La diaspora degli aderenti fu forte, ma l’associazione, con la presidenza di Vittorio Bachelet (affiancato dall’assistente mons. Franco Costa) si ricollocò nella linea prevista dal decreto AA (n. 20). La cosiddetta “scelta religiosa”, istituzionalizzata con un nuovo Statuto nel 1969, puntava a una concentrazione sull’essenziale, prendendo le distanze dall’ipotesi di condizionare la politica, e trovando la propria specifica collocazione ecclesiale, meno esclusiva che in passato, in una cooperazione stretta con i pastori al servizio della vita pastorale ordinaria delle comunità cristiane. In questa veste, l’Ac fu un importante tramite per la recezione capillare dell’impostazione conciliare, mirata a realizzare il primato dell’evangelizzazione in una prospettiva comunitaria, con la centralità della Parola e della liturgia. Non a caso l’espressione “scelta religiosa” venne in seguito utilizzata per delineare una strategia pastorale di tutta la Chiesa italiana. Scesa attorno a 600.000 aderenti negli anni ‘70, l’Ac ha continuato a essere, nei decenni successivi, una delle più cospicue e radicate associazioni laicali nella Chiesa.

    Fonti e Bibl. essenziale

    M. Casella, L’Azione cattolica nell’Italia contemporanea (1919-1969), Ave, Roma 1992; G. Formigoni, L’Azione cattolica italiana, Ancora, Milano 1988; E. Preziosi (a cura di), Storia dell’Azione cattolica. La presenza nella Chiesa e nella società italiana, Rubbettino, Soveria Mannelli 2008.


    LEMMARIO