Paganesimo – vol. II

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    Autore: Angelo G. Dibisceglia

    Con la libertà religiosa introdotta dalla Rivoluzione Francese, l’antico concetto di paganesimo – fino a quel momento utilizzato per indicare forme religiose altre ed estranee rispetto al cristianesimo ufficiale, oppure espressioni di religiosità popolare identificate con proiezioni magiche e, per questo, ritenute poco ortodosse dalla religione ufficiale – assunse un inedito significato. Se fino alla fine del XVIII secolo, la tradizionale alleanza fra trono e altare aveva rappresentato l’unica condizione in grado di assicurare al cristianesimo di Roma di vivere influente e libero da ogni persecuzione e, quindi, di compiere la sua missione evangelizzatrice, il secolo dell’Illuminismo – di fatto – favorì lo sgretolamento di quel rapporto, determinando la secolarizzazione dello Stato e, con essa, la nascita della laicità che, nei confronti della Chiesa, attraverso una riduzione degli spazi gestiti fino a quel momento dal cattolicesimo, assunse il volto della libertà religiosa. A partire da quel momento, la Chiesa non doveva più soltanto fare i conti con i movimenti religiosi alternativi alla fede cristiana e il paganesimo non era più soltanto ciò che si contrapponeva alla Chiesa, ma cominciò a simboleggiare – anche – l’insieme dei fenomeni che, strumentalizzando la Chiesa, avrebbero mirato al raggiungimento dei propri obiettivi. In quel contesto, un ventaglio più ampio offriva percorsi di salvezza, in alcuni casi paralleli a quelli proposti dalla Chiesa cattolica, in altri opposti alla fede di Roma.

    In alcuni Paesi europei quei processi, a partire dalla metà del XIX secolo, con la pubblicazione nel 1848 del Manifesto del Partito Comunista di Carlo Marx e Federico Engels, assunsero il volto del socialismo la cui diffusione sfociò, in breve, nella lotta di classe. In Italia, la definitiva affermazione della politica liberale sancita dal principio cavouriano di una “libera Chiesa in libero Stato”, nonché la velata diffusione delle logge massoniche, definirono ulteriormente l’estraneità della Chiesa cattolica da una società caratterizzata da notevoli progressi umani, ma anche e soprattutto da profondi turbamenti sociali. Il processo di laicità e di liberalizzazione innescato dalla rivoluzione francese e sancito dalla rivoluzione industriale diventava, quindi, un ineludibile percorso in grado di guidare la società verso ambiti sempre più estranei – perchè lontani – alla Chiesa. Di fronte a quella situazione, la Chiesa subì un senso di emarginazione, affidandosi in un primo tempo all’arma della condanna con la pubblicazione del Sillabo nel 1864, in una fase successiva al proporre una via alternativa alla lotta di classe con la pubblicazione della Rerum novarum di Leone XIII nel 1891.

    I primi anni del Novecento registrarono il diffondersi del modernismo, che minò alla base l’infallibilità del pontefice, e della conseguente “guerra al prete”, ufficialmente condannato il 3 luglio 1907 con il decreto Lamentabili del Sant’Uffizio e, di lì a poco, con l’enciclica Pascendi (8 settembre 1907). Nuove forme di paganesimo si svilupparono in Italia in concomitanza con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, quando il conflitto generò la “sacralizzazione della guerra”, impegnando vescovi e clero – animati da spirito nazionalistico su diversi fronti – a benedire truppe e armi. Anche il primo dopoguerra registrò fenomeni pagani come l’accentuarsi dei particolarismi e degli egoismi nazionali, la sopraffazione dei vinti, la mancanza di qualsiasi solidarietà fra le nazioni, favorendo la nascita di miti – come la “vittoria mutilata” in Italia – che, nonostante tutto, continuarono a seminare odio. Quei miti non solo rafforzarono il nazionalismo, ma lo resero irrazionale, favorendo l’esigenza di un totalitarismo che, in una società scristianizzata, rappresentò il tentativo di colmare il vuoto causato dalla mancanza di valori assoluti. Fu la sacralizzazione della politica che, come valore assoluto ed unico, annullò qualsiasi libertà, anche quella di pensiero.

    Nacquero e si svilupparono da quelle premesse, nelle nazioni dove più debole fu il senso della democrazia, i regimi totalitari: Mussolini in Italia, Salazar in Portogallo, Franco in Spagna, Hitler in Germania. Sistemi di vita che individuarono nella religione uno dei punti di appoggio per la propria affermazione ma che, alla fine, non si lasciarono cristianizzare. Quei sistemi, nel tentativo di assolutizzare la politica, cercarono di sostituirsi all’esperienza religiosa, tentando di confinare la religione in un ambito secondario della società italiana. In quelle stesse nazioni, la Chiesa cattolica svolse un ruolo da protagonista, se non proprio primario. In quegli stessi anni, infatti, si passò da una fase di dialogo fra Stato e Chiesa a delle importanti concessioni ricevute dalla Chiesa cattolica. Fu l’epoca dei concordati che non significarono soltanto riconoscimento di un ruolo, ma talvolta rappresentarono un vero ricatto e una sofferta e silenziosa strumentalizzazione.

    Dopo la Seconda Guerra Mondiale – e la condanna di papa Pio XI quasi simultanea dei totalitarismi nazista pagano (enciclica Mit brennender Sorge – 1937) e comunismo ateo (Divini Redemptoris – 1937) – la Chiesa di Pio XII dimostrò che la democrazia non era più percepita semplicemente come un sistema di governo tra gli altri, ma piuttosto come un sistema di valori conforme ai postulati della legge naturale e – per tale ragione – in perfetta consonanza con lo spirito del Vangelo. Furono i principi ispiratori dell’impegno dei cattolici nell’Italia del secondo dopoguerra, quando la Chiesa, attraverso la Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi e la scomunica dei comunisti decretata nel luglio 1949, riconquistò il monopolio per la cristianizzazione della società. In quel contesto, papa Pio XII ribadì la posizione equidistante della Chiesa dagli schieramenti che, nel clima della Guerra Fredda, stavano regolando l’assetto della geopolitica internazionale, e richiamò l’autorità ecclesiale – in quanto realtà “sovranazionale” – a contribuire alla realizzazione di un nuovo modello di società, diversa al comunismo di origine sovietica e dal capitalismo di matrice americana.

    Di fronte alla inedita diffusione dei processi di secolarizzazione – come il pericolo di una nuova propaganda protestante frutto della presenza alleata in Italia durante il più recente conflitto – e gli effetti di una società ormai caratterizzata dagli effetti del boom economico, gli strumenti a disposizione della Chiesa per individuare e dare risposte mostrarono la loro inadeguatezza. Erano i primi segni di un paganesimo che ritornava sotto le allettanti prospettive del progresso. In Italia non mancarono i timori dell’avvento di un società senza Dio determinata e affrettata anche dalla disattenzione e dalla negligenza degli stessi credenti. In quegli anni, auspicando un profondo rinnovamento morale della nazione, la Chiesa italiana richiamò il Paese a una unità duratura e affermò la propria prerogativa a intervenire per la determinazione, secondo un progetto di matrice pacelliana, di una società fondata sui principi della “restaurazione cristiana”. In quel contesto fu l’episcopato a farsi promotore di una concezione della quotidianità basata sulla diffusione di corretti costumi cristiani, sul ritorno alla moralità della esistenza degli individui, sulla cura della gioventù e su un corretto uso dei mezzi di comunicazione. Era il progetto verso la cui realizzazione la Chiesa in Italia aveva puntato fin dalla fine del secondo conflitto mondiale, ispirato dalla figura e dal magistero di Pio XII. In quel clima fu chiaro che la contemporaneità esigeva un approccio diverso alle diverse problematiche prospettate da una società diversa perché nuova. Era necessaria una fase di aggiornamento, assicurata dalle conclusioni del Concilio Vaticano II.

    La mondializzazione registrata a più livelli – sviluppo economico, demografico, sociale – tra gli Anni Sessanta e Settanta impose una ridefinizione dell’atteggiamento della Chiesa nei confronti delle diverse forme di modernizzazione. In quel contesto si svilupparono nuove forme di secolarizzazione che, conseguenza dei nuovi stili di vita introdotti dal benessere sociale, finirono per innescare forme di neopaganesimo, all’interno delle quali, ancora oggi, secolarismo, scristianizzazione e relativismo continuano a impegnare l’etica e la morale cattolica.

    Fonti e Bibl. essenziale

    A. Acerbi, La Chiesa nel tempo. Sguardi sui progetti di relazioni tra Chiesa e società civile negli ultimi cento anni, Vita e Pensiero, Milano 1979; G. De Rosa, Vescovi, popolo e magia nel Sud. Ricerche di storia socio-religiosa dal XVII al XIX secolo, Guida Editore, Napoli 1983; G. Fiocco, L’Italia prima del miracolo economico. L’inchiesta parlamentare sulla miseria, 1951-1954; P. Lacaita Editore, Manduria-Bari-Roma 2004; A. Giovagnoli, La cultura democristiana. Tra Chiesa cattolica e identità italiana 1918-1948, Editori Laterza, Roma-Bari 1991; F. Malgeri, La stagione del centrismo. Politica e società nell’Italia del secondo dopoguerra (1945-1960), Rubbettino, Soveria Mannelli 2002; A. Riccardi, Intransigenza e modernità. La Chiesa Cattolica verso il terzo millennio, Editori Laterza, Roma-Bari, 1996; F. Traniello, Religione cattolica e Stato nazionale. Dal Risorgimento al secondo dopoguerra, Il Mulino, Bologna 2007.


    LEMMARIO