Cattolici di rito orientale – vol. II

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    Autore: Giovanni Coco

    Italo-greci. L’avvento del Regno d’Italia segnò il declino delle residue e languenti comunità italo-greche. Mentre a Livorno ebbe inizio un processo di definitiva latinizzazione, gli ortodossi di Napoli, avvalendosi delle nuove opportunità offerte dall’estensione dello Statuto Albertino, si appropriarono della chiesa italo-greca dei SS. Pietro e Paolo, spodestandone il parroco (1865); ne seguì una lunga vertenza ma, nonostante tutti gli sforzi, la chiesa da quel momento divenne sede della parrocchia greco-ortodossa. Nel tentativo di emulare quanto accaduto citra Pharum, anche gli ortodossi di Messina, approfittando delle leggi eversive che avevano posto fine all’asse ecclesiastico dell’Archimandritato del SS.mo Salvatore (1866), che tra l’altro era sede vacante dal 1839, impugnarono il diritto di proprietà della chiesa di S. Maria del Grafeo, ma la comunità italo-greca, più saldamente costituita, riuscì ad opporsi con successo; inoltre, per consolidare la posizione della parrocchia cattolica, nel 1883 Leone XIII unì aeque principaliter la secolare istituzione dell’Archimandritato all’Archidiocesi di Messina. Tuttavia questi sforzi vennero vanificati dal disastroso terremoto del 1908 che distrusse la chiesa parrocchiale, sotto le cui macerie perì il parroco Daniele Stassi. La ricostruzione trascurò gli italo-greci che, rimasti privi di luogo di culto, si dispersero nella diocesi di rito latino; solo nel 1997 l’arcivescovo di Messina, Ignazio Cannavò, ha provveduto a ripristinare la parrocchia italo-greca di S. Maria del Grafeo, dotandola nel 1999 di un nuovo parroco (Antonio Cucinotta), ma per le celebrazioni la comunità si appoggia tuttora alla parrocchia latina di Santa Maria dei Miracoli.

    Un moto in controtendenza si è rilevato solo a Roma dove, presso la chiesa di S. Atanasio del Pontificio Collegio Greco, a partire dagli anni ’20 si è costituita spontaneamente una piccola comunità di fedeli, di origine levantina o italiani simpatizzanti del rito bizantino che, pur non costituendo un’entità parrocchiale, assiste regolarmente alla Divina Liturgia domenicale in lingua greca.

    Il monachesimo basiliano. L’impatto con la nuova realtà politica e sociale fu ancora più devastante per il monachesimo basiliano. La Congregazione Basiliana d’Italia, che nel 1861 risultava composta solo dai monasteri siciliani e da quello di Grottaferrata (Roma), aveva cominciato una difficile e tormentata riforma interna, che avrebbe dovuto finalmente garantire ordine e stabilità alle residue comunità monastiche, ma l’estensione delle leggi eversive a tutto il territorio nazionale (1866) portò alla soppressione dei monasteri di Sicilia, riducendo l’intera Congregazione al solo cenobio criptense; davanti a tale prospettiva i monaci siciliani preferirono la via dell’incardinazione nelle diocesi dell’isola, e i pur lodevoli tentativi di costituire nuove comunità locali fallirono per il mancato sostegno da parte di Roma, decretando in tal modo la fine del monachesimo italo-greco di Sicilia. Nel contempo, nella superstite Badia di Grottaferrata, dichiarata dallo Stato Italiano “monumento nazionale” e scampata alla soppressione grazie alla nomina di alcuni monaci a suoi custodi (1874), già dal 1870 era cominciata anche un’ardua riforma rituale che avrebbe dovuto riportare i basiliani all’osservanza del rito greco puro (costantinopolitano); contestata dall’abate Nicola Contieri e da larga parte dei monaci che – come i confratelli siciliani – erano diffidenti verso quelle novità, la riforma fu voluta da Pio IX e ancora più fortemente da Leone XIII, che intendeva trasformare Grottaferrata in un centro di irradiazione dell’unionismo cattolico in Oriente. Allontanato l’ostile Contieri (1877), venne nominato in sua vece l’erudito Giuseppe Cozza-Luzzi (1879), deciso fautore del rito greco puro, reintrodotto ufficialmente nel 1881, ma tale successo fu vanificato dalle forti contestazioni dei confratelli, che nel capitolo del 1882 gli preferirono come successore Arsenio Pellegrini, partigiano dei refrattari. Nella sua nuova posizione l’abate Pellegrini si prodigò con determinazione affinché la comunità monastica accettasse la contestata riforma, che venne definitivamente accolta negli anni del suo lungo ed energico governo, un successo che gli valse il personale favore di Leone XIII. Tuttavia, il ripristino del rito greco puro non portò automaticamente il cenobio criptense ad assumere quel ruolo di punta nell’unionismo leonino, sia per la mancanza di nuove vocazioni, sia per la marginalità del cenobio, di storica grandezza ma di fatto isolato nell’orbe cattolico. Per ovviare a tali difficoltà i monaci si rivolsero alle comunità italo-albanesi dell’Italia meridionale, da dove giunsero nuove vocazioni e nuova linfa per la vita dell’ordine. Nel 1920 i basiliani riaprirono il monastero siciliano di Mezzojuso, e fondarono i nuovi cenobi di San Basile in Calabria (1932) e di Piana degli Albanesi in Sicilia (1949); inoltre, durante il governo dell’abate Isidoro Croce (1930-1960), la Badia di Grottaferrata fu elevata al rango di abbatia nullius (1937), e una missione basiliana venne aperta in Albania (1939-1946). Tuttavia, a partire dagli anni ’70-’80, si sarebbe segnalato un nuovo periodo di stagnazione, conseguenza della mancanza vocazioni sia dalle comunità italo-albanesi che dal retroterra “italiano, che avrebbe prodotto lo spopolamento attuale degli altri tre monasteri periferici.

    Gli italo-albanesi. Le conseguenze del Risorgimento si fecero percepire anche nel risveglio della coscienza «nazionale» delle comunità italo-albanesi di Calabria e Sicilia, cattoliche di rito bizantino, da secoli identificate equivocamente come «greche»; questo sentimento ben presto rinforzò l’antica richiesta di avere finalmente diocesi e vescovi ordinari del proprio rito per non sottostare più alla giurisdizione dei locali vescovi “latini”, ponendo fine ad una forzata e subalterna convivenza che, in ossequio alla preastantia romani ritus, era stata spesso costellata da equivoci ed incomprensioni. Questo sentimento, cresciuto negli anni dell’unionismo leonino, si fece sentire più forte nei primi decenni del ‘900 ed ottenne il suo primo tangibile risultato nel 1919, allorquando Benedetto XV istituì l’eparchia greco-albanese di Lungro in Calabria, a cui sarebbero state aggregate le reisidue parrocchie greche di Lecce e Villa Badessa (Pescara), e nel contempo veniva nominato il suo primo ordinario, mons. Giovanni Mele. La positiva esperienza dei confratelli di Lungro indusse i siculo-albanesi ad insistere con maggiore forza nel perseguire il medesimo risultato, al quale tuttavia si opponeva la diversa distribuzione territoriale delle parrocchie: mentre infatti in Calabria i paesi e le parrocchie albanesi erano compatti e reciprocamente confinanti, in Sicilia le parrocchie greche erano disperse su un territorio più vasto, erano frammiste a quelle latine e, in più di un caso, nello stesso luogo coesistevano greci e latini. Tali ostacoli vennero superati per diretto intervento di Pio XI e del cardinale Eugène Tisserant, segretario della Congregazione Orientale, che vollero trasformare il caso dei siculo-albanesi in un manifesto programmatico dell’unionismo cattolico: nel 1937 venne eretta l’eparchia di Piana dei Greci (poi detta degli Albanesi), con co-cattedrale a Palermo (S. Nicolò dei Greci alla Maratorna), al cui ordinario greco sarebbero state sottomesse sia le parrocchie greche che quelle latine di Piana, S. Cristina Gela, Mezzojuso, Contessa Entellina e Palazzo Adriano. Inoltre, per ovviare alle proteste dei fedeli latini, come ordinario pro tempore fu nominato l’arcivescovo di Palermo, a cui venne affiancato un ausiliare di rito greco nella persona di papás Giuseppe Perniciaro, creato vescovo titolare d’Arbano, che solo nel 1967 avrebbe assunto la guida diretta dell’eparchia. Da quel momento il vescovo greco sarebbe stato l’unico ordinario per i due riti, perpetuando sotto diversa luce una convivenza che non ha cancellato diversi aspetti del suo antico retaggio.

    Altre comunità. Oltre alla storica presenza armena a Venezia testimoniata dal cenobio mechitarista di San Lazzaro (1717), la cui preziosa funzione continua al presente, la prima significativa comunità cattolica “allogena” comparve sul territorio nazionale negli anni tra le due guerre, come conseguenza del moto di emigrazione dovuto alla Rivoluzione russa. Costituitasi a Roma e formata in gran parte da elementi convertitisi a condizione di mantenere il rito bizantino, la comunità russo-cattolica ebbe il suo baricentro nella chiesa di Sant’Antonio Abate all’Esquilino (1928) che, ricostruita nel 1932, sarebbe stata anche la chiesa del Pontificio Collegio Russicum, retto dai padri gesuiti di rito slavo. Più avanti fu la presenza a Roma del cardinale ucraino Josif Slipyj (1963), esule dopo anni di dura prigionia nei Gulag sovietici, a stimolare il costituirsi di un piccolo nucleo greco-cattolico con sede nella cattedrale di Santa Sofia alla Boccea, che negli anni ’90 sarebbe divenuto un centro di attrazione per il sempre crescente flusso dell’immigrazione ucraina.

    Fonti e Bibl. essenziale

    G. Coco, Pio XI e l’Unità dei Cristiani: le Chiese d’Oriente in «La sollecitudine ecclesiale di Pio XI», a cura di C. Semeraro, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2010, 260-312; D. Como, L’Eparchia di Piana degli Albanesi, Palermo 1981; G.M. Croce, La Badia greca di Grottaferrata e la rivista “Roma e l’Oriente”: Cattolicesimo e Ortodossia fra Unionismo ed Ecumenismo, 1799-1923, II voll., Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1990; E. Fortino, La Chiesa bizantina albanese in Calabria: tensioni e comunione, Bios, Cosenza 1994; E. Fortino, S. Atanasio: la liturgia greca a Roma, Roma 1970; Ines Murzaku, Returning Home to Rome. The Basilian Monks of Grottaferrata in Albania, Monastero di Grottaferrata, Grottaferrata 2009; J. Pelikan, Confessor between East & West: a portrait of Ukrainian Cardinal Josyf Slipyj, William B. Eerdmans, Grand Rapids 1990; C. Simon, Russicum: pioneers and witnesses of the struggle for Christian Unity in Eastern Europe, II voll., Opere religiose russe, Roma, 2001-2002.


    LEMMARIO