Collegi – vol. I

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    Autore: Raffaele Savigni

    I collegi universitari, nati come istituzioni sussidiarie dell’Università, rappresentano un’istituzione tipicamente rinascimentale e moderna. Nel Medioevo essi avevano svolto un ruolo piuttosto marginale, ospitando una minoranza di studenti (non più del 10-20 %). Il primo collegio documentato è quello fondato nel 1180 presso l’Hôtel-Dieu di Parigi, per studenti poveri, da un pellegrino inglese di ritorno dalla Terrasanta; a metà del ʼ200 il fenomeno si intensificò con la fondazione della “Maison de Sorbonne”, dotata di una ricca biblioteca ed ispirata al modello monastico, e di altri internati. Nei Paesi mediterranei i collegi non comparvero prima della metà del Trecento: a Bologna, grazie al lascito testamentario del cardinale Egidio Albornoz (1310-1367), sorse il collegio di S. Clemente, poi denominato Collegio di Spagna in quanto destinato ad ospitare una trentina di studenti spagnoli, scelti tra le famiglie nobili al fine di creare la classe dirigente della nazione. Il rettore era eletto a scrutinio segreto dagli studenti residenti, e successivamente confermato dal vescovo bolognese (più tardi dal governo iberico). I discenti erano tenuti ad una disciplina molto rigida: presenziare ai pasti, rientrare a sera, non accogliere donne. Dotato di una ricca biblioteca (la più antica biblioteca di collegio giunta sino a noi), il collegio di Spagna costituì un modello per altri collegi spagnoli, come quello dell’Università di Salamanca (1401).

    A Bologna furono inoltre fondati i collegi Avignonese, Urbaniano e Gregoriano, e più tardi i collegi Ungaro-illirico (1553), e il collegio Montalto per studenti marchigiani (1586). I collegi universitari, spesso strettamente legati al mondo ecclesiastico, offrivano la possibilità di usufruire di borse di studio, di maestri e ripetitori interni, di ricche biblioteche. A partire dal ʼ400 essi accolsero una parte cospicua dei corsi e delle cerimonie universitarie, ospitando, accanto ai borsisti, studenti a pagamento, quindi di estrazione sociale elevata

    Per integrare l’attività didattica dello Studium Urbis sorsero anche a Roma, nel ʼ400 (dopo precedenti tentativi), alcuni collegi studenteschi. Il cardinale Domenico Capranica (1400-1458) fondò nel 1457 l’omonimo Collegio (tuttora attivo come vivaio di ecclesiastici spesso approdati all’episcopato), per offrire la possibilità di una adeguata formazione al sacerdozio ai giovani meno abbienti della città di Roma. Esso fornì il modello di riferimento per la redazione degli statuti del Collegio Nardini, fondato pochi anni più tardi dal card. Stefano Nardini per formare teologi e canonisti, ma destinato a minore fortuna, in quanto la sua parabola si concluse intorno alla metà del ’700.

    L’istituzionalizzazione di luoghi di formazione dell’élite di governo ecclesiastica e civile, come i Seminari ed i collegi destinati a specifici ceti e corpi sociali (i nobili, gli ecclesiastici, i militari), si accentuò in connessione col processo di disciplinamento sociale che caratterizza l’età della Riforma cattolica, e più in generale la prima età moderna. Tra i collegi ecclesiastici si segnalano quelli dei Gesuiti, il cui metodo d’insegnamento si ispirava a quello in uso alla Sorbona di Parigi, ma a poco a poco fu elaborata una Ratio studiorum, ossia un curriculum di studi tipicamente gesuitico, approvato, dopo alcuni tentativi e sperimentazioni, nel 1599. Nei collegi dei gesuiti si dava grande rilievo alla sistematicità e gradualità dell’apprendimento, alla memorizzazione, allo studio del latino e del greco, all’emulazione tra gli studenti; furono valorizzate le gare, le dispute, la recitazione ed il teatro.

    Infine, la Compagnia prese a cuore la formazione del clero nei seminari da essa diretti, dando importanza alla formazione sia intellettuale (filosofica e teologica), sia spirituale, mediante la predicazione di Esercizi Spirituali e la pratica della direzione spirituale. Nel 1544 Francesco Borgia, che aveva già contribuito alla nascita del collegio di Valencia, ottenne da Paolo III il permesso di fondare un collegio a Gandía: fu il primo collegio in cui i gesuiti impartivano anche l’insegnamento e dove erano ammessi anche studenti non destinati a entrare nella Compagnia. Venne quindi fondato un collegio a Messina, che avrebbe dovuto porre rimedio alla diffusa ignoranza nel clero, e successivamente anche a Palermo, Napoli, Venezia, Bologna; il 22 febbraio 1551, con il sostegno economico del duca di Gandía, venne aperto il Collegio Romano. I collegi gesuitici aumentarono notevolmente di numero, da 160 (1580) a ben 444 (1626), raccogliendo soprattutto esponenti delle classi dirigenti, per quanto la gratuità ne garantisse in teoria l’accesso anche ai meno abbienti. Nel corso del ʼ600 ad essi si affiancarono convitti a pagamento per i nobili, che offrivano ai rampolli delle famiglie aristocratiche una solida istruzione classica ed altri insegnamenti (come scherma, equitazione, musica, danza, lingue straniere) utili a persone destinate a svolgere funzioni di governo e ad inserirsi nella vita di corte. Nei seminari dei nobili, oltre che nei collegi gesuitici, furono adottati testi come i trattati Del bene (1644) e Trattato dello stile e del dialogo di P. Sforza Pallavicino; e mediante il teatro veniva valorizzata la componente emotiva degli allievi.

    Il Collegio senese dei Gesuiti, aperto nel 1676 da Celso Tolomei e strutturato sul modello dei seminaria nobilium (istituiti nel ducato di Parma e Piacenza all’inizio del ʼ600 con l’appoggio dei principi Farnese), ospitava chierici indirizzati al sacerdozio ma anche convittori esterni spesso provenienti dagli alti ranghi del patriziato cittadino; ed anche i collegi di Brera e di Milano forniscono un esempio di integrazione tra spiritualità gesuitica ed istanze della nobiltà, alla quale erano destinati manuali di “buone maniere” che coniugavano istanze evangelizzatrici e regole sociali. Le richieste educative dei ceti nobiliari trovarono una risposta efficace in questi collegi seicenteschi, che coniugavano l’istruzione con un preciso progetto educativo, integrando la formazione letterario-filosofica propria dell’Ordine con le istanze cavalleresco-militari: i giovani nobili apprendevano l’arte delle “buone maniere”, per diventare perfetti gentiluomini, secondo un modello suggerito dal Galateo di mons. Giovanni Della Casa (1503-1556).

    Tra i collegi-convitti di educazione, che accoglievano, a pagamento, giovani nobili possiamo annoverare, a Bologna, l’Accademia degli Ardenti, fondata dal fratello del card. Paleotti e poi passata sotto il controllo dei Somaschi, e il Collegio S. Francesco Saverio, fondato dai Gesuiti; era invece indirizzato a esponenti di famiglie borghesi il Collegio S. Luigi di Bologna, nato in ambito gesuitico ma passato, dopo le soppressioni, ai Barnabiti e destinato a trasformarsi nel tuttora esistente ginnasio-liceo classico. A Modena il Collegio San Carlo nacque ai primi del Seicento per impulso di una Congregazione di laici devoti, guidata dal conte Paolo Boschetti; nel 1626 si trasformò in Collegio dei Nobili di San Carlo, con lo scopo di formare i giovani delle famiglie nobili secondo un modello pedagogico che aggiungeva ai classici studi teologici, letterari e filosofici, quelli scientifici e giuridici. Nel 1685 esso acquisì il titolo e le funzioni di Università, alla quale collaborarono intellettuali come Lazzaro Spallanzani. Nel 1581 fu istituito a Pavia il Collegio Borromeo, attivo dal 1581 e tuttora esistente: esso, destinato a studenti di umili origini, preparava nel ʼ600-ʼ700 soprattutto giuristi chiamati a svolgere funzioni amministrative nella Chiesa e nello Stato milanese, ma formò anche medici e scienziati.

    Nella seconda metà del ʼ700 la vicenda di Carlo Michele d’Attems, arcivescovo di Gorizia, che intraprese gli studi nei seminaria nobilium e in collegi religiosi, prima a Graz, poi a Modena ed infine a Roma, attesta la solidità di un progetto educativo finalizzato alla formazione del gentiluomo e del vescovo-funzionario dell’Impero asburgico.

    La Compagnia di Gesù proponeva, ricollegandosi alla tradizione umanistica ed al classicismo cinquecentesco, un codice religioso e di comportamento civile anche mediante le congregazioni mariane (un’istituzione nata nel Collegio Romano nel 1563 per opera di una giovane gesuita belga, G. Leunis), che divennero, insieme alle accademie studentesche, il supporto dell’insegnamento impartito nelle classi dei collegi, e si aprirono alle cerchie degli ex studenti ormai attivi nel mondo ecclesiastico e nelle diverse professioni. Attraverso l’impegno pedagogico dei Gesuiti la ratio studiorum classicistica si radicò profondamente, ispirando il liceo classico, istituito dalla legge Casati del 1859 e destinato a formare la classe dirigente del nuovo Stato unitario.

    Nel ’500 sorsero inoltre numerosi conservatori femminili, finalizzati alla tutela delle fanciulle abbandonate, delle orfane, delle “malmaritate”, delle mendicanti ed anche delle “repentite”, ossia delle prostitute che intendevano reintegrarsi nella società. Il progetto educativo di tali istituti risulta però incentrato quasi esclusivamente sull’attività tecnico-professionale: è il caso del conservatorio di S. Maria del Baraccano di Bologna, che, sorto nella prima metà del ʼ500, comprende nei primi tempi una scuola di canto, musica e teatro, ma nel ʼ600-ʼ700 impegna le donne ospiti esclusivamente nel lavoro di tessitura e ricamo, mentre quello di S. Geminiano di Modena si trasforma in educandato per fanciulle benestanti, abbandonando le originarie finalità assistenziali a favore delle orfane.

    In concomitanza col diffondersi di collegi maschili sorsero, a partire dalla seconda metà del ʼ500, sostituendosi gradualmente a forme di educandato monastico, collegi-convitto femminili ispirati al modello gesuitico e destinati a fanciulle nobili: il corpo insegnante era costituito «da donne nubili dedicate a Dio ma non soggette alla giurisdizione ecclesiastica» (Zarri, Recinti, 475). Spesso le educande rimanevano poi nell’istituto come educatrici, ed in questo quadro il nubilato femminile venne socialmente legittimato. Nel collegio delle Orsoline di Parma, istituito nel 1623 per le donzelle nobili, le educande, distinte dalle novizie e dalle religiose, studiavano e lavoravano: veniva così esteso al mondo femminile un modello educativo analogo a quello che aveva ispirato l’erezione dei seminaria nobilium. Un po’ meno elitario appare il collegio delle Orsoline di Ferrara, che, eretto alla fine del secolo XVII, comprendeva, oltre all’educandato, anche una scuola per allieve esterne. A Genova Camilla Medea Ghiglini (1559-1624), legata spiritualmente ai Gesuiti, e desiderosa di superare il modello della clausura monastica, fonda il collegio denominato “delle Medee”, per formare spiritualmente le donne insegnando loro (come recitano gli statuti del 1622) a «lavorare e leggere alevandole nel santo timore di Dio», nonché ad apprendere la dottrina cristiana: mediante il suo progetto educativo, che prevede classi distinte per le convittrici e le allieve esterne, viene promossa anche l’alfabetizzazione femminile, peraltro funzionale all’evangelizzazione ed alla formazione della donna «semplice e buona».

    In Italia il primo vero e proprio educandato femminile fu fondato a Palermo nel 1779 da Ferdinando IV, ed altri furono aperti durante la dominazione napoleonica. Questi collegi, che svolsero un ruolo rilevante nell’età della Restaurazione (è il caso ad esempio dei collegi di Maria in Sicilia), subirono dopo l’unità d’Italia un lento e contrastato processo di laicizzazione: ad alcune ispettrici furono affidate dal Ministero funzioni di controllo e verifica delle condizioni in cui veniva gestita l’istruzione femminile negli istituti delle diverse regioni italiane, per lo più controllati da ordini religiosi che privilegiavano la formazione religiosa (tradizionalmente intesa come una serie di pratiche devote) rispetto a quella più propriamente culturale.

    Nel corso del Novecento i collegi hanno progressivamente perduto il loro carattere di “istituzioni totali” fondate su una rigida disciplina interna per assumere piuttosto la funzione di residenze universitarie destinate ad accogliere, in un contesto più aperto, studenti provenienti da altre città.

    Fonti e Bibl. essenziale

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    LEMMARIO