Arte cristiana – vol. II

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    Autore: Andrea Spiriti

    La proclamazione dogmatica dell’infallibilità pontificia (1870) e la coeva fine dello Stato della Chiesa sono certamente due eventi simbolici del papato di Pio IX, ai quali si può aggiungere la proclamazione dogmatica dell’Immacolata Concezione (1854), con il conseguente impulso iconografico. Il tutto in un contesto di scontro duro col nascente stato italiano, prosecutore delle soppressioni di case religiose e conquistatore di Roma. Il papato di Leone XIII (1878-1903) appare per alcuni versi il prosecutore del precedente su alcuni temi-guida: l’uso dell’eclettismo e dello storicismo come strumenti di recupero del passato cristiano, compresi interventi massici (si pensi al Laterano o ai Musei Vaticani), in parallelo col recupero ideologico del tomismo. D’altro canto il rilancio missionario già iniziato con Pio IX aveva portato a singolari applicazioni di arte coloniale cristiana che grazie all’eclettismo riusciva a trovare punti importanti di contatto con le civiltà incontrate. Il Giubileo 1900 appare decisivo per la devozione al Sacro Cuore, oggetto di una sterminata iconografia e di grandi architetture a Roma come a Parigi. Appartiene al papato di Pio IX sia l’evento (1858) sia l’approvazione (1862) delle apparizioni di Lourdes; ma è col papato leonino che inizia un fenomeno esploso più tardi sotto Pio XI, la creazione presso chiese e luoghi sacri di grotte di Lourdes: uno dei fenomeni più tipici dell’arte cattolica del Novecento. Il contesto , tuttavia, è quello della perdita radicale non tanto di peso sociale in assoluto, quanto di possibilità concreta di incidere sull’edificato, in contesti di statalizzazione e musealizzazione sempre più accentuati in tutta Europa; e questo malgrado “riconquiste” come le tappe della piena acquisizione dei diritti civili e politici per i cattolici inglesi, con annessa possibilità di realizzare i luoghi di culto (si pensi al Brompton Oratory o alla Westminster Cathedral di Londra).

    La sostanziale omogeneità stilistica dei papati di Pio X (1903-1914) e Benedetto XV (1914-1922) coesiste coi danni vistosi al patrimonio sacro nelle aree di fronte della prima guerra mondiale, fino al quasi mitizzato incendio alla cattedrale di Rheims. E tuttavia questa lunga fase 1846-1922 segna anche la perdita radicale di primato dell’arte cristiana, o meglio la biforcazione fra la presenza (in fondo importante) del mistero di Cristo nelle opere di pittori in sé indipendenti dalle chiese (oppure con netta divisione di ruoli: si pensi al pastore protestante Vincent Van Gogh); e le committenze dirette dei pontefici, dei vescovi, delle parrocchie, degli ordini religiosi, sempre più finalizzate a prodotti devozionali lontane dalla modernità. Un’arte da Sillabo, insomma; peraltro inserita in architetture spesso notevoli per aggiornamento (si pensi al Chiappetta o già allo stesso Viollet-le-Duc) anche se ancorate al paradigma eclettico.

    Così opere come l’Erodiade di Moreau o il Cristo giallo di Gauguin o l’Entrata di Gesù a Gerusalemme di Ensor sono religiose solo in senso lato; e semmai la drammatica ricerca cristologica di Georges Rouault, iniziata nel 1917, può inserirsi meglio nella tipologia dell’itinerario verso la fede. All’opposto si hanno scelte devozionali spesso conservatrici, rese ancora più prudenti da traumi come la rivoluzione russa del 1917 con susseguenti distruzioni del patrimonio sacro ortodosso. Il papato di Pio XI (1922-1939) segna l’equilibrio fra architetture eclettiche (Pinacoteca Vaticana) e aperture razionaliste che nei vescovi più acuti giungeva a singolari forme neopaleocristiane: si pensi all’opera milanese di Alfredo Ildefonso Schuster, dalla spinta alla riqualificazione neopaleocristiana di San Lorenzo alla reinvenzione di Cassiciacum. In effetti il restauro, spesso la riscoperta o la reinvenzione del passato medioevale degli edifici sacri stava divenendo un ambito forte della cultura cattolica; fino però a scelte discutibili come il pauperismo francescanizzante iniziato con la reinvenzione della tomba di Francesco (1926) e ancora in corso. Il pontificato di Pio XII (1939-1958) è segnato dalle terribili distruzioni della seconda guerra mondiale, dall’annientamento di interi centri urbani (Varsavia, Berlino, Dresda), dalle distruzioni ideologiche prima delle guerre civili e poi delle invasioni sovietiche; ma anche da interventi che il papa fa condurre, con chiara valenza ideologica, nella stessa basilica vaticana, dalla reinvenzione della tomba di Pietro e della propria tomba, fino agli inizi, compiuti sotto il successore, della Porta della Morte, con una riproposizione ultima e alta del classico nesso fra committenti (Pacelli e Roncalli), iconografo (Giuseppe De Luca) e artista (Giacomo Manzù); e infine con la proclamazione dogmatica dell’Assunzione di Maria (1950), che codifica in realtà una tradizione figurativa precedente più che aprirne una nuova.

    Gli anni di Giovanni XXIII (1958-1963) e di Paolo VI (1963-1978) vedono con il Vaticano II una rivoluzione liturgica che agisce in profondità sullo spazio sacro; ma che, negli edifici storici, dà origine a pochi interventi assennati e a molti vandalismi, con distruzioni e dispersioni imponenti. Più fecondo (anche se discusso) il tema della nuove strutture, con una rivoluzione architettonica che si serve dei più grandi architetti in Italia (Michelucci, Nervi), del resto preceduti fin dagli anni cinquanta dagli interventi francesi di Le Corbusier. L’uso sistematico di figurazioni astratte (potenti ma rischiose perché rompenti il nesso realistico durato millenni), l’adozione di nuovi rapporti spaziali, l’estetica della luce se per un verso hanno creato tensioni per un altro hanno prodotto decisi svecchiamenti: si pensi al gesto simbolico della Collezione di Arte Religiosa Moderna vaticana (1973), ma senza riuscire a cogliere appieno il significato delle proseguite ricerche individuali, per le quali bastino i Crocefissi di Salvador Dalì. Dopo il brevissimo papato di Giovanni Paolo I (1978), quello di Giovanni Paolo II (1978-2005) segna una linea proseguita in quello attuale di Benedetto XVI (2005 – a.m.a.): la coesistenza, non sempre armoniosa, fra una linea di moderato ripristino di spazi e usi (con susseguente recupero di quanto non disperso), un pauperismo suggestivo quanto astorico, rigori neoastratti e spunti da culture diverse. Emblematica, in questo senso, l’invasione di icone, viste come massimo portato di una cultura ortodossa spesso malintesa e comunque incompatibile con gli spazi storici del cristianesimo occidentale del secondo millennio.

    Fonti e Bibl. essenziale

    Mancano studi d’insieme. Notevole A. De Micheli, Le avanguardie artistiche del Novecento, Milano 1973. Importante il Catalogo della Collezione di Arte Religiosa Moderna, Città del Vaticano, 1980.


    LEMMARIO