Migranti – vol. II

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    Autore: Mutegeki Robert

    Le principali analisi demografiche, economiche e sociali condotte a livello internazionale concordano nell’affermare che c’è un attore non protagonista negli attuali processi di globalizzazione: il fenomeno delle migrazioni. Chi migra si percepisce come parte di un sistema fortemente interconnesso, in cui lo sfruttamento e la povertà di alcuni non è una realtà sganciata dal ciclo produttivo e dal benessere di altri. Il migrante decide di spostarsi nel tentativo di collocarsi diversamente all’interno di questo sistema e di stabilirsi laddove ritiene vi siano migliori possibilità di vita.

    Lo studio e la conoscenza del fenomeno migratorio costituisce una priorità per Caritas Italiana (un’organizzazione simile a Catholic Charities negli Stati Uniti), un’associazione laica che collabora con l’Unione Europea e la Chiesa Cattolica, che sostiene e promuove da anni ricerche, studi e pubblicazioni su questo tema. Due sono i percorsi per la trattazione del fenomeno della migrazione:

    1. Storicizzare il fenomeno cioè ricostruire “archeologicamente”, direbbe Foucault, le sue origini e/o la sua storia materiale; questo approccio evidenzia come ciò che ci sembra essere un dato di fatto è invece il prodotto di precise dinamiche storiche e dunque delle azioni umane
    2. Individuare e smontare le retoriche (scelte terminologiche, figure del discorso, reti di immagini e simboli, strutture argomentative) attraverso cui le principali agenzie della comunicazione (mediatica e politica) costruiscono una rappresentazione più o meno condivisa, quindi un luogo comune.

    Nelle epoche più antiche, nonostante l’introduzione dell’agricoltura, in alcune zone del mondo (X-VIII millennio a.C.) per lungo tempo moltissime popolazioni sono rimaste sostanzialmente nomadi o, più in generale, mobili proprio perché la loro economia era legata alla pastorizia, al commercio o al mare. Nel Medioevo europeo la diffusa mobilità transnazionale aveva un ruolo strutturale, benché non ufficialmente riconosciuto: la densa presenza di vagabondi ed emarginati che si spostavano attraverso i territori del continente serviva infatti a mantenere attiva la pratica cristiana della carità. Con il Medioevo, insomma, il movimento delle persone diventa qualcosa che occorre controllare e limitare e lo spazio diventa il linguaggio della differenziazione sociale. Nel 1973, però, accade una svolta nella storia delle migrazioni della nostra penisola: per la prima volta i rimpatri superano gli espatri. Siamo nell’Italia del boom economico, e le condizioni di vita sono migliorate abbastanza da rendere il nostro paese una meta più attraente rispetto all’altra sponda del Mediterraneo.

    Da qui iniziano, perciò, ad arrivare persone il cui progetto migratorio è diretto soprattutto al miglioramento della propria situazione economica. Negli anni ottanta, periodo di consolidamento della presenza straniera in Italia, a partire sono anche persone più giovani, istruite e provenienti da ambienti urbani, che si spostano perché i cambiamenti nell’economia mondiale hanno messo parzialmente in crisi i loro settori di occupazione. Superata nel 1987 la soglia del mezzo milione di soggiornanti, da fenomeno episodico l’immigrazione diventa una realtà socialmente ed economicamente rilevante. Mentre i problemi migratori erano allora di tipo socio-economico, oggi il problema principale è che ci sono guerre in Africa e Medio Oriente e il 90 per cento dei migranti sono persone in fuga da situazioni molto difficili. La storia delle migrazioni dimostra quindi che i flussi migratori non sono movimenti casuali ed “emotivi”: la colonizzazione ha strutturato dei precisi rapporti di potere a livello mondiale che oggi parlano il linguaggio della frontiera e del continuo travaso di forza lavoro.

    La Chiesa Italiana a partire dagli anni sessanta del secolo scorso ha mostrato interesse particolare per i migranti. Il decreto Christus Dominus (1965) ricorda così a tutti gli ordinari diocesani che devono dimostrare particolare interessamento per “quei fedeli che, a motivo delle loro condizioni di vita, non possono godere dell’ordinario ministero dei parroci o sono privi di qualsiasi assistenza”. Tra questi il decreto elenca i migranti, gli esuli, i profughi, i marittimi, gli addetti al trasporto aereo e i nomadi. Sempre nel 1965 Paolo VI istituisce l’Opera per l’Apostolato dei Nomadi con annesso segretariato internazionale, l’una e l’altro in seguito coordinati nell’ambito della Congregazione per i Vescovi alle altre Opere e agli altri segretariati per l’assistenza della popolazione mobile (motu proprio del 1969 per la cura pastorale dei migranti).

    Un anno dopo, l’Apostolicae Caritatis istituisce all’interno della Congregazione per i Vescovi la Pontificia Commissione per la pastorale dei migranti e degli itineranti. Quest’ultima scrive nel 1978 alle conferenze episcopali su Chiesa e mobilità umana ed accenna alla condizione dei nomadi “quasi sempre estranei alla società” e quindi da questa rifiutati.  L’esigenza di accettazione culturale e di specifica pastorale è ribadita dalla costituzione apostolica Pastor Bonus (1985). In Italia il coordinamento dell’azione, che si impernia su cappellani e centri missionari, è garantito dall’Ufficio Nazionale per la Pastorale dei Rom e dei Sinti (UNPRES), inserito nella Fondazione Migrantes. Inoltre parte dello sforzo ricade sulle spalle di un volontariato che cerca di mediare tra la cultura ecclesiastica tradizionale e la cultura dei migranti.

    Praticamente, esiste una commissione per l’assistenza socio-pastorale agli stranieri in Italia: circa 60 sono i cappellani incaricati nelle diocesi italiane al servizio pastorale per gli immigrati di circa 60 diverse nazionalità; molti altri operatori pastorali, italiani e stranieri, vi sono impegnati spontaneamente a tempo parziale. Sono quasi 650 i centri pastorali di varia natura (parrocchie personali, missioni con cura d’anime, cappellanie e centri pastorali riconosciuti ma non ufficialmente istituiti dall’autorità diocesana) gestiti dalle predette forze pastorali. 12 sono i “Coordinatori nazionali” della pastorale etnica.

    Il 28 febbraio scorso, a circa due anni dal suo inizio, è terminato lo stato d’emergenza causato dagli “Eccezionali arrivi di migranti dal Nord Africa”, cominciato con gli sbarchi a Lampedusa di cittadini tunisini, cui sarebbero seguiti gli arrivi dalla Libia di persone originarie di molti paesi africani. Alla chiusura in via amministrativa di quest’emergenza non ha corrisposto, però, la fine dei problemi collegati all’accoglienza di migliaia di persone (rispetto alle 55 mila giunte in Italia), che ancora oggi attendono risposte e vivono una condizione di grande incertezza e precarietà esistenziale. Il provvedimento che decreta la fine dell’emergenza fornisce comunque lo spunto per fare un bilancio di 22 mesi di intenso lavoro che ha visto la Caritas Italiana, insieme a molte Caritas diocesane, spendersi nell’assistenza e nella tutela dei profughi giunti in Italia.

    Sono molte le voci che andrebbero analizzate per comprendere se questa vicenda si è chiusa con un saldo positivo o meno. Se ci dovessimo limitare a quanto scritto e dichiarato anche da Caritas Italiana sull’azione di governo, il giudizio sarebbe tranchant in negativo, a maggior ragione se si analizzasse il rapporto costi (economici per lo stato) – benefici (di integrazione per i rifugiati). Ma in questa complessa esperienza non hanno contato solo il governo, con tutto il suo apparato, e le risorse stanziate per l’accoglienza, ma anche gli attori in gioco che sono stati molteplici, le relazioni instaurate sono state numerose, sia all’interno delle organizzazioni che hanno lavorato per l’emergenza e in emergenza, che tra le varie organizzazioni, istituzioni ed organismi di tutela e accoglienza.

    Sulle falle del sistema si è scritto molto e vale la pena ricordare alcuni aspetti particolarmente critici: l’individuazione delle strutture ove ospitare i migranti è stata spesso frettolosa e poco concordata con le istituzioni locali; la scelta delle strutture è caduta su tipologie assai varie, con enormi differenze in termini di qualità dei servizi offerti alle persone; i costi di gestione sono stati enormi. Inoltre, la grande indecisione governativa circa lo status da attribuire ai profughi ha contribuito a determinare la lunga durata delle accoglienze, con pesanti ripercussioni sull’efficacia e la serenità delle stesse: in diversi contesti gli animi degli ospiti si sono surriscaldati, a causa dell’assenza di prospettive per il futuro, creando non pochi problemi di ordine pubblico. Tali criticità hanno condizionato anche la vita delle Caritas coinvolte nell’accoglienza. È innegabile, però, che questo lungo periodo abbia costituito anche una palestra per tutti coloro che hanno voluto contribuire alla risoluzione di un’emergenza umanitaria con caratteristiche complesse. Ci si è incontrati, scontrati e confrontati su vari terreni e a più livelli.

    Dal lavoro in banchina a Lampedusa e sui binari a Ventimiglia, all’accoglienza diffusa nell’intero paese, fino alla costante interlocuzione con le istituzioni locali e nazionali. Insomma, si è trattato di un’esperienza intensa, pur nel suo non sempre intelligibile e a tratti faticoso sviluppo. Le peculiarità di questo percorso sono anzitutto consistite nel fatto che ci si è dovuti misurare con profughi originari di paesi che, in gran parte, non erano quelli da cui provenivano: ciò ha imposto agli operatori una costante “ridefinizione geografica”. Si è lavorato per persone giunte da Libia e Tunisia, ma spesso originarie dell’Africa sub sahariana o del subcontinente indiano e ciò ha richiesto un notevole sforzo nell’attivare contatti con le rappresentanze consolari in Italia, con i vari ministeri competenti, con le Caritas nazionali presenti nei paesi di origine e di transito.

    Un altro aspetto nuovo, almeno nella sua evoluzione, è stato il coinvolgimento diffuso di Caritas di diversi territori. Lo sforzo per tentare di seguire efficacemente le varie realtà diocesane ha imposto alla Caritas Italiana l’attivazione di nuovi strumenti di coordinamento, come la costituzione di gruppi di lavoro ad hoc, oltre che la formazione specifica degli operatori impegnati nell’accoglienza in emergenza. Non bisogna poi dimenticare che gli attori istituzionali sono stati diversi: dal ministero dell’interno, con le sue articolazioni territoriali, alla Protezione civile nazionale, dal ministero del lavoro alla Conferenza Stato-Regioni, passando per l’ANCI. Un panorama vasto che ha complicato ulteriormente il quadro ma che ha permesso di attivare relazioni e in alcuni casi anche buone prassi (basti pensare al sistema delle strutture ponte per l’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati).

    L’approccio della chiesa Italiana è quello di creare l’ambiente caratterizzato da un clima di accoglienza, di fiducia e di benevolenza dove ogni ospite possa trova attenzione, affetto e rispetto della propria dignità di persona. Quello che si propone è di operare sul territorio in favore delle persone, famiglie e delle coppie interculturali, intese come fenomeno sociale “cruciale” dei nostri giorni. Rappresentare, valorizzare e tutelare questo tipo di realtà sociale è ciò in cui crede. Tra le tante attività verso i migranti si possono numerare: inclusione sociale,  e  sensibilizzazione (conoscere questo tipo di realtà permette di comprendere che la coesistenza tra “differenze“ è possibile. In tal senso, le coppie e le famiglie interculturali sono dei testimoni privilegiati), intercultura (costruire un rapporto o una famiglia con una persona di differente origine nazionale e/o religiosa rappresenta un laboratorio in cui praticare l’esperienza e la curiosità del contatto con “l’Altro“), eventi e formazione (seminari, incontri tematici, dibattiti, collaborazioni con associazioni, con comunità migranti e con entri pubblici e privati. Ascoltare per capire, agire per cambiare).

    In definitiva, dunque, il bilancio è fatto di luci e ombre. Le prime, indubbiamente, ascrivibili alle tante realtà diocesane che, con la loro indefessa opera di tutela dei cittadini stranieri giunti in Italia, hanno dimostrato che la Caritas e la Chiesa sono reti capaci, in maniera innovativa e utilizzando in modo trasparente le risorse pubbliche, di fare sistema e di costruire modelli di esperienza per rispondere efficacemente a emergenze internazionali che presentano un alto grado di complessità. Come i migranti hanno cominciato a venire in Italia per mezzo di “barconi” nel 1980, gli edifici delle Chiese, (soprattutto in Sicilia, Palermo e Catania), sono diventati dormitori per le persone che non avevano nessun altro posto dove andare. Dato che è stata il primo gruppo a rispondere alle esigenze dei migranti, la Chiesa Cattolica è diventata un’autorità in materia di immigrazione in Italia. Molti stimano che la Chiesa sia responsabile per la metà del servizio per i migranti in Italia, e la Caritas Italiana sostiene di essere la principale organizzazione di lavoro in materia di immigrazione.

    Le esortazioni di Papa Francesco sono sostenute da parte di più organizzazioni cattoliche e dai loro partner secolari, come parte di una visione di responsabilità fraterna. La Chiesa italiana ha avuto molte opportunità per mettere in pratica questa visione. Nel 2014 circa 160.000 migranti hanno attraversato il Mediterraneo verso l’Italia, rispetto ai 42.000 nel 2013. Gli sforzi di Papa Francesco di rifocalizzare la Chiesa sulle questioni sociali hanno coinciso con l’aumento dei migranti che intraprendono il pericoloso viaggio attraverso il Mediterraneo. Nel mese di ottobre del 2013, a pochi mesi dal suo viaggio a Lampedusa, 360 migranti sono morti quando la loro barca è naufragata al largo dell’isola. Gli ingressi non autorizzati via mare in Europa sono stati sì più di un milione durante il 2015, ma la maggior parte ovvero oltre 850mila in Grecia (contro i 40mila dell’anno precedente 2014, rotta dalla Turchia) e circa 150mila in Italia (contro i 170mila del 2014, rotta dalla Libia). Rispetto all’anno 2015 la situazione nell’anno 2016 è comunque sensibilmente cambiata. Secondo la IOM, fino al 30 giugno 2016 sono sbarcati in Italia 78.487 migranti, contro i 70.354 sbarcati nello stesso periodo del 2015. Secondo i dati dell’UNHCR, che fornisce i dati degli sbarchi mese per mese, nel solo mese di luglio sono sbarcate in Italia 17.878 persone, contro le 23.186 sbarcate nel luglio 2015. Le cifre mese per mese mostrano come nel corso del 2016 gli sbarchi di migranti siano stati più o meno pari a quelli avvenuti nello stesso periodo dell’anno scorso. Nella comparazione tra i due anni si vede che all’inizio del 2016 c’è stato un aumento, a cui ha corrisposto una diminuzione in primavera e nei mesi estivi. La chiusura della rotta balcanica, quindi, non ha prodotto, come molti temevano, un aumento dei flussi verso l’Italia. L’Italia è tornata ad essere il primo paese d’arrivo dei migranti, con numeri paragonabili a quelli dell’anno precedente.

    La maggior parte dei migranti, in particolare siriani, non vogliono rimanere in Italia in quanto la sua economia depressa non fornisce abbastanza posti di lavoro sia per gli italiani che per i lasciare che i nuovi arrivati ​​ed il sistema di accoglienza dei rifugiati è sovraffollato, sotto finanziato e corrotto. A livello politico, questo significa che la Chiesa vuole vedere la normativa UE modificata per consentire ai richiedenti asilo più libertà per andare dove essi possono già avere la famiglia o una struttura di supporto.

    Idealmente, le politiche di migrazione più generose, attraverso un reinsediamento dei rifugiati, avrebbero permesso loro di raggiungere l’Europa senza rischiare la vita in mare. Da segnalare che  circa 200 giovani coinvolti nella Comunità di Sant’Egidio nell’anno 2014 hanno continuato ad organizzare aiuti on-line per portare cibo, vestiti ed amore per i migranti. Le autorità si rivolgono continuamente   alla comunità Sant’Egidio per la prima assistenza agli sbarchi di migranti. Tuttavia questo fenomeno ha causando malumore e conflitti. Lo scorso autunno, infatti, sono scoppiate rivolte anti-immigrati, durate una settimana, in un quartiere occupato per gran parte da immigrati, alla periferia di Roma. Papa Francesco esortò le parrocchie a diventare luoghi di dialogo tra italiani e migranti nel suo discorso settimanale a seguito delle rivolte. Oggi possiamo dire che è grazie alle esortazioni papali che il sentimento anti-immigrati si è generalmente attenuato e ridotto.

    Fonti e Bibl. essenziale

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    Sitografia

    https://it.wikipedia.org/wiki/Immigrazione_in_Italia
    http://www.interno.gov.it/it/notizie/line-dati-e-statistiche-sui-migranti-italia
    MigraMed2013:Meeting internazionale delle Caritas del Mediterraneo 22-24 maggio 2013.
    Emergenza Nord Africa e immigrazione: l’impegno della Caritas (Papa Francesco, 19 ottobre 2016).
    http://appelli.amnesty.it/canali-sicuri-per-i-rifugiati/?utm_source=ads&gclid=CNTMtcv6mNACFUo6GwodDMcLQw
    www.progettoculturale.it/…/2%20-%20Strutture%20pastorali.doc Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, strutture pastorali e socio-pastorali in Italia.
    http://www.ismu.org/2016/07/limmigrazione-straniera-in-italia-tendenze-recenti-e-prospettive/
    http://www.ilpost.it/2016/07/26/cinque-punti-migranti/

    LEMMARIO

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