Guelfismo e ghibellinismo sono gli appellativi antitetici di un fenomeno che ha interessato la vita politica e religiosa dell’Italia soprattutto durante i secoli XIII-XIV. All’origine delle denominazioni di “guelfi” e di “ghibellini” vi fu la lotta per l’ascesa al potere, dopo la morte dell’imperatore Enrico V (1125), delle due dinastie tedesche dei Welfen, duchi di Sassonia e di Baviera, e degli Hohenstaufen, duchi di Svevia. I rispettivi sostenitori erano detti guelfi (dal nome della famiglia) oppure ghibellini (da Waiblingen, un castello degli Svevi), ma dopo l’ascesa al trono di Federico I di Svevia (1153) le denominazioni delle opposte fazioni vennero usate per evocare le posizioni filopapali e filoimperiali nell’ambito della politica tedesca.
In Italia i due termini furono introdotti nella prima metà del Duecento, durante la lotta fra i comuni e Federico II di Svevia: erano ghibellini i seguaci dell’imperatore, mentre venivano detti guelfi coloro che gli si opponevano. Tuttavia l’adesione all’uno o all’altro schieramento era determinato più che da condivisioni ideologiche, da motivi politici contingenti e, alla fine, rifletteva le posizioni contrapposte preesistenti all’interno dei ceti dirigenti, laici ed ecclesiastici, che coinvolgevano anche le classi popolari. Atavici antagonismi famigliari e personali, interessi e odii di parte, lealismo e fedeltà alle tradizioni ereditate, nonché vendette, faide e alleanze marcarono sempre più le fazioni rivali, in lotta per la conquista o la conservazione del dominio.
In un primo tempo il papato rimase estraneo a queste controversie endemiche e viscerali, mentre sul piano religioso guelfi e ghibellini, l’uno rispetto all’altro, non mostrarono maggiore o minore senso di pietà. Ciò nonostante gli avversari del papato spesso simpatizzavano per i ghibellini e talvolta vennero assimilati agli eretici. Nello stesso tempo, però, l’evoluzione politica dei rapporti fra i comuni, insieme agli antichi campanilismi, e l’alternanza delle parti nell’ascesa al dominio comunale, provocarono la frequente oscillazione delle comunità civiche nell’adesione agli opposti schieramenti. Neppure la politica ecclesiastica restò immune dalla mancanza di coerenza per il contraddittorio atteggiamento dei governi municipali nei confronti della Chiesa. Parma, per esempio, sebbene ghibellina e poi guelfa (1247) perseverò nella severa politica contro i privilegi del clero.
Il declino del potere svevo in Italia e l’ascesa degli Angioini di Napoli contribuirono a definire il contenuto ideologico del ghibellinismo e del guelfismo italiani. Fu quest’ultimo a proporsi per primo come espressione del sostegno e dell’adesione alla politica egemonica della casa d’Angiò, finanziata dai banchieri fiorenti in alleanza col papato. Entrambi i termini diventarono etichette di parte, emancipandosi nel loro significato dall’antico motivo di contrasto fra sacerdotium e imperium, la lotta per le investiture laicali.
Dopo l’esilio dei Fiorentini nemici degli Svevi, sconfitti dalle truppe di Manfredi di Sicilia nella battaglia di Montaperti (4 settembre 1260) e la discesa di Carlo I d’Angiò, vicario papale, le città della Toscana si collocarono negli opposti schieramenti e, di riflesso, le medesime posizioni furono assunte dalle numerose città dell’Italia centro-settentrionale a seconda delle differenti alleanze e in forza delle tradizioni che alimentavano le conflittualità locali. Firenze, città guelfa, venne governata dai ghibellini dal 1248 al 1250. Così accadde per Genova fra il 1256-1270 e il 1317-1319, e per Lucca dal 1314 al 1328. Milano restò guelfa fino all’arrivo dei Visconti e Napoli fu ghibellina fino al 1266. Dal 1259 Lodi diventò guelfa sotto la signoria dei Torriani e dei Fissiraga, mentre la ghibellina Siena si fece guelfa dopo la sconfitta inflitta dai Fiorentini a Colle Val d’Elsa (1269). Dirsi guelfo significava essere sostenitore della casa d’Angiò, mentre il ghibellinismo – dopo la sconfitta di Manfredi a Benevento (1266) e la fine di Corradino (1268) – recise il legame con gli Svevi e diventò sinonimo di opposizione agli Angioini e alle loro mire espansionistiche. Perciò, accanto alla storia di Firenze, dei comuni toscani, umbri e lombardi, resta emblematica la vicenda dei vespri siciliani (1282), che dette origine alla ribellione antiangioina e alla secessione della Sicilia dal Regno, il maggiore organismo italiano politico e militare, vassallo del papato. L’ascesa degli Aragonesi sul trono di Palermo e la permanenza degli Angioini a Napoli radicalizzarono il persistente e ostile antagonismo del guelfismo e ghibellinismo italiani, diventandone il simbolo.
Il papato evitò per lungo tempo di usare questa duplice denominazione, invalsa nell’uso comune, e sebbene spesso non avesse esitato a schierarsi, intervenne ripetutamente in favore della pace e affinché la Parte guelfa e la Parte ghibellina raggiungessero un rapporto di coesistenza specialmente all’interno delle comunità civiche. Tuttavia lo scontro fra le parti lasciò tracce profonde nella storia delle Chiesa italiane. Del beato Jacopo da Varagine (1228-1298), arcivescovo di Genova, l’autore della Legenda aurea, sono noti i ripetuti interventi in favore della pacificazione fra le fazioni della città. Il medesimo spirito di riconciliazione fu diffuso da s. Margherita da Cortona (1247-1297), spesso chiamata a riappacificare gli animi del cittadini. Lodi, diventata ghibellina, nel 1243 venne colpita dall’interdetto, la sede vescovile fu soppressa e ristabilita nel 1252. In seguito, dopo il decesso del vescovo Egidio dell’Acqua (1307-1312), le fazioni guelfa e ghibellina si affrontarono in seno al Capitolo della cattedrale senza raggiungere un accordo ed elessero due candidati. Perciò la sede restò vacante fino al 1318. La diocesi di Cortona (smembrata da Arezzo) fu eretta nel 1325 da Giovanni XXII per premiare la fedeltà dei Cortonesi, mentre Guido Tarlati, vescovo della ghibellina Arezzo, fu scomunicato e deposto. Gli scontri e le violenze fra guelfi e ghibellini furono all’origine dell’interdetto scagliato dal vescovo Federico Cibo sulla città di Savona. Esso venne rimosso da Benedetto XII nel 1336, ma i contrasti non si sopirono affatto. Intensa fu l’opera dei predicatori, specialmente religiosi, per riportare la pace e l’ordine in seno alle comunità cittadine: un’attività che continuò ad intensificarsi anche durante l’età moderna. Il papato, in particolare, si preoccupò di riportare serenità e tranquillità fra le popolazioni di Bologna e della Romagna, frequentemente pervase dai contrasti fra guelfi e ghibellini. Folta è la lista dei legati papali incaricati di governare questi territori e di riportarli sotto il dominio papale. Non mancarono gli interventi diretti compiuti dai papi. Per esempio, Giulio II, passato da Forlì, riuscì ad imporre la pace fra la parte guelfa e quella ghibellina, anche se l’accordo raggiunto si rivelò alquanto effimero.
D’altro canto, dal Duecento in poi, gli assetti amministrativi e gli equilibri politici interni alle città si erano stabilizzati intorno a un sistema bipolare che raccoglieva e cristallizzava in una composizione interclassista le forze esistenti. La dialettica municipale era giunta ad istituzionalizzarsi con la duplice ripartizione dei ruoli, che si identificavano e si contrapponevano sulla base delle proprie tradizioni. Anche nelle relazioni intercomunali, fino ai primi secoli dell’età moderna, perdurarono le distinzioni ereditate dal passato, esse, però, non pregiudicavano i rapporti fra le comunità, gli scambi e le alleanze. Sebbene le parti, a riconoscimento di se stesse, continuassero ad evocare le tendenze filopapali o filoimperiali per nobilitare le proprie origini e giustificare le posizioni assunte, guelfismo e ghibellinismo diventarono espressioni di conformismo politico e servirono da copertura ai dissidi interni dei comuni e alla competizione fra le fazioni.
L’irriducibilità e l’inconciliabilità delle contrapposizioni politiche fra guelfismo e ghibellinismo tornarono in auge durante l’Ottocento e caratterizzarono il dibattito ideologico innervatosi in seno al Risorgimento, ma con contenuti del tutto differenti rispetto alle epoche precedenti. Il neoguelfismo fu un’espressione italiana del cattolicesimo liberale, di cui Vincenzo Gioberti (1801-1852) era il maggiore teorico, mentre oppositore delle tesi giobertiane fu Giovanni Battista Niccolini (1782-18612), esponente fortemente anticlericale del neoghibellinismo.
Fonti e Bibl. essenziale
R. Davidson, Storia di Firenze, II, Firenze 1972-1973; Storia d’Italia. Dalla caduta dell’Impero romano al secolo XVIII, I, a cura di R. Romano – C. Vivanti, Torino 1974; Storia d’Italia, IV, a cura di G. Galasso, Torino 1981; P. Herde, Guelfen und Neoguelfen: zur Geschichte einer nationalen Ideologie vom Mittelalter zum Risorgimento, Wiesbaden 1986; Guelfi e ghibellini nell’Italia del Rinascimento, a cura di M. Gentile, Roma 2005; G. Galasso, Storia del Regno di Napoli, I, Torino 2006; Le diocesi d’Italia, 3 vol., Cinisello Balsamo 2007-2008; S. Raveggi, L’Italia dei guelfi e dei ghibellini, Milano 2009.
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