Congregazioni religiose femminili – vol. II

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    Autore: Giancarlo Rocca

    La struttura istituzionale della congregazione religiosa. Al momento dell’Unità d’Italia, nel 1861, la struttura istituzionale della congregazione religiosa era ormai definita, grazie anche al contributo delle congregazioni italiane sorte tra gli inizi dell’Ottocento e il 1861. In particolare, superato il momento delle origini nel 1808, in cui le Figlie della Carità Canossiane avevano ancora adottato l’antica struttura della autonomia delle singole case, gli istituti religiosi italiani si erano incamminati verso la centralizzazione dell’istituto, con superiora generale, superiora provinciale e case filiali, e in questo cammino un contributo – per il riconoscimento della figura della superiora generale – era stato dato dalle Figlie del Sacro Cuore di Gesù, fondate nel 1831 dal canonico Giuseppe Benaglio e Teresa Eustochio Verzeri, e dalle Ancelle della Carità di Brescia, fondate nel 1840, da Paola Di Rosa, per la figura della vicaria generale.

    Un tentativo di ampliare la struttura della congregazione religiosa, presentato attorno agli anni ’80 a Napoli da parte di Caterina Volpicelli, fondatrice delle Ancelle del Sacro Cuore, che desiderava far riconoscere come religiose anche le sue Ancelle che vivevano nelle loro case, senza abito religioso, ricevette la risposta negativa della S.C. dei Vescovi e Regolari, ormai tesa a chiarire e fissare giuridicamente la struttura della congregazione religiosa, e quindi, inserendo tra le sue caratteristiche, l’obbligo della vita comune.

    Ciò nonostante, anche le congregazioni italiane, alla pari delle congregazioni del mondo intero, non furono riconosciute come “religiose”, ma solo come pie associazioni femminili, certamente sino alla Conditae a Christo del 1900, che cominciò a usare questa parola nei loro confronti, sancita definitivamente nel Codice di diritto canonico del 19.

    Le leggi generali di soppressione del 1866 e 1873. Le leggi generali di soppressione degli istituti religiosi in Italia del 1866, estese a Roma nel 1873, provocarono, ovviamente, delle difficoltà, ma non portarono, di fatto, alla scomparsa di alcun istituto religioso. Le leggi di soppressione tolsero anche alle religiose quel riconoscimento giuridico civile che garantiva i loro beni – come corporazioni – di fronte allo Stato, ma non la possibilità di continuare a vivere in comune, come libere cittadine, e quindi a possedere, come religiose a titolo personale, sottostando in tutto alle leggi dello Stato.

    Le congregazioni religiose avevano, in quel momento, un notevole punto di forza, nel fatto di non essere riconosciute come religiose dal diritto canonico del tempo. Così, proprio basandosi sul loro carattere “non religioso”, furono molti gli istituti che riuscirono a salvarsi dalla soppressione. Tra i primi figura quello delle Maestre Pie della Presentazione di Maria SS.ma, di Genova, nello stesso anno 1866, subito seguito dai vari istituti di suore Dorotee, e da molti altri, dichiarato dallo Stato istituti pubblici di educazione e di istruzione femminili. In un resoconto del 1872 erano già 156 gli istituti che, considerati laicali, avevano potuto conservare i loro beni.

    Per le congregazioni religiose residenti in Lombardia la via per sfuggire alla soppressione fu quella di appellarsi al Trattato di Zurigo, stipulato nel 1859. Prevedendo – a seguito delle guerra d’indipendenza – che la cessione della Lombardia al Regno di Sardegna avrebbe comportato la soppressione delle corporazioni religiose e l’incameramento dei loro beni (come già avvenuto nel Regno di Sardegna nel 1848 e nel 1855), nel trattato tra Austria, Francia e Regno di Sardegna, siglato nel 1859, era stato inserito (su proposta del preposito generale dei Gesuiti, padre Peter Johann Beckx) l’articolo XVI a favore delle congregazioni religiose presenti in Lombardia nel caso il territorio passasse alle dipendenze di una autorità civile che non autorizzasse il mantenimento delle loro istituzioni.

    Al Trattato di Zurigo si appellarono molte congregazioni religiose lombarde, e tra esse le Orsoline di San Carlo, di Milano, le Figlie della Carità Canossiane a Como, le Suore della Sante Capitanio e Gerosa, ancora a Milano. La via maestra, comunque, per salvare gli immobili fu quella di adottare le leggi dello Stato, cioè quelle forme di possesso previste per i singoli cittadini e per le società civili che essi potevano legittimamente costituire. In questo modo si comportarono le Marcelline di Milano, che, nel dicembre del 1866, costituirono una “Società educativa” e contemporaneamente distribuirono le proprietà delle loro case di Cernusco, Vimercate e Milano a piccoli gruppi di Marcelline in società tra loro. E ugualmente fecero le Figlie della Carità Canossiane, di Milano; le Suore di Carità delle Sante Bartolomea Capitanio e Vincenza Gerosa, di Milano; le Figlie di San Giuseppe fondate da don Luigi Caburlotto, le Serve dei Poveri di Palermo (che costituirono una società tontinaria), e le Ancelle della Carità di Brescia, che costituirono la “Società anonima San Giuseppe”, e le Figlie di Maria Ausiliatrice che costituirono la società anonima immobiliare “L’Ausiliare”, e tante altre ancora che sarebbe troppo lungo elencare. Il risultato finale fu che, proprio adeguandosi alle leggi dello Stato, anche le congregazioni religiose femminili riuscirono non solo a difendere i loro patrimoni, ma ad accrescerli, anche in misura considerevole, costruendo continuamente nuove case, scuole, oratori, chiese, asili ecc. Ciò era reso possibile, per un verso, dalla vita comune delle religiose, che facilitava il risparmio; per l’altro, dai compensi che le amministrazioni comunali (nel caso di asili, scuole ecc.) o statali (per le carceri) versavano loro previe apposite convenzioni. In questo modo le religiose arrivarono al concordato del 1929 con una presenza molto rilevante nella vita italiana.

    L’evoluzione delle opere. Tra le tante opere svolte nel lungo periodo 1861-2010 – asili nido per aiutare la madre che lavorava; orfanotrofi; educandati; convitti per operaie; scuole speciali per sordomuti; case religiose trasformate in ospedale nel corso della prima guerra mondiale; cucine economiche; dormitori per poveri; aiuto a ex carcerate; accoglienza degli Ebrei durante la seconda guerra mondiale a Roma particolarmente, ma anche in tante altre case d’Italia, ecc. – tre rivestono un particolare interesse.

    L’ospedale. Le congregazioni ospedaliere avevano provveduto, sin dalla prima metà dell’Ottocento, a preparare le proprie religiose per lo svolgimento delle mansioni infermieristiche, con appositi insegnamenti impartiti dai medici degli ospedali nei quali esse prestavano servizio. In Italia sino ai primi anni del Novecento non esistevano alcun manuale per l’assistenza infermieristica, e quindi degno di nota appare l’iniziativa di mons. Giovanni Antonio Farina, fondatore delle Suore Dorotee a Vicenza, che per loro fece tradurre e pubblicare in italiano nel 1878 un manuale francese sulla formazione delle infermiere. In seguito la formazione delle religiose infermiere venne svolta nelle cosiddette “scuole samaritane” e più tardi nelle scuole infermieristiche annesse agli ospedali dove già lavoravano le religiose. Il presupposto base, comunque, era che le suore dovessero essere infermiere e non potessero divenire medici, essendo la medicina una delle professioni proibite al clero e ai religiosi sin dal Medioevo.

    I “convitti per operaie”. Essi erano sorti per aiutare le giovani che si trovavano lontano da casa per esigenze di lavoro, quindi in risposta a richieste sia di famiglie, che cercavano una protezione per le loro figlie, sia di parroci, che temevano per l’incolumità delle giovani, sia di imprenditori, alla ricerca di una sistemazione soddisfacente per le loro filandiere. E molte furono le congregazioni impegnatesi in quest’opera, dalle suore della Sacra Famiglia, fondate da Elisabetta Cerioli, alle suore della Carità di Lovere che complessivamente diressero 26 convitti per operaie, tutti localizzati nel Nord Italia; alle Salesiane di don Bosco, alle Guanelliane e a tanti altri ancora, sicuramente sin verso il 1930-1940 (Giovanni Gregorini, I convitti per operaie…: v. bibl.).

    La scuola. Subito dopo l’Unità d’Italia, diversi istituti inviarono le loro religiose alle conferenze magistrali e pedagogiche per essere abilitate all’insegnamento elementare, e poi anche a regolari scuole normali per conseguire la patente elementare e successivamente anche i diplomi di ginnastica, mentre non pochi istituti crearono scuole normali interne per formare le proprie religiose e le giovani, sottoponendole poi tutte a esami pubblici. Tra le prime figurano le Marcelline di Milano, le Suore di S. Anna di Torino, le Figlie della Carità di s. Vincenzo de’ Paoli a Napoli. E numerose furono le religiose avviate a studi universitari, già alla fine dell’Ottocento, e tra le prime figurano ancora una volta le Marcelline di Milano, le Salesiane di don Bosco e le Figlie del Sacro Cuore di Gesù fondate da Teresa Eustochio Verzeri. L’apertura, nel 1882, del Magistero femminile a Firenze e a Roma costituì una nuova possibilità per la formazione delle religiose, alcune delle quali si diplomarono avendo come esaminatori Giosué Carducci e Maria Montessori.

    La conclusione – banale, si potrebbe dire – è che con le loro opere le religiose italiane contribuirono notevolmente ad aumentare il benessere economico dell’Italia.

    Il Concordato del 1929. Già prima del Concordato del 1929 lo Stato italiano non aveva mancato di servirsi degli istituti religiosi femminili, chiamando, ad es., le Figlie di S. Anna nella neocolonia italiana dell’Eritrea, o altri istituti per il servizio nelle carceri femminili. Il Concordato apriva ampie possibilità per il riconoscimento giuridico degli istituti religiosi di diritto pontificio, e quindi per la sistemazione dei loro beni. Gli istituti religiosi, però, sul momento furono restii a utilizzarlo, timorosi di ritorsioni da parte di uno Stato che aveva incamerato tanti loro beni, e fu necessario l’intervento di Pio XI – tramite il card. Ildefonso Schuster – perché rompessero gli indugi.

    Da parte sua, la S. Sede cercò di facilitare il più possibile gli istituti religiosi bisognosi di trovare una sistemazione civile alle loro proprietà, e creò il cosiddetto “pro-decreto di lode”, concesso a istituti configurati di diritto pontificio di fronte allo Stato italiano, ma che restavano di diritto diocesano di fronte alla Chiesa. Esso venne concesso a molti istituti femminili (Ancelle dell’Immacolata, Figlie del Sacratissimo Cuore di Gesù, Francescane Ancelle di Maria ecc.), suscitando, alla fine, difficoltà da parte del Governo italiano, che premeva per il rispetto di quanto sancito nel Concordato del 1929.

    L’insegnamento delle statistiche. Le statistiche indicano chiaramente che ancora nel 1881 – come già nel censimento del 1861 – le regioni con il maggior numero di religiosi erano quelle del Sud, con Campania e Sicilia in testa. Si sa, però, che esse erano per lo più monache, mentre al Nord si stavano sviluppando le nuove congregazioni religiose, che poco per volta superano il numero delle monache in tutte le regioni, anche nel Sud. Le percentuali del 1951, in base al numero degli abitanti (10.000) indicano che al Nord si superano le percentuali del 30%, mentre Campania e Sicilia restano tra il 10 e il 20%. Ciò conferma che la storia e la presenza della vita religiosa in Italia si differenzia tra Nord e Sud.

    Le religiose italiane nei censimenti posteriori all’Unità d’Italia
                   
      1881 1901 1911 1921 1931 1951
                Suore %
    Piemonte 2.645 4.435 5.380 10.373 16.225 18.335 50
    Lombardia 2.183 4.637 7.637 11.139 20.841 26.738 41,5
    Trentino-Alto Adige 2.020 2.497 34
    Veneto 1.151 2.969 4.030 7.834 11.621 20.581 34
    Friuli-Venezia Giulia 854 1.426 34
    Liguria 1.964 2.844 3.513 4.573 6.455 7.309 40,4
    Emilia-Romagna 859 1.543 1.656 3.984 6.788 7.816 30,7
    Toscana 1.984 3.204 2.875 5.671 8.072 9.278 25,9
    Umbria 812 1.053 1.315 1.963 2.746 3.582 35,4
    Marche 975 1.285 1.222 2.309 3.338 4.215 29,7
    Lazio 2.427 5.353 5.317 7.235 12.453 19.682 63,4
    Abruzzo e Molise 712 764 566 935 1.130 1.673 12,9
    Campania 4.938 5.072 5.137 5.434 7.179 6.719 19,8
    Puglia 1.962 2.816 1.981 2.116 3.154 4.273 15,9
    Basilicata 335 302 294 149 386 2.242 13,2
    Calabria 536 584 629 590 1.085 1.632 8
    Sicilia 4.465 4.122 3.679 3.913 5.999 8.534 16,5
    Sardegna 224 268 349 637 923 1.457 10,7
                   
    Totale 28.172 40.251 45.616 71.679 112.208 144.171 30,3

    Un ulteriore confronto con le percentuali di nubilato permette di comprendere che il numero delle religiose in Italia non diminuisce a seguito del concilio Vaticano II, ma già prima, tra il ventennio 1931 e 1951. Se le percentuali di crescita fossero state quelle del 1931, le religiose nel 1951 sarebbero state non 144.171, bensì 169-170.000. Ciò indicava un mutamento che non poteva essere attribuito alle conseguenze della seconda guerra mondiale, ma a un mutamento che stava ormai avvenendo nella società, avvertito soprattutto nelle religioni settentrionali, cioè quelle regioni che nella prima metà dell’Ottocento avevano dato avvio al nuovo sviluppo della vita religiosa.

    Le religiose italiane dal 1966 al 2010
     
    Anni 1966 1990 2000 2010
     
    Religiose 155.962 111.087 89.386 66.965

    Fonte. Per il 1966: S. C. dei Religiosi, Ufficio Statistico. Per gli anni successivi: Annuarium Statisticum Ecclesiae, agli anni indicati. Per gli anni 1990-2000-2010 il totale comprende religiose di voti perpetui, temporanei e novizie.

    Dopo il concilio Vaticano II. Al Primo congresso generale degli stati di perfezione, svoltosi a Roma nel 1950, le religiose non erano presenti. Le statistiche indicano chiaramente una forte diminuzione del numero delle religiose italiane, dovuto sia al minor reclutamento, sia alle uscite dagli istituti verificatesi negli anni immediatamente seguiti al concilio Vaticano II. Si calcola, infatti, che tra il 1965 e il 1974 circa 15.000 religiose abbiano lasciato i loro istituti. La loro presenza, nel 1974, restava tuttavia molto forte (cf Colagiovanni, Le religiose italiane…: v. bibl.)., poiché esse potevano contare 9.451 scuole materne (circa il 37% di tutte le scuole materne italiane), 1650 scuole elementari (5% rispetto alle scuole statali), 544 scuole medie inferiori (circa il 6,26 in rapporto alle statali), 646 scuole medie superiore (12,50 rispetto alle scuole statali). Per quanto riguardava i servizi ospedalieri, le congregazioni erano proprietarie di 107 cliniche (circa il 12,55 di tutte le cliniche private italiane, che erano 844), operavano in 256 cliniche private e in 1.090 istituti di cura pubblici (circa l’83,39% di tutti gli istituti pubblici). Questa molteplicità di opere è poi notevolmente diminuita, a seguito del costante calo del numero delle religiose, producendo un generale impoverimento economico delle congregazioni religiose femminili (dalle 12.832 case del 1990 si è passati a 8.163 nel 2010), dovendo, da una parte, provvedere alle loro religiose anziane o inferme, dall’altra, sostenere i costi di tante opere, ormai affidate a laici. Dal 1956 tutte le religiose italiane si trovano organizzate nella Unione Superiore Maggiori d’Italia (USMI), che per loro pubblica la rivista Consacrazione e servizio.

    Fonti e Bibl. essenziale

    G. Rocca, La storiografia italiana sulla congregazione religiosa, in Religiose, religiosi, economia e società nell’Italia contemporanea, a cura di Giovanni Gregorini, Milano 2008, 29-101. A carattere generale: G. Rocca, Riorganizzazione e sviluppo degli istituti religiosi in Italia dalle soppressioni del 1866 a Pio XII (1938-59), in Problemi di storia della Chiesa. Dal Vaticano I al Vaticano II, a cura dell’Associazione italiana dei professori di storia della Chiesa, Roma 1988, 239-294; Id., Istituti religiosi in Italia tra Otto e Novecento, in M. Rosa, ed., Clero e società nell’Italia contemporanea, Bari 1992, 207-256; Id., Donne religiose. Contributo a una storia della condizione femminile in Italia nei secoli XIX-XX, in Claretianum 32 (1992) 5-320 (come estratto, con Appendice, Bibliografia e Indici: Roma, [Edizioni Paoline], 1992; Id., Le religiose italiane, in Cristiani d’Italia. Chiese, società, Stato, 1861-2011, a cura di A. Melloni, II, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2011, 959-973; Ministero dell’Interno, Archivio Storico del Fondo Edifici di Culto, I, Le corporazioni religiose (1855-1977), a cura di C. Iuozzo, Roma, Palombi Editore, 2013. Per l’economia durante il periodo delle soppressioni: G. Rocca, Le strategie anticonfisca degli istituti religiosi in Italia dall’Unità al Concordato del 1929: appunti per una ricerca, in Clero, economia e contabilità in Europa. Tra Medioevo ed età contemporanea, a cura di R. Di Pietra e Fiorenzo Landi, Roma 2007, 226-247; Id., L’économie des instituts religieux italiens de 1861 à 1929. Données pour une recherche, in The Economics of Providence / L’économie de la Providence, a cura di Maarten Van Dijck et alii, Lovanio 2012, 295-322. Per le statistiche: Aldo Leoni, Aggiornamento o processo di adeguamento degli istituti religiosi femminili alle esigenze della società italiana, Roma 1958; Emilio Colagiovanni, Le religiose italiane. Ricerca socio grafica, Roma, Centro Studi USMI, 1976, 459ss (scuole) e 495ss (cliniche e ospedali). Per il contributo al benessere della società italiana: Giancarlo Rocca e Tiziano Vecchiato, edd., Per carità e giustizia. Il contributo degli istituti religiosi alla costruzione del welfare italiano, Padova, Fondazione “Emanuela Zancan”, 2011, in particolare lo studio di Giovanni Gregorini, I convitti per operaie, 122-141.


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