Emigrazione, Immigrazione – vol. I

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    Autore: Matteo Sanfilippo

    L’emigrazione italiana ha dimensioni di tutto rispetto già nel Basso medioevo. Sin dal Tre-Quattrocento sono infatti usuali: 1) le migrazioni agricole, stagionali e a medio-lungo periodo: da Toscana e Liguria alla Provenza oppure dal Triveneto alle terre imperiali; 2) l’ambulantato commerciale e artigianale: dal Piemonte in Francia e Svizzera; 3) l’esodo ciclico e per varia durata di lavoratori specializzati – in particolari edili – da Lombardia e dal Piemonte ai paesi oltre le Alpi. A questa mobilità tradizionale si aggiunge quella indotta dallo sviluppo commerciale: Milano, Venezia, Genova, Firenze e Lucca acquistano un peso sempre maggiore negli scambi continentali e inviano stabilmente propri rappresentanti nelle capitali europee o nei luoghi dove si tengono fiere internazionali e tali inviati divengono il nucleo di comunità emigrate.

    Contemporaneamente la Penisola attrae popolazioni dal di fuori. Per tutto il medioevo, questo era avvenuto grazie alle “invasioni”, dai barbari agli arabi, ai normanni e agli svevi, trasformatesi in vettori immigratori. Contemporaneamente arrivano popolazioni balcaniche in fuga davanti alle ondate prima barbariche e poi islamiche, culminate nella conquista turca del Quattro-Cinquecenteo. Nel Due-Trecento entrano in gioco nuovi fattori, quale, per esempio, il grande sviluppo dell’università bolognese che attira docenti e discenti di ogni contrada europea. Tali arrivi richiamano artigiani stranieri, pronti a lavorare per una clientela trasferitasi dai loro stessi luoghi di partenza, ma anche per una città in piena fioritura. Non bisogna inoltre sottovalutare le migrazioni a breve raggio, che hanno un forte rilievo numerico e aprono la strada a successivi spostamenti: così il trasferimento di lombardi nell’entroterra di Venezia li porta in un secondo tempo in Friuli e qui offre loro la possibilità di proseguire oltre le Alpi, mentre quello dalla Calabria alla Sicilia ispira successivi salti nell’ambito dei domini aragonesi e in genere la presenza nei domini spagnoli in Italia facilita successivamente il passaggio ai domini spagnoli in Europa o in America.

    Di fronte alla crescente mobilità migratoria, la Chiesa di Roma sfrutta inizialmente la presenza di religiosi corregionali o connazionali dei migranti. In particolare ricorre all’opera di regolari provenienti dall’Italia per gli italiani fuori dei confini peninsulari o di regolari provenienti da fuori Italia per chi si trasferisce nella Penisola. Tali interventi, spesso “volanti” come tante missioni fra gli immigrati di fine Ottocento, cessano quando gli emigrati italiani fuori della Penisola e quelli europei in Italia chiedono o costruiscono proprie chiese. Nasce allora il fenomeno delle chiese o delle cappelle nazionali presenti in diversi luoghi del Vecchio Mondo tra Quattro e Cinquecento, spesso affiancata da altre istituzioni e sempre servito da un clero, regolare o secolare della stessa provenienza dei migranti. Nel Quattrocento esistono chiese italiane a Parigi e Ginevra, mentre nel secolo successivo troviamo una cappella e un ospedale “de los Italianos” a Madrid, una chiesa e un ospedale a Praga, istituzioni analoghe a Lisbona e a Londra. Allo stesso tempo Roma attrae una crescente popolazione europea (i censimenti di inizio Cinquecento indicano percentuali non lontane da quelle di inizi Duemila) e vede nascere un reticolo di chiese nazionali. Nella città queste sono d’altronde una tradizione antichissima: tra il 724 e il 726 Ina, re del Wessex, nelle vicinanze della basilica di S. Pietro fonda la Scuola sassone, cioè un complesso di edifici, che comprende una chiesa, un ospizio, un albergo e talvolta persino un ospedale e un cimitero, presto imitato da frisoni, franchi, longobardi, alamanni, burgundi, bavari e ungari. Dal Trecento l’afflusso di immigrati, che restano per lungo tempo o addirittura per sempre e che servono da appoggio ai pellegrini e ai diplomatici del loro paese, porta alla fondazione di confraternite e ospizi, secondo un meccanismo non lontano da quello delle scholae, e stimola la fondazione di chiese nazionali. Proprio in quel secolo S. Antonio dei Portoghesi diviene il centro della comunità lusitana e accanto alla chiesa sorge un ospedale. S. Ivo dei Brettoni nasce dalla ristrutturazione di una chiesa più antica donata da Nicolò V ai bretoni: la concessione è ratificata da Callisto III e accanto alla chiesa sorgono l’ospizio e l’ospedale. S. Maria dell’Anima è ricostruita nel 1500-1523 sul luogo della cappella e dell’ospizio per pellegrini di area germanica (cioè tedeschi, austriaci, fiamminghi e olandesi) fondati secondo la tradizione da Giovanni di Pietro da Dordrecht alla metà del Trecento e riorganizzati nel 1410. S. Girolamo degli Illirici (oggi dei Croati) è eretta sotto Sisto IV, al posto di una chiesetta concessa da Nicolò V: a essa sono annessi un ospizio e un ospedale. S. Giacomo degli Spagnoli (ora Nostra Signora del S. Cuore a piazza Navona) è ristrutturata in occasione del giubileo del 1450, ma forse era già sosta per i pellegrini ispanici. La costruzione di S. Pietro in Montorio è voluta da un gruppo di francescani spagnoli e finanziata da Ferdinando e Isabella di Spagna; sarà in seguito aiutata da Carlo V, Filippo III e Filippo IV. S. Luigi dei Francesi è iniziata nel 1518, ma la fondazione è preceduta da quella della confraternita omonima eretta nel 1478, che acquista alcune chiese del rione Regola e un ospedale in rovina, presto ricostruito. S. Maria in Monserrato è iniziata sempre nel 1518 per gli aragonesi, i catalani e i valenziani: nello stesso luogo esisteva un ospizio dei catalani e Alessandro VI, le cui spoglie vi sono deposte assieme a quelle di Callisto III, vi fonda una confraternita per i suoi conterranei. S. Stanislao dei Polacchi in via delle Botteghe Oscure è concessa nel 1578 al cardinale Stanislao Hozjusz, che costruisce anche l’ospizio e l’ospedale. S. Andrea degli Scozzesi a via delle Quattro Fontane è costruita per i cattolici di quella nazione nel 1592, mentre nel secolo precedente essi utilizzavano la chiesa di S. Andrea delle Fratte. S. Isidoro a via degli Artisti è pensata per i francescani spagnoli nel 1622, ma tre anni dopo è dei francescani irlandesi. S. Nicola dei Lorenesi è ricostruita nel 1635-1636 per volontà della confraternita lorenese, mentre SS. Andrea e Claudio dei Borgognoni è edificata nella seconda metà Seicento.

    In tutti questi edifici sacri, come in quelli per gli italiani fuori della Penisola, un clero migrante, che segue i propri connazionali, garantisce l’assistenza nella lingua di partenza. Mentre aumentano le chiese nazionali a Roma e nelle altre grandi città europee, l’unità della cristianità s’infrange e al problema dell’assistenza degli immigrati si abbina quello di controllare chi non appartiene alla Chiesa del luogo di insediamento. La progressiva estensione dei territori protestanti e la paura della penetrazione della Riforma nella Penisola porta a un irrigidimento dei controlli religiosi, dei quali fanno le spese anche le comunità di rito orientale di lontano (i greci) o di vicino insediamento (gli albanesi). Per quanto riguarda gli emigrati di origine italiana, sappiamo che le loro chiese di Ginevra e di Londra passano rispettivamente sotto i calvinisti e gli anglicani. Grazie alla documentazione del Sant’Uffizio scopriamo inoltre che gli stranieri in Italia sono sottoposti a un continuo “screening” religioso e che al contempo le autorità romane non vorrebbero italiani nelle terre degli “eretici”. Tuttavia i mercanti della Penisola non accettano tali esortazioni e continuano a operare in piazze come Norimberga. Proprio in quest’ultimala comunità emigrata non disdegna le cerimonie luterane, ma allo stesso tempo mantiene un missionario cattolico per assicurare il proseguimento della tradizionale adesione religiosa. Altre forme di adattamento, in genere deprecate da Roma, si trovano in Inghilterra, in Polonia e in Olanda.

    D’altra parte lo stesso potere pontificio non si oppone a forme striscianti di adattamento per quanto riguarda i protestanti in Italia. Questi sono in genere controllati e talvolta spinti alla conversione, ma in genere quest’ultima è limitata a persone chi si è mosso verso la Penisola proprio a tal scopo. La pressione sui protestanti stranieri in Italia diviene una questione di opportunità politico-economica: non si perseguono le comunità che appartengono a Stati con saldi legami commerciali con la Penisola, né chi appartiene al clan degli Stuart approdato nella città dei papi. Anzi a questi ultimi sono offerti privilegi straordinari, per esempio un apposito cimitero presto aperto a tutti i non cattolici. Di conseguenza la Città Eterna attira ancora di più i protestanti, soprattutto inglesi, e questi, divenendo più numerosi, ottengono nel corso del Sette-Ottocento ulteriori riconoscimenti, ivi compresa la possibilità di far venire membri del proprio clero, purché celebrino le funzioni religiose soltanto nelle abitazioni private. Nel 1816 è addirittura inaugurata una cappellania informale a via del Babuino, dove sarà più tardi eretta la chiesa anglicana di Ognissanti.

    Nel corso dell’Ottocento l’emigrazione italiana assume dimensioni sempre maggiori. Inoltre gli italiani non si recano prevalentemente in Francia, Spagna, Austria-Ungheria e l’America Latina, ma optano per Gran Bretagna e Germania, Stati Uniti e Canada. La Santa Sede comprende che potrebbe perdere quelle anime, come d’altronde può ormai accadere anche nell’ecumene cattolico: anticlericalismo e movimenti nazionali rendono infatti la Francia o l’America Latina altrettanto pericolose di un paese protestante. Allo stesso tempo l’arrivo nelle Americhe e in Francia di cattolici di varie nazionalità e soprattutto di diversi idiomi obbliga la chiesa a ristrutturare la propria organizzazione. Non è infatti semplice accogliere i nuovi arrivati nelle parrocchie territoriali, dove si parla soltanto la lingua del luogo.

    Negli anni 1840 la nunziatura apostolica in Brasile affronta contemporaneamente i due problemi. Da un lato, cerca di controllare la propaganda antipontificia degli esuli italiani. Dall’altro, l’internunzio Gaetano Bedini si occupa degli emigrati per ragioni economiche e richiede sacerdoti per seguire i nuovi arrivati. Nel 1853-1854, nuovamente diretto in Brasile, si ferma negli Stati Uniti e nel Canada e redige numerose lettere sugli europei che varcano l’Atlantico, la loro integrazione e la necessità di assisterli. In tale occasione rileva come il pericolo non sia più la propaganda protestante, quanto quella dei movimenti anti-emigrati e degli esuli del 1848, tanto più che i due fronti si saldano proprio per contestare il suo viaggio. A questo punto la difesa della presenza cattolica nelle Americhe e della fede degli emigrati si lega, per Bedini, a quella dei diritti del pontefice. Secondo lui, il futuro di Roma si gioca su tanti fronti e uno di questi è quello americano, dove un aspetto importante della lotta è la disputa per il controllo degli immigrati. Gli spunti del nunzio sono meditati dalla burocrazia romana per decenni, tanto più che Bedini ascende ai vertici della gerarchia cattolica come influentissimo segretario di Propaganda Fide e cardinale arcivescovo di Viterbo.

    Durante l’attività di Bedini, gli ordini missionari iniziano a occuparsi sul campo degli emigranti, italiani e non. Barnabiti, cappuccini, domenicani, francescani, gesuiti, redentoristi e serviti annoverano religiosi in grado di badare a fedeli di più nazionalità e quindi si fanno carico dell’assistenza dei migranti. Il loro intervento non è, però, sufficiente ed essi non vogliono dedicarsi alla cura degli immigrati. Intervengono allora istituti di nuova fondazione: nel 1844, per esempio, Vincenzo Pallotti affida gli italiani di Londra a Raffaele Melia e questi fonda la parrocchia di S. Pietro, perché ritiene che i connazionali abbiano bisogno di un proprio tempio. Nei decenni seguenti i pallottini estendono il loro sforzo e sbarcano infine oltre Atlantico (nel 1884 a Brooklyn e New York, nel 1886 nel Rio Grande do Sul).

    Fonti e Bibl. essenziale

    The Protestant Cemetery in Rome. The “Parte Antica”, a cura di A. Menniti Ippolito e Paolo Vian, Roma, Unione Internazionale degli Istituti di Archeologia Storia e Storia dell’Arte in Roma, 1989; Roma, la città del papa, a cura di L. Fiorani – A. Prosperi, Storia d’Italia, Annali, 16, Torino, Einaudi, 2000; G. Pizzorusso – M. Sanfilippo, Dagli indiani agli emigranti. L’attenzione della Chiesa romana al Nuovo Mondo, 1492-1908, Viterbo, Sette Città, 2005; I. Fosi, Stranieri in Italia: mobilità, controllo, tolleranza, in Studi storici dedicati a Orazio Cancila, a cura di A. Giuffrida, F. D’Avenia – D. Palermo, Palermo, Mediterranea 2011, 531-556, e Convertire lo straniero. Forestieri e Inquisizione a Roma in età moderna, Roma, Viella, 2011; M. Sanfilippo, Faccia da italiano, Roma, Salerno Editrice, 2011; P. Corti – M. Sanfilippo, L’Italia e le migrazioni, Roma-Bari, Laterza, 2012; Ad ultimos usque terrarum terminos in fide proganda. Roma fra promozione e difesa della fede in età moderna, a cura di M. Ghilardi, G. Sabatini, M. Sanfilippo e D. Strangio, Viterbo, Sette Città, 2014; A. Menniti Ippolito, Il Cimitero acattolico di Roma. La presenza protestante nella città del papa, Roma, Viella, 2014; Chiese e nationes a Roma: dalla Scandinavia ai Balcani, a cura di A. Molnár, G. Pizzorusso e M. Sanfilippo, Roma, Viella, 2017.


    LEMMARIO