Congregazione dei Vescovi e Regolari – vol. I

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    Autore: Antonio Menniti Ippolito

    L’origine della Congregazione dei Vescovi e regolari può essere individuata nella speciale commissione cui Pio V affidò il compito d’affrontare alcune gravi questioni in materia ecclesiastica relative al Patriarcato di Aquileia. Esauritasi l’emergenza in quella sede, la commissione continuò a operare in tema di controllo sull’attività dei vescovi fino a divenire nel 1576, con Gregorio XIII, un organo, peraltro da ora permanente, che prese il nome di Sacra Congregatio super consultationibus episcoporum. Ad essa si affiancò, dieci anni più tardi, con Sisto V, nel 1586, la Sacra Congregatio super consultationibus regularium e lo stesso papa, l’anno successivo, accolse nel suo elenco di quindici organismi le due congregazioni con personale e competenze distinte. Fu sotto Clemente VIII che esse furono infine accorpate ed ebbero, almeno dal 1593, un unico prefetto. Dal 1601 l’organismo viene presentato quale Sacra Congregatio negotiis et consultationibus Episcoporum et Regularium praeposita.

    Tali e tante le sue competenze, che Urbano VIII ebbe a specificare che esse potevano considerarsi di fatto universali: di fatto le era solo precluso il compito di affrontare questioni legate all’interpretazione dei canoni conciliari che restava esclusivo della Congregazione del Concilio. In realtà nel 1622 era stata già sottratta all’ufficio la giurisdizione sui vescovi in area di missione, passata a Propaganda Fide, e nel 1626 le questioni relative all’Immunità e privilegi di giurisdizione del corpo ecclesiastico che passarono, appunto, alla Congregazione dell’Immunità. Nel 1649 Innocenzo X istituì poi la Congregazione sullo Stato dei regolari che si proponeva di analizzare la situazione dei vari conventi in vista di una riforma disciplinare.

    Composizione, procedura e competenze. A comporre la Congregazione dei Vescovi e regolari erano soli cardinali con l’eccezione del prelato segretario (ma tale ruolo, scriveva de Luca, era «tra i più prossimi al cardinalato»), e un discreto numero di detti componenti, rivelano gli Annuari, partecipavano – venendo a costituire di fatto una sorta di “supercongregazione” – anche all’attività delle Congregazioni del Sant’Uffizio, del Concilio e dell’Immunità, che costituivano i “dicasteri” pontifici con competenza sulla realtà ecclesiastica (e non solo). Chi si rivolgeva per qualsiasi genere di problema a questa, come alle altre Congregazioni su nominate, non doveva pagare nulla, neppure per le spedizioni. Le competenze della Congregazione dei Vescovi e regolari si sovrapponevano inevitabilmente soprattutto con quelle della Congregazione del Concilio, ma il cardinal de Luca notava però in proposito che mentre quest’ultima camminava in termini strettamente giuridici, «i quali risultano dai canoni o dai concilii», la prima «ragionevolmente alle volte suol camminare da principe ecclesiastico, con le regole prudenziali, non devianti però dal senso, ovvero dalla ragione de’ sacri canoni e de’ concilii, e con le notizie e informazioni anche occulte, così richiedendo la qualità de’ negozi, molti de’ quali, o per sostenere la dignità episcopale, o la riputazione delle religioni, o de’ monasteri, non conviene di mettere in pubblico […], sicché comple di governarli con una pia ecclesiastica politica». La Congregazione doveva insomma solo ispirarsi alle norme giuridiche, ma le sue deliberazioni dovevano essere improntate a duttilità e prudenza e adattarsi alle realtà che s’incontravano. Da qui una procedura lenta, attenta, complessa. I memoriali che venivano spediti o direttamente ai padri della Congregazione o al papa, e che contenevano denunce contro comportamenti illeciti o comunque critici di ecclesiastici, richieste d’autorizzazione per alienare o tramutare benefici ecclesiastici o relative a riti, vacanze, conflitti di giurisdizione, ecc., venivano in analizzati in prima battuta dai membri del dicastero e poi, assai di frequente, rispediti al vescovo o ad altri che potevano ragionevolmente esprimersi sulle tematiche presentate, con richieste di approfondimento. Non di rado, e soprattutto quando lo stesso ordinario era coinvolto nel quesito, erano rivolte invece ad altri prelati o vescovi vicini. Tutto, come detto, con metodi extragiudiziali e con metodo «prudenziale», «ad uso di principe più che di giudice». Le richieste di fatto sistematiche di approfondimento rendevano lunghissima la trattazione delle cause, che si trascinavano solitamente per anni: ciò era soprattutto dovuto alla natura dei memoriali presentati alla Congregazione, che erano atti di parte, composti per sostenere (presunti) diritti, per difendersi da accuse, per denunciare qualcuno o qualcosa e a tal fine spesso artificiosamente, se non maliziosamente, caricati di elementi impropri. Al memoriale iniziale seguiva poi tra l’altro spesso un contro-memoriale altrettanto poco oggettivo, oppure omissivo, o, ancora, ugualmente caratterizzato da una spiccata tendenza a drammatizzare, ad esagerare ogni elemento.

    In sintesi, alla Congregazione venivano sottoposte tutte le denunce riguardanti ordinari, prelati minori e regolari d’ogni Ordine o Religione. Per quel che riguardava i vescovi i temi trattati nei memoriali possono essere raccolti in sei gruppi. 1) Questioni beneficiarie e patrimoniali, legate ad esempio all’amministrazione di proprietà ecclesiastiche infruttuose, magari ricevute grazie a donazioni o lasciti testamentari, oppure alla possibilità di utilizzare rendite destinate ad uno scopo per un’altra funzione. 2) Questioni legate ai chierici, al loro numero spesso eccessivo, e, più di rado, insufficiente. Erano soprattutto i chierici coniugati e quelli «selvatici» o «vaganti» a costituire un problema, spesso grave. 3) Casi legati a vacanze beneficiarie, a elezioni, contestate o non, ad esempio dei vicari capitolari in tempo di sede vacante. 4) Quesiti relativi a riti e cerimoniali: norme ad esempio sui funerali e su quanto poteva essere richiesto per il loro svolgimento, questioni legate a processioni, predicatori, ecc. 5) Contenziosi tra chierici e comunità, tra chierici e autorità civili, tra chierici e chierici. 6) Questioni legate all’amministrazione della giustizia penale, oppure disciplinari e d’ordine pubblico in generale. All’interno di tali casi si presentavano anche, e spesso, conflitti di giurisdizione che coinvolgevano i vescovi con i loro tribunali, i Nunzi e le autorità civili con le loro proprie strutture. Nello specifico, quando le cause riguardavano i vescovi, gli ordinari inquisiti potevano essere convocati a Roma o essere sottoposti al vaglio di un Vicario apostolico o di altre figure speciali rappresentanti l’ufficio romano. La Congregazione poteva spedire un Vicario Apostolico qualora il vescovo si trovasse inabile al servizio per questioni di salute o per altro, oppure quando fossero insorti in sede di vacanza dell’ordinario dissidi all’interno dei Capitoli per l’elezione del Vicario capitolare (dissidi, va sottolineato, molto comuni), o qualora i Capitoli esitassero troppo per qualsiasi ragione all’elezione del detto Vicario. Quanto ai regolari, la Congregazione decideva sulle fondazioni di nuovi monasteri o conventi; sul passaggio di religiosi da un monastero ad un altro, sulle domande di fuoriuscita dal Chiostro. Decideva poi sulle richieste di licenza presentate perché «fanciulle» potessero essere educate in specifici monasteri o per introdurre in detti luoghi servitù utile ad assistere le monache; prendeva posizione sulle pretese di aumentare o di ridurre in certe circostanze le doti necessarie per entrare nei monasteri; risolveva questioni legate alla elezione dei superiori decidendo se erogare dispense; autorizzava la scelta di confessori straordinari; decideva se autorizzare l’abbandono di un luogo religioso per entrare in un altro; accordava i «gradi religiosi»; stabiliva la legittimità di «gravami imposti da’ Prelati agli stessi regolari». La Congregazione aveva poi diritto di disporre ispezioni per verificare le elezioni a cariche compiute in ogni monastero o convento o di autorizzare alienazioni di beni compiute senza preventiva autorizzazione romana. Anche quando le cause riguardavano i regolari le procedure erano lunghe e ispirate a grande prudenza. Le richieste tese ad ottenere chiarimenti e ulteriori informazioni erano sistematiche (e non di rado erano rivolte a regolari che vivevano fuori dell’Europa) e a volte, quando le pratiche erano costituire da ricorsi di religiosi contro i superiori, esse venivano rimesse al Generale della religione, se presente in Curia, o al Procuratore generale della stessa.

    L’attività della Congregazione. Il poderoso fondo dell’Archivio Segreto Vaticano che testimonia dell’attività della Congregazione dei vescovi e regolari costituisce una fonte primaria per lo studio della Chiesa soprattutto italiana. Le cause che vi sono descritte riguardano infatti in primo luogo la Chiesa della penisola, che di fatto costituiva la Provincia religiosa del papa. Sondaggi hanno dimostrato che la Congregazione si occupava di Italia per il 98% dei casi e che l’80% di questa quasi totalità di cause italiane riguardava le terre sottoposte al dominio diretto del pontefice romano e l’Italia meridionale continentale, terra questa caratterizzata da un numero straordinario di diocesi, da una debole sovranità – per largo tratto dell’età moderna esercitata da un vicerè spagnolo – anche caratterizzata dalla forte presenza baronale, da una organizzazione ecclesiastica ricca di elementi peculiari, basti pensare al sistema delle chiese ricettizie. Nel XVIII sec., quando nel Meridione d’Italia agli Asburgo di Spagna si sostituirono prima quelli d’Austria e poi i Borbone, che acquisirono un più che sostanziale controllo della Chiesa meridionale soprattutto con il concordato con la Santa Sede del 1741, l’afflusso, verrebbe da dire il diluvio, di memoriali meridionali si esaurì e a venir trattate dalla Congregazione furono quasi esclusivamente cause relative allo Stato pontificio. Nell’area centro settentrionale della penisola, nei diversi domini in cui essa si trovava divisa, furono istituzioni statali più solide e interessate ad accrescere il controllo sulle Chiese locali ad intercettare naturalmente i memoriali che altrove venivano inviati a Roma. C’è anche da notare come queste aree fossero assai più stabili, relativamente più compatte e meno inquiete di quelle meridionali e con un corpo più disciplinato di chierici e di ordinari.

    Per quel che riguarda i contenuti dei memoriali v’è da notare come a redigerli fossero soprattutto soggetti laici, singoli o comunità, che denunciavano comportamenti impropri, storture, inadempienze. Dalle denunce di gravi crimini (omicidi, reati sessuali, ruberie, abusi compiuti da chierici) o anche solo inadempienze (magari relative alla cattiva gestione del seminario), erano insomma attori laici a chiedere non solo genericamente comportamenti corretti, ad esempio che i chierici vestissero da chierici o svolgessero almeno qualcuna delle funzioni legate al loro ruolo, ma anche a richiamare all’attenzione dei membri della Congregazione dei vescovi e regolari le norme del Concilio tridentino che quei comportamenti e abusi già avrebbero potuto impedire o reprimere. E però, come detto, la Congregazione si regolava altrimenti. Per fare un esempio concreto, nei riguardi di uno dei problemi maggiori della Chiesa del tempo, quello dell’eccessivo numero dei chierici esclusivamente ordinati in minoribus (e si denunciava come ciò avvenisse per il desiderio di costoro di godere delle immunità, fiscali e giudiziarie, legate allo status), per tutta l’età moderna la Congregazione rispose alle continue denunce provenienti dal mondo dei laici solo con generiche raccomandazioni ai vescovi o vicari da cui il fenomeno dipendeva. I canoni tridentini descrivevano invece con precisione i requisiti necessari per divenire chierici e gli obblighi a ciò legati, ma nella realtà d’antico regime, in specie quella del Meridione continentale italiano, non v’era evidentemente modo di applicarli e bisognava agire, ricordando de Luca, politicamente, come un principe e non come un giudice. Una difficoltà che non riguardava peraltro la sola Congregazione dei vescovi e regolari: anche quella del Sant’Uffizio infatti, quando veniva chiamata ad occuparsi delle medesime tematiche riguardanti i comportamenti del mondo dei chierici, agiva allo stesso modo e ricordo come sistematicamente alcuni dei suoi componenti partecipassero del resto anche all’attività dell’altra Congregazione.

    La Congregazione dei vescovi e regolari attiva nelle forme fin qui descritte fu soppressa nel 1908 da Pio X che devolse le sue competenze in parte alla Congregazione Concistoriale in parte alla Congregazione dei religiosi. Oggidì la giurisdizione sui patriarcati, arcidiocesi e diocesi, prelature e abbazie territoriali, ecc. spetta a tre diversi organi: alla Congregazione dei Vescovi e a quelle per le Chiese orientali e per l’Evangelizzazione dei popoli.

    Fonti e Bibl. essenziale

    G.B. de Luca, Theatrum Veritatis et Iustitiae […], XV, Napoli 1678; Id., Il Dottor volgare ovvero il compendio di tutta la legge civile, canonica, feudale e municipale […], IV, Firenze 1843; C. Donati, Vescovi e diocesi d’Italia dall’età post-tridentina alla caduta dell’Antico regime, in Clero e società nell’Italia moderna, a cura di M. Rosa, Laterza, Roma-Bari 1992, 321-389; N. Del Re, La Curia romana. Lineamenti storico-giuridici, IV ediz., Città del Vaticano 1998; G. Romeo, La Congregazione dei Vescovi e Regolari e i visitatori apostolici nell’Italia post-tridentina: un primo bilancio, in Per il Cinquecento religioso italiano. Clero, cultura e società, a cura di M. Sangalli, II, Edizioni dell’Ateneo, Roma 2003, 607-614; A. Menniti Ippolito, 1664. Un anno della Chiesa universale. Saggio sull’italianità del papato in età moderna, Roma, Viella 2011.


    LEMMARIO