Predicazione – vol. I

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    Autore: Roberto Rusconi

    La prima predicazione dell’evangelo del Cristo in Italia rimanda alla venuta a Roma dell’apostolo Pietro e anche dell’apostolo Paolo. Per il primo se ne ha un riflesso nel Vangelo redatto da Marco, per il secondo nell’Epistola ai Romani. Dopo gli editti degli imperatori Costantino, nel 313, e Teodosio, nel 380, nella predicazione cristiana emersero figure episcopali di spicco, come Ambrogio di Milano, Zeno di Verona, Cromazio di Aquileia, Gaudenzio di Brescia, Massimo di Torino, Pietro Crisologo, tra IV e V secolo. Alla stregua di quella di Leone Magno († 461), la loro produzione omiletica fu tramandata nei secoli dell’alto medioevo in raccolte di sermoni latini. Particolarmente influente fu la Regula pastoralis di Gregorio Magno (590-604).

    Nell’ambito dell’organizzazione dell’impero carolingio, e del ruolo assegnato al suo interno alle istituzioni ecclesiastiche, agli inizi del IX secolo diversi capitolari dettarono norme per assicurare una predicazione elementare nelle lingue volgari, il cui esito è attestato da una raccolta di quattordici omelie provenienti dall’Italia settentrionale: vi si prendeva occasione per trasmettere i fondamenti essenziali della fede cristiana. Nei secoli del medioevo centrale la predicazione, scarsa e modesta, fu supportata da omeliari che riadattavano i sermoni latini allo svolgimento dell’anno liturgico, come quelli di Gaudenzio di Brescia e di Paolo Diacono († 799): i loro contenuti dovevano essere volgarizzati ai fedeli, come documenta una raccolta di sermoni di area subalpina.

    Dopo l’affermazione dei riformatori monastici nella lotta per la libertas ecclesiae, sancita dal concordato di Worms nel 1122, le disposizioni dei primi quattro concili ecumenici della Chiesa latina, celebrati a Roma tra 1123 e 1215, ebbero concrete ricadute sulla pastorale ecclesiastica, in particolare con il canone Omnis utriusque sexus del IV concilio del Laterano, che prevedeva per tutti i fedeli l’obbligo della confessione annuale dei peccati e della comunione pasquale, e con il canone Inter caetera, che prospettava un ministero della predicazione in quanto delegato da parte dei vescovi.

    L’esigenza di un rinnovamento della predicazione, incentivato anche dai decreti conciliari, non era peraltro stata soddisfatta dalle limitate esperienze che avevano avuto luogo tra i monaci, che come i Vallombrosani avevano predicato a favore della riforma, e soprattutto tra i canonici regolari. La loro prassi omiletica non rispondeva alla diffusa richiesta di una predicazione di carattere più aderente al messaggio evangelico.

    Anche se il Decretum di Graziano, sin dalla metà del secolo XII, aveva frapposto un impedimento alla predicazione dei laici, ribadito nel 1184 dalla decretale Ad abolendam hereticam pravitatem, negli ultimi decenni del secolo XII e agli inizi del secolo XIII essa fu praticata in diversi ambienti, in particolare tra gli Umiliati di Lombardia e tra i seguaci italiani di Valdesio di Lione. La loro riconciliazione con la gerarchia ecclesiastica ne provocò l’adeguamento alla predicazione dei chierici. Diversamente avvenne per la predicazione dei Catari, aderenti a una Chiesa di origine balcanica, che si pose in potenziale alternativa alla Chiesa romana: malgrado un ampio favore di cui godette nell’Italia centro-settentrionale, entro la fine del secolo XIII essa fu stroncata con il ricorso allo strumento dell’inquisizione. Insieme agli eretici furono messi sul rogo i manoscritti che  documentavano le dottrine iniziatiche predicate dai perfecti ai loro fedeli.

    Un rinnovamento delle forme e dei modi della predicazione nella società italiana degli ultimi secoli del medioevo si ebbe con l’avvento dei frati degli Ordini mendicanti, in primo luogo i frati Minori, seguaci di Francesco d’Assisi († 1226), e i frati Predicatori, seguaci del canonico spagnolo Domingo di Caleruega († 1221). I “domenicani” sin dall’inizio formularono un curriculum studiorum per i frati destinati a predicare, volgarizzando ai fedeli i testi latini redatti sulla base della retorica del sermo modernus, elaborata nelle scuole parigine sin dalla fine del secolo XII: la cui formalizzazione agevolava la preparazione dei predicatori e l’apprendimento degli ascoltatori. A tale indirizzo si adeguarono anche i “francescani”. Soprattutto nei centri urbani, grazie a una capillare diffusione di conventi dei diversi Ordini mendicanti (a francescani e domenicani nel corso del secolo XIII si aggiunsero agostiniani, carmelitani e serviti), la predicazione in volgare divenne una prassi regolare nelle loro chiese, per lo più nelle domeniche e nei numerosi giorni festivi. In particolare a un frate Minore di origine portoghese, Antonio di Padova († 1231), si dovette l’introduzione di una predicazione quotidiana nel periodo quaresimale, in preparazione alla confessione annuale e alla comunione pasquale. Gradualmente con il tempo si affermò, sia pure su scala minore, anche una predicazione quotidiana durante il periodo liturgico dell’Avvento prima della celebrazione del Natale.

    La predicazione dei frati debordò nelle piazze, in occasioni dei movimenti di rinnovamento religioso (cui non erano estranee intromissioni nella politica dei comuni italiani), come quello detto dell’Alleluja nel 1233, e due secoli più tardi con i predicatori di grande richiamo, come il frate Minore dell’Osservanza Bernardino da Siena († 1444) e i suoi seguaci e imitatori, tra cui spiccano i nomi di Giovanni da Capestrano († 1456), a Giacomo della Marca († 1476) e Roberto da Lecce († 1495).

    La restaurazione religiosa ed ecclesiastica, che ebbe luogo in Italia dopo la conclusione del grande scisma d’Occidente (1378-1417), e il consolidamento del potere papale negli Stati della Chiesa ebbero tra i protagonisti predicatori dei diversi Ordini mendicanti, al cui interno si erano affermati movimenti di riforma per l’osservanza della regola. Anche per effetto di una semplificazione della retorica del sermo modernus, essi divennero estremamente popolari, esercitando una grande influenza: cui non furono insensibili i poteri cittadini e statuali, che sovente a essi fecero ricorso per supportare le proprie iniziative. Significativo fu l’impegno di molti predicatori dell’Osservanza minoritica, come Bernardino da Feltre († 1494), nell’appoggiare e nel promuovere l’erezione di un’istituzione di credito su pegno, i Monti di Pietà (e nella costituzione di confraternite laicali che ne supportassero il finanziamento). Ciò peraltro comportò nella predicazione alcune intonazioni decisamente antiebraiche, in particolare in relazione al presunto martirio di un bambino, Simone di Trento (†1475). La predicazione degli Osservanti assicurava inoltre il perseguimento di un conformismo religioso dalle forti valenze civiche.

    La portata politica della predicazione tardo medievale ebbe un epilogo singolare nella vicenda fiorentina di cui fu protagonista Girolamo Savonarola, prima di essere giustiziato nel 1498. Il frate domenicano ferrarese fece ampio ricorso alla stampa a caratteri mobili per diffondere il contenuto delle proprie prediche, “riportate” da un fervido seguace (la pratica della reportatio, attestata sin dagli inizi del secolo XIV per le prediche del domenicano Giordano da Pisa, si era affermata a un secolo di distanza con il domenicano aragonese Vicent Ferrer [† 1419], e con Bernardino da Siena).  Sin dall’introduzione in Italia dell’ars artificialiter scribendi alcuni frati vi avevano già fatto ricorso per diffondere il testo dei loro sermoni.

    L’instabilità politica e militare, a partire dall’ultimo decennio del secolo XV e sino all’affermazione del predominio spagnolo durante i primi decenni del secolo XVI, favorirono la presenza di numerosi predicatori irregolari, la cui predicazione profetico-apocalittica si richiamava all’esempio savonaroliano, salvo incorrere nelle severe sanzioni delle autorità ecclesiastiche e del potere civile. Tra di essi si confuse anche frate Matteo da Bascio, agli inizi della riforma cappuccina.

    Dopo quel periodo si mischiarono profondamente, in un diffuso richiamo a una predicazione a fondamento evangelico, spinte al rinnovamento religioso e infiltrazione delle “idee d’Oltralpe”, dopo le prime prese di posizione pubbliche di un frate agostiniano della provincia di Sassonia, Martin Lutero. Non valsero a fermare i predicatori sospetti le norme adottate (ad esempio dal V Concilio Lateranense nel 1517) per reprimere gli epigoni di Girolamo Savonarola. Con l’istituzione del S. Ufficio dell’Inquisizione nel 1542 si arrivò a un forzato chiarimento, che indusse molti predicatori dei diversi Ordini, che dal pulpito avevano propugnato le nuove idee, a rientrare forzatamente nei ranghi oppure a emigrare rapidamente: Bernardino Ochino da Siena, esponente di spicco del nuovo ramo riformato all’interno del francescanesimo, i Cappuccini, e più rinomato predicatore dell’epoca, lasciò in quello stesso anno l’Italia, perché accusato di aver trasformato una predicazione evangelica incentrata sul Cristo in una coperta diffusione di dottrine ritenute eretiche.

    Nel corso del secolo XVI si verificò un generale mutamento nell’ambito degli Ordini religiosi, in cui al rinnovamento di istituzioni secolari si era aggiunto il diffondersi di una nuova forma istituzionale, le congregazioni di chierici regolari, come Gesuiti, Barnabiti, Teatini, Somaschi ed Oratoriani. Coinvolti nel ministero della predicazione in quanto sacerdoti, almeno in una fase iniziale essi non lo considerarono un proprio compito primario. Nel periodo successivo alla conclusione del Concilio di Trento (1545-1563) la prospettiva di una predicazione ordinaria del clero curato, affacciata già dal vescovo di Verona, Gian Matteo Giberti († 1543), e sulla sua scia dal cardinale arcivescovo di Milano, Carlo Borromeo († 1584), non trovò significativa attuazione per l’inadeguata preparazione dei sacerdoti. I protagonisti della predicazione a partire dalla fine del Cinquecento furono di conseguenza innumerevoli religiosi dei diversi Ordini, come il francescano conventuale Cornelio Musso († 1574), il francescano osservante Francesco Panigarola († 1594), il cappuccino Mattia Bellintani da Salò († 1611). La pubblicazione a stampa dei loro sermonari in lingua italiana aprì la strada a una contaminazione fra oratoria sacra e letteratura, che caratterizzò per l’intero Seicento la predicazione “a concetti”, soprattutto per personaggi come il cappuccino Emanuele Orchi († 1649) e i gesuiti Luigi Giuglaris († 1653), Emanuele Tesauro († 1675), Daniello Bartoli († 1685).

    Tra la fine del Cinquecento e ben oltre la metà del Settecento alcuni ordini religiosi, in particolare Cappuccini e Gesuiti, e poi Passionisti e Redentoristi, si impegnarono nelle missionari popolari, vale a dire cicli straordinari di predicazione rivolti inizialmente a combattere la diffusione delle dottrine eterodosse e le credenze superstiziose: indirizzati soprattutto alle popolazioni rurali, e più tardi estesi anche ai centri urbani. Figure emblematiche furono il gesuita Paolo Segneri († 1694) e il francescano Leonardo da Porto Maurizio († 1751).

    Nel corso del Settecento la critica contro una predicazione artificiosa si fece particolarmente serrata, in particolare tra gli esponenti del cattolicesimo riformatore, come il prelato modenese Ludovico Antonio Muratori (1672-1750). Verso la fine del secolo, nel contesto degli interventi dei governi riformatori degli stati italiani nei confronti delle istituzioni ecclesiastiche e degli ordini regolari, si assistette alla riproposizione di un ruolo primario della predicazione parrocchiale, da parte di Scipione de’ Ricci, vescovo di Pistoia e Prato dal 1780 al 1791, e del sinodo giansenista di Pistoia del 1786.

    A partire dagli ultimi anni del secolo XVIII, l’arrivo in Italia delle armate francesi sull’onda della Rivoluzione del 1789, con l’instaurazione dei regimi repubblicani prima e del potere napoleonico poi, portarono a una massiccia soppressione degli Ordini religiosi, di portata assai più ampia rispetto agli effetti delle disposizioni dei governi riformatori nei diversi Stati durante quel secolo, mettendone in discussione la tradizionale attività di predicazione. Nel corso della Restaurazione succeduta alla caduta del regime napoleonico nel 1814 molti predicatori non rientrarono nei rispettivi Ordini e rimasero nei ranghi del clero secolare, dove erano nel frattempo confluiti. Ripresero la propria attività ordini come Cappuccini, Gesuiti, Preti della Missione e Passionisti, ma ne sorsero anche nuovi, come nel 1815 i Missionari del Preziosissimo Sangue di Gaspare Del Bufalo († 1837). La prima metà dell’Ottocento fu il periodo di maggiore vigore ed efficacia della missioni popolari, significativamente configuratesi come missioni parrocchiali.

    Per fronteggiare la crescente secolarizzazione della società, in particolare urbana, nel frattempo sorsero congregazioni sacerdotali in ambito locale, come gli Oblati di Maria Vergine di Pio Brunone Lanteri (†1830) in Piemonte. A queste associazioni di sacerdoti diocesani si dovette un crescente intervento nella predicazione ordinaria e straordinaria, anche perché, nella prospettiva di dare attuazione alle disposizioni del Concilio di Trento, sia le lettere pastorali dei vescovi e gli statuti sinodali sia le encicliche papali e le disposizioni delle congregazioni romane ribadirono il dovere dei parroci di spiegare il Vangelo durante la predica nel corso della messa festiva. Nei seminari si istituirono di conseguenza insegnamenti di eloquenza, nell’ambito della teologia morale pratica. Nella predicazione si tendeva peraltro a privilegiare la forma, come dimostravano i numerosi trattati che furono pubblicati. Un particolare successo in Italia ebbero le Lezioni di eloquenza sacra del sacerdote Guglielmo Audisio, stampate a Torino nel 1842 (con almeno otto edizioni fino al 1882).

    Fonti e Bibl. essenziale

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    Immagini:

    Sano di Pietro, Bernardino da Siena predica nella Piazza del Campo


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