Cattolicesimo liberale – vol. I

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    Autore: Fulvio De Giorgi

    Origini anti-cesaristiche. Le origini del cattolicesimo liberale sono da rintracciarsi nell’opposizione cattolica al cesarismo napoleonico, di marca non reazionaria, ma con ascendenze nella cultura muratoriana e vichiana del XVIII secolo. Un tipico esempio, in questo senso, fu l’opera Le Notti romane di Alessandro Verri. Da questo anti-dispotismo si dipartono, per così dire, due sviluppi culturali e di ideali politici, i quali, ancorché contigui e, in qualche caso, sovrapposti, sono tuttavia da distinguersi: il cattolicesimo liberale in senso stretto e il guelfismo.

    In Europa. Per cattolicesimo liberale in senso stretto va dunque inteso quel movimento, a raggio europeo, che accompagnò la progressiva affermazione di regimi liberali nell’Ottocento: si trattò dunque, in sintesi, dell’adesione di cattolici alle ideologie liberali. Il momento di emersione fu il 1830, con la rivoluzione di luglio in Francia e con la rivoluzione indipendentista in Belgio. Le figure più rappresentative furono i francesi Lamennais, soprattutto nella sua fase post-1830 (e correnti di lamennesismo si ebbero pure in Italia: il rappresentante più originale fu il teatino Gioacchino Ventura), Tocqueville e Montalembert. A questi possono essere accostati gli inglesi John E.E. Dalberg-Acton e il card. John Henry Newman. Il cattolicesimo liberale e, in particolare, le dottrine dell’“Avenir”, la rivista di Lamennais, furono condannati da Gregorio XVI con la Mirari vos (1832). Tale condanna sarebbe stata, più tardi, ripresa da Pio IX. In generale il liberalismo, come ideologia politica o politico-economica, è rimasto estraneo alla Chiesa cattolica contemporanea.

    Neo-guelfismo e giobertismo. Dall’anti-cesarismo e, in particolare, dal mito che si sviluppò attorno al pontefice Pio VII e alla sua resistenza a Napoleone derivò pure un’altra corrente, in cui alla libertas Ecclesiae si legava strettamente la libertas Italiae: il Papato, cioè, era visto come paladino storico dell’indipendenza italiana. Si tratta di un indirizzo che, mutuando le sue definizioni dal medievalismo allora in auge, si dice guelfo e che indicava soltanto una prospettiva filoitaliana e antiaustriaca, che tuttavia poteva anche essere estranea o ostile al liberalismo (come in alcuni gesuiti). All’interno di tale più generale guelfismo, si distinse poi, con Gioberti e con la sua opera Del Primato morale e civile degli Italiani (1842), un più puntuale neo-guelfismo, che fu una delle correnti ideologiche fondamentali del Risorgimento e che può essere, non arbitrariamente, accostato al cattolicesimo liberale europeo, considerandolo come una sua variante italiana: esso mirava ad una Confederazione italiana, presieduta dal Papa. Nel 1846, con l’elezione di Pio IX e con le sue aperture sembrò, per un momento, che si realizzasse il disegno giobertiano, con un papa neo-guelfo. Ma le successive vicende della I guerra d’indipendenza e, soprattutto, della Repubblica Romana smentirono questa lettura. Dal 1849 Pio IX si attestò su rigide posizioni intransigenti: di condanna del liberalismo, del giobertismo, del neoguelfismo, in difesa del temporalismo papale e dello Stato pontificio.

    I centri. I luoghi più importanti del cattolicesimo liberale o filo-liberale nella prima metà del XIX secolo furono Milano, Torino e Firenze. Milano era il centro culturalmente più innovativo e più aperto all’Europa. A Milano vivevano Giuseppe Arconati Visconti, Giulio Carcano e, soprattutto, Alessandro Manzoni che mostrava un cattolicesimo moderno, con inflessioni agostiniane (di ascendenza tardo-giansenista), ma coniugate all’eredità dell’illuminismo lombardo, di Beccaria e dei fratelli Verri. A Milano soggiornarono, per qualche tempo, Tommaseo e Rosmini. Torino, invece, subiva ancora il forte influsso della cultura di Francia, a cui era stata annessa durante il periodo napoleonico. Qui i cattolici guardavano a regimi costituzionali di libertà: Santorre di Santarosa e, soprattutto, con spirito più moderato, Cesare Balbo, Massimo d’Azeglio e poi Gioberti furono gli esponenti più importanti (ma sono da ricordare pure Federico Sclopis e Gustavo di Cavour). A Firenze infine gli ambienti cattolici erano sensibili all’influenza del protestantesimo liberale ginevrino, per la presenza di Vieusseux: Capponi e Lambruschini le personalità emergenti. A causa delle caratteristiche assunte dalla restaurazione borbonica, Napoli non fu invece un centro importante e vitale in cui fermentasse un’originale tendenza riportabile al cattolicesimo liberale, anche se si ebbero dei nuclei giobertiani.

    Conciliatorismo. Un particolare aspetto o caratteristica dei cattolici liberali italiani fu un’aspirazione alla libertà politica ma come espressione di un più ampio e generale ideale di conciliazione tra cattolicesimo e civiltà moderna: così che forse, per l’Italia, sarebbe corretto parlare di cattolicesimo ‘conciliatorista’, piuttosto che di cattolicesimo ‘liberale’. Si pensi alla cultura romantica, alla rivista significativamente intitolata “Il Conciliatore”, a Silvio Pellico. Più eloquente ancora è il già ricordato caso di Alessandro Manzoni. Ma certo su questa linea anche altri intellettuali cattolici possono essere visti, in particolare gli storici, che avevano vivo il senso del progresso e dei cambiamenti dell’epoca moderna: così lo stesso Manzoni e la cosiddetta scuola ‘cattolico-liberale’ (Troya, Tosti, Cantù, Capecelatro).

    Costituzionalismo. Il liberalismo mirava ad ottenere la Costituzione: così che i cattolici liberali erano spesso più favorevoli a regimi costituzionali di libertà che a regimi in senso stretto liberali. Tra coloro che lavorarono alla stesura dello Statuto Albertino vi erano pure cattolici. E cattolico costituzionale (più che cattolico liberale) può definirsi Rosmini, il quale stese pure dei progetti di Costituzione, su principi diversi da quelli del liberalismo francese, contro il quale polemizzava. In questo senso il rosminianesimo (> vedi) fu una variante alterna/interna del cattolicesimo liberale italiano. Molti cattolici costituzionali piemontesi (come Roberto d’Azeglio e Gustavo di Cavour, fratello di Camillo e seguace di Rosmini) si collocavano su tale lunghezza d’onda, per non parlare di alcuni prelati, come mons. Luigi Moreno, vescovo d’Ivrea. Rispettoso della Costituzione fu pure, nel Regno sabaudo, don Bosco: così che se anche non fu un cattolico liberale, tuttavia fu in relazione con Rattazzi e con esponenti della classe politica liberale e le sue posizioni furono pertanto diverse da quelle anti-liberali e anti-costituzionali di tanto intransigentismo cattolico. Costituzionali furono pure don Cocchi e Leonardo Murialdo.

    Unità nazionale. Il Risorgimento italiano è stato sia un processo di nation-building (e dunque di sentimenti e passioni nazionalitarie) sia un processo di state-building (in senso liberale), pertanto le vicende del cattolicesimo liberale italiano si sono fuse con la rivoluzione nazionale, facendo sì che alcuni cattolici liberali entrassero nel ‘canone’ politico del Risorgimento con le loro opere e con la loro azione: così fu per le Speranze d’Italia di Cesare Balbo, per i diversi scritti (successivi al Primato) di Gioberti, per I casi di Romagna e per l’impegno di capo del governo di Massimo d’Azeglio. Ciò significò che ci si dovette scontrare con il problema del temporalismo. La riflessione sul potere temporale dei papi e sulla sua non essenzialità ai fini della vita spirituale della Chiesa divenne un’urgenza e si coniugò a forti istanze spirituali di “riforma cattolica” nel segno dell’anti-gesuitismo.

    Pedagogia nazionale. La cultura di ascendenza cattolico liberale divenne dunque l’asse portante della cultura nazionale dopo l’Unità. In particolare, vista la particolare necessità pedagogica (“Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani”, secondo la celebre espressione azegliana), il canone educativo nazionale fu permeato in tal senso: sia con Casati e con la legge del 1859 che delineava il sistema scolastico sia, sul piano degli indirizzi pedagogici, secondo una linea che da Rosmini e Lambruschini (e, anche qui, Gioberti) giungeva a Giovanni Antonio Rayneri, Domenico Berti, Giovanni Maria Bertini, ma anche a Antonino Parato, Giuseppe Allievo, Emma Perodi, Jacopo Bernardi, Pietro Baricco, Francesco Bonatelli, Francesco Acri. Un ambito particolarmente sensibile, poiché avversato dal cattolicesimo intransigente e dunque di grande portata ‘simbolica’, fu quello dell’educazione dell’infanzia: Ferrante Aporti e l’indirizzo aportiano rappresentarono, dunque, la proposta cattolico-liberale, per lungo tempo canonizzata come ‘metodo italiano’ (contrapposto al germanico froebelismo).

    Dalla Destra storica ad un cattolicesimo di destra. La prima Destra storica post-unitaria costituì, comunque, un nuovo capitolo nella storia del cattolicesimo liberale (o, in questo caso, liberalismo cattolico e filo-cattolico) in Italia. Vi rientra in parte lo stesso Cavour, il cui separatismo ebbe forse matrici protestantico-ginevrine (Vinet) ma anche cattolico-liberali (Montalembert). E certo vi rientrano i capi del governo nazionale dopo Cavour: in particolare Bettino Ricasoli (con i suoi collaboratori Corsi, Borgatti, Cassani), con una forte carica di riformismo neo-piagnone toscano, e Marco Minghetti. Ma si possono ricordare anche Diomede Panteleoni, Pier Carlo Boggio, Luigi Carlo Farini, Ruggero Bonghi, Carlo Cadorna, Fedele Lampertico, Achille Mauri, il gruppo toscano (Tabarrini, Guasti, Conti). Una figura eminente fu quella dell’ex-gesuita Carlo Passaglia, che si adoperò, in senso filoitaliano, per una conciliazione con Roma, ma fu condannato dal Vaticano. Liberal-conciliatoriste furono pure, tra il 1859 e il 1864, le riviste “Il Conciliatore” e “Il Carroccio” di Milano, “Il Mediatore” (diretto da Passaglia) e “La Pace” di Torino, gli “Annali cattolici” (dal 1866 “Rivista Universale”) di Genova, “Esaminatore” di Firenze. Il motto di quest’area, favorevole allo Stato unitario liberale, era: “cattolici con il Papa, liberali con lo Statuto”.

    Fonti e Bibl. essenziale

    E. Passerin d’Entrèves, Religione e politica nell’Ottocento europeo, a cura di F. Traniello, Roma, Istituto per la storia del Risorgimento, 1993; A. Pellegrini (a cura di), Tre cattolici liberali. Alessandro Casati, Tommaso Gallarati Scotti, Stefano Jacini, Milano, Adelfi, 1972; F. Traniello, Cattolicesimo conciliatorista. Religione e cultura nella tradizione rosminiana lombardo-piemontese (1825-1870), Milano, Marzorati, 1970.


    LEMMARIO