Chiese Ortodosse – vol. I

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    Autore: Soler Jaume

    Intendendo per ortodossia l’insieme dei fedeli e del clero che, dopo lo Scisma di 1054, rimasero fuori della comunione con il Papa di Roma, si deve segnalare che la sua presenza in Italia prima dell’unità nazionale è stata scarsa e divisibile in due zone e periodi cronologici.

    Dagli inizi del VIII fino all’invasione normanna del XI secolo, le provincie della Puglia, Calabria e Sicilia sono state ecclesiasticamente sotto la giurisdizione del Patriarcato di Costantinopoli, e hanno ricevuto ripetutamente ondate di migranti greci che fuggivano sia dell’iconoclastia che dell’iconodulia, il che diede alla Chiesa in quelle provincie un carattere decisamente bizantino in tutti gli aspetti. In questi stessi secoli, il papato richiamò in diversi momenti la sua giurisdizione su questi territori. La situazione cambiò profondamente dopo l’occupazione normanna di quei territori e la firma, nel 1059, del Concordato di Melfi, che nel campo religioso comprendeva l’impegno che i normanni prendevano per la latinizzazione dei territori su dei quali Papa Niccolò II gli riconosceva la sovranità. In seguito, iniziò un processo di riforma latinizzante, limitando i rapporti della popolazione greca con la sede costantinopolitana e favorendo i cambiamenti liturgici e sacramentali. Questo processo, definitivo dopo il Sinodo di Bari del 1098, ebbe effetti diversi nelle diverse provincie.

    L’Italia fu punto di approdo per i greci fuggitivi anche dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453, con due centri principali di stabilimento, la Repubblica di Venezia e il Regno di Napoli.

    Nelle provincie meridionali della penisola arrivò un numeroso gruppo di famiglie, fra le quali diverse procedenti della nobiltà bizantina, intellettuali ed ecclesiastici, il che provocò una fiorita di nuovi centri di culto ortodossi, i quali ricevettero la protezione delle autorità locali, come lo provano i numerosi decreti e concessioni, come quello del 30 agosto di 1488, di Ferdinando il Cattolico, per il quale potevano celebrare liberamente i loro riti ed essere governati secondo le proprie leggi. La comunità greca ortodossa, dopo queste misure favorevoli, crebbe e fiorì nell’Italia meridionale. Fra i greci migrati in Campania distacca la presenza di Tommaso Assani Paleologo, nipote di Costantino XI Paleologo, vero organizzatore della comunità, fondatore della prima associazione di greci e del prima cappella per il culto greco ortodosso nel 1561. Fra gli ecclesiastici è notevole la presenza del Metropolita Benedetto di Coroni, che conseguì da Papa Paolo III una bolla molto favorevole ai greci ortodossi nel 1536. La presenza greca ortodossa si organizzò presto in delle potenti confraternite, presenza visibile nella società di quella popolazione, che continuava unita al Patriarcato di Costantinopoli. Questa situazione fiorente della popolazione ortodossa cambiò progressivamente lungo il XVII secolo, nel quale queste comunità, pur conservando il rito e la prassi sacramentale bizantina, passarono alla giurisdizione cattolica, specialmente dopo la fondazione del Pontificio Collegio Greco di Roma, nel 1577, in seguito alla creazione della Congregazione per i Greci, istituita da Papa Gregorio XIII nel 1573, e dal Seminario Italo-Albanese di Palermo, voluto da Papa Clemente XII nel 1734, il quale nel 1732 aveva provveduto alla nomina di vescovi destinati all’ordinazioni di sacerdoti per i cristiani di rito bizantino. La situazione mutò definitivamente dopo il Trattato di Verona, del 22 luglio 1822, per il quali tutti i sovrani della Penisola Italica s’impegnavano nel promuovere che tutti i suoi popoli abbracciassero la fede cattolica romana. Questo trattato fu il preludio dei decreti emanati da Francesco I nel 1829, che introducevano definitivamente il cattolicesimo nelle confraternite greche, pur conservando il rito bizantino. In seguito a questa nuova situazione, con il passo effettivo di tutti i greci alla giurisdizione romana, la popolazione di rito greco fu dotata da due eparchie, quelle di Lungro (1919) e di Piana degli Albanesi (1937).

    La presenza ortodossa greca a Venezia data anche di prima della caduta di Costantinopoli nel 1453, quando il commercio e la minaccia turca portava numerosi greci a migrare verso i territori della Repubblica di Venezia. Dopo la sconfitta definitiva dell’impero bizantino, la migrazione aumentò, arrivando, verso il 1479, la popolazione greca di Venezia alle quattromila persone.

    Il principale problema che dovette affrontare la comunità fu quello della pratica religiosa, che fino all’unione stabilita dal Concilio di Firenze nel 1439, fu proibita pubblicamente dalle autorità venete. Con l’unione, la Repubblica accordò la concessione ai greci ortodossi di una cappella nella chiesa di S. Biagio e, nel 1456, il permesso per incominciare la costruzione di una chiesa, che fu, però interdetto nell’anno successivo dal Consiglio dei Dieci.

    La volontà della comunità greca di stabilire un centro di culto ortodosso nella città di Venezia, ebbe come effetto la fondazione nel 1498 della Confraternita dei Greci Ortodossi, con sede nella chiesa di S. Biagio. Grazie all’influsso dei soldati greci, che con la sua contribuzione alle guerre fra Venezia e i Turchi godevano di un grande rispetto, il 4 ottobre 1511 la comunità greca ottenne il permesso del Consiglio dei Greci di acquistare un terreno ed edificare una chiesa, che si doveva dedicare a s. Giorgio, il quale permesso fu confermato dallo stesso doge nel 1514. Anche di Leone X ottenne la comunità delle bolle, per le quali potevano costruire una chiesa e usare un cimitero, mentre che Clemente VII li concesse l’esenzione della giurisdizione del patriarca di Venezia, appartenendo in tutto momento sotto la giurisdizione del Patriarca di Costantinopoli.

    Nel 1536 s’iniziò la costruzione dell’attuale chiesa di S. Giorgio, che fu ultimata nel 1577, essendo insediato, nello stesso anno, il primo metropolita ortodosso della città, Gabriele Seviros, al quale era stato concesso il titolo di metropolita di Filadelfia dal Patriarca di Costantinopoli. Il resto di metropoliti, successori di Seviros, ostentarono lo stesso titolo.

    L’opera della confraternita greca incluse l’apertura, nel 1593, di una scuola di lettere greche e latine e la fondazione, nel 1599, di un monastero femminile greco, dedicato a funzioni educative.

    L’occupazione napoleonica di Venezia nel 1797 significò anche la decadenza della comunità greca della città, i cui beni furono confiscati dalle nove autorità. Gli avvenimenti del periodo e la nascita della Grecia indipendente provocarono di nuovo la migrazione dei greci veneziani, rimanendo in città una comunità molto ridotta.

    Notevole è stata anche la vicenda della comunità greco ortodossa di Livorno, dove la presenza di greci data dal tempo di Cosimo I di Medici. L’esistenza, dentro della stessa comunità greca, di elementi cattolici e ortodossi provocò numerosi scontri fino che, a metà XVIII, Francesco I concesse agli ortodossi la possibilità di edificare una chiesa, la prima acattolica della Toscana, consacrata nel 1760.

    Fonti e Bibl. Essenziale

    Aa. Vv., La Chiesa greca in Italia dal VIII al XVI secolo. Atti del Convegno Storico Interecclesiale, Padova 1973; Panessa, G., Le comunità greche a Livorno. Vicende fra integrazione e chiusura nazionale, Livorno 1991; Tiepolo, M. F. et Tonetti, E., I greci di Venezia, Venezia 2002; Vergotti, G., Comunità Ortodosse nella Penisola Italiana, Tessalonica 1989; Zervos, G., I Greci Ortodossi in Campania d’Italia dalla caduta di Costantinopoli sino all’Unità d’Italia ed a Garibaldi, Tessalonica 1999.

    LEMMARIO