Riforma cattolica, Controriforma – vol. I

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    Autore: Angelo Turchini

    Sulle categorie storiografiche di Riforma cattolica e Controriforma, molto si è discusso, in un dibattito appassionato ed approfondito, attento a cogliere le caratteristiche distintive di una realtà decisamente complessa, arricchito di nuove categorie utili a cogliere gli elementi di un passaggio fra un prima e un dopo, come ad esempio confessionalizzazione e disciplinamento sociale, ma occorre andare oltre, guardando ad un contesto più ampio, pur nell’assenza di accordo su un unico termine atto a comprendere la realtà. In tale senso non è però inutile ripercorrere alcune tappe di un dibattito, puntualizzare le modalità del superamento di un concetto come Controriforma, spesso ideologicamente ed astrattamente inteso al di là del richiamo alle controversie religiose e agli effetti della loro durezza sino alla ferocia, limitato ma non stemperabile sino all’insignificanza, e valorizzare ulteriormente altre letture.

    Già nel considerare le due categorie interpretative nel quadro di una progressiva modernizzazione, e sui tempi lunghi del moderno, in un contesto sociale, politico e culturale nuovo, si ha un quadro concettuale di riferimento entro il quale perde valore il binomio Riforma cattolica – Controriforma, tanto da permettere l’ipotesi se non di una abolizione totale di quest’ultima quanto meno di un suo uso prudente e circoscritto, senza dimenticare che i termini hanno alle spalle una storia (e una tradizione storiografica), corrispondendo ad alcune precise domande e al tempo stesso, e che nessuna è esauriente nel comprendere la realtà, soprattutto se cambiano i metri di riferimento, tenendo peraltro conto che l’uso del termine e del concetto di Controriforma non si ha prima del secolo XVIII. Naturalmente ciò non pregiudica nulla, ma è significativo che la categorizzazione sia stata adottata per la prima volta da un giurista di Göttingen, J.S. Pütter, solo nel 1776 in relazione al forzato ritorno alla confessione cattolica di un territorio protestante e al plurale: controriforme, utilizzata poi anche da L. Ranke per compendiare unitariamente un movimento religioso che dietro i rigori restaurativi lasciava intravvedere elementi di rinnovamento spirituale ed organizzativo.

    V’è qualche consonanza con la ri-cattolicizzazione più o meno forzata (Rekatholisierung) di un territorio; M. Ritter fu il primo ad utilizzare il concetto di Controriforma nella sua Deutsche Geschichte im Zeitalter der Gegenreformation I-III (Stuttgart 1889-1908). Il termine, la categoria storiografica nasce in area tedesca ed è una parola composta: gegen+Reformation: se il significato è nuovo, come il neologismo, l’orizzonte di riferimento originario è però preciso, puntuale e denso di contenuti: Reformation, designante il complessivo movimento di riforma. Il nesso fra Reformation e Gegenreformation verrà sottolineato da K. Brandi nella sua opera Die deutsche Reformation und Gegenreformation.

    La Controriforma corrisponde come reazione alla Riforma, anche da un punto di vista politico e militare, con una disciplinata riforma della Chiesa controllata dal centro (papato e curia romana), con puntualizzazioni dogmatiche e organizzative, con la repressione interna ad opera dell’Inquisizione. I fenomeni variamente compendiati in Controriforma sono diversamente scanditi nelle varie realtà territoriali, sia a livello diacronico che sincronico; ad esempio la realtà tedesca e quella italiana sono fortemente differenziate nel loro insieme, ma se si guarda ad ambiti regionali emergono ulteriori ritmi di sviluppo: così il Ducato di Baviera non è la Stiria, come lo Stato della Chiesa non è il Ducato di Milano o la Repubblica di Venezia e Milano non è Pavia. Al pluralismo dei ritmi temporali e degli intrecci tra momento teoretico (o dibattito culturale) e istituzionale, fra ordinamento giuridico e realtà effettiva è stata prestata scarsa attenzione; d’altra parte la periodizzazione è sempre risultata problematica.

    A puro titolo esemplificativo per L. Ranke esistono due fasi secche e rigide (1563-1589, 1590-1630), per altri si va dalla pace di Augusta (1555) fino alla guerra dei Trent’anni (Schmidlin) oppure fino alla pace di Westfalia (1648); Cantimori distingue tre cicli (sino al 1543, sino al 1580-1590, da quella data in poi) attraverso i quali si passa da momenti di rinnovamento a momenti di irrigidimento della vita religiosa, ma senza distinzioni nette. Per H. Jedin si può giungere dalla crisi conciliarista ovvero dall’inizio del XV secolo sino al XVIII: parlando di Riforma cattolica e Controriforma per quest’ultima propone come più giusto inizio l’ultima sessione del concilio tridentino (1563) per finire senza dubbio con Westfalia, ma senza escludere ulteriori parziali sviluppi; si può parlare di un generale rinnovamento cattolico compreso fra 1540-1770 (Po-chia Sia), senza escludere peraltro aspetti di Riforma tridentina giungere alla metà del XX secolo.

    Nel corso del XVI e XVII secolo si preferisce però adottare il termine di reformatio, perfettamente coerente con l’uso della cultura ecclesiastica di tutto il tardo medioevo, volendo così indicare il rinnovamento della chiesa. “Lutero stesso e, in grado ancora maggiore, Melantone volevano in origine solo riformare la chiesa cattolica e passò molto tempo prima che si facesse strada la persuasione che la loro opera non significava rinnovare, ma costruire dalle fondamenta”(Jedin). Il comune uso abbisogna di specificazioni fornite allora da aggettivi: “vera” o “falsa” riforma, reciprocamente e inversamente detti e scritti da una confessione religiosa contro l’altra (o le altre); in altri termini la categoria della reformatio è originaria e coerente, anche se il volersene attribuire la validità suscita non pochi problemi. Con Riforma cattolica si fa riferimento non solo a sensibilità ed esigenze anche diffuse in alcuni ambienti, ma anche ad una serie di tentativi di rinnovamento della vita della Chiesa, a partire dalla prima metà del XV secolo. Jedin ha il merito di aver fatto il punto sulla questione; a partire dalla nascita e diffusione delle categorie di Controriforma e Riforma cattolica, come due termini e due concetti distinti e collegati, superando secoli di storiografia controversistica e confessionale, ne ha puntualizzato senso e significato, ed il loro rapporto, sottolineando il ruolo e la “funzione centrale” del papato. Il binomio Riforma cattolica e Controriforma: “La Riforma cattolica è la riflessione su di sè attuata dalla Chiesa in ordine all’ideale di vita cattolica raggiungibile mediante un rinnovamento interno; la Controriforma è l’autoaffermazione della Chiesa nella lotta contro il protestantesimo” (Jedin). Ma tanto l’uno che l’altro sono stati intesi spesso non in simbiosi, bensì in parallelo o in successione e senza tener conto dell’interattività con la Riforma che ne condiziona modalità, forme, anche scansioni, o senza individuare le continuità pur presenti nel mutamento complessivo del lungo periodo.

    Il parallelismo fra Riforma e Riforma cattolica/Controriforma è interessante. I due concetti non sono antitetici o due fasi storiche “susseguenti”, sono invece strettamente connessi quanto alle origini che affondano in un bisecolare passato comune segnato da tentativi di reformatio e quanto al carattere. La modernità della prima è stata ridimensionata accentuando la spinta innovativa e modernizzante del momento carismatico originario, mentre la seconda risulta da molti punti di vista recuperata al moderno; inoltre una volta costituitisi i gruppi confessionali si nota l’adozione di soluzioni “coincidenti” rispetto a problemi comuni (soprattutto nella difesa dell’identità) in un processo plurisecolare. Il parallelismo mette in risalto il valore della reformatio come punto centrale in quelli che saranno i vari ambiti confessionali ed in tempi comparabili, anche se talora sfasati; mentre sottolinea l’aspetto carismatico originale della Riforma nei primi decenni del XVI secolo, quando affronta gli esiti istituzionali non può che notare analogie fra campo protestante e campo cattolico: in altri termini, dopo un secolare periodo di incubazione, il problema della riforma giunge a maturare e, in fase critica, ad esplodere dando luogo, sia pur con travaglio ed in modo non lineare, a soluzioni speculari (anche se con uno specchio deformato ed irregolarmente diseguale) in campi diversi, distanti, ma sostanzialmente con molteplici omologhi punti di contatto e correlati ad un ideale piano sociale, politico, istituzionale (a più dimensioni).

    Il parallelismo giunge così a salvare, parzialmente, la specificità della Riforma in quel breve lasso di tempo, e contemporaneamente ad annullare la concettualizzazione tradizionale introducendo o meglio presentando la dimensione della confessione religiosa come quella più consona a comprendere unitariamente il complessivo campo religioso entro cui si situano domande e risposte, carismatici sussulti, fondazioni ed incanalamenti istituzionalmente accettati. Le differenze sono misurabili e rilevanti, ma pur sempre all’interno del campo. Quindi Jedin ha delimitato le due categorie, esaminandone il valore in rapporto alla periodizzazione della storia della chiesa, ma senza dimenticare tutta una serie di “nuove forze” (diremmo di modernizzazione, comunque proprie dell’età moderna) emergenti nel mondo e nella società con cui fare i conti; e a questo punto valorizza il ruolo del concilio di Trento, punto d’incontro fra Riforma cattolica e Controriforma, agente riformatore a cavallo fra due epoche, fra medioevo ed età moderna.

    Non v’è dubbio che il binomio jeniniano, un’endiadi complessa di relazioni interne, sia stato “ripudiato” per una Controriforma senza tempo “come espressione immobile della repressione e del potere”(Prodi) lungo tutto il XVI secolo, un incastellamento inutile se scisso e distinto dalla geografia e dalla storia in omaggio a definizioni e categorie suscettibili di impedire la comprensione dei fenomeni oppure per una controriforma annullata in una riforma cattolica onnicomprensiva: in pratica si tende a leggere una realtà complessa sotto una medesima luce: o tutta Controriforma o tutta riforma cattolica, a seconda della prospettiva; l’una e l’altra versione risulta fortemente condizionata da precomprensioni culturali talora non esplicitate.

    Jedin costruisce il binomio, avendo presente la storia della Chiesa ad intus et ad extra, coniugando altresì storia politica ed ecclesiastica, istituzionale e costituzionale. Ma proprio qui sta il problema di fondo: una prospettiva comunque intra-ecclesiale è sufficiente a sorreggere un binomio indagato piuttosto nelle sue dinamiche interne che nelle più generali interazioni? Spostando l’obiettivo dalla Chiesa al mondo, vale a dire dalla specifica storia ecclesiastica alla magmatica storia istituzionale e costituzionale della società di cui fa parte, ovvero reinserendo la teologia nella storia è possibile ridefinire il campo, sgombrandolo delle incrostazioni e delle superfetazioni? Non v’è dubbio che la Chiesa sia non solo agente, ma anche oggetto di cambiamento, come illustrano significativi cambiamenti nelle istituzioni ecclesiastiche (non solo come reformatio in membris), e soprattutto una nuova autopercezione da parte della chiesa chiesa medesima, con una attenzione nuova alla cura animarum, come alla professionalizzazione del clero, in un ampio programma di riforma che lo coinvolge direttamente e, indirettamente, il corpo sociale dei fedeli affidato.

    A questo punto torniamo al concetto di Controriforma; ovviamente la parola ha storicamente assunto un senso ed un significato preciso che va, ristretto in un ambito delimitato ed identificabile come “il prevalere rigoroso delle correnti più intransigenti più propense alle formulazioni monolitiche, al ritorno e all’avviamento a posizioni assolutistiche ed esclusive”(Cantimori). È interessante notare come il termine sia stato assunto per definire l’opera di coagulazione e di chiusura dogmatica, insomma di delimitazione confessionale nei modi precedentemente formulati, verificatasi anche in ambito protestante sicché si può parlare di una duplice controriforma protestante. Se la parola (soprattutto l’aggettivo) è ancora utilizzabile, bisogna ponderarla con misura, essendo stata concettualmente controversa, da definire, e per nulla scontata.

    Solo in questa più generale cornice e per i motivi precedentemente enunciati è possibile sbarazzarsi senza troppi problemi di una categoria ormai entrata (in modi diversi) a far parte della storiografia; non è una operazione ideologica, ma logica, per la quale non si danno sostituti o alternative, poiché i problemi religiosi vanno affrontati in altro ambito e prospettiva, all’interno e in relazione con più ampie concettualizzazioni, come quelle della confessionalizzazione e del disciplinamento sociale ad esempio (che vede ricomporre la frattura dell’unità religiosa precedente su nuove basi delle strutture ecclesiastiche) e soprattutto della modernizzazione, tenendo conto dei tempi lunghi della storia, senza dimenticare aspetti di continuità e di mutamento o l’importanza degli avvenimenti e delle relative contingenze. Questi concetti fanno i conti con la resistenza di vecchi steccati storiografici, in cui i termini portano con sé un’eredità di conflitti anche ideologici, magari calati in un periodo relativamente breve, senza la prospettiva naturale di un lungo periodo, ed in un ambito spazialmente limitato (non tanto singole diocesi, quanto realtà minori) con l’esame di realtà localisticamente focalizzate.

    La confessionalizzazione vede processi similari nelle varie chiese, nuova fondazione identitaria confessionale fra chiesa e stato, ruolo giocato nelle società e nei rapporti con lo stato e tocca molti elementi, anche la prassi liturgica e sacramentale, e la catechesi; porta al disciplinamento sociale, attraverso cui consegue una estesa cristianizzazione delle masse, soprattutto nelle campagne, aperte a nuove dinamiche culturali indotte al compattamento confessionale; del resto chiesa e stato, per via di interazioni dinamiche, si influenzano a vicenda ed esercitano il loro influsso sul complesso della società di riferimento. Confesionalizzazione e disciplinamento sono categorie utili ed efficaci strumenti di analisi, in un dinamico processo di modernizzazione che vede tendenze ad un maggiore accentramento, costruzione di istituzioni ed organismi giuridici, con razionalizzazione delle procedure, con crescente burocratizzazione, risultato e specchio di quanto si verifica nella costruzione degli stati moderni: il fedele è disciplinato suddito della chiesa, orientato a nuovi modelli di comportamento, mentre lo stato ricerca un suddito fedele in cui la disciplina è anche come autodisciplina. È così agevole rileggere la stessa “attuazione romana del Tridentino” e soprattutto il medesimo “sistema tridentino”, un impasto di elementi culturali, di abitudini e comportamenti, di prassi organizzative e di forze istituzionali attivamente impegnate nel processo di confessionalizzazione e nel disciplinamento sociale del proprio ambito religioso, con una duplice azione svolta sia a livello dottrinale che disciplinare, e la figura e l’attività di C. Borromeo a Milano, come di L. Paleotti a Bologna, ne sono testimoni esemplari; e non è mancata attenzione per “una ripresa del tridentino” a partire dal concilio romano di papa Benedetto XIII, tenendo conto peraltro della sua precedente esperienza diocesana.

    È stato usato il termine di età confessionale, ma limitato al tempo, per età della controriforma, connessa con età del disciplinamento; così si usa anche Riforma cattolica, a volte indicata come riforma tridentina – e non v’è dubbio che riforma e concilio siano importanti nel corso di un processo di trasformazione “sia nel nuovo rapporto dell’individuo con Dio, sia nel rapporto tra il sacro e il potere, tre le chiese e lo stato” (Prodi), anche come riforma disciplinare, centralizzazione del comando, standardizzazione nella prassi e così via. Ma un uso meramente cronologico del concilio di Trento (pre-post), usato come indicatore (peraltro importante per l’influenza esercitata come applicazione normativa), può essere fuorviante se si applica il modello post-tridentino alla realtà anteriore, meno fosca di quanto si possa immaginare, anche se non così luminosa o omogenea come sarà successivamente.

    Riforma cattolica e Controriforma, indicano allora esiti diversi di una generale aspirazione alla riforma o rigenerazione religiosa presente nel XV e nella prima metà del XVI secolo, permettendo di parlare di una fase tridentina della storia della chiesa, come la risposta storicamente data dalla chiesa romana alla sfida della modernità, al rapporto con la modernità, in un arco temporale che giunge sino al Vaticano II con elementi di continuità nella lunga stagione tridentina, con atttenzione agli sviluppi dottrinali, alla storia delle istituzioni a partire dalla riforma della curia romana, e al popolo cristiano sui più diversi piani: da quello culturale, dell’umanesimo, della nuova spiritualità, della devotio moderna nel XV secolo sino agli illuministi cristiani, a quello politico ed economico, fra cambiamento e continuità, fra XV, XVIII secolo e ben oltre.

    Si ha una nuova organizzazione ecclesiastica a partire dalla residenza dei vescovi e del clero, con una presenza capillare delle parrocchie, ovvero valorizzazione di una rete atta alla conquista, al coinvolgimento, alla protezione e guida delle coscienze; il controllo ed intervento delle istituzioni è volto ad uniformare ed educare come a controllare la popolazione, diffondendo i modelli della disciplina religiosa; si evidenzia una nuova professionalità del clero secolare, con l’istituzione dei seminari partita nella seconda metà del XVI secolo e realizzata nel XVIII, e regolare; si punta ad una nuova partecipazione dei fedeli ai riti di passaggio, al tempo di festa ed ai sacramenti, dal battesimo al matrimonio tridentino (modalità conservate a tuttoggi, con una nuova valorizzazione della donna), dalla confessione (con sollecitazione allo sviluppo della coscienza individuale) alla comunione annuale, né manca una attenzione alla storia vissuta dei fedeli, ai problemi di interazione fra religione popolare e ufficiale.

    La chiesa nel mondo moderno, in cui il termine di modernità si coniuga anche con l’amministrazione ed esercizio di una sovranità spirituale, deve fare i conti con il cambiamento dello stato, al di là dei rapporti fra chiesa e stati (O’Malley), lo sviluppo sociale (anche demografico) ed economico, l’espansione extraeuropea, nuove correnti culturali con la scoperta del mondo e dell’uomo e l’accrescimento e la necessaria divulgazione della conoscenza, con attenzione ad una nuova evangelizzazione e cristianizzazione, da conseguire con una educazione religiosa diffusa nelle Indias de aca, per un cattolicesimo moderno (definizione ampia).

    Fonti e Bibl. essenziale

    H. Jedin, Riforma cattolica o Controriforma? Tentativo di chiarimento dei concetti con riflessioni sul concilio di Trento, Brescia 1967 (ed. or. 1946); P. Prodi, Controriforma e/o Riforma cattolica. Superamento di vecchi dilemmi nei nuovi panorami storiografici, “Roemische historiche Mitteilungen”, 31, 1989, 227-237; W. Reinhard, Disciplinamento sociale, confessionalizzazione, modernizzazione. Un discorso storiografico, in Disciplina dell’anima, disciplina del corpo e disciplina della società tra medioevo ed età moderna, a c. di P. Prodi, C. Penuti, Bologna 1994, 101-123; R. Po-Chia Sia, La Controriforma. Il mondo del rinnovamento cattolico (1540-1770), Bologna 2001; J.W. O’ Malley, Trento e ‘dintorni’. Per una nuova definizione del cattolicesimo nell’età moderna, Roma 2004 (ed. or. 1999); E. Bonora, La Controriforma, Roma-Bari 2001; A. Prosperi, Disciplinamento, in Historia. Saggi presentati in occasione dei vent’anni della Scuola superiore di studi storici, a c. di P. Butti de Lima, San Marino 2010, 73-88; R. Bireley, Ripensare il cattolicesimo, 1450-1700. Nuove interpretazioni della Controriforma, Genova-Milano 2010.


    LEMMARIO