Millenarismo – vol. I

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    Autore: Fabio Besostri

    Nell’epoca contemporanea, la ricerca storiografica sul millenarismo ha raccolto grande attenzione sia nell’ambito anglosassone (dove gli studi di N. Cohn e M. Reeves hanno letto nei movimenti escatologisti medievali e moderni gli antesignani dei totalitarismi novecenteschi) sia nell’ambito marxista (interessati agli aspetti politico-economici del messianismo medievale).

    In Italia la storiografia sul tema ha risentito dell’approccio modernista, con particolare riferimento alle attese escatologiche interne alla spiritualità cristiana; a partire dagli anni ’80 del secolo scorso però lo studio si è rivolto maggiormente alla ricostruzione delle dottrine, alla trasmissione dei testi, alla conoscenza dei personaggi e dei gruppi di ispirazione escatologista e apocalittica. Ciò ha prodotto come risultato di grande importanza una più precisa classificazione delle articolazioni dei movimenti e delle loro elaborazioni dottrinali.

    Il millenarismo nella storia del cristianesimo. Per millenarismo (o chiliasmo, dal greco chilioi, “mille”) si intende, in senso ampio, una dottrina di carattere escatologico già presente nella predicazione del cristianesimo primitivo e ripresa con accenti diversi da movimenti e aggregazioni religiose nel corso dei secoli. Il nucleo fondamentale di questa dottrina escatologica afferma la prossimità del regno messianico di Cristo sulla terra, della durata di mille anni, che si realizzerà tra una prima risurrezione dei morti (riservata ai beati) e una seconda risurrezione, universale, che seguirà il Giudizio divino sulla storia.

    La dottrina millenaristica si fonda sull’interpretazione letterale di un passo dell’Apocalisse (20, 1-3), nel quale il termine perentorio dei mille anni è chiaramente indicato come durata del regno terreno dei giusti risorti insieme con Cristo, successivo alla prima sconfitta di Satana; ad esso seguirà il combattimento finale con l’assedio della città dei santi e la sconfitta definitiva del diavolo e dei suoi alleati (cfr. Ap 20, 7-10) e l’instaurazione della Gerusalemme celeste.

    Il millenarismo ha radici che affondano nel messianismo ebraico post-esilico (cfr. Dn 8-9); è attestato tra le credenze della comunità qumranica; vi sono accenni anche al di fuori del mondo biblico: in Platone e nelle dottrine neoplatoniche più recenti, in Virgilio, nelle credenze dei magi iranici citati da Plutarco e nei culti misterici diffusi in area mediterranea sin dall’epoca ellenistica. In ambito paleocristiano, è riscontrabile in modo caratteristico nel Nuovo Testamento, e specialmente nell’Apocalisse, che diviene il testo di riferimento dei movimenti millenaristici per i secoli seguenti.

    Il millenarismo cristiano, pur nella complessiva indefinitezza delle sue dottrine, si caratterizza per la sua credenza in un regno visibile di Cristo, distinto dalla beatitudine eterna e di durata millenaria, e nell’attesa di una doppia risurrezione (cfr. 1 Cor 15, 23-26). Occorre tuttavia distinguere il millenarismo vero e proprio dall’apocalittica cristiana (assai viva nel cristianesimo primitivo, anch’essa radicata nella cultura e nella religiosità giudaica intertestamentaria), con il quale ha in comune l’attesa della prossima fine del mondo e del ritorno di Cristo.

    Il linguaggio dell’Apocalisse, caratterizzato da una grande forza simbolica ed ermetica, ha dato vita a diverse sfumature interpretative, che si possono distinguere in due grandi filoni: il millenarismo carnale (in cui il godimento dei beni temporali nell’età messianica è prevalente: gli autori antichi ne indicano come principale esponente Cerinto, gnostico del I sec., che professava idee di tipo docetista e adozianista), ed un millenarismo spirituale, presente nella letteratura subapostolica (Lettera di Barnaba, Papia di Gerapoli); se ne ritrovano tracce profonde nella teologia e negli scritti di Giustino, Ireneo di Lione, Tertulliano, Lattanzio, Ippolito di Roma e di altri padri della Chiesa, i quali fecero ricorso alle dottrine millenaristiche in funzione della polemica contro le derive eterodosse (specialmente il montanismo e le sette di carattere platonico e gnostico), e con l’obiettivo di affermare la reale umanità di Cristo e l’effettiva resurrezione della carne.

    Il millenarismo fu invece avversato da Origene e da coloro che prediligevano un’ermeneutica di tipo allegorico e spirituale del testo sacro in generale e dell’Apocalisse in particolare. Singolare è il pensiero di Agostino, che conobbe e condivise una concezione millenarista della storia della salvezza, ma ne diede una lettura in chiave allegorica (cf. De civitate Dei, XX, 7,1; Sermo 259, 2: PL 1197-8; De Genesi contra manichaeos I, 23,35-41: PL 34, 190-193), ponendo le basi di una teologia della storia destinata ad avere un influsso determinante sul pensiero occidentale.

    Il millenarismo primitivo si ridusse progressivamente di importanza a partire dal IV-V secolo; non scomparve mai del tutto, riaffiorando in forme diverse nei periodi seguenti della storia del cristianesimo: l’avvento del regno messianico fu infatti interpretato a più riprese come trionfo e manifestazione di una Chiesa spirituale, non più gerarchica, e purificata da ogni contaminazione terrena. Si può perciò parlare di millenarismo a proposito di alcune dottrine medievali legate all’escatologismo gioachimita e al francescanesimo spirituale; forti accenti millenaristici affiorano nel movimento popolare inglese dei «lollardi» (XIV sec.) e nel pensiero del loro ispiratore John Wyclif; da questi passa pochi anni dopo in Boemia a Milic di Kromeric (†1374), Matthias di Janov (†1391) fino a Jan Hus (†1415) e ai suoi seguaci, i quali continuano a diffondere nel popolo profezie e previsioni apocalittiche anche dopo la morte di Hus.

    Il linguaggio e l’ideologia millenarista confluì poi in alcune correnti della Riforma protestante, come gli anabattisti del XVI sec.; riapparve in alcune sette anglosassoni dei secc. XVII e XVIII (shakers, “fratelli del libero spirito”), ma anche in certi epigoni del giansenismo del XVIII sec. in Francia e del XIX sec. in Italia (come Giovanni Cadonici e Eugenio Degola, seppure in maniera molto sfumata); ed infine ha conosciuto una rinnovata vitalità nell’ambito dei movimenti di origine protestante nati sul continente americano (irvinghiani, avventisti, mormoni, testimoni di Geova).

    Medioevo millenarista italiano. L’avvicinarsi della scadenza del primo millennio non suscitò particolari attese nella cristianità, a causa dell’impossibilità, per la maggior parte delle persone di quell’epoca, di misurare o anche solo di conoscere l’esatta datazione degli anni.

    Com’è noto, la “grande paura dell’anno mille” era in realtà solo un’invenzione storiografica dello scrittore francese Jules Michelet (nella Storia di Francia pubblicata nel 1833) e a lungo seguita dagli storici europei in modo acritico. In realtà, solo dopo il Mille alcuni scrittori (a partire da Rodolfo il Glabro) nell’ambito della loro riflessione sulla decadenza del mondo e della Chiesa, iniziarono, sulla scia del millenarismo agostiniano, a citare come in una sorta di profezia a posteriori eventi di carattere catastrofico, considerandoli segni premonitori dell’imminente ritorno del Signore.

    Le correnti millenaristiche riapparvero con forza all’approssimarsi della data del 1260, che secondo alcuni sarebbe stata indicata da Ap 12, 6 e perciò considerata “fatidica”. In particolare Gioacchino da Fiore (1135-1202), monaco calabrese, abate cistercense, sviluppò nelle sue opere un’originale e complessa dottrina escatologica, incentrata su una crescente chiarezza della Rivelazione, cui avrebbe corrisposto una sempre maggiore comprensione di essa da parte degli uomini. Gioacchino distingueva perciò tre grandi periodi storici, connessi a ciascuna persona della Trinità : vi sarebbe stata perciò l’età del Padre, cioè il tempo dell’Antico Testamento, da Adamo a Ozia re di Giuda (784-746 a. C., il primo antenato noto di Cristo); l’età del Figlio (il tempo del Vangelo, da Ozia fino al 1260, data individuata in base ad elaborati calcoli ispirati dal libro biblico del profeta Daniele) e infine l’età dello Spirito Santo (dal 1260 alla fine del “millennio sabbatico”) in cui l’umanità avrebbe conosciuto il Vangelo eterno; un tempo di profonda spiritualità e di rinnovamento, in cui la “Chiesa di Pietro”, con le sue strutture clericali e gerarchiche, avrebbe lasciato il posto alla “Chiesa di Giovanni”, animata dai viri spirituales, nella quale tutti i cristiani avrebbero potuto raggiungere la pienezza della comprensione del mistero divino.

    Le idee gioachimite ispirarono i contemporanei, mistici (come Ubertino da Casale e Gerardo di Borgo San Donnino) ed eretici (Gherardo Segalelli, Dolcino da Novara); sostenute dapprima dai Cistercensi, ebbero poi un influsso fortissimo sulla corrente “spirituale” del francescanesimo e in generale sui movimenti pauperistici del XIII e XIV secolo, soprattutto quando le profezie gioachimite sembrarono realizzarsi nell’elezione papale dell’eremita abbruzzese Pietro da Morrone, che prese il nome di Celestino V (1294). Le vicende del suo brevissimo pontificato, dell’abdicazione, prigionia e morte (1296) causarono la nascita di un legame tra “spirituali”, movimenti antipapali e in alcuni casi anche sètte ereticali, la cui repressione sopì a lungo in Italia le idee dell’escatologia millenarista e apocalittica; esse, come si è detto, rimasero comunque vive e riaffiorarono in seguito in altre regioni europee.

    Il teologo francescano (poi vescovo e cardinale) Bonaventura da Bagnoregio purificò la dottrina di Gioacchino dalle concezioni più problematiche, riuscendo così a salvarne il contenuto esegetico-profetico nonostante la condanna delle dottrine dell’abate calabrese pronunciata nel IV concilio Lateranense del 1215: «Bonaventura non rifiuta totalmente Gioacchino (come aveva fatto S. Tommaso), ma lo interpreta piuttosto in modo ecclesiale, creando un’alternativa ai gioachimiti radicali» (Ratzinger, San Bonaventura, 15).

    In anni recenti vi è stata una forte ripresa degli studi su Gioacchino da Fiore, che ha permesso di meglio contestualizzarne il pensiero nell’ambito della teologia del XII sec. e nel movimento cistercense. Ne è emersa così la figura di un fautore della riforma della Chiesa, fortemente legato all’ambito monastico e capace di una originale prospettiva storico-teologica (o storico-salvifica): «L’organica connessione dei suoi scritti fra teologia trinitaria, esegesi apocalittica ed escatologia rappresentò un sistema particolarmente importante nello sviluppo dottrinale nella seconda metà del secolo XII, anche se spesso venne ridotto da seguaci e oppositori soltanto alla suddivisione ternaria delle età della storia e alla fama di profeta dell’abate calabrese» (Rusconi).

    Fonti e Bibl. essenziale

    N. Cohn, I fanatici dell’Apocalisse, Edizioni di Comunità, Milano, 1965; R.A. Knox, Illuminati e carismatici. Una storia dell’entusiasmo religioso, Bologna, il Mulino 1970 (orig. 1962); G. Duby, L’anno Mille. Storia religiosa e psicologia collettiva, Einaudi, Torino, 1976; O. Capitani, Medioevo ereticale, Il Mulino, Bologna 1977; J. Ratzinger, San Bonaventura. La teologia della storia, Ed. Nardini, 1982; M. Cafiero, «La verità crocifissa». Dal sinodo di Pistoia al millenarismo giansenistico nell’età rivoluzionaria, in AA. VV., Il sinodo di Pistoia del 1786, a cura di C. Lamioni, Roma, 1991, 313-325; R. Rusconi, Eschatological Movements and Messianism in the West (XIII-Early XVI Centuries), http://www.oslo2000.uio.no/program/papers/m2b/m2b-rusconi%20-%20italian.pdf; G.L. Potestà, Escatologia, apocalittica, millenarismo, in Atlante del cristianesimo. Vol. I, Dalle origini alle chiese contemporanee, UTET, Torino 2006, 314-335.


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