Segreteria di Stato – vol. II

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    Autore: Paolo Valvo

    La duplice dimensione “universale” e “romana” della Chiesa cattolica fa del Vaticano un punto naturale di incontro tra l’Italia e il mondo. Dal 1861 ad oggi, in particolare, le direttive dell’azione globale della Santa Sede sono state elaborate all’interno di una Segreteria di Stato che, divenuta “italiana” a tutti gli effetti diverso tempo dopo la breccia di Porta Pia, solo in tempi relativamente recenti ha visto l’avvio di una lenta e progressiva internazionalizzazione del proprio personale.

    Per questa ragione, la storiografia ha cercato di mettere in luce l’influsso del quadro culturale e politico italiano sull’operato dei membri della Curia, anche in riferimento a contesti diversi dall’Italia. L’indagine storica deve peraltro considerare anche la dinamica contraria, che dal “mondo” procede verso la realtà italiana: l’esperienza internazionale del servizio diplomatico, infatti, accomuna molti membri della Segreteria di Stato, in misura crescente nel XX secolo. Ne consegue la necessità di studiare attentamente le biografie dei singoli, per comprendere gli intrecci originali tra formazione culturale ed esperienze vissute, sempre tenendo presente la centralità dell’elemento teologico-pastorale nell’azione politico-diplomatica della Santa Sede.

    Nel Novecento, importanti riforme della Curia hanno definitivamente riconosciuto la posizione privilegiata della Segreteria di Stato come organo di governo della Chiesa universale. La realtà concreta tuttavia sfugge spesso alle formulazioni di principio delle costituzioni apostoliche; anche qui il “fattore umano” gioca un ruolo decisivo, generando rapporti di fiducia che non sempre rispecchiano una divisione dei ruoli precisa e coerente. Di particolare interesse, a tale riguardo, il rapporto che si crea di volta in volta tra il pontefice e il cardinale segretario di Stato, suo principale collaboratore.

    Volendo prendere in considerazione il ruolo della Segreteria di Stato in riferimento alle vicende italiane a partire dal 1861, si può individuare una prima grande fase, dominata dalla “Questione Romana”, che si conclude con la stipula dei Patti Lateranensi nel 1929. Nei primi decenni dell’Italia unita la legislazione anticlericale e il Non expedit (1874) indeboliscono le basi “reali” del “paese legale”, mentre sul piano internazionale la Santa Sede è alla ricerca di una sponda europea che possa appoggiare le sue rivendicazioni. A questo proposito Leone XIII (1878-1903) mostra inizialmente di appoggiare la linea favorevole alla Triplice Alleanza di mons. Luigi Galimberti, potente segretario della Sacra Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari. Per il disbrigo degli affari interni, papa Pecci preferisce affidarsi al “gabinetto segreto dei Perugini” – composto da prelati di sua fiducia conosciuti negli anni del ministero episcopale – piuttosto che alla Segreteria di Stato dell’anziano cardinale Ludovico Jacobini, dimostrando una volontà centralizzatrice che emergerà anche in successivi pontificati. Nel 1887 un primo tentativo di “conciliazione” vede protagonista insieme al presidente italiano Francesco Crispi non un membro della Segreteria di Stato ma l’abate benedettino Luigi Tosti.

    La fine del Kulturkampf in Germania è il risultato più importante di Galimberti e dei suoi collaboratori, ma con l’arrivo del nuovo segretario di Stato Mariano Rampolla del Tindaro (1887) il quadro muta sensibilmente. Deciso a tenere saldamente le redini del governo, il cardinale Rampolla riduce considerevolmente il potere del gabinetto dei Perugini e promuove una politica estera filo-francese il cui obiettivo è lo scardinamento della Triplice Alleanza per isolare l’Italia attraverso un riavvicinamento franco-austriaco. Esito di questa politica, più radicale di quella “evoluzionista” di Galimberti, è il ralliement dei cattolici francesi alla Terza Repubblica e l’avvicinamento della Santa Sede alla Francia, che durerà fino alla rottura delle relazioni diplomatiche nel 1905.

    Meno attivo sulla scena internazionale, Pio X (1903-1914) dà un grande impulso all’attività della Curia, che viene riformata con la costituzione Sapienti consilio (1908), recepita pienamente dalla codificazione del 1917. La Segreteria di Stato risulta ora suddivisa in tre sezioni, la prima delle quali, guidata da un segretario, si identifica sostanzialmente con la Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari; gli affari ordinari e la corrispondenza con i rappresentanti diplomatici della Santa Sede rientrano nelle competenze della seconda sezione (guidata da un sostituto), mentre la terza – la Cancelleria dei Brevi Apostolici – cura la preparazione e la spedizione dei brevi pontifici. Anche papa Sarto, tuttavia, privilegia una forma di governo accentrata, che lo porta ad affidare gli affari più importanti a una segreteria particolare (la “Segretariola”). È questo ufficio a occuparsi delle questioni relative all’Italia, tra le quali spiccano la crisi modernista, le vicende del sacerdote Romolo Murri, la riforma dell’Opera dei Congressi e i rapporti sempre delicati con le autorità civili; l’attività della Segreteria di Stato del cardinale Rafael Merry del Val sembra concentrarsi principalmente sui rapporti con gli altri Stati.

    Con l’avvento al soglio pontificio di Giacomo Della Chiesa (Benedetto XV, 1914-1922), che come segretario di Rampolla e sostituto della Segreteria di Stato aveva dato in precedenza un importante contributo al conciliatorismo, prende avvio una “conciliazione ufficiosa”, che trova nella Segreteria di Stato un attore fondamentale. Se da una parte la guerra non migliora i rapporti ufficiali con il governo – si pensi all’esclusione della Santa Sede dalle trattative di pace, stabilita nel Patto di Londra su richiesta dell’Italia, e alla ricezione della “Nota di pace” del papa (1° agosto 1917) –, dall’altra una mediazione discreta e costante, come quella esercitata in Vaticano dal barone Carlo Monti, pone le basi di importanti sviluppi successivi. Nel 1919 il cardinale segretario di Stato Pietro Gasparri invia in tutta fretta mons. Bonaventura Cerretti a Parigi, per dare autorevolmente seguito ai pourparlers sulla soluzione della Questione Romana iniziati a titolo personale da un prelato americano, mons. Francis Clement Kelley, con il presidente Vittorio Emanuele Orlando. Molto importante è anche la positiva collaborazione tra Gasparri e Francesco Saverio Nitti, risalente ai tempi delle trattative tra Italia e Austria-Ungheria del 1917, attivamente sostenute dalla Santa Sede. Le buone disposizioni del Vaticano verso l’Italia si manifestano anche in ambito internazionale: nel 1924 la Segreteria di Stato favorisce la ratifica del Trattato di Roma tra Italia e Jugoslavia, agendo sui deputati cattolici croati e sloveni del parlamento jugoslavo attraverso il nunzio a Belgrado mons. Pellegrinetti. L’avvio del pontificato di Pio XI (1922-1939) e l’inizio della dittatura fascista non alterano radicalmente tale contesto nel quale, nonostante la tensione suscitata a più riprese dalle pretese totalitarie del regime, nel 1926 prendono corpo le trattative che porteranno l’11 febbraio 1929 alla conclusione dei Patti Lateranensi, che comprendono un Trattato internazionale, un Concordato e una convenzione finanziaria.

    I Patti chiudono definitivamente la Questione Romana, riconoscendo alla Santa Sede la sovranità territoriale sulla Città del Vaticano; pur rappresentando il più importante successo di Gasparri, essi allo stesso tempo sanciscono il distacco definitivo di quest’ultimo da papa Ratti, che pochi mesi dopo nomina segretario di Stato il cardinale Eugenio Pacelli, già nunzio a Berlino. All’origine vi è una notevole differenza di vedute sui rapporti con l’Italia (Gasparri non condivide l’insistenza di Pio XI sull’inscindibilità del vincolo tra Concordato e Trattato), ma più ancora l’incompatibilità tra un segretario di Stato – esperto giurista e diplomatico – abituato ad agire con una certa autonomia, e un pontefice dal temperamento autoritario, che in Pacelli vede un collaboratore più disponibile a eseguire le sue direttive. Anche Pacelli, inizialmente, subisce le iniziative di Pio XI, ad esempio nel 1931, quando durante lo scontro con il governo italiano sull’Azione Cattolica il papa “scavalca” in almeno un’occasione la Segreteria di Stato, agendo di concerto con il nunzio in Italia Francesco Borgongini-Duca. Il conflitto con Mussolini fa emergere i malumori presenti nel Sacro Collegio, dove diversi cardinali non condividono lo stile di governo di papa Ratti e lamentano di non essere stati consultati nelle trattative per la conciliazione; da questa crisi, tuttavia, l’autorità di Pacelli sugli altri porporati esce rafforzata: è l’inizio di una nuova fase di centralizzazione nel governo della Curia, destinata a protrarsi anche nel successivo pontificato.

    Negli anni che precedono l’“accelerazione totalitaria” del regime fascista, la Segreteria di Stato è un luogo dove vengono condivisi con il governo italiano importanti indirizzi di politica estera (si pensi allo sforzo comune per difendere l’indipendenza dell’Austria dall’espansionismo hitleriano, almeno fino alla fine del 1935), mentre per i problemi più prettamente “italiani” la Santa Sede si avvale, oltre che della Segreteria di Stato e della nunziatura, anche del fondamentale contributo del gesuita Pietro Tacchi-Venturi, che fin dal 1923 svolge il ruolo di tramite ufficioso del Vaticano con Mussolini. Il progressivo avvicinamento dell’Italia alla Germania nazista suscita reazioni negative Oltretevere – l’incaricato d’affari austriaco presso la Santa Sede riferiva nel 1936 che secondo Pacelli «gli italiani non avevano carattere, e gli faceva semplicemente schifo leggere i giornali italiani, cosa alla quale era obbligato dal suo ufficio» (F. Engel-Janosi, Il Vaticano fra fascismo e nazismo, 228) – ma di un’effettiva volontà di denunciare unilateralmente il Concordato, attribuita a Pio XI negli ultimi mesi del suo pontificato, non si è avuta ad oggi una convincente prova documentaria.

    Eletto papa dopo soli tre scrutinii il 2 marzo 1939, Eugenio Pacelli – ora Pio XII – nomina segretario di Stato il nunzio a Parigi Luigi Maglione, ma alla morte di quest’ultimo (1944) sceglie di non designare un successore, continuando ad avvalersi dell’opera del sostituto agli Affari Ordinari Giovanni Battista Montini e del segretario agli Affari Ecclesiastici Straordinari Domenico Tardini, al quale ultimo il pontefice confida di non volere «collaboratori, ma esecutori». L’assenza di un superiore, che si protrae fino alla fine del pontificato (nel 1952 sia Tardini che Montini vengono nominati “prosegretari di Stato”), non impedisce alla Segreteria di Stato di accrescere la propria importanza nel governo della Chiesa. Anche se è Tardini, diplomatico romano di impostazione “gasparriana”, a occuparsi più da vicino degli affari politici della Santa Sede, il bresciano Montini rappresenta un punto di riferimento per Alcide De Gasperi e la nuova classe dirigente democristiana, anche a seguito del suo precedente impegno nell’Azione Cattolica (e in particolare nella Fuci).

    All’indomani della fine del conflitto mondiale, la Santa Sede segue con attenzione i lavori dell’Assemblea Costituente, mantenendosi in contatto con i principali esponenti politici (non solo democristiani) attraverso molteplici canali, Segreteria di Stato in primis: insieme a Tardini e Montini, è significativo il ruolo svolto dal minutante Angelo Dell’Acqua (che subentrerà come sostituto a Montini, nominato arcivescovo di Milano, nel 1954). In materia di rapporti tra Stato e Chiesa, il Vaticano appoggia la formulazione dell’art. 5 (divenuto poi art. 7) di Giuseppe Dossetti, pur manifestando una certa preoccupazione per l’appoggio ambiguo del PCI di Togliatti.

    In quegli anni il giudizio sulle vicende italiane fa emergere importanti differenze tra le due anime della Segreteria di Stato di Pio XII: mentre Montini è un convinto sostenitore dell’unità dei cattolici nella Democrazia Cristiana, nel quadro di una maggiore autonomia dei laici nell’azione politica, Tardini è più cauto, non disapprovando un pluralismo di posizioni nella vita politica del Paese ma escludendo aperture a sinistra; entrambi, in ogni caso, sono contrari alla formazione del blocco cattolico-conservatore prospettato da Luigi Gedda nel 1947. Anche l’ingresso dell’Italia nell’Alleanza Atlantica suscita opinioni discordanti: piuttosto contrario Tardini, che guarda con favore alla neutralità italiana e teme un coinvolgimento della Santa Sede; favorevole invece Montini, che anche in questa occasione conferma la sua vicinanza alla linea di De Gasperi. Le preoccupazioni di Tardini sono condivise dal papa che tuttavia, rassicurato dal governo italiano, approva la scelta atlantica.

    I pontificati di Giovanni XXIII (1958-1963) e Paolo VI (1963-1978) attraversano anni cruciali per la Chiesa italiana: il clima di ottimismo suscitato dal Concilio Vaticano II (1962-1965) si scontra con la realtà del progressivo allontanamento della popolazione dalla fede praticata e vissuta, e con l’insofferenza di settori non trascurabili del clero e del laicato per l’autorità della Santa Sede e il magistero pontificio (si pensi alle reazioni suscitate dall’enciclica Humanae vitae del 1968). Lo spirito di rinnovamento del Concilio investe la Curia, che viene profondamente riformata dalla costituzione Regimini Ecclesiae universae (1967) di papa Montini; con la soppressione della Cancelleria dei Brevi Apostolici e la trasformazione della prima sezione (Affari Ecclesiastici Straordinari) nel Consiglio per gli Affari Pubblici della Chiesa, la Segreteria di Stato viene unificata e diventa a tutti gli effetti “segreteria del Papa”: la pluralità dei soggetti con i quali essa è ora chiamata a intrattenere relazioni esprime la visione ecclesiologica conciliare. Nonostante la centralità che anche Paolo VI, come i suoi predecessori, attribuisce alla Segreteria di Stato – dove il sostituto Giovanni Benelli ha maggiormente il “polso” della situazione italiana rispetto al segretario di Stato, il cardinale francese Jean-Marie Villot – papa Montini non disdegna di servirsi di altri canali per intervenire nelle questioni italiane, di cui è spettatore attento e partecipe: quando i rapporti della Santa Sede con l’Italia sono messi a dura prova dall’introduzione della legge sul divorzio (con il successivo referendum abrogativo) e dalle prime discussioni sulla revisione del Concordato, un interlocutore privilegiato del pontefice è il segretario della CEI Enrico Bartoletti, insieme al quale l’ambasciatore italiano Gian Franco Pompei elabora la prima bozza del nuovo Concordato.

    Il maggiore protagonismo della Conferenza Episcopale è peraltro un tratto distintivo del pontificato di Giovanni Paolo II (1978-2005), per quanto riguarda l’Italia. Sebbene essa non venga coinvolta nelle fasi decisive dei negoziati per l’accordo-quadro del 1984, quest’ultimo ne fa il soggetto competente a trattare con le autorità civili in numerose e importanti materie, tra cui i beni culturali e il finanziamento pubblico alla Chiesa cattolica. Negli stessi anni la Segreteria di Stato viene ulteriormente riformata: la costituzione Pastor bonus (1988) la ripartisce in due sezioni (Affari Generali / Rapporti con gli Stati), coordinate rispettivamente da un sostituto e da un segretario; nella seconda sezione confluisce il Consiglio per gli Affari Pubblici della Chiesa. Sul piano giuridico la riforma sottolinea il legame di tutta la Curia con il pontefice; per quanto riguarda l’Italia la Segreteria di Stato rinuncia alle sue prerogative nelle provviste episcopali a vantaggio della Congregazione dei Vescovi (ma la seconda sezione le mantiene per l’Europa dell’Est e la Russia).

    Nel confuso quadro generato dalla “fine della Prima Repubblica”, con la diaspora politica dei cattolici che ne è conseguita, le istituzioni italiane hanno trovato nella CEI presieduta dal cardinale Ruini un interlocutore privilegiato, in sintonia con il magistero e le direttive pastorali di papa Wojtyla. Il quadro sembra essere parzialmente mutato con l’avvento al soglio pontificio di Benedetto XVI: in una lettera al presidente della CEI Angelo Bagnasco (25 marzo 2007), infatti, il segretario di Stato Tarcisio Bertone ha rivendicato implicitamente un ruolo più attivo per sé nei rapporti con le autorità civili. A questo riguardo, è lecito supporre che l’attuale situazione di crisi economica e politica, che ripropone in termini cogenti il problema del ruolo dei cattolici nell’arena pubblica (evidenziato dal cardinale Bagnasco in numerosi interventi), offrirà sicuramente nuove occasioni di confronto e spunti di riflessione.

    Fonti e Bibl. essenziale

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    LEMMARIO