Autore: Francesco Bonini
Le politiche di secolarizzazione che hanno caratterizzato il passaggio dell’Unificazione hanno salvaguardato il ruolo sociale e pubblico della Chiesa e del suo tessuto istituzionale, attraverso una sorta di pratico agreement, che comporta di fatto il riconoscimento del principio dell’interesse pubblico al mantenimento della struttura ecclesiastica, anche nel momento in cui il conflitto interistituzionale assume forme di particolare durezza.
La soppressione delle corporazioni religiose e di molti enti secolari, con conseguente incameramento dei beni ecclesiastici, prima nel Regno di Sardegna, con le leggi del 1855, e poi a livello nazionale, con le leggi del 1866-67, comporta la costituzione di una gestione pubblica autonoma affidata a vari enti (Cassa Ecclesiastica nel Regno di Sardegna divenuto Fondo per il Culto dal 1866; Fondo per gli usi di beneficenza e di religione nella città di Roma, creato dopo il 1870; Aziende speciali di Culto) Il Fondo conserva la proprietà degli edifici sacri aperti al culto ritenuti necessari alle esigenze spirituali della popolazione, con gli annessi ritenuti correlati alle esigenze pastorali, mentre il restante, ingentissimo patrimonio viene devoluto al demanio, per essere utilizzato da varie amministrazioni statali o locali o alienato attraverso aste pubbliche. Sopravvivono invece a gestione ecclesiastica diretta i benefici connessi alla cura delle anime.
Con l’articolo 18 della cosiddetta Legge delle guarentigie, si prevede il riordino, la conservazione e l’amministrazione delle proprietà ecclesiastiche nel Regno. In pratica viene determinato un livello minimo di reddito (limite di congrua) secondo le varie categorie dei benefici ecclesiastici e lo stato interviene ad integrare i redditi ove questi risultino inferiori ai livelli predeterminati. Il Fondo per il culto, incardinato fino al 1932 nel Ministero della Giustizia e dei Culti e poi in quello dell’Interno, sopperiva alle insufficienze di reddito prodotte dei benefici e con altri istituti che si riconducono all’amministrazione centrale, concorreva a soddisfare determinate esigenze ecclesiastiche, dai restauri degli edifici di culto ai sussidi al clero povero.
Tale sistema, che implica penetranti controlli statali in materia di gestione dei benefici congruati o congruabili, resta sostanzialmente invariato anche attraverso il Concordato del 1929, mentre il contributo statale si è venuto progressivamente modificando, in virtù della automaticità degli adeguamenti, in particolare a partire dalla curva inflattiva del primo dopoguerra.
Così come quella degli enti, anche la questione del sostentamento del clero viene evidentemente posta all’ordine del giorno della revisione del Concordato, che necessariamente si deve determinare dopo l’approvazione della Costituzione repubblicana. Nelle successive bozze si comincia a delineare l’esigenza di una profonda revisione della materia.
La riforma del codice di diritto canonico del 1983 rappresenta un importante stimolo, contribuendo a creare i presupposti, nella struttura della Chiesa, di un nuovo assetto istituzionale. E’ anche il momento dell’accelerazione delle trattative per la revisione degli accordi concordatari.
Il 18 febbraio 1984 vengono firmati a Roma i protocolli di modificazione del Concordato lateranense, da Bettino Craxi e Agostino Casaroli. L’articolo 7, comma 6, istituisce una commissione paritetica per disciplinare la materia degli enti e dei beni ecclesiastici e per la revisione degli impegni finanziari dello Stato italiano. Essa viene immediatamente insediata il 23 febbraio. E’ co-presieduta dal vescovo mons. Attilio Nicora, giurista vescovo ausiliare di Milano, per parte vaticana e dal prof. Francesco Margiotta Broglio per la parte italiana. Nella relazione del 6 luglio la commissione, ribadita la necessità di «assicurare un decorso sostentamento del clero» sottolinea «l’indubbio interesse collettivo alla introduzione di forme moderne di finanziamento delle Chiesa attraverso le quali si agevoli la libera contribuzione dei cittadini per il perseguimento di finalità e il soddisfacimento di interessi religiosi». In concreto viene proposto «un meccanismo bilanciato e concorrente di finanziamento autonomo e orientato». Mons. Nicora affermerà che ai fini dell’accordo, oltre che la finestra di opportunità legata alla relativa stabilità politica garantita dal governo Craxi, «a risultare determinante fu il fattore generazionale», che permette di svincolarsi dai quadri di derivazione post-risorgimentale. L’accordo è formalizzato l’8 agosto e solennemente stipulato il 15 novembre, ancora con la firma di Craxi e Casaroli. E’ attuato con la Legge n. 222 del 20 maggio 1985, che reca Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi. (G.U. n. 129 del 3 giugno 1985). Seguiranno poi altre leggi che attuano le intese con altre confessioni religiose, ai sensi dell’articolo 8 della Costituzione.
Viene realizzata di fatto una via originale tra i vari sistemi in vigore nelle democrazie europee (tassa ecclesiastica nei paesi germanici, esenzioni fiscali in quelli anglosassoni, mantenimento statale in quelli protestanti del nord). Si mette in opera un sistema che porta a superare ogni contributo finanziario diretto da parte dello stato, ponendo in atto un meccanismo basato su due canali: la deducibilità fiscale entro il tetto massimo piuttosto limitato, fissato a due milioni di lire, delle oblazioni fatte dai cittadini mediante versamento su unico conto corrente intestato alla Conferenza Episcopale Italiana e riserva da parte dello Stato di una quota dell’ 0,8% della massa Irpef dichiarato ciascun anno, che può essere destinato a scopi sociali ed umanitari dello Stato, a scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica (sostentamento del clero, esigenze di culto della popolazione, interventi caritativi a favore della collettività nazionale o di paesi del terzo mondo) o di altre confessioni religiose interessate sulla base di intese con esse.
Il motivo per cui sono stati previsti due flussi finanziari ed è stata decisa la redistribuzione anche delle quote derivanti dalle scelte non espresse, è determinato dalla difficoltà di determinare con sufficiente certezza quale accoglienza il nuovo sistema avrebbe avuto da parte dei cittadini, per cui si è optato per la soluzione più garantista nei confronti delle confessioni religiose.
Sono previste puntuali rendicontazioni e un monitoraggio bilaterale periodico: ogni anno deve essere comunicato al governo e reso pubblico un rendiconto analitico circa l’utilizzazione delle somme e ogni tre anni una commissione paritetica, composta di membri nominati dal governo e dalla CEI è chiamata a valutare al rispondenza dei flussi finanziari così percepiti con i capisaldi del’accordo.
L’attuazione degli accordi accresce notevolmente il ruolo della CEI, cui è stato conferita personalità giuridica con l’art. 13 della già ricordata legge n. 222: nello specifico l’assemblea generale decide la ripartizione dei fondi assegnati alla Chiesa cattolica.
Per quanto riguarda in particolare il sostentamento del clero ad ogni sacerdote viene assegnato un determinato numero di punti, a seconda degli incarichi svolti, dell’età e di altri parametri, con una base minima per tutti di 80 punti. Il consiglio permanente della CEI aggiorna periodicamente il valore monetario del “punto” . La quota derivante dall’8 per mille si somma così, ai fini del fabbisogno complessivo alle remunerazioni proprie dei sacerdoti, all’apporto delle parrocchie e degli enti ecclesiastici, ai redditi degli Istituti per il sostentamento del clero.
Essa permetterà la realizzazione, da parte della Conferenza episcopale Italiana, della riforma del tradizionale sistema beneficiale, con l’erezione , a livello diocesano, di Istituti per il sostentamento del clero, che hanno una propria base patrimoniale costituita mediante trasferimento dei beni redditizi appartenenti agli ex benefici di tutta una serie di enti.
Gli istituti diocesani (o interdiocesani) di sostentamento del clero cono dotati di personalità giuridica canonica e civile quali enti ecclesiastici. Così, sulla base del nuovo codice di diritto canonico ed alle norme per la sua attuazione, hanno personalità giuridica canonica le diocesi, gli istituti per il sostentamento del clero e le parrocchie. Cessano di esistere come soggetti giuridici le mense vescovili, i benefici canonicali, parrocchiali, e vicariali curati, le chiese parrocchiali.
Viene rafforzato il sistema dei controlli canonici, per gli atti di straordinaria amministrazione occorre l’autorizzazione della Santa Sede, dopo avere acquisito il parere della Conferenza Episcopale Italiana.
Tra la fine del 1985 e il 1986 sono costituti l’Istituto centrale e gli istituti diocesani per il sotentamento del clero, il cui sistema permette di valorizzare il patrimonio precedentemente disperso. Il regime comincia ad entrare a regime il primo gennaio 1987: lo Stato non versa più le congrue, ma un anticipo, basato sullo storico (pari a 409 mld di lire). Dal primo gennaio sono possibili le offerte deducibili per il sostentamento del clero intestate all’Istituto Centrale Sostentamento Clero, che versa il 27 il primo assegno ai sacerdoti inseriti nel sistema. A maggio 1990 i contribuenti firmano per la prima volta per la destinazione dell’otto per mille del gettito complessivo dell’Irpef.
L’attuazione del nuovo sistema comporta la creazione, presso il Ministero dell’Interno, del Fondo Edifici di Culto, che subentra in tutti i rapporti attivi e passivi nel patrimonio dell’estinto Fondo Culto, con l’esclusivo compito di provvedere, mediante la gestione del suo patrimonio, alla conservazione, tutela e valorizzazione degli edifici di culto di proprietà statale.
La Conferenza episcopale italiana pubblica in data 14 novembre 1988 il documento Sovvenire alle necessità della Chiesa. Corresponsabilità e partecipazione dei fedeli. Nel ventesimo anniversario una Lettera dell’Episcopato del 30 maggio 2008, ribadisce il valore e l’attualità della scelta compiuta in occasione della revisione del Concordato Lateranense, abbandonando il sistema della congrua e del beneficio ecclesiastico, per affidarsi ai cittadini e ai fedeli e sottolinea il valore propositivo ed educativo del nuovo sistema in ordine ai valori
della corresponsabilità e della partecipazione ecclesiale.
L’attuazione del nuovo sistema, accompagnata da una certa preoccupazione ecclesiastica, conosce subito un significativo successo. In termini relativi modesta è la massa finanziaria, decrescente, derivante dalle offerte deducibili, arrivate nel 2007 a 16,8 mln di euro, che tuttavia risulta una delle raccolte fondo più cospicue in Italia. Rilevante è la percentuale delle scelte a favore della Chiesa cattolica e del complessivo gettito Irpef, che tocca il livello massimo con l’89,81% nel 2004, per un ammontare di circa 997 mln, per poi leggermente diminuire. La percentuale delle scelte espresse dai contribuenti è stabilmente sopra il 40%: escludendo dal computo coloro che non versano alcuna imposta la percentuale di partecipazione alla scelta di fatto si colloca almeno al 56%.
I principi della riforma hanno trovato attuazione, dispiegando gli effetti istituzionali anche in altre direzioni. Quelli delle altre confessioni religiose innanzi tutto, ma anche per una concezione della fiscalità come sistema, come servizio sociale, una leva che lo stato usa per un complesso di fini, che non sono necessariamente né soltanto quello del mero incasso di porzioni di reddito.
Fonti e Bibl. essenziale
Presidenza del Consiglio dei ministri, Un accordo di libertà. La revisione del Concordato, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1986; Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dall’accordo del 1984 al disegno di legge sulla libertà religiosa. Un quindicennio di politica e legislazione ecclesiastica, Roma, IPZS, 2000; U. Folena, L’avvio della promozione del nuovo sistema di sostegno economico alla Chiesa Cattolica. Libro intervista al Cardinale Attilio Nicora e a Pierluigi Bongiovanni, I quaderni del sovvenire, Roma, 2008; I. Bolgiani (ed.), Enti di culto e finanziamento delle confessioni religiose a c. di, Bologna, Il Mulino, 207, con un saggio sulla CEI di M. Rivella, 85-96.