Concilio Vaticano II – vol. II

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    Autore: Alexandra von Teuffenbach

    La preparazione. Il Concilio Vaticano II fu annunciato pubblicamente dalla radio italiana a partire dalle ore 12,30 del 25 gennaio 1959. Solo quasi un’ora più tardi la notizia sarebbe stata data da papa Giovanni XXIII anche ai cardinali riuniti a San Paolo fuori le mura in occasione della chiusura della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. L’idea di celebrare un Concilio non era nuova. Soprattutto nell’ambito curiale romano era ben conosciuto sia il tentativo di papa Pio XI degli anni ’20 – poi lasciato da parte a favore di altri programmi più urgenti – sia quello, più articolato, di papa Pio XII. Questo secondo tentativo di preparazione si arenò quando Pio XII – di fronte all’alternativa di realizzare un Concilio lungo e complesso o un mero “spettacolo d’unità” – decise di interrompere ogni lavoro. Subito dopo la sua elezione al soglio pontificio Papa Giovanni XXIII espresse più volte in udienze private il suo desiderio di voler convocare un Concilio. Nell’annuncio ai cardinali a San Paolo aggiunse anche la sua intenzione di celebrare un sinodo per la città di Roma e di aggiornare il diritto canonico. La stampa italiana in linea di massima accolse positivamente e in modo corretto questo annuncio, ad eccezione del quotidiano Avanti! che non perse l’occasione di evidenziare in modo offensivo la differenza tra i pontificati di Pio XII e Giovanni XXIII, definendoli il primo oscurantista, il secondo conciliante.

    Papa Roncalli diede una grande importanza alla preparazione del Concilio, anche prendendo a modello i sinodi da lui già celebrati in cui non aveva mai accettato alcuna discussione o scambio di opinioni, in quanto a suo avviso dovevano consistere principalmente in una solenne dimostrazione di unità della diocesi intorno al vescovo. Giovanni XXIII mise a capo della commissione antepreparatoria istituita il 17.5.1959 il suo cardinale segretario di Stato, Domenico Tardini, e chiamò ad esserne membri gli assessori o i segretari delle Congregazioni romane, tutti italiani ad eccezione di Acacio Coussa e Paolo Philippe. Alla commissione antepreparatoria fu affidato il compito di indicare i temi da proporre al futuro Concilio dopo aver sentito il parere dei vescovi sparsi nel mondo e di suggerire la composizione degli organi preparatori del Concilio. Alla grande inchiesta rispose il 76,4% degli intervistati nel mondo. Dei vescovi e abati italiani interpellati, l’86,3% diede un riscontro inviando i propri suggerimenti.

    Il periodo preparatorio iniziò il 5 giugno 1960 con il motu proprio Superno Dei nutu in cui era stabilita l’istituzione di dieci commissioni preparatorie, due segretariati e una commissione centrale. Ad eccezione dei cardinali Agagianian e Bea, entrambi da anni in Italia, gli altri presidenti delle commissioni, segretariati e il segretario della commissione centrale erano italiani. Il papa infatti aveva voluto i prefetti e i segretari delle congregazioni romane corrispondenti a capo della preparazione più prossima del Concilio. Nella designazione dei membri della commissione centrale preparatoria invece si era posta particolare attenzione ad una scelta che indicasse la più grande internazionalità, come anche nella nomina dei segretari delle commissioni e dei segretariati. I soli italiani che troviamo tra loro sono Pericle Felici, segretario della Commissione preparatoria centrale, Cesare Berutti OP, Annibale Bugnini, delle commissioni per la disciplina del clero e della liturgia e Sergio Guerri del segretariato amministrativo.

    Il 9 luglio alle commissioni fu inviato un fascicolo con i temi che il papa chiedeva fossero preparati. Da quel momento in poi – e fino all’esaurimento dei loro compiti – lavorarono alla preparazione del Concilio più di 880 persone, provenienti da quasi ottanta paesi. Non sempre è facile ricostruire per ognuno di loro di che nazionalità fossero, poiché non pochi tra loro vivevano in Italia da decenni e venivano contati per questo tra gli italiani. In ogni caso è sicuramente corretto sostenere che, tra italiani e “italiani di adozione”, la metà di loro viveva stabilmente nella penisola. Furono elaborati 70 testi, schemi disciplinari e dottrinali, tra i quali alcuni dovevano evidentemente essere unificati ad altri che trattavano una materia affine se non addirittura uguale, altri erano invece piuttosto capitoli di schemi che schemi veri e propri.

    Mentre fervevano i preparativi da parte delle autorità ecclesiastiche, nell’estate 1962 il governo italiano promosse la formazione di un Comitato che doveva rendere onore, favorire l’ospitalità e facilitare il soggiorno dei Padri partecipanti al Concilio e delle personalità che si sarebbero riunite in quella occasione. Il 3 luglio 1962 il papa concesse un’udienza al presidente italiano Antonio Segni. A settembre Giovanni XXIII ricevette in udienza il presidente della regione Lazio che donò al papa una penna da tavolo per firmare i documenti conciliari e il sindaco di Roma – che aveva stabilito con tutto il consiglio comunale di stanziare 14 milioni di lire per le spese di rappresentanza in occasione del Concilio (si trattava di interventi relativi all’illuminazione, alla presenza di bandiere e, in genere, a rendere più bella la città) – donò al pontefice un calice con una scritta nel basamento a ricordo del Concilio.

    Lo svolgimento: Primo periodo. Il Concilio si aprì l’11 ottobre 1962 con una solenne celebrazione che fu filmata dalla “RAI TV” e ripresa dalle televisioni di tutto il mondo. Non è mai stato calcolato il numero esatto di padri conciliari che presero parte alle cerimonie di apertura. Il 30 settembre 1962 erano stati contati 2908 tra vescovi e superiori religiosi aventi diritto alla partecipazione al Concilio; di questi 1089 erano europei e 430 italiani. Nelle congregazioni generali in cui si fece il conteggio dei padri però non si superarono mai i 2540 presenti, di cui 385 italiani. Il calcolo degli italiani presenti deve tuttavia essere rivisto a ribasso poiché non pochi vescovi esiliati dai loro paesi e impiegati in lavori in curia, come anche indistintamente tutti i cardinali di curia venivano conteggiati tra gli italiani.

    Nei giorni precedenti avevano prestato giuramento gli ufficiali e i ministri che servivano il Concilio. Le famiglie nobili romane dei Colonna e dei Torlonia ricoprirono il compito di custodi del Concilio. L’Italia accolse positivamente la grande assise conciliare. Alle celebrazioni dell’11 ottobre fu presente nella tribuna d’onore il presidente della repubblica italiana Antonio Segni che mandò anche un messaggio augurale al Papa. Nello stesso giorno a Montecitorio, sotto la presidenza di Giovanni Leone, e a Palazzo Madama, sotto Cesare Merzagora, venne commemorato il Concilio di cui parlarono positivamente deputati e senatori di tutte le forze politiche. Anche il governo – nel consiglio dei ministri del 9 ottobre – si occupò del Concilio, e Amintore Fanfani, allora presidente del Consiglio, inviò un messaggio augurale. Inoltre il ministero degli esteri aveva rilasciato a tutti i padri Conciliari un documento speciale che dava loro diritto a varie facilitazioni. In quel primo giorno di Concilio la stampa italiana, anche quella di sinistra, fu positiva e elogiativa verso questo evento.

    Con l’inizio dei lavori, il 13.10, si manifestò anche un certo nazionalismo, presto superato. Ogni conferenza episcopale elaborò infatti una lista di candidati per l’elezione dei 16 membri in ognuna delle dieci commissioni. La lista della conferenza episcopale italiana presentava 62 nomi, di cui 47 italiani. Questa lista fu poi molto lodata, per la sua “internazionalità”. Alla fine, quando anche il papa ebbe nominati i membri da aggiungere ad ogni commissione – erano undici con il segretariato ormai elevato a rango di Commissione – sui 274 membri che prestarono il loro servizio in seno a questi organi conciliari, 155 erano europei, di cui 52 italiani.

    Un primo frutto del Concilio fu sicuramente la prima riunione nella storia dell’episcopato italiano, il 14 ottobre, sotto la presidenza del cardinale Siri. Le riunioni che ebbero luogo alla Domus Mariae diventarono presto settimanali e la formazione di questa conferenza episcopale aiutò ad una maggior consapevolezza nazionale e aprì ai vescovi la possibilità di agire in modo comune, come collegio. Dopo il nunzio al mondo, in questo primo periodo che terminò l’8.12, nell’aula conciliare si discusse dello schema della Liturgia, della Rivelazione, dei mezzi di comunicazione sociale, dell’ecumenismo e della Chiesa. Gli oratori italiani furono numerosi, si può dire infatti che uno su sei tra quelli che presero la parola, fu un padre conciliare italiano. Tra questi sono frequenti le prese di posizione – in aula e non – dei cardinali italiani, Montini, Siri, Ruffini, Lercaro e Ottaviani.

    La Commissione di coordinamento istituita da papa Giovanni XXIII alla fine del primo periodo conciliare, composta da sette cardinali, rispecchiava l’internazionalità tipica di un Concilio ecumenico anche se sia il presidente – il segretario di Stato A.G. Cicognani – sia altri due cardinali – Urbani e Confalonieri – erano italiani. Nacquero in Italia svariate iniziative di supporto spirituale al Concilio, p.e. la Commissione diocesana di Roma per la preparazione (spirituale) al Concilio, poi ricevuta anche in udienza dal papa, e altre, come p.e. il pellegrinaggio nazionale a Loreto il 6 e 7 ottobre 1962, vennero sostenute e incoraggiate dalla Conferenza episcopale italiana. Il Concilio venne sospeso dopo la morte di papa Giovanni XXIII avvenuta il 3 giugno 1963.

    Il secondo, terzo e quarto periodo Conciliare. Con l’elezione di Giovanni Battista Montini la Chiesa italiana aveva visto elevare al soglio pontificio uno dei suoi più attivi padri del Concilio. Fin dall’indomani dell’annuncio, il 26 gennaio 1959, Montini aveva spiegato, in una notificazione alla sua diocesi, l’importanza del Concilio ecumenico che sarebbe stato celebrato; aveva poi tenuto svariate conferenze e infine aveva mandato delle lettere alla diocesi durante la sua permanenza a Roma nel primo periodo conciliare. Anche come Pontefice rimase vicino alla Chiesa italiana come si può evincere sia dalla lettera che indirizzò solo poche settimane dopo la sua elezione al cardinale Siri – presidente della Conferenza Episcopale italiana –, sia ricevendo in udienza la conferenza episcopale italiana riunitasi in assemblea plenaria e presentando lui stesso il 14.4.1964 i temi del terzo periodo conciliare.

    Nel secondo periodo conciliare erano stati trattati lo schema sulla Chiesa e quello sui vescovi, mentre lo schema sulla liturgia fu terminato e promulgato il 4.12.1963.

    Con i giornalisti si venne in questo periodo ad una più stretta e ordinata collaborazione così da poter limitare, almeno in parte, i malintesi dovuti alle notizie – troppo frammentarie – che, nel primo periodo, erano uscite dall’aula Conciliare, malgrado il segreto che era stato imposto. Nel secondo periodo era stata formata un’équipe con due periti conciliari italiani – il padre Roberto Tucci SJ direttore della Civiltà Cattolica e Carlo Colombo, professore di dogmatica – insieme al direttore del centro di documentazione Mario Puccinelli come mediatore, pensata appositamente affinché incontrasse quotidianamente i giornalisti. La maggior parte dei giornalisti italiani erano tuttavia abituati a seguire gli avvenimenti che avevano luogo in Vaticano e questa abitudine si riverberò anche negli articoli relativi al Concilio che si lessero numerosi sulla stampa italiana. Questo non evitò che l’opinione pubblica italiana, pur riconoscendo il Concilio come un evento importante, non sapesse spiegare, neppure a grandi linee, che cosa fosse. In una indagine fatta al proposito, il 70% degli intervistati non seppe rispondere a questa domanda e solo un quarto di loro dichiarò di seguire con regolarità le notizie sul concilio (Caprile, Primo periodo, 485ss.)

    Il terzo periodo conciliare, che era stato anticipato dal segretario generale Felici come sicuramente caratterizzato da intensissimo lavoro, vide la discussione e il perfezionamento dello schema sulla Chiesa, il decreto disciplinare sui compiti pastorali dei vescovi ed anche due appendici allo schema sull’ecumenismo: la dichiarazione sulla libertà religiosa e quella sugli ebrei e sui non cristiani. Ci furono alcune congregazioni riservate alla discussione sullo schema sulla divina rivelazione e poi su quello disciplinare sull’apostolato dei laici, come anche sulla vita e il ministero sacerdotale, le Chiese orientali, la vita religiosa, la missione, l’educazione cristiana. Fu riservato molto tempo al dibattito – iniziato il 20 ottobre 1964 e concluso solo il 10 novembre – riguardante lo schema che diventerà poi la costituzione Gaudium et Spes.

    Soprattutto da parte della stampa non italiana fu enfatizzata molto la settimana, definita addirittura “nera”, che precedette la promulgazione della Costituzione dogmatica Lumen Gentium e dei decreti Unitatis Redintegratio e Orientalium ecclesiarum, durante la quale fu disposta da parte del papa l’aggiunta della Nota explicativa praevia al testo della Costituzione sulla Chiesa, per indicare in che senso dovevano essere letti alcuni passaggi della costituzione. Il papa chiese anche di inserire alcuni cambiamenti nel testo del decreto sull’Ecumenismo. L’apporto dei padri conciliari italiani fu costante e fu anche molto positivo il contatto che molti vescovi italiani mantennero con le loro diocesi cercando di presentare ai fedeli loro affidati il Concilio e le sue decisioni.

    Il quarto periodo conciliare, che portò alla promulgazione dei restanti documenti conciliari grazie a un intenso lavoro nelle congregazioni generali e nelle commissioni, vide due momenti in cui il ruolo dei padri Conciliari italiani o della stampa italiana furono decisamente importanti.

    Ci fu un forte interesse da parte del Coetus Internationalis Patrum – composto anche da influenti porporati italiani –, con l’apporto fattivo di Luigi Maria Carli, per ottenere l’inserimento nella Gaudium et Spes di una menzione relativa al comunismo. Firmarono la petizione in 334, ma per una irregolarità procedurale non si tenne conto di questa richiesta. A questo fatto fu dato ampio spazio dalla stampa, soprattutto da quella italiana. La stampa italiana fu ancora più interessata alla discussione sul celibato dei sacerdoti di cui si discusse solo brevemente poiché papa Paolo VI intervenne per evitare il proseguimento di un dibattito che stava provocando troppo scalpore. Anche la questione sulla libertà religiosa ebbe vasto eco sulla stampa internazionale.

    Per il settimo centenario della nascita di Dante il 13 e 14 novembre 1965 furono invitati dall’arcivescovo di Firenze più di 500 padri conciliari a festeggiare il grande poeta italiano.

    Per la conclusione del Concilio – che avvenne l’8 dicembre 1965 – il cardinale vicario di Roma chiese una più intensa preghiera ai fedeli di Roma e l’Azione cattolica italiana salutò con varie manifestazioni e scritti i padri conciliari; in questa occasione giunsero a Roma anche numerosi gruppi di pellegrini da varie diocesi italiane.

    Paolo VI il 6 dicembre 1965 aveva già ricevuto l’episcopato italiano. Durante l’udienza spiegò quale spirito sarebbe stato necessario per attuare quanto aveva chiesto il Concilio, spiegando inoltre ciò che si sarebbe dovuto fare negli anni a venire. Qualche giorno prima il cardinale Urbani, aveva riassunto con parole assai positive l’apporto dell’episcopato italiano al Concilio. Carlo Colombo gli fece eco qualche anno più tardi dicendo, rispetto alla collaborazione dei vescovi e teologi italiani al Concilio: “Troppo facilmente si è scritto (…) che l’apporto italiano al Concilio è stato nullo o quasi. Ebbene, chi conosce come si è realmente svolto il lavoro conciliare sa che invece esso non è stato affatto scarso e insignificante: è stato almeno pari a quello degli Stati Uniti, che hanno un numero pressappoco uguale di cattolici praticanti, ed un complesso ben maggiore di mezzi e di uomini.” Dopo aver fatto qualche esempio di effettivo lavoro di vari padri conciliari italiani, Colombo concluse: “Non abbiamo quindi nessun complesso di colpa o di inferiorità per la partecipazione italiana al Concilio. E perdonino questa digressione, che mi sembrava non inutile, perché non si perpetuino come una leggenda giudizi storicamente superficiali e inesatti in mezzo ai nostri sacerdoti e ai nostri laici”. (Caprile, Primo periodo, 366.) Pur non essendo un Concilio ecumenico un evento nazionale, il fattore nazionale vi ha sempre giocato un ruolo importante, anche se minore da quando i regnanti cattolici non hanno più in esso una funzione attiva. In conseguenza non può essere sottovalutato il ruolo e l’apporto dell’Italia e degli italiani al Concilio Vaticano II.

    Fonti e Bibl. essenziale

    Fonti: Acta et Documenta Sacrosancto Concilio Oecumenico Apparando; Acta et documenta Concilio Oecumenico Vaticano II apparando; cura et studio Secretariae Pontificiae Commissionis Centralis Praeparatoriae Concilii Vaticani II, Vaticano 1960-1961; Acta Synodalia sacrosancti Concilii Oecumenici Vaticani II, Vaticano 1970-1999; Il Concilio Vaticano II. Cronache del Concilio Vaticano II edita da “La Civiltà Cattolica”, a cura di G. Caprile, 5 voll., Roma 1966-1969. Storie generali (libri): Storia del Concilio Vaticano II, diretta da Giuseppe Alberigo, a cura di A. Melloni, 5 voll., Bologna 1995-2001; G.F. Svidercoschi, Storia del Concilio, Milano 1967; R. de Mattei, Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, Torino 2010; J. O’ Malley, What happened at Vatican II, Cambridge, London 2008; R. Burigana, Storia del Concilio Vaticano II, Torino 2012; I. Ingrao, Il Concilio segreto, Milano 2013; P. Chenaux, Il Concilio Vaticano II, Roma 2012; F.S. Venuto, Il Concilio Vaticano II, Storia e recezione a cinquant’anni dall’apertura, Cantalupa (Torino) 2013; J. Ratzinger, Die erste Sitzungsperiode des Zweiten Vatikanischen Konzils. Ein Rückblick, Köln 1963; id., Das Konzil auf dem Weg. Rückblick auf die 2. Sitzungsperiode des 2. Vatikanischen Konzils, Köln 1963; id., Ereignisse und Probleme der dritten Konzilsperiode, Köln 1965; id., Die letzte Sitzungsperiode des Konzils, Köln 1966. Alcuni contributi più specifici (libri): G. Alberigo, Transizione epocale: studi sul Concilio Vaticano II, Bologna 2009; A. Marchetto, Il Concilio Ecumenico Vaticano II: contrappunto per la sua storia, Vaticano 2005; id., Il Concilio Ecumenico Vaticano II: per la sua corretta ermeneutica, Città del Vaticano 2012; I vescovi della Toscana e il Concilio Vaticano II, a cura di R. Burigana, Fiesole (FI) 2012; L. Ettore, Il PCI e il Concilio Vaticano II: dal partito dei cattolici al Cattolicesimo, Roma 2014; G. Colombo, Il Concilio Vaticano II: discorsi e scritti, a cura di Inos Biffi, Milano 2013; Giovanni XXIII e Paolo VI: i due Papi del Concilio, a cura di P. Chenaux, Città del Vaticano 2013; N. Bux, P. Gumpel, A. von Teuffenbach, Pio XII e il Concilio, Siena 2012; T. Cabizzosu, I vescovi sardi al Concilio Vaticano II: fonti, Cagliari 2013. Diari: G. Sale, Giovanni XXIII e la preparazione del Concilio Vaticano II nei diari inediti del direttore della “Civiltà Cattolica” padre Roberto Tucci, Milano 2012; U. Betti, Diario del Concilio, 11 ottobre 1962 – Natale 1978; A. von Teuffenbach, Konzilstagebuch Sebastian Tromp mit Erläuterungen und Akten aus der Arbeit der Theologischen Kommission, II. Vatikanisches Konzil, vol. I/1, I/2, Nordhausen 2006, vol. II/1, II/2, Nordhausen 2011; vol. III/1, III/2, Nordhausen 2014; vol. IV e V in preparazione. La documentazione bolognese per la storia del Concilio Vaticano II: inventario dei fondi G. Lercaro e G. Dossetti, a cura di Lorella Lazzaretti, Bologna 1995.


    LEMMARIO