Autore: Gianni Colzani
Il 17 marzo 1861, sulla base della legge n. 4671 del Regno di Sardegna approvata dalla Camera dei Deputati, il re Vittorio Emanuele II proclama ufficialmente la nascita del regno d’Italia assumendo il titolo di re per se stesso e per i suoi successori. Questo atto era la conclusione di un cammino di alcuni decenni nel quale si erano confrontate opinioni che pensavano l’unità tra stati profondamente diversi in termini di federalismo ed altre che puntavano sul Regno di Sardegna in termini obiettivamente espansionistici.
Di fatto la società italiana arrivava all’unità segnata profondamente sia dall’esperienza di governi rivoluzionari sia dalla problematica della restaurazione. Da una parte l’ideologia liberale aveva riconosciuto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini quali criteri ispirativi dell’organizzazione di uno stato laico ma, dall’altra, la restaurazione aveva riaffermato una forte centralizzazione del potere esecutivo cercando di porre anche limiti all’autonomia dell’ordine giudiziario. Il Codice napoleonico e, più in genere, la legislazione francese avevano largamente influenzato la legislazione di molti stati preunitari ed, in particolare, quella del Regno di Sardegna. Il primo Codice civile del Regno d’Italia, quello del 1865, ne resterà largamente segnato.
Su questo sfondo, sono di particolare interesse i rapporti tra lo Stato unitario e la Chiesa. L’unificazione dell’Italia conoscerà pure la progressiva estensione a tutte le regioni italiane delle Leggi Siccardi; approvate il 9 aprile 1850 per il regno sabaudo, queste leggi si ispiravano alla convinzione che la pienezza del potere statale e l’esercizio della giurisdizione civile e penale sulle persone e sulle cose appartengono alla sovranità dello Stato; di conseguenza regolavano unilateralmente i rapporti tra Chiesa e Stato delimitandone in modo autonomo diritti e funzioni nell’ambito sociale.
Una simile scelta aveva profonde ricadute su diversi aspetti che andavano dai privilegi del foro ecclesiastico all’ambito matrimoniale, dal riconoscimento giuridico delle congregazioni religiose alla liquidazione del loro patrimonio. I rapporti tra la Chiesa e lo Stato furono autonomamente decisi dallo Stato italiano con il Codice di diritto civile del 2 aprile 1865 e con la legge Ferraris sulla “soppressione di enti ecclesiastici e la liquidazione dell’asse ecclesiastico” del 15 agosto 1867. Dopo la breccia di Porta Pia del 1870 e l’insediamento del Governo italiano a Roma, vennero completati con la legge delle Guarentigie del 1871, respinta da Pio IX. I rapporti tra la Santa Sede e lo Stato italiano peggiorarono ulteriormente con l’enciclica Ubi nos (1871) nella quale il Pontefice ribadiva l’inseparabilità del potere spirituale del papa da quello temporale e, soprattutto, con il non expedit (1874-1919) che impediva la partecipazione dei cattolici alla vita politica.
La valutazione di questi dati non è semplice. Lo sfondo è rappresentato dal progressivo superamento dell’ancien régime, fondato su una alleanza tra il trono e l’altare; era una rivoluzione sociale e politica non innocua che puntava su una separazione tra Stato e Chiesa e che aveva avuto in Piemonte una realizzazione segnata da punte anticlericali. Il mondo cattolico, in larga parte non ostile all’unificazione del paese, guardava con preoccupazione le modalità con cui veniva di fatto realizzata cogliendovi sia un progetto globale ispirato da tesi giacobine e anticlericali sia una pretesa volta a condizionare la missione spirituale del papato rendendolo suddito di una nazione. Di per sé riguardanti l’intera cristianità, queste preoccupazioni pesarono in modo particolare sul mondo italiano. La prima, di stampo culturale e generale, troverà espressione nell’enciclica Quanta Cura e nel Syllabus seu Collectio errorum, entrambi editi l’8 dicembre 1864. La seconda, più nota come “questione romana”, riguardava la problematica delle condizioni specifiche circa la realizzazione della missione spirituale della Chiesa e del papato; per quanto importante per l’intera cristianità, sarà lasciata in carico al mondo italiano e troverà soluzione solo con il Concordato del 1929.
Collocare l’evangelizzazione dell’Italia in questo contesto significa collocarla nel quadro di una tensione tra conciliatoristi e intransigenti, di una “distanza” tra paese legale e paese reale dato il numero scarso di elettori, di un rapporto problematico tra Nord e Sud e di una diffidenza tra cittadini e istituzioni. Si può parlare di evangelizzazione dell’Italia perché, nonostante tutto, i cattolici continuarono a sentirsi italiani a tutti gli effetti e perché la presenza cattolica nel paese rimase profonda e attiva.
L’evangelizzazione come valorizzazione del mondo laicale e del clero parrocchiale. La soppressione di molti ordini religiosi, il decadimento delle confraternite, il bisogno di un nuovo rapporto con una società in profondo cambiamento generarono un raccogliersi del mondo cristiano sulla sua identità profonda, sul suo rapporto con la propria base; nasce così un movimento religioso e sociale che riscopre nei fatti una partecipazione reale alla storia di un popolo, nonostante una emarginazione ufficiale dall’impegno politico. Nasce così un movimento nazionale, popolare e socialmente attivo, espressivo di larga parte del paese anche se presente ovunque con la stessa incidenza. Nel 1874 nasce a Venezia l’Opera dei Congressi. L’insieme di questo periodo, pur nei limiti di un certo isolamento, va considerato un periodo globalmente positivo; chi voleva ridurre la Chiesa al puro ambito religioso si trova a dover fare i conti con il fatto che la fede – sale della vita cristiana – è inseparabile dalla vita familiare e sociale; esclusa da ruoli di potere, la Chiesa riscopre insospettate capacità missionarie.
Si inserisce qui una relativa valorizzazione del laicato; l’attenzione alla società civile come ambito dell’attività apostolica del laico rappresenta un dato di esperienza che contribuisca a formare un clima culturale impegnato a superare il tradizionale atteggiamento di spiegazione e difesa della struttura societaria e gerarchica della Chiesa, tipica dell’ancien régime; i teologi del collegio romano – G. Perrone, C. Passaglia e J.B. Franzelin – offrono una prima presentazione della Chiesa come societas fidelium o Corpo di Cristo che sarà però rifiutata al Vaticano I. Riferendosi a dibattiti teologici dei primi Congressi mondiali per l’apostolato dei laici – Roma ottobre 1951; Roma ottobre 1957 – con ragione A. Acerbi osserverà che «ciò che preme non è tanto di comprendere la posizione dei laici in rapporto alla chiesa e al mondo, ma di definire la loro situazione rispetto alla gerarchia, per salvaguardare la funzione di questa». A maggior ragione sono osservazioni pertinenti a questo punto della storia. Il nodo teoretico è dato dal ripensamento della storia della salvezza e del ruolo delle persone divine entro il quadro metafisico dell’incarnazione: la Chiesa viene vista come la realtà umana che sta di fronte a Cristo ed ai suoi poteri gerarchicamente partecipati.
In questo compito, la pastorale parrocchiale assume un ruolo centrale. Se già la riforma napoleonica aveva fatto della parrocchia il luogo centrale della cura pastorale e della vita religiosa, la soppressione di molti ordini religiosi, la chiusura di conventi e luoghi di culto completeranno questa spinta: la parrocchia diventa l’esclusivo luogo di culto e di formazione cristiana della popolazione. Anche là dove questo non avverrà che parzialmente, l’influenza del clero regolare rispetto a quello secolare verrà drasticamente diminuita. Questo disegno era favorito dalla diffusione capillare, urbana e contadina, di queste strutture: all’indomani dell’unità d’Italia, il numero delle parrocchie superava di poco le 20.500 unità, con marginali differenze tra i diversi autori. Non mancavano problemi a proposito della loro personalità giuridica, dei beni ad esse assegnati e della loro rappresentanza legale; soprattutto restava difficile ogni generalizzazione perché deve in ogni caso fare i conti con il ruolo centrale che i parroci rivestono nelle scelte pastorali e socio-assistenziali di questi istituti. Grossomodo si può comunque dire che i parroci, in quanto titolari di un supplemento di congrua in base ad una legge del 1866, assumevano la duplice veste di pastori d’anime e di funzionari pubblici; trova così conferma quel ruolo educativo di formazione morale, in parte affine alla problematica dell’evangelizzazione.
Strumenti fondamentali di questa evangelizzazione parrocchiale furono la predicazione e il catechismo. La predicazione è stata lo strumento principale per la comunicazione della fede; rivolta a tutti, ha rappresentato la prima elementare forma di conoscenza religiosa e di concreto orientamento morale. La religiosità popolare rappresentava una occasione per intensificare questa genere di comunicazione: tridui, novene, quaresime, quarantore alimentavano la pietà popolare arricchendola con apposite predicazioni. Di fatto non mancano nemmeno testi sulla predicazione ma, più che approfondirne il senso ed il valore, sono ricchi di consigli per invitare alla semplicità di linguaggio, alla concretezza delle attualizzazioni, alla personalizzazione del discorso tramite esempi o fatti, evitando un linguaggio sacralizzato e formulistico. Non mancano tuttavia risultati di grande rilievo comunicativo: basta pensare alle Istruzioni e ai Discorsi del Cafasso, alla predicazione di don Bosco ai suoi ragazzi o, più semplicemente, alle prediche di L. Marchelli recuperate nell’Archivio storico diocesano di Pavia.
Una attenzione particolare va poi riservata alle Missioni, una sorta di intensificazione della predicazione a cui si dedicano diversi ordini religiosi. Abbandonata un’oratoria ampollosa, si torna ad insistere sul fine della vita e la salvezza dell’anima, sui comandamenti e sul peccato, sui sacramenti e sulla rinnovazione dei voti battesimali, sulla morte e sui novissimi, sulla passione di Cristo e sulla Chiesa che ne continua l’opera. Alla predicazione classica si aggiungono conversazioni dialogate per studenti, operai, professionisti, si dà rilievo alle Associazioni e alle Confraternite del SS. Sacramento e alle Conferenze di S. Vincenzo de’ Paoli; si cerca cioè di adeguarsi alle condizioni reali tramite un impegno volto non solo a raggiungere i fedeli ma a recuperare un rapporto con i lontani ed a contrastare uno spirito laicista.
La seconda forma di evangelizzazione parrocchiale, oltre alla predicazione, è rappresentata dal catechismo. Va inteso sia come l’insieme delle verità di fede da trasmettere ai fedeli, sia come il momento di incontro tra il parroco ed i suoi fedeli sia ancora come il testo preparato per facilitare questa comunicazione. Il catechismo rappresenta un momento fondamentale della pastorale di evangelizzazione in quanto essenziale per la ricostituzione di quel quadro religioso-sociale, di ampio significato umano, che era stato travolto dai moti rivoluzionari. In un momento in cui la fede è sfidata da più parti nel nome della ragione, la catechesi accentua sia la dimensione apologetica sia la presentazione sistematica della fede insistendo sulla razionalità come criterio interno alla stessa fede. In pratica il catechismo è una sintesi di teologia.
Questo spiega la concreta comunicazione della fede di questo periodo: più che di evangelizzazione si deve parlare di catechismo; l’incontro del catechista con le persone, soprattutto ragazzi, è marcato dallo sforzo di far imparare a memoria le risposte del formulario, limitando la spiegazione al loro significato. In poche parole, per non essere inutile o pericolosa, la spiegazione deve essere chiara e, a questo scopo, utilizza un linguaggio tecnico calato in formule da imparare a memoria che salvaguardino la precisione dottrinale. Basta pensare al Catechismo di Pio X: sia al Catechismo maggiore (1905) sia al più noto Catechismo della dottrina cristiana (1912) che ne sono un chiaro esempio. Ne viene una catechesi che G. Bedouelle vedrà segnata da una “deriva razionalizzante” a cui si può anche aggiungere una “deriva moralizzante” per indicare lo spazio eccessivo dato ai comandamenti ed ai precetti della Chiesa. Poche persone sfuggono a questa logica; per lo sforzo di attenzione ai destinatari, si possono ricordare le figure di san Giovanni Bosco, di G.B. Sacalabrini e G. Bonomelli. Scalabrini in particolare è all’origine di un inizio di “movimento catechistico”: a lui dobbiamo la rivista Il catechista cattolico (1876), il manuale Il catechismo cattolico (1877) ed il primo Congresso catechistico nazionale. Tenuto a Piacenza (1889), vedrà una sorprendente serie di indicazioni che vanno dalla proposta di una catechismo storico, biblico e cristocentrico, alla trattazione della catechesi degli adulti, alla presa d’atto del cambio religioso e culturale allora in atto e alla richiesta di una migliore preparazione catechistica nei seminari.
Tra le due guerre: la centralità della pedagogia e dell’associazionismo. Il periodo tra le due guerre è un periodo segnato da notevoli cambiamenti: il modernismo con il suo ricorso alla ragione e alla storia per la ricerca della verità e per il suo successivo approfondimento; il dramma della prima guerra mondiale con il conseguente imporsi di una svolta: l’esistenzialismo in filosofia e la teologia dialettica come recupero della fede al di là della cultura; l’affermarsi del fascismo ed il confronto tra la Chiesa italiana ed un regime totalitario; la seconda guerra mondiale e l’imporsi di una visione mondiale non più eurocentrica.
Nonostante questo contesto, l’evangelizzazione sembra dominata dalla gestione della vita cristiana, in particolare dal come introdurre le giovani generazioni nella vita cristiana. Questo avveniva attraverso i riti della iniziazione cristiana che legavano sacramentalmente il dinamismo della Pasqua, della morte e risurrezione di Gesù, alla fede personale di chi lo accoglieva. Purtroppo l’organicità di questo processo si era ormai sciolta con l’introduzione del battesimo dei bambini, la separazione tra battesimo e cresima e la collocazione dell’Eucaristia all’età della ragione. Si era creato così un distacco tra le ragioni della prassi ecclesiale ed il cammino reale delle persone; l’iniziazione alla fede e alla preghiera, alla vita morale e alla pratica cristiana era affidata alle famiglie; in un secondo momento interveniva la parrocchia con un ruolo di verifica e di approfondimento. In genere lo faceva in occasione dei sacramenti che diventavano un momento di controllo del cammino cristiano dei ragazzi.
È facile pensare che i cambiamenti intervenuti nel quadro culturale e sociale dell’Italia post-unitaria abbiano inciso non poco sul modo di pensare, sui comportamenti e sugli stili di vita degli italiani. Si fa così strada il bisogno di una evangelizzazione sapiente in grado cioè di rendere ragione del valore cristiano, umano e sociale della fede. L’evangelizzazione assume al proprio interno la pedagogia, la sida educativa, condividendola con le famiglie. Ne viene un riassestamento della religiosità collettiva che, pur mantenendo i cardini della pastorale sacramentale tradizionale – battesimo, matrimonio, funerali – valorizza l’associazionismo come particolarmente adatto a completare la formazione ed a sostenere la vita cristiana In una linea catechistica e devozionale, particolare attenzione sarà riservata alle confraternita del SS. Sacramento, alle Conferenze di S. Vincenzo de’ Paoli ed all’associazionismo mariano.
Una menzione particolare va riconosciuta all’Associazione scout cattolici italiani (Asci) e all’Associazione guide italiane (Agi) che sorgono entrambe nel 1916, a pochi mesi di distanza l’uno dall’altra per opera del conte Mario Gabrielli di Carpegna; sciolti tra il 1927-1928 per lasciar spazio alle sole organizzazioni fasciste, rinasceranno nel 1946 dopo la liberazione. Tuttavia sarà soprattutto l’Azione Cattolica il movimento che, incarnando la pedagogia ecclesiale, svilupperà l’impegno apostolico dei laici. L’Azione Cattolica sorge dalle ceneri dell’Opera dei Congressi, sciolta da Pio X nel 1904 a causa di contrasti interni; nell’ambito dell’apostolato laicale si apriva così un vuoto che esigeva di essere colmato.Nel 1905 lo stesso Pio X indirizzava ai vescovi italiani l’enciclica Il fermo proposito con la quale istituiva l’Azione cattolica che, «poiché si propone di ristorare ogni cosa in Cristo, costituisce un vero apostolato ad onore e gloria di Cristo stesso».
I compiti che il Papa assegnava alla nuova istituzione erano soprattutto di difesa della fede: si trattava di «combattere con ogni mezzo giusto e legale la civiltà anticristiana; riparare per ogni modo i disordini gravissimi che da quella derivano; ricondurre Gesù Cristo nella famiglia, nella scuola, nella società; ristabilire il principio dell’autorità umana come rappresentante di quella di Dio» ma si trattava anche di «prendere sommamente a cuore gli interessi del popolo e particolarmente del ceto operaio ed agricolo, non solo istillando nel cuore di tutti il principio religioso, unico vero fonte di consolazione nelle angustie della vita, ma studiandosi di rasciugarne le lacrime, di raddolcirne le pene, di migliorare la condizione economica con ben condotti provvedimenti».
La metodologia indicata era quella che esprimeva la migliore pedagogia cattolica; per compiere il bene, «ci vuole la grazia divina, e questa non si dà all’apostolo che non sia unito a Cristo. Solo quando avremo formato Gesù Cristo in noi, potremo più facilmente ridonarlo alle famiglie, alla società». Altre associazioni si aggiungono ben presto: nel 1908 sorge l’«Unione fra le Donne Cattoliche Italiane» e poco dopo, nel 1909, ha origine l’«Unione Elettorale Cattolica Italiana»; nel 1918 infine, all’interno dell’Unione Donne, A. Barelli darà vita alla «Gioventù Femminile di Azione Cattolica». Nel 1923, gli statuti dell’Associazione, approvati da Pio XI, organizzeranno l’Azione Cattolica in quattro rami: la Federazione italiana uomini cattolici, la Unione femminile cattolica italiana, la Federazione universitaria cattolica italiana e la Società gioventù cattolica italiana.
Lo scontro tra l’Azione cattolica e la sua logica di formazione e di vita e le organizzazioni fasciste non poteva mancare. Nel 1928 il regime decreta lo scioglimento di tutte le associazioni per affermare il monopolio di quella fasciste; la reazione del Vaticano obbligherà il governo a tornare sui suoi passi; l’articolo 43 del Concordato del 1929 riconoscerà la legittimità delle organizzazioni di Azione Cattolica e precisava che devono svolgere «la loro attività al di fuori di ogni partito politico e sotto l’immediata dipendenza della gerarchia della Chiesa per la diffusione e l’attuazione dei principî cattolici».
In realtà lo scontro era solo rimandato: non poteva tardare. L’Azione Cattolica, con 5000 sedi sparse in tutta Italia, aveva una influenza formativa e svolgeva una serie di iniziative sociali, culturali e sportive oltre che religiose che il regime non poteva tollerare. Lo scontro avverrà nel 1931 quando, dopo una serie di provocazioni e di violenze, il 29 maggio uscirà il decreto di scioglimento dell’Azione Cattolica: tutti i circoli dell’Associazione saranno sequestrati dalla polizia. La risposta della Chiesa sarà l’enciclica Non abbiamo bisogno, datata 29 giugno; con questo documento Pio XI richiama la vera libertà di coscienza, non traducibile in una indipendenza della coscienza da Dio e in un rifiuto del diritto/dovere della Chiesa di attenersi agli insegnamenti di Cristo. Il pontefice bolla con chiarezza la pretesa «di monopolizzare interamente la gioventù, dalla primissima fanciullezza fino all’età adulta, a tutto ed esclusivo vantaggio di un partito, di un regime, sulla base di una ideologia che dichiaratamente si risolve in una vera e propria statolatria pagana non meno in pieno contrasto coi diritti naturali della famiglia che coi diritti soprannaturali della Chiesa». Da qui la conclusione che una concezione dello Stato «che gli fa appartenere le giovani generazioni interamente e senza eccezione dalla prima età fino all’età adulta, non è conciliabile per un cattolico colla dottrina cattolica»; non è accettabile «pretendere che la Chiesa, il Papa, devono limitarsi alle pratiche esterne di religione (Messa e Sacramenti), e che il resto della educazione appartiene totalmente allo Stato». Da qui la conclusione che il giuramento di fedeltà al duce non è lecito ai cattolici.
Negli ultimi anni del regime, la vita dell’Associazionismo cattolico sarà di conseguenza molto difficile; riuscirà comunque a mantenere una capacità formativa dei capi così che potrà rinascere nel dopoguerra. Le sue caratteristiche sono il legame con la Chiesa locale e il territorio: questo legame assume il valore teologico di una chiamata per testimoniare e diffondere la fede, una chiamata a portarne la responsabilità. L’essere movimento di laici, in un simile contesto teologico, rimanda ad una responsabilità per il bene della vita di tutti, in un crescendo di umanità, declinando in concreto la dimensione religiosa di quanto è profondamente umano; l’essere poi un movimento ecclesiale implica saper offrire la proposta della Chiesa stessa come proposta in grado di maturare il cammino di ciascuno valorizzandone doti e capacità. In questo modo, la dimensione educativa della Associazione si sviluppa verso una pienezza, umana e cristiana, religiosa e culturale, evangelicamente testimoniante e socialmente significativa.
Il dopo-concilio: la riscoperta del vangelo e della dimensione missionaria. Nel dopoguerra, fino al Vaticano II, dominò a lungo la convinzione che l’Italia fosse obiettivamente cattolico: la sua storia, la presenza del papato ed il legame della Chiesa con la società civile confermavano questa convinzione. Un simile giudizio non teneva conto delle trasformazioni che andavano modificando la società: le comunicazioni di massa, la facilitazione della mobilità interna ed estera, il boom economico con il diffondersi del consumismo, le modificazioni degli stili di vita comportavano nuove sfide per le stesse istituzioni tradizionali. Una certa insoddisfazione verso il modello di ecclesiologia e di pastorale e verso la compromissione politica della Chiesa si ritrova in alcune figure sacerdotali come G. Facibeni, P. Mazzolari, G. Calabria, L. Milani, D. Turoldo ed in alcune riviste come Il Gallo di Genova, Testimonianze di Firenze e Questitalia di Venezia. Un ruolo particolare andrebbe riconosciuto alla missione cittadina di Milano (1957) voluta dal Card. Montini: in un mondo sempre meno sensibile al religioso, si proponeva di raggiungere credenti impigriti e laici pensosi ma dovette riconoscere la distanza del mondo moderno dai tradizionali mezzi di pastorale.
Queste esperienze restano il segno che il bisogno di un rinnovamento, pur tacitato, era in qualche modo presente e attivo ma non trovava sbocco. Mancava in ogni caso una risposta unitaria, ad opera dell’intera chiesa italiana. Mancava perché, nonostante l’unità d’Italia fosse una realtà da ormai ottant’anni, le Chiese italianenon avevano un progetto comune ma si muovevano in modo indipendente. È vero che la Conferenza Episcopale Italiana era sorta nel 1952 con la riunione dei Presidenti delle Conferenze episcopali regionali tenuta a Firenze dall’8 al 10 gennaio ma, in realtà, l’affermazione della CEI come soggetto pastorale a carattere nazionale si realizzerà solo molto lentamente. Inizialmente limitata all’aspetto organizzativo e di coordinamento pratico, la CEI apparirà il luogo di elaborazione e di promozione di una diversa pastoralità solo con gli anni ’70; la sua fisionomia assumerà forma compiuta con l’introduzione della lingua italiana nella liturgia (07.03.1965), con la pubblicazione del documento-baseIl rinnovamento della catechesi (02.02.1970) e con l’istituzione della Caritas (02.07.1971). L’insieme di questi provvedimenti ed il loro completamento con la pubblicazione dei libri liturgici e dei diversi catechismi per le rispettive fasce di età imposterà su nuove basi il cammino di evangelizzazione che la Chiesa è chiamata a svolgere in Italia.
Se questi sono gli strumenti, i contenuti dati dai diversi piani pastorali elaborati dalla CEI: Evangelizzazione e Sacramenti (1973), Comunione e Comunità (1981), Evangelizzazione e testimonianza della carità (1990), Comunicare il vangelo in un mondo che cambia (2001) edEducare alla vita buona del vangelo (2010).A questi vanno aggiunti i grandi Convegni ecclesiali tenuti nel 1976 a Roma su Evangelizzazione e promozione umana, nel 1986 a Loreto su Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini, nel 1995 a Palermo su Il vangelo della carità per una nuova società in Italia e nel 2006 a Verona su Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo. L’insieme di questi dati è prezioso. In termini storici, si deve riconoscere che sarà il Concilio a riversare nella Chiesa italiana le tensioni maturate nella società; in termini pastorali si può dire che la Chiesa italiana, giunta impreparata al Concilio, si darà un volto più preciso – ecclesialmente e pastoralmente – proprio con queste riforme. Con esse identificherà il senso del suo impegno in questo tempo ed a fronte alle sue sfide.
L’insieme di questi cambiamenti portò ad una riscoperta della dimensione comunitaria e misterica della vita cristiana e creò un approccio meno dottrinale e più esperienziale alla vita di fede favorendo notevoli cambiamenti nella vita spirituale e nelle abitudini religiose dei credenti. L’istituzione dei Consigli presbiteriali e pastorali ed il rinnovamento liturgico e catechistico provocarono un coinvolgimento diretto nella vita della Chiesa ed una sua comprensione come popolo di Dio. Si arriva così ad una riscoperta del vangelo e dell’evangelizzazione.Insieme ai molti valori positivi, questi sviluppi porteranno ad un ripensamento del tessuto associativo e dei percorsi di introduzione alla vita cristiana: nascono nuovi stili incompatibili con le vecchie formule.Verso la fine degli anni ’60, nascono “gruppi spontanei” e “comunità di base” in cerca di formule diverse di vita cristiana e di nuove esperienze comunitarie inserite o alternative alla vita parrocchiale: ripensando il tradizionale modello di sacerdote, provavano a ridefinire il rapporto tra sacralità e laicità e, di conseguenza, il senso ultimo della missione della Chiesa.
Simili cammini si traducono anche in vere e proprie forme di dissenso e contestazione, in «comunità di base» distinte dalla Chiesa: basta pensare all’Isolotto di Firenze con don E. Mazzi, alla comunità della Risurrezione di Rovezzano con don L. Rosadoni, sempre a Firenze, alla comunità di Oregina di Genova raccolta attorno a fra’ A. Zerbinati, alla comunità del Vandalino di Torino con don V. Merinas ed a quella di S. Paolo a Roma con dom G. Franzoni.Non manca nemmeno una componente contestativa parallela a quella della società civile, particolarmente evidente nell’occupazione dell’Università Cattolica (1967) e della Statale (1968) sempre a Milano, in quella del duomo di Parma (1968) e nel “controquaresimale” del duomo di Trento (1968).Il senso di questo nesso tra dissenso ecclesiale e contestazione sociale sta nell’obiettivo: entrambi contestano la dimensione istituzionale, la struttura giuridica e l’organizzazione gerarchica della Chiesa o della società; il potere dell’istituzione era pensato come antitetico alla libertà personale e alla spontaneità della vita individuale.
Nemmeno l’associazionismo cattolico sarà immune da questo travaglio. Nel congresso di Verona del 1969, la FUCI si schiera contro ogni “integralismo”, chiede la fine del regime concordatario ed il riconoscimento del pluralismo in politica; sempre nel 1969, al Congresso di Torino, le ACLI rivendicano la legittimità di una scelta cristiana di sinistra e fanno la “scelta socialista”; la stessa Azione cattolica, sotto la presidenza di V. Bachelet, maturerà un profondo rinnovamento e lo realizzerà attorno alla “scelta religiosa” da intendere come primato del vangelo e come fine di forma di supplenza non radicata nel vangelo. Gli Statuti, approvati nel 1969, confermeranno questa conclusione ma non fermeranno una pesante diminuzione numerica dell’associazione. Resta da annotare, verso la fine degli anni ’70, una progressiva marginalizzazione del dissenso che non impedirà l’imporsi di nuove, diversificate forme di ripensamento della fede e delle sue strategie nei confronti di un mondo secolarizzato. È l’imporsi di quel movimentismo che troverà espressione in Comunione e Liberazione, nel Movimento dei Focolari o Opera di Maria, nel Rinnovamento nello Spirito, nel Cammino neocatecumenale, nella Comunità di Sant’Egidio e in altre ancora. Il senso di questo movimentismo sarà espresso in modo emblematico nel confronto tra Azione Cattolica e Comunione e Liberazione, tra “cultura della mediazione” e “cultura della presenza”: si tratta di due modi di intendere la missione della Chiesa, di due modi di intendere il senso della vita cristiana, di due modi che separano forme consolidate di vita cristiana e nuovi movimenti.
Assieme a questi gruppi bene organizzati, ve ne sono altri molto più piccoli; si può dire che la fine della stagione della contestazione segna l’inizio di una riscoperta del vangelo e del primato dell’evangelizzazione. Presente in tutta la Chiesa, questa sensibilità affiora in una miriade di esperienze che fanno del vangelo il fondamento di una comunione fraterna e la base del loro impegno missionario. Solo a titolo di esempio, ricordo la Fraternità di S. Maria delle Grazie di Rossano Calabro, la Fraternità di S. Carlo nella Maremma toscana, la Fraternità missionaria di Piombino, la Comunità di Villapizzone presso Milano, la Comunità dell’Emmanuele, i Piccoli Fratelli del vangelo di Spelloe tante altre ancora. L’incontro con Cristo e con la Parola è per questi gruppi il fondamento di una svolta decisiva nel comprendere e nel vivere la vita. Il vangelo va vissuto fino in fondo direttamente. Penso si possano richiamare qui le parole di Evangelii Nuntiandi 46: «accanto alla proclamazione fatta in forma generale del vangelo, l’altra forma della sua trasmissione, da persona a persona, resta valida e importante. […]Non dovrebbe accadere che l’urgenza di annunziare la buona novella a masse di uomini facesse dimenticare questa forma di annuncio mediante la quale la coscienza personale di un uomo è raggiunta, toccata da una parola del tutto straordinaria che egli riceve da un altro».
In questo contesto nasce la nuova evangelizzazione, “nuova nel suo ardore, nuova nei suoi metodi, nuova nelle sue espressioni”. I gruppi che vi si ispirano sviluppano in genere l’annuncio e il suo valore di speranza per i poveri e per gli emarginati più che il suo contenuto; l’innegabile importanza di queste esperienze è ben espressa da una battuta di don Mazzolari che, in tempi diversi, metteva in guardia dal rischio «di morire di prudenza in un mondo che non può attendere». Tuttavia questa riscoperta della forza dell’annuncio kerygmatico, proprio perché non di rado intercetta in modo vivace la dimensione emozionale della persona, ha bisogno di essere integrata in un quadro di insieme capace di promuovere un’attenzione globale per la confessione della fede, la sua celebrazione e la sua testimonianza. Solo questo insieme introdurrà il cammino della Chiesa italiana ad una comprensione evangelica ed evangelizzante della sua fede.
Fonti e Bibl. essenziale
Il tema dei rapporti tra Chiesa e società/stato è al centro di molti studi ma non sono molti quelli che riguardano l’evangelizzazione. Qui ricordo: Cristiani d’Italia: Chiese, società, stato. 1861-2011, 3 voll., direzione scientifica di A. Melloni, Istituto dell’Enciclopedia italiana, Roma 2011; G. De Rosa – T. Gregory – A. Vauchez (eds.), Storia dell’Italia religiosa. III: L’età contemporanea, Laterza, Roma – Bari 1995; F. Traniello – G. Campanini (eds.), Dizionario storico del movimento cattolico in Italia. 1860-1980. I: I fatti e le idee. II: I protagonisti. III/1: Le figure rappresentative A-L; III/2: Le figure rappresentative M-Z; IV: Aggiornamento 1980-1995, Marietti, Torino 1981-1997; E. Guerriero (ed.), La Chiesa in Italia. Dall’Unità ai nostri giorni, San Paolo, Cinisello Balsamo 1996; G. Verucci, La Chiesa cattolica in Italia dall’Unità ad oggi. 1861-1998, Laterza, Roma – Bari 1999; N. Raponi, Cattolicesimo liberale e modernità. Figure e aspetti di storia della cultura dal Risorgimento all’età giolittiana, Morcelliana, Brescia 2002; L. Pazzaglia (a cura di), Chiesa e prospettive educative in Italia tra Restaurazione e Unificazione, Editrice La Scuola, Brescia 1994. M. Guasco, Storia del clero in Italia dall’Ottocento a oggi, Laterza, Bari 1997. Per un ulteriore approfondimento rimando ai seguenti lavori: M. Lupi, Clero italiano e cura pastorale in età contemporanea. Fonti e dibattito storiografico, «Rivista di storia della Chiesa in Italia»,60 (2006/1), 69-89; G. De Rosa – A. Cestaro (eds.), La parrocchia in Italia nell’età contemporanea, Atti del II Incontro seminariale (Maratea 24-25settembre 1979), Dehoniane, Napoli 1982; G. Biancardi, Per una storia del catechismo in epoca moderna. Temi e indicazioni bibliografiche, «Cheiron. Materiali e strumenti di aggiornamento storiografico»14 (1997), 163-233; L. Caimi, Cattolici per l’educazione. Studi su oratori e associazioni giovanili nell’Italia unita, La Scuola, Brescia 2006; L. Pazzaglia (ed.), Chiesa, cultura e educazione in Italia tra le due guerre, La Scuola, Brescia 2003; E. Franchini, Il rinnovamento della pastorale. Guida alla lettura della pastorale CEI (1970-1990), Dehoniane, Bologna 1986; G. Martina, La Chiesa italiana negli ultimi trent’anni, Studium, Roma 1977; M. Guasco, Chiesa e cattolicesimo in Italia. 1945-2000, Dehoniane, Bologna 2001; M. Rosa (ed.), Clero e società nell’Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari 1992.
LEMMARIO