Ordini monastici – vol. II

    image_pdfimage_print
    Autore: Mariano Dell’Omo

    Le soppressioni nel nuovo Stato italiano. Il 17 marzo 1861 Vittorio Emanuele II è proclamato dal nuovo parlamento nazionale re d’Italia. Già tra il 1860 e il 1861 erano stati promulgati nelle diverse regioni e province annesse – esclusa la Sicilia – vari decreti di soppressione. Ma si trattava ancora di una legislazione occasionale, disorganica e lacunosa, che si traduceva in profonde discriminazioni tra regione e regione, Ordine e Ordine, frutto di indecisioni e di ripensamenti da parte dello stesso legislatore. Per porvi rimedio una rielaborazione generale della materia venne compiuta mediante la legge del 7 luglio 1866, poi estesa al territorio di Roma con quella del 19 giugno 1873. In particolare l’art. 33 della legge soppressiva del ‘66 segnava espressamente il destino di importanti monasteri della Congregazione benedettina cassinese, adottando un dispositivo di salvaguardia dell’incalcolabile patrimonio spirituale e culturale che essi racchiudevano da secoli e che si identificava con quello della stessa nazione italiana: Montecassino, la SS. Trinità di Cava, S. Martino delle Scale a Palermo, Monreale, oltre che la Certosa di Pavia, prevedendo l’incameramento nei beni demaniali dello Stato ma preservandone l’unità e la cura nel tempo a carico dello Stato: «Sarà provveduto dal governo alla conservazione degli edifizi colle loro adiacenze, biblioteche, archivi, oggetti di arte, strumenti scientifici e simili…», come pure – si aggiunge – «di altri simili stabilimenti ecclesiastici distinti per la monumentale importanza e pel complesso dei tesori artistici e letterari. La spesa relativa sarà a carico del fondo pel culto».

    Una nuova Congregazione benedettina: cassinese della Primitiva Osservanza poi sublacense. Dopo la conquista di Roma da parte delle truppe piemontesi il 20 settembre 1870, l’abate Pietro Casaretto che aveva dato vita ad una provincia sublacense della congregazione benedettina cassinese, temendo il crollo di tutta la sua opera, riuscì ad ottenere, in anticipo di alcuni anni, il 9 marzo 1872, l’erezione ‒ come indipendente ‒, della nuova congregazione cassinese della Primitiva Osservanza poi sublacense, sotto il governo di un abate generale residente nel monastero di S. Scolastica di Subiaco. L’intento del fondatore era quello di rinnovare, superando le costituzioni del 1680, la disciplina del monastero di S. Giustina iniziata da Ludovico Barbo nel 1408, attraverso un’esistenza trascorsa abitualmente all’interno del monastero in un’atmosfera di silenzio e di raccoglimento, in un regime di penitenza, nella preghiera assidua, quella liturgica in primo luogo, nello studio. Dal punto di vista istituzionale la novità era costituita dal potenziamento della figura dell’abate generale, che pur coadiuvato da 4 assistenti (consultori) scelti da ciascuna delle province (italiana, anglo-belga, francese, spagnola), aveva un potere monarchico ben più accentrato rispetto al debole e discontinuo potere di tipo oligarchico che il Casaretto aveva riscontrato nella congregazione cassinese. Innovativa era altresì l’interpretazione della stabilitas loci, dal momento che il monaco non emetteva la professione per la famiglia monastica – come volevano la Regola e la tradizione – ma per la singola provincia, talché egli poteva essere destinato all’una o all’altra casa nell’ambito della rispettiva provincia. Circa poi il governo dei singoli monasteri, essi erano retti normalmente da priori e solo in via eccezionale da abati; inoltre mentre questi ultimi erano nominati dal capitolo generale, la scelta dei priori era invece di competenza dei capitoli provinciali; infine gli uni e gli altri restavano in carica per un triennio. In seguito alle opposizioni che tali novità incontrarono, dopo la morte del Casaretto (1° luglio 1878) un nuovo capitolo generale riunito a Roma nel 1880 modificò decisamente le costituzioni, introducendo cambiamenti suggeriti da un maggior rispetto verso le antiche tradizioni monastiche; in particolare circa la stabilità si dispone ora che il monaco emette la professione solenne per un singolo monastero cui resta legato dal voto di stabilità, anche se è possibile il trasferimento ad altra casa da parte del capitolo provinciale o del visitatore, oppure ad altra provincia dall’abate generale. Per quanto concerne l’osservanza regolare, due punti, che sin dall’inizio erano stati considerati fondamentali e tipici della congregazione, sostanzialmente rimasero invariati, sebbene con l’aggiunta di alcune clausole che aprivano la via a mutamenti futuri: la recita del mattutino alle ore due dopo mezzanotte; l’astinenza perpetua dalle carni, sebbene meno severamente praticata – si tollerava d’ora in poi l’uso di mangiare la carne la domenica, il martedì e il giovedì. Si tratta di soluzioni che pongono tra l’altro un interrogativo più generale sull’esistenza o meno di una spiritualità o anche solo di un sistema ascetico specifico della congregazione della Primitiva Osservanza. In realtà la spiritualità del Casaretto non si discosta, pur nella sua personale connotazione, da quella dei buoni religiosi della sua epoca; per lui infatti la vita monastica ha un accentuato carattere penitenziale, dal quale deriva tra lʼaltro la recita del mattutino nelle ore notturne; la penitenza interiore trova invece il suo centro nell’obbedienza ai superiori “sempre ciecamente”, anche nelle cose minime, “come fa un bambino”. Ciò doveva risultare particolarmente vero per i monaci missionari che emettevano un quarto voto, in base al quale potevano essere inviati dal superiore su richiesta della Congregazione de Propaganda Fide in qualsiasi parte del mondo, adattandosi anche a rinunciare alla famiglia monastica, alla vita comune e all’osservanza se necessario. La perfetta vita comune, specialmente nell’uso del denaro, rappresenta uno dei capisaldi del rinnovamento compiuto, anche se sotto il profilo sostanziale la riforma del Casaretto non aggiunge nulla di più a quanto era già stabilito nelle declarationes cassinesi alla Regola del 1680 circa il peculio privato: in base ad esse infatti, se era possibile disporre di una certa somma di denaro, ciò d’altra parte non poteva avvenire senza licenza del superiore. È piuttosto la sottolineatura formale che rivela nel Casaretto la preoccupazione di ancorare l’esperienza monastica al rispetto della “vita comune”, se solo si pensi che nel 1846 i suoi monaci emisero per la prima volta il giuramento di perfetta vita comune secondo il cap. xxxiii della Regola (“Se i monaci debbano avere qualcosa di proprio”). Mezzo di perfezione monastica è considerata, com’è naturale, la liturgia, mentre alla lectio divina si sostituisce la lettura dell’Imitazione di Cristo. Testimonianza della forza d’attrazione che esercitava sul finire del secolo XIX la nuova congregazione cassinese della Primitiva Osservanza, è l’unione ad essa dell’antica congregazione verginiana il 1° febbraio 1879.

    Il contributo del monachesimo italiano alla nuova Confederazione dell’Ordine di S. Benedetto. Intanto nel maggio dell’anno seguente (1880), XIV centenario della nascita di s. Benedetto, nel corso delle celebrazioni tenutesi a Montecassino maturava il progetto di unione federativa delle congregazioni benedettine, nella prospettiva che a Roma fosse istituita una casa di studi a vantaggio di tutti i monasteri. Leone XIII proprio in vista di una possibile unione aveva restaurato il collegio S. Anselmo, nato nel 1687 presso l’abbazia di S. Paolo fuori le mura per i soli monaci della congregazione cassinese, e non più attivo dopo il 1810. Ora il nuovo presidente della congregazione cassinese, l’abate Michele Morcaldi della SS. Trinità di Cava (Salerno), con una circolare del 4 dicembre 1885 avviava un piano di riforma e di restaurazione della congregazione, privilegiando oltre al tema dell’osservanza, quello degli studi e perciò del collegio anselmiano, che quell’abate intendeva riaprire in vista della stessa rinascita della congregazione da lui presieduta. Il voto approvato in tal senso dal capitolo straordinario dei Cassinesi tenuto a S. Callisto in Roma fu suggellato dal breve di Leone XIII Quae diligenter del 4 gennaio 1887, indirizzato all’arcivescovo di Catania e monaco cassinese, il b. Giuseppe Benedetto Dusmet, di lì a poco creato cardinale nel concistoro dell’11 febbraio 1889. Il papa che puntava a raccogliere in una più solida unità le sparse forze dei Benedettini neri, voleva ormai che il nuovo collegio anselmiano in via di restaurazione fosse aperto a membri di tutte le congregazioni monastiche, divenendo così lo strumento di una più stretta e fraterna unione fra i monaci di s. Benedetto. Individuato il terreno disponibile sull’Aventino e dalla S. Sede acquistato nel 1890, finalmente il 18 aprile 1893 avveniva la posa della prima pietra alla presenza del cardinale Dusmet. Leone XIII poco dopo col breve Summum semper del 12 luglio 1893 istituiva la Confederazione benedettina, cioè l’unione fraterna delle congregazioni monastiche di monaci neri viventi sub Regula Benedicti, fatta salva l’autonomia di ciascuna. Essa è presieduta dall’abate primate, residente a Roma in S. Anselmo per gli affari che riguardano il bene dell’Ordine intero, senza tuttavia pregiudicare diritti e privilegi dei singoli abati o dei loro monasteri. Nel momento in cui nasceva la Confederazione 13 erano le congregazioni benedettine che ne facevano parte, tra cui la cassinese e la sublacense. Non aderivano ancora alcune congregazioni monastiche di origine italiana, che solo più tardi vi sarebbero entrate: quella di Monte Oliveto confederata dal 1960, di Vallombrosa e Camaldoli dal 1966, quella silvestrina dal 1973.

    Verso il Concilio Vaticano II. Come nella nascita della Confederazione benedettina così in particolare nel fervore del movimento liturgico il monachesimo benedettino italiano ha saputo offrire un valido contributo in preparazione alla stagione del Concilio Vaticano II. Al di là di contributi occasionali o settoriali, a partire dal primo ‘900 furono compiuti tentativi per saldare spiritualità e cultura, passato e presente, riflessioni pastorali e ricerche nel campo dell’erudizione. Il caso più noto è indubbiamente quello del Liber sacramentorum dell’abate di S. Paolo fuori le mura, il b. Ildefonso Schuster (1880-1954), commento generale al Messale romano, tradotto in varie lingue. Ancora in Italia la ripresa del primo dopoguerra fu contraddistinta da nuove iniziative, come congressi e settimane sociali, mentre nel 1920 usciva il volume La pietà liturgica dell’abate di S. Giovanni Evangelista di Parma Emanuele Caronti (1882-1966), monaco di Praglia, dal 1914 alla guida della “Rivista Liturgica”, nata per iniziativa dell’abate Bonifacio Bolognani (1869-1931) di Finalpia e con il sostegno dell’abate Placido Nicolini (1877-1973) di Praglia. In Italia, dopo le inevitabili interruzioni del periodo bellico, vi era anche nel campo liturgico un forte desiderio di rinascita, che si riflette in modo peculiare nella fondazione del CAL (Centro di azione liturgica) lʼottobre del 1947 nell’abbazia di S. Giovanni di Parma, mentre nel contempo assumevano una periodicità annuale le Settimane liturgiche nazionali. Tra i monaci italiani che più furono impegnati in prima persona nella stagione pre e post-conciliare vanno ricordati, per il loro impegno intellettuale e spirituale volto a diffondere la cultura della scienza e della sapienza liturgica, Anselmo Lentini (1901-1989), Cipriano Vagaggini (1909-1999), Salvatore Marsili (1910-1983), Pelagio Visentin (1917-1997), e Mariano Magrassi (1930-2004).

    Il monachesimo femminile di Regola benedettina. Nell’ambito del monachesimo benedettino femminile in Italia tra ‘800 e ‘900 la grande novità è costituita dall’impiantazione delle Benedettine dell’Adorazione Perpetua, fondate nel 1653 a Parigi da Caterina de Bar (Suor Metilde del SS. Sacramento). Suor Maria Teresa dell’Incarnazione (Lamar) desiderando fare una nuova fondazione lasciava infatti la casa di Parigi nel 1878 e finalmente giunta prima a Milano con due novizie, si trasferiva poi in provincia, a Seregno nel 1880, ottenendo dall’arcivescovo Luigi Nazari di Calabiana l’autorizzazione ad aprire una comunità e ad accettare novizie per condurre vita monastica secondo la Regola di s. Benedetto, dedicandosi alla preghiera e all’adorazione e riparazione eucaristica secondo le Costituzioni metildiane. Al 1892 risale ufficialmente la nascita di un’altra comunità a Milano. Nel 1906 da Seregno la comunità si trasferì definitivamente a Ronco di Ghiffa sul Lago Maggiore (Verbania) fiorendo grazie alla priora Caterina Lavizzari (1867-1931), ed espandendosi anche altrove con l’aggregazione di altri monasteri (“Gruppo di Ghiffa”). Nel frattempo la comunità di Milano separatasi da Seregno, dopo essere stata incorporata a quella francese di Arras, veniva dichiarata autonoma nel 1913, e nel suo successivo sviluppo andava aggregando anch’essa altre comunità viventi secondo il carisma benedettino-metildiano. Si giunse così nel 1956 alla formazione di due Federazioni italiane di Benedettine dell’Adorazione Perpetua, quella del “Gruppo di Ghiffa” e quella del “Gruppo di Milano”, poi nel 1998 soppresse per dar luogo all’erezione di un’unica Federazione italiana dei monasteri delle monache benedettine dell’Adorazione perpetua del Santissimo Sacramento. Per quanto riguarda l’attualità dei monasteri femminili di Regola benedettina in Italia, oltre a quella dell’Adorazione perpetua, si contano le federazioni dell’Italia Settentrionale, Toscana, Umbria-Marche, del Piceno-Marche inferiori, e Centro-Meridionale, cui si aggiunge quella delle Benedettine Celestine. Tra le congregazioni si annoverano: le Oblate di S. Francesca Romana del monastero di Tor de’ Specchi, le Suore Benedettine di Carità, quelle di S. Geltrude, di Maria SS.ma di Montevergine, di Priscilla, le Suore Oblate Benedettine di S. Scolastica, le monache della congregazione di Vallombrosa (per un totale di 147 case, inclusi i monasteri indipendenti né federati né congregati, e altri appartenenti a congregazioni non specificamente italiane, come quelli delle Olivetane e Camaldolesi). La federazione delle monache cistercensi in Italia comprende 11 monasteri. Le monache trappiste sono presenti in due sole comunità: Vitorchiano (Viterbo) e Valserena (Pisa).

    I Cistercensi. Circa l’altra grande famiglia monastica cenobitica, quella cistercense, si può sottolineare come dopo la crisi causata dalle soppressioni nella seconda metà dell’800, il fatto più rilevante per la storia cistercense in Italia riguarda Casamari. L’abbazia nel 1717, per interessamento del cardinale commendatario Annibale Albani aveva accolto una colonia di monaci della Stretta Osservanza (Trappisti) provenienti da Buonsollazzo a pochi km da Firenze, iniziando così un’esperienza di vita trappista, che continuò, pur fra molte mitigazioni, fino al 1929, allorché Casamari, che non aveva aderito all’unione dei Trappisti avvenuta nel 1892, fu eretta a congregazione autonoma dell’Ordine cistercense.

    L’attualità. Le congregazioni monastiche maschili oggi presenti in Italia sono le seguenti: a) benedettine: congregazioni cassinese, sublacense (provincia italiana), camaldolese, vallombrosana, silvestrina, olivetana; b) cistercensi: congregazione di S. Croce o di S. Bernardo in Italia, e di Casamari. Infine possono qui menzionarsi due realtà monastiche che testimoniano un nuovo monachesimo. La prima è la Comunità del monastero di Bose (Magnano, Biella), fondata da Enzo Bianchi (1943-) che vi si trasferì da Torino ufficialmente nel 1965, caratterizzata sin dall’inizio dal suo chiaro impegno ecumenico. L’altra è la Piccola Famiglia dell’Annunziata di Giuseppe Dossetti (1913-1996), basata su valori monastici perenni, come silenzio, preghiera, lavoro, povertà.

    Fonti e Bibl. essenziale

    G. Penco, Storia del monachesimo in Italia nell’epoca moderna, Paoline, Roma 1968; F.G.B. Trolese (ed.), Il monachesimo in Italia tra Vaticano I e Vaticano II. Atti del III convegno di studi storici sull’Italia benedettina, Badia di Cava dei Tirreni (Salerno), 3-5 settembre 1992 (Italia Benedettina 15), Centro Storico Benedettino Italiano, Cesena 1995, 25-41; M. Torcivia, Guida alle nuove comunità monastiche italiane, Piemme, Casale Monferrato 2001; M. Carpinello, Il monachesimo femminile, Mondadori, Milano 2002; G. Lunardi, La congregazione sublacense O.S.B., I. L’abate Casaretto e gli inizi (1810-1878), La Scala, Noci 2003; G. Lunardi, La congregazione sublacense O.S.B. II. 1878-1972, La Scala, Noci 2005; M. Dell’Omo, Storia del monachesimo occidentale dal medioevo all’età contemporanea. Il carisma di san Benedetto tra VI e XX secolo (Complementi alla Storia della Chiesa diretta da Hubert Jedin), Jaca Book, Milano 2011; R. Fornaciari, “Di fronte alle prime esortazioni della Chiesa a rinnovarci”. L’evoluzione istituzionale del monachesimo italiano dall’Unità ai nostri giorni, in Cristiani d’Italia. Chiese, società, Stato, 1861-2011, direzione scientifica A. Melloni, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 2011, 911-928.


    LEMMARIO