Autore: Sergio Apruzzese
Inteso come comunicazione sociale di attualità e prodotto tipografico, il giornale vede i cattolici fra i massimi fautori della sua diffusione come strumento di modernizzazione culturale a partire da un ambiente assai limitato di lettori fino a diventare (soprattutto nel Novecento) mezzo ineludibile di influenza sociale e politica.
La prima iniziativa degna di rilievo sul piano storico risale al 28 gennaio 1668 quando l’abate bergamasco Francesco Nazari (1634-1714) responsabile della cattedra di filosofia presso l’Università della Sapienza in Roma, fonda e dirige Il Giornale de’ Letterati (conclusosi nel 1683), mensile giudicato il capostipite dei periodici dotti ed enciclopedici italiani e modello per omonime iniziative sorte nei decenni successivi nella Penisola, come fu il caso del parmense Giornale dei Letterati (1686-1690) dell’abate cassinese Benedetto Bacchini (1651-1721) e del carmelitano e bibliotecario ducale Gaudenzio Berti.
Ad inizio Settecento (dal 1701 al 1704) è don Giovanni Pellegrino Dandi (1664-?) a dar vita a Forlì al Gran Giornale dei Letterati suddiviso sostanzialmente in due parti: la prima dedicata a recensioni e notizie su libri vari; la seconda reca le notizie proprie delle Gazzette. Promotori di fogli di cultura per dotti, i cattolici si rivelano anche modelli essi stessi di professionalità giornalistica. Così spicca la figura del monaco camaldolese Angelo Calogierà (1699-1768): nato nel 1699 a Padova da famiglia originaria di Corfù a soli ventisei anni diventa il redattore più attivo del periodico veneziano Gran Giornale d’Europa. Ma non appena tale rivista muore, il giovane monaco comincia una intensa attività di fondazione e di direzioni di periodici a partire dalla Storia letteraria d’Europa, del quale escono sette fascicoli e che termina nel 1727. Ancora nel 1762 fonda con il benedettino Jacopo Rebellini La Minerva o sia Nuovo Giornale de’ Letterati d’Italia, mensile colto di orientamento conservatore, terminato nel 1767.
Nel 1766 sarà la volta a Pesaro della Biblioteca antica e moderna di storia letteraria ossia Giornale critico, ed istruttivo de’ libri…, guidato dal gesuita Anton Benedetto Zaccaria. Sempre di orientamento letterario è il Giornale ecclesiastico edito a Palermo nel 1772 con il fine della formazione tradizionale del giovane clero. A Napoli fra il 1760 e il 1762 sorge il Giornale gesuitico presenza nata anche per contrastare le voci giansenistiche emerse nella penisola e in particolare a Pesaro e a Pavia, e tra le quali occorre qui ricordare quella del vescovo Scipione de’ Ricci, che terrà il noto sinodo del 1786, e quelle degli abati Pietro Tamburini, Giuseppe Zola e Giambattista Guadagnini. Altro giornale sorto nella seconda metà del Settecento fu la bimensile Gazzetta ragionata della nuova Abdera (1773-1775) a Padova che presenta le osservazioni degli illuministi soltanto per confutarle «in nome della più ortodossa apologia del Cristianesimo». Non in questa chiave si svolse l’esperienza giornalistica della settimanale Gazzetta Ecclesiastica di Firenze diretta da Reginaldo Tanzini e favorita dal vescovo de’ Ricci, la quale propugna la riforma della Chiesa «a vantaggio della sana Dottrina, della Cristiana Morale, e della Santa Cattolica Religione». Il periodico, però, verrà soppresso dopo ventiquattro numeri dal Granduca, che intende compiacere alle richieste della Curia romana. Riformismo religioso di matrice giansenistica si ritrova anche in un altro periodico fiorentino nato nel 1780 per iniziativa dell’abate Luigi Semplici: si tratta del settimanale Annali Ecclesiastici che durerà fino al dicembre 1793.
Se sotto il dominio napoleonico si assiste mediante una serie di decreti repressivi a una drastica riduzione di giornali e tipografie, nel periodo della Restaurazione si assiste a una rinascita di iniziative pubblicistiche a cominciare da Il Conciliatore (1818-1819) dei cattolici moderati e patrioti Silvio Pellico e Giovanni Berchet. Ma sicuramente tra i periodici più significativi in questa fase così intensa nella storia d’Italia figurava L’Amico d’Italia fondato a Torino nel 1822 da Cesare D’Azeglio (1763-1830), animatore dell’«Amicizia Cattolica», un movimento laicale di rinascita religiosa promosso da padre Pio Brunone Lanteri. Il D’Azeglio non era nuovo a iniziative del genere; aveva infatti fondato a Firenze una rivista mensile L’Ape (1802). Per far meglio conoscere l’Amicizia Cattolica e le sue iniziative il D’Azeglio promosse la fondazione de L’Amico d’Italia e chiamò a collaborarvi illustri personalità tra le quali Antonio Rosmini, Alessandro Manzoni e Niccolò Tommaseo.
Di orientamento ultramontano l’Amico d’Italia condivideva questa impostazione con altri fogli tra i quali il Giornale di Roma (1825), le Memorie di Religione, di Morale e di Letteratura di Modena (1822), il Giornale degli Apologisti della Religione Cattolica di Firenze (1825), la Propaganda cattolica di Lucca (1828). Veste e periodicità più giornalistica ebbe La Voce della Verità di Modena; usciva infatti inizialmente due volte alla settimana; assunse poi, a partire dal n. 31, periodicità tri-settimanale: ne era direttore Cesare Galvani; infine l’Encilopedia Ecclesiastica e Morale fondata a Napoli nel 1821 dal padre teatino Gioacchino Ventura, tenace sostenitore delle dottrine di Felicité de Lamennais e dell’ultramontanismo più intransigente.
A Milano nel frattempo nel 1841 nasceva L’Amico Cattolico (conclusosi nel 1856), organo ufficioso della curia ambrosiana guidata dall’arcivescovo Gaetano Gaysruck e diretto principalmente all’aggiornamento culturale del clero, in ciò distinguendosi dalla maggioranza delle coeve riviste cattoliche più strettamente legate a una dimensione controversistica e apologetica. Sull’onda della concessione delle riforme liberali della prima parte del pontificato di Pio IX nasceva cosi alla fine del 1846 Il Contemporaneo, foglio di grande formato che assunse periodicità settimanale ed ebbe larga diffusione.
Filone importante della stampa primo ottocentesca fu quello della pedagogia cattolico-liberale toscana-piemontese che si manifestò in particolare attraverso la Guida dell’Educatore, pubblicata a Firenze dal Gabinetto scientifico e letterario di Giovan Pietro Viesseux e compilata da Raffaele Lambruschini; L’Educatore primario che cominciò ad uscire nel 1845 per opera del sacerdote biellese Agostino Fecia e che si avvalse della collaborazione di Niccolò Tommaseo e Ferrante Aporti; e infine L’Istitutore nato nel 1852 e diretto da Domenico Berti e coadiuvato per la parte didattica dal sacerdote e pedagogista Giovanni Lanza.
Il decennio cruciale per le sorti del Risorgimento italiano 1848-1958 fu altresì segnato dalla nascita e affermazione di due giornali di cui fra poco si dirà, la torinese Armonia della Religione con la Civiltà e la napoletana poi fiorentina e infine romana Civiltà Cattolica che delinearono a chiare tinte il quadro duramente intransigente e antiliberale con cui la Chiesa nella sua solenne veste gerarchica si apprestava ad accogliere il nascente fragile Stato di Cavour e della Destra storica. Ma in mezzo alla contrapposizione frontale fra liberali, cattolici moderati, legittimisti e temporalisti si presentarono sulla scena i giornali legati al pensiero dell’abate roveretano Antonio Rosmini, fautore soprattutto di una visione aperta, moderna e riformatrice della Chiesa in relazione ai «segni dei tempi».
Tra i periodici che a tale corrente riformista facevano riferimento si ricordano Il Subalpino (1836-1840) diretta da Massimo Cordero di Montezemolo (1807-1879) con la collaborazione prestigiosa della penna di Cesare Balbo; Il Propagatore religioso diretto dall’assistente al Museo egizio di Torino don Giovanni Baracco e pubblicato a partire dal 1836; il periodico scientifico-letterario L’Eridano nato nel 1841 e condotto da Giorgio Briano; le riviste dell’area antigesuitica e legate alla filosofia risorgimentale rosminiana e giobertiana: il settimanale Fede e Patria uscito nel biennio 1848-1849 e poi tramutatosi nel Florilegio cattolico e Il Conciliatore torinese (1848-1849), trisettimanale pubblicato dal teologo Lorenzo Gastaldi e fermo sostenitore dell’abate Vincenzo Gioberti. Alla vigilia dell’Unità è da segnalare la rivista antitemporalista torinese Il Conciliatore nata nel 1860 e proseguita dal 1863 dal Carroccio, di Giovanni Avignone e cui presero parte tra gli altri Antonio Stoppani e Luigi Vitali.
Tuttavia il rosminianesimo, soprattutto dalla svolta antiliberale e antirisorgimentale inferta da Pio IX alla Chiesa nel biennio 1848-1849, risultò essere una ipotesi di lavoro intellettuale sempre più impraticabile per il clero cattolico. L’Armonia della Religione con la Civiltà e la Civiltà Cattolica costituiscono da questo punto di vista le espressioni pubblicistiche più significative in questo senso. L’Armonia, sorta nel ’48, si fece assertrice dell’astensionismo cattolico alle elezioni politiche in Piemonte nel 1857 attraverso il celebre motto «Né eletti né elettori» attraverso la penna di don Giacomo Margotti (1823-1887).
Il 6 aprile 1850 usciva il primo numero della La Civiltà Cattolica, la più nota rivista della Compagnia di Gesù e che ebbe come fondatori padre Luigi Taparelli D’Azeglio (1793-1862, fratello del politico liberale Massimo e sostenitore inizialmente di una conciliazione fra Stato e Chiesa), Carlo Maria Curci (1810-1891; ne divenne il primo direttore), padre Antonio Bresciani (1798-1862, scrittore di romanzi a tinte reazionarie) e padre Matteo Liberatore (1810-1892, studioso della filosofia tomista destinata a diventare per decreto pontificio di Leone XIII la filosofia ufficiale della Chiesa cattolica tra Otto e Novecento). Il programma della rivista diffusa in migliaia di copie (in pochi mesi si arrivò a una tiratura di 8.000 copie) su tutto il territorio nazionale mirava alla riconquista della società ai principio di ordine e di autorità cattolica al di là dei contingenti regimi politici e contro il liberalismo rivoluzionario e usurpatore.
Tracciando un bilancio generale si può affermare la varietà di temi politici e culturali presenti nelle testate (una costante della storia del cattolicesimo culturale italiano) e insieme la sostanziale ristrettezza di lettori e di presenze giornalistiche (nel 1863 si contavano soltanto 53 giornali, di cui una decina erano i quotidiani).
Fonti e Bibl. essenziale
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