Neoguelfismo – vol. I

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    Autore: Guido Formigoni

    Corrente di pensiero risorgimentale che collega strettamente l’unificazione dell’Italia come nazione alla sua identità di paese cattolico, e più specificamente alla presenza sul territorio italiano del papato, guida della Chiesa universale. Il termine ebbe inizialmente un significato polemico, quando repubblicani e rivoluzionari dell’età della Restaurazione accusavano i cattolici di essere neoguelfi in quanto passatisti e reazionari che idealizzavano il guelfismo medievale. Venne però acquisito da alcuni intellettuali cattolici per definire un modo originale di intendere la “questione nazionale”. Lo sfondo polemico era molteplice: in primo luogo, la nota tesi, ascrivibile a Machiavelli, per cui la presenza del “papa re” aveva impedito la costruzione di uno Stato unitario in Italia; poi, la rottura rivoluzionaria dei nessi religione-civiltà; infine, le posizioni di chi, come il Sismondi, aveva ascritto alla morale cattolica molta responsabilità per la decadenza italiana. Reagendo a queste provocazioni, una variegata serie di contributi storiografici iniziò a soffermarsi sui benefici storici connessi alla nascita e allo sviluppo dello Stato pontificio nella penisola, nel senso della civiltà e della difesa dell’italianità da varie potenza straniere (dal de Maistre del Du Pape si arrivò in questa linea fino a Carlo Troya o Cesare Balbo).

    Lo sviluppo più articolato di questa riflessione apparve in un ponderoso trattato di Vincenzo Gioberti, Del primato morale e civile degli italiani (stampato dapprima nel 1843 a Bruxelles, dove l’abate piemontese era esule). La sua tesi forte era che l’Italia come nazione affondasse le sue origini proprio nell’intreccio storico con l’istituzione papale: ciò motivava appunto il «primato» italiano tra le nazioni, in quanto una nazione particolare serviva alla più nobile causa di civiltà, quella cristiana, con un ruolo addirittura «sacerdotale» («gl’italiani, umanamente parlando, sono i Leviti della cristianità»). Sulla base di tale «idea guelfa», Gioberti sviluppava una proposta propriamente politica, che prendeva posizione nel dibattito sul Risorgimento d’Italia. Siccome «l’idea del primato romano [… era] il solo principio di unione possibile ai vari stati peninsulari», l’Italia avrebbe potuto ottenere forza e potenza solo tramite «una confederazione politica sotto l’autorità moderatrice del pontefice» (V. Gioberti, Del primato morale e civile degli italiani, [1843], a cura di U. Redanò, Bocca, Milano 1938, pp. 37-39). Questa proposta non toccava le sovranità dei legittimi principi (compreso ovviamente il pontefice, anche se in modo velato chiedeva di spostare il suo ruolo su registri morali), suggeriva vaghe riforme all’interno di ogni Stato e aggirava il problema annoso dell’influenza austriaca. Si può comprendere come fossero posizioni gradite all’opinione moderata che in vari Stati della penisola era spaventata dalle minacce rivoluzionarie o dalle prospettive di un salto nel buio repubblicano e unitario. Attorno al neoguelfismo crebbe un ampio consenso: il successo del volume fu straordinario (si parla di undici edizioni e forse 80.000 copie in cinque anni).

    La finestra di possibile realizzazione politica di questo progetto si aprì con le riforme del 1846-’48, e soprattutto con l’elezione di quello che si ritenne – in modo piuttosto equivoco – il “papa liberale” Pio IX, che peraltro simpatizzava per la causa nazionale ed era disponibile a modeste riforme amministrative nello Stato pontificio. All’inizio dell’ondata rivoluzionaria del 1848 il modello sembrò tenere, con il papa che utilizzò in alcune allocuzioni un linguaggio neoguelfo. Preti patrioti combatterono l’Austria al Nord e comparvero bandiere tricolori italiane (simbolo rivoluzionario, non dimentichiamolo) con le scritte speculari «Viva l’Italia – Viva Pio IX». Ma tale possibilità non doveva reggere l’accelerazione politica delle vicende: la prospettiva di una guerra degli Stati italiani all’Austria fece fare a Pio IX una rapida marcia indietro, con il proclama del 29 aprile 1848. Il papa non poteva intendere la sua missione in modo troppo esclusivamente «italiano». L’evoluzione del regime rappresentativo romano verso la soluzione repubblicana scavò poi un solco duraturo tra il papa e le idee costituzionali.

    La strada del neoguelfismo si interrompeva. Il Piemonte sabaudo divenne faro di attrazione per l’opinione liberale e nazionale della penisola, assumendo la guida del moto unitario. Il Risorgimento doveva quindi scontrarsi sempre più chiaramente con il ruolo del papa come sovrano temporale. La controversia diplomatica sul destino di Roma e la libertà del pontefice si aggiungeva al crescente arroccamento di Pio IX su una impostazione che vedeva tale sovranità come necessario simbolo della subordinazione delle istituzioni civili a quelle religiose.

    L’impostazione neoguelfa, sconfitta sul piano politico, doveva però lasciare dietro di sé un impressionante lascito culturale, sia nella coscienza di molti credenti comunque coinvolti nel moto risorgimentale nei decenni successivi, che da quei cattolici che si arroccarono su posizioni intransigenti, seguendo il papato nella sdegnosa condanna della costruzione statuale usurpatrice dei diritti divini del pontefice. In questa seconda versione, si vagheggiava un’altra Italia, quella vera, a guida papale, come alternativa al Risorgimento scomunicato.

    Fonti e Bibl. essenziale

    A. Giovagnoli, Il neoguelfismo, in G. De Rosa (a cura di), Storia dell’Italia religiosa, III vol., L’età contemporanea, Laterza, Bari-Roma 1995, 39-59; G. Rumi, Vincenzo Gioberti, Il Mulino, Bologna 1999.


    LEMMARIO