Autore: Raffaele Savigni
Il nuovo Stato unitario favorì una progressiva laicizzazione della scuola pubblica, anche se nei territori dell’Italia meridionale restò a lungo piuttosto forte l’influenza della Chiesa in campo educativo. La libertà della scuola non statale non era tutelata costituzionalmente, ma era affidata alla legge ordinaria, e quindi sottoposta ai condizionamenti politico-ideologici, anche se il Consiglio di Stato frenò le spinte anticlericali. Da parte sua l’intransigentismo cattolico difese la famiglia come luogo educativo originario, chiamato a resistere alla pretesa educativa dello Stato liberale.
L’insegnamento religioso nella scuola pubblica, mantenuto dalla legge Casati (1859) perlomeno nei primi due anni della scuola elementare (ove veniva impartito dal maestro unico), venne successivamente marginalizzato dalla legge Coppino (1877) e dai nuovi programmi del 1888, che lo resero facoltativo, sostituendolo con l’insegnamento obbligatorio delle «nozioni dei doveri dell’uomo e del cittadino». Due decreti del 1895 e del 1908 prevedevano che l’insegnamento di Religione fosse impartito a cura dei padri di famiglia che lo richiedessero, a meno che la maggioranza dei consiglieri comunali non decidesse di organizzarlo a carico del Comune; esso fu reintrodotto dalla riforma Gentile (1923) e quindi reso di fatto obbligatorio (salva la possibilità di chiedere l’esonero) dal Concordato del 1929, in quanto «fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica» (un principio poi ripreso nel 1955 dalla legge Ermini). Con la revisione del Concordato (1984) tale insegnamento è divenuto opzionale, ma lo Stato si è impegnato «ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado». Non ha avuto fortuna la proposta di introdurre il cosiddetto“doppio binario”, ossia un insegnamento aconfessionale gestito dallo Stato ed obbligatorio per tutti, affiancato da un insegnamento facoltativo a carattere confessionale per chi lo richiedesse.
Dopo il ventennio fascista il Codice di Camaldoli (1943-45) rivolse l’attenzione anche all’educazione, ribadendo l’impossibilità di una scuola “neutra” e “laica”, ed il primato della famiglia nell’educazione: «famiglia e Chiesa hanno una missione essenzialmente educatrice. La Chiesa ha il diritto indipendente dallo Stato di stabilire scuole di ogni grado per l’educazione e l’istruzione dei suoi figli [….] Il diritto della famiglia di educare i figli è anteriore a qualsiasi diritto della società civile e dello Stato, è inviolabile in quanto è naturale». Veniva inoltre chiaramente affermato il principio democratico, che implicava il superamento di metodi coercitivi, anche se alcune affermazioni contenute nel Codice (come la netta preferenza per una educazione separata degli alunni dei due sessi) risultano oggi datate. La Costituzione italiana riconobbe ad enti e privati «il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato» (art. 33): su quest’ultimo inciso si sviluppò un vivace dibattito, anche se il proponente Corbino aveva precisato, di fronte all’Assemblea Costituente, che non si intendeva escludere ogni forma di sostegno economico alle scuole non statali da parte dello Stato, ma soltanto eventuali rivendicazioni di una sorta di diritto automatico a riceverla. Nel 1945 nacque la Federazione degli Istituti di attività educative (FIDAE), poi strutturata giuridicamente nel 1974, che raggruppa istituti non statali riconosciuti dall’autorità ecclesiastica (quindi “scuole cattoliche” in senso stretto, non semplicemente “scuole di ispirazione cristiana”), difendendone il ruolo in base al principio della libera scelta educativa delle famiglie. Il suo organo ufficiale è il mensile “Docete”, fondato nel 1946.
Nel 1944-45 sorsero anche l’AIMC (associazione dei maestri cattolici) e, nell’ambito del Movimento laureati di Azione cattolica, l’UCIIM (Unione cattolica insegnanti medi), che, sotto la guida di G. Nosengo (1906-1968) e poi del noto pedagogista Aldo Agazzi, promosse il rinnovamento della scuola, nello spirito di un autentico pluralismo, ispirandosi alla filosofia personalista di J. Maritain e di L. Stefanini. Soprattutto l’UCIIM favorì un graduale superamento della contrapposizione cultura umanistica-lavoro ed appoggiò l’introduzione (nel 1958) dell’insegnamento dell’educazione civica, e la riforma istitutiva della scuola media unica (1962), anche a prezzo di qualche polemica con l’AIMC (che propugnava una scuola post-elementare per il soddisfacimento dell’obbligo scolastico).
I documenti conciliari rivendicarono per i genitori «il diritto di determinare la forma di educazione religiosa da impartirsi ai propri figli» (Gravissimum educationis, 3), e quindi «il diritto di scegliere, con vera libertà, le scuole e gli altri mezzi di educazione» (Dignitatis humanae, 5): la libertà di educazione viene quindi considerata un’espressione della libertà religiosa. In questa prospettiva il principio di sussidiarietà implica «il diritto della Chiesa a fondare liberamente e a dirigere scuole di qualsiasi ordine e grado», caratterizzate da «un ambiente comunitario permeato dallo spirito evangelico di libertà e carità» e dalla ricerca di una sintesi tra la cultura umana ed il messaggio di salvezza (Gravissimum educationis, 8).
Per adattare alla situazione italiana le indicazioni generali espresse dalla sacra Congregazione per l´educazione cattolica col documento La scuola cattolica del 1977, la CEI emanò nel 1983 il documento La scuola cattolica oggi in Italia, nel quale si afferma (al n. 58) che «anche la Scuola Cattolica deriva il motivo fondamentale della propria identità e della propria esistenza dall’appartenenza alla Chiesa locale, in cui è chiamata a vivere e a servire». Dopo il Convegno nazionale sulla scuola cattolica del ‘91 la CEI ha costituito il Centro studi per la scuola cattolica (CSSC), che dal 1999 prepara e pubblica un Rapporto annuale. Nel primo Rapporto (Scuola cattolica in Italia, La Scuola, Brescia, 1999) mons. C. Nosiglia ribadiva che «la comunità di fede è il soggetto educante naturale della scuola cattolica», prospettando quest’ultima come «luogo di una “inedita conciliazione epistemologica” tra fede e cultura, tra azione pastorale propria della comunità cristiana e riflessione critica specifica della scuola, per consentire a ogni persona la crescita integrale di se stessa nella libertà e nella comunione con gli altri». G. Dalla Torre sottolineava l’esigenza di rispettare la specificità delle scuole che non hanno fini di lucro ma un progetto educativo specifico, proponendo di interpretare il vincolo costituzionale «senza oneri per lo Stato» come riferito alle istituzioni scolastiche, ma non alle famiglie, per cui il finanziamento pubblico si giustificherebbe sulla base dei principi della libertà di educazione e del diritto allo studio (art. 30 e 34 della Costituzione).
Nel secondo guerra i governi a guida democristiana, sottoposti a pressioni contrastanti, non riuscirono a realizzare quella legge sulla parità scolastica che il ministro Gonella aveva progettato tra il 1946 ed il 1951. Solo nel 2000 fu approvata la legge n. 62, «Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione», che definì un sistema pubblico integrato di istruzione, comprensivo di scuole statali e non statali. Essa riconosceva che «il sistema nazionale di istruzione è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali» (art. 1), per cui «alle scuole paritarie private è assicurata piena libertà per quanto concerne l’orientamento culturale e l’indirizzo pedagogico-didattico. Tenuto conto del progetto educativo della scuola, l’insegnamento è improntato ai princípi di libertà stabiliti dalla Costituzione» (art. 3). Venivano poi elencate le condizioni richieste per il riconoscimento della funzione pubblica delle scuole e per il loro conseguente inserimento nel “sistema nazionale di istruzione”. A giudizio di G. Tettamanti, che è intervenuto nel XII Rapporto sulla Scuola Cattolica in Italia, A dieci anni dalla Legge sulla parità (La Scuola, Brescia, 2010), l’applicazione di questi principi ideali sarebbe tuttavia ancora incompleta. Se le scuole cattoliche sono state a lungo gestite in prevalenza dagli Istituti religiosi, il XIII Rapporto del CSSC, L’impegno delle Chiese locali. Scuola cattolica in Italia (a cura di G. Malizia, La Scuola, Brescia, 2011) sottolinea il legame tra scuola cattolica e Chiesa locale, auspicando un coinvolgimento più diretto delle diocesi e delle parrocchie. In un contesto segnato dalla crisi degli Ordini religiosi che avevano individuato nell’impegno educativo il loro carisma, attualmente un numero sempre maggiore di scuole è gestito da movimenti cattolici, che talora privilegiano la dimensione dell’affinità carismatica.
Nel secondo guerra l’AIMC e l’UCIIM si sono fortemente impegnate per qualificare in senso culturale e democratico la scuola pubblica, concepita come «comunità educante», fondata sul coinvolgimento nel progetto educativo di insegnanti, famiglie, alunni. Nel 1968 diverse associazioni di genitori si riunirono costituendo l’A.G.E., un’associazione nazionale di genitori che intendeva favorire il dialogo educativo con la scuola in un periodo di notevoli tensioni. L’istituzione, coi decreti delegati (1974), degli organi collegiali della scuola favorì una partecipazione alla gestione della scuola pubblica, che vide coinvolti anche gruppi di ispirazione cristiana, i quali intendevano superare tanto un’idea di scuola come istituzione separata, quanto un’enfatizzazione unilaterale del protagonismo studentesco. Non mancarono vivaci dibattiti sull’interpretazione del principio della libertà di insegnamento. Alcuni gruppi sottolinearono più decisamente la centralità dell’identità cattolica: “Comunione e liberazione” teorizzò negli anni ’70 un’articolazione della scuola pubblica in sezioni culturalmente omogenee, incentrate su precisi progetti educativi, ma successivamente privilegiò il sostegno alla scuola cattolica. In quegli anni fu promossa anche l’esperienza del “tempo pieno”, che, nata come risposta alle esigenze dei ceti popolari in un contesto di espansione del lavoro femminile, suscitò qualche riserva in ambienti cattolici che intravvedevano il rischio di ridimensionare eccessivamente il ruolo educativo della famiglia. Alcuni sacerdoti cercarono di ridefinire le modalità del processo educativo in situazioni di frontiera: nacque così la scuola di Barbiana di don Milani, i cui ragazzi scrissero nel 1967 la Lettera a una professoressa, mettendo sotto accusa una scuola selettiva che emarginava i ragazzi più poveri; e don Roberto Sardelli avviò con i ragazzi delle baracche romane esperienze scolastiche alternative, da cui nacque il libro Scuola 725: non tacere (Libreria Editrice Fiorentina, 1971).
Recentemente la CEI ha cercato di rispondere all’emergenza educativa elaborando gli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020 Educare alla vita buona del Vangelo, ove si ribadisce (n. 48) che «la scuola cattolica e i centri di formazione professionale d’ispirazione cristiana fanno parte a pieno titolo del sistema nazionale di istruzione e formazione. Nel rispetto delle norme comuni a tutte le scuole, essi hanno il compito di sviluppare una proposta pedagogica e culturale di qualità, radicata nei valori educativi ispirati al Vangelo». Una grande sfida concerne, nell’attuale contesto multiculturale, la capacità della scuola cattolica (che ha visto ridursi progressivamente il numero degli alunni: 625.781, ossia il 7 % della popolazione scolastica complessiva, nel 2006, mentre erano il 9 % nel 1992) di riqualificarsi e di aprirsi ai bisogni di alunni provenienti da tutti i ceti sociali. Una interpretazione aperta del principio della libertà di educazione può contribuire a realizzare una «convivialità delle differenze», recuperando (al di là degli aspetti discutibili) talune istanze di Ivan Illich (Descolarizzare la società, Mondadori, Milano, 1972), il quale aveva polemicamente teorizzato una “descolarizzazione della società” come difesa delle culture popolari e valorizzazione della creatività personale contro i rischi di omologazione culturale a suo avviso insiti nella diffusione su scala mondiale del sistema scolastico dell’Occidente.
Fonti e Bibl. essenziale
V. Sinistrero, La politica scolastica 1945-1965 e la scuola cattolica, FIDAE, Roma, 1967; G. Tettamanti, Scuola cattolica e libertà di educazione, La Scuola, Brescia, 1981; Quale scuola per una società più libera? Atti del convegno del Coordinamento nazionale per la libertà di educazione (Roma, 2 maggio 1986), Roma, FIDAE, 1986 (Suppl. alla rivista «Docete», 1987, n. 7); L. Pazzaglia (ed.), Chiesa e progetto educativo nell’Italia del secondo dopoguerra (1945-1958), La Scuola, Brescia, 1988; G.C. Boccardi (ed.), Libertà di educazione e pluralismo scolastico, Pellegrini, Cosenza, 1991; A. Gaudio, Scuola, Chiesa e fascismo: la scuola cattolica in Italia durante il fascismo, 1922-1943, La Scuola, Brescia, 1995; L. Pazzaglia (ed.), Cattolici, educazione e trasformazioni socio-culturali in Italia tra Otto e Novecento, La Scuola, Brescia, 1999; M. A. Manacorda, Scuola pubblica o privata: la questione scolastica tra Stato e Chiesa, editori Riuniti, Roma, 1999; L. Pazzaglia (ed.), Chiesa, cultura e educazione in Italia tra le due guerre, La Scuola, Brescia, 2003; L. Corradini (ed.), Laicato cattolico, educazione e scuola in Gesualdo Nosengo. La formazione, l’opera e il messaggio del fondatore dell’UCIIM, Elledici, Torino, Leumann, 2008; G. Campani, Dalle minoranze agli immigrati: la questione del pluralismo culturale e religioso in Italia, Unicopli, Milano, 2008; P. Liberace, Contro gli asili nido: politiche di conciliazione e libertà di educazione, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2009; F. De Giorgi, L’ istruzione per tutti: storia della scuola come bene comune, La scuola, Brescia, 2010.