Persecuzioni – vol. II

    image_pdfimage_print
    Autore: Caterina Ciriello

    In ogni epoca della storia ritroviamo modi di agire, volti a far estinguere ciò che si presenta ai nostri occhi come “diverso” e, dunque, pericoloso per il nostro spazio vitale. Il termine in questione, pur riferendosi con frequenza, anche attuale, a questioni di natura religiosa – e dal punto di vista cristiano le persecuzioni sono e saranno sempre necessarie per la storia della salvezza, anche se dolorose – in realtà si estende a campi più vasti ove gli individui possono svolgere sistematiche azioni di forza progettate allo scopo di soffocare ideologie, movimenti politici o religiosi, o addirittura eliminare una minoranza etnica. Per quanto concerne l’Italia contemporanea (1930-1945) ci è parso opportuno segnalare tre momenti storici legati alla prassi delle persecuzioni: la campagna dei fascisti contro l’Azione Cattolica Italiana, quella dei nazi-fascisti contro gli ebrei italiani, infine le stragi degli italiani dell’Istria uccisi dai partigiani titini e gettati nelle Foibe.

    I fascisti contro l’Azione Cattolica. Agli inizi degli anni ’20 la salita al potere di Mussolini si annunciava piena di buoni auspici per la Chiesa cattolica. Il Duce, infatti, dichiarava apertamente di essere assolutamente rispettoso dei valori religiosi e di voler avere una intesa con la Santa Sede. Nel gennaio 1923 un incontro tra Mussolini ed il card. Gasparri sancì, infatti, “la buona disposizione delle due parti”. In realtà, almeno fino al 1929, Mussolini e la Santa Sede ebbero non poche occasioni di contrasto per via delle violenze che i fascisti, soprattutto nelle province del nord Italia, perpetravano ai danni delle associazioni cattoliche. Nel 1923, all’indomani del Congresso torinese del PPI, Mussolini maturò il fermo convincimento di non voler avere nessun tipo di opposizione nel governo. Ciò autorizzò i fascisti ad attaccare duramente don Sturzo ed il Partito Popolare, facendo pressioni sulla Santa Sede perché il PPI non ponesse veti all’approvazione di una nuova legge elettorale. Il clima si inasprì e fece le prime vittime: Don Giovanni Minzoni, arciprete di Argenta (Fe), fu ucciso con una bastonata alla testa (Cf. M. Tagliaferri, L’unità cattolica. Studio di una mentalità , 284-286). Don Sturzo, obbedendo ad un chiaro desiderio della Segreteria di Stato, si dimise e, suo malgrado, abbandonò il paese, in esilio. I sovversivi, a questo punto, non erano più i comunisti, ma i popolari di Sturzo. Dopo il delitto Matteotti del giugno del 1924, la violenza fascista ebbe una pericolosa impennata. Nell’aprile del 1925 si verificarono maltrattamenti e soprusi nei confronti di diverse istituzioni cattoliche, prima nell’Italia del nord e successivamente nel resto della penisola. Sedi di circoli cattolici venivano devastate; a La Spezia ed a Parma i fascisti incendiarono le sedi bruciando crocifissi ed immagini sacre; si arrivò persino a disturbare le processioni. A Firenze e Roma le incursioni fasciste furono tanto gravi da attirare l’attenzione dei vertici del partito, preoccupati del fatto che tali eccessi, alla fine, avrebbero potuto nuocere alla stessa autorità statale. Gli atti di violenza vennero condannati non solo dalle autorità cattoliche, ma anche da esponenti “cattolici” del Partito fascista. Lo scontro avveniva su un terreno molto chiaro e noto a tutti: la necessità del regime di essere l’unico ad educare la gioventù, poiché il credo fascista doveva diventare il “dogma” della gioventù. Nel 1926 in seguito ad una serie di attentati a Mussolini la legge n° 2008 del 25 novembre decreta lo scioglimento di tutte le associazioni ed organizzazioni che svolgessero azioni contrarie al regime. Vi rientravano anche quelle cattoliche. Uno degli episodii più gravi è la chiusura dell’Oratorio dei Salesiani di Varazze. Ma ad Udine ben cinque sacerdoti sono arrestati e condannati al confino. Nel 1929 i Patti Lateranensi vennero accolti con speranze ed entusiasmo: sembrò che tra cattolici e fascismo si stabilisse, finalmente, un clima di comprensione. In realtà la crisi del 1931 era alle porte. Il governo fascista aveva intenzione di sopprimere l’ultimo baluardo della Chiesa, l’AC, notevolmente rafforzatasi, proprio grazie al concordato. I controlli del regime su parrocchie, oratori e circoli giovanili portano alla luce un solido attivismo cattolico e antifascista. Nel secondo anniversario dei Patti Lateranensi la crisi si acuisce; i fascisti attaccano i cattolici dapprima a mezzo stampa, successivamente con una vera e propria repressione: in diverse università gli studenti fucini sono picchiati dagli squadristi fascisti. Riprendono le violenze nei confronti dei circoli cattolici in tutta Italia: incendi, pestaggi, intimidazioni volte a «far scomparire le altre forme del laicato cattolico a vantaggio delle organizzazioni fasciste» (L. Ceci, L’interesse superiore, 149). Si procedette pure ad una “epurazione” della stampa cattolica, e all’allontanamento di coloro che erano stati coinvolti nel PPI. Il responsabile della federazione romana della GCI, Emilio Traglia, è accusato di svolgere attività antifascista e deve rifugiarsi in Vaticano. Il 29 maggio del 1931, in seguito – tra l’altro – alla lettera che Pio XI indirizza al card. Schuster, arcivescovo di Milano, nella quale il pontefice non solo sottolineava con enfasi che il Regime aveva il dovere di seguire il Magistero della Chiesa, ma dichiarava pure che i giovani venivano esposti a «ispirazioni di odio ed irriverenza» [AAS 23 (1931), 146], vengono chiusi tutti i circoli giovanili di AC: sequestrati tutti i documenti e gli elenchi dei membri, molti dei quali subiscono violenze. Persino la sede della “Civiltà Cattolica” in via di Ripetta è assaltata da un gruppo di facinorosi studenti. In molte località vengono chiuse finanche le pie associazioni delle Figlie di Maria e delle “Zelatrici del Sacro Cuore”, l’apostolato della preghiera, il Terz’ordine Francescano e un asilo delle suore. La presa di posizione della Chiesa è energica. Pio XI sospende la processione del Corpus Domini, ed in segno di lutto volle che nell’intero paese la popolazione si astenesse da fare pubbliche processioni. Infine per proteggere, l’AC, sua creatura scrive, il 29 giugno, l’enciclica “Non abbiamo bisogno” nella quale difende i Patti Lateranensi e l’accordo riguardante l’AC, condannando esplicitamente il fascismo come totalitarismo. Gravissimo è l’episodio del ritrovamento di una bomba nella basilica di san Pietro due giorni prima della celebrazione della beatificazione di Caterina Labouré il 19 luglio 1931. Tale gesto segna la fine di ogni possibile dialogo tra cattolici e il nuovo regime. Di fatto il governo fascista continua la sua opera di ostilità verso la chiesa cattolica, anche se non con la forza degli anni precedenti, poiché si tratta di episodi di violenza isolati e di controlli su istituzioni e persone a livello locale. È verso la fine del 1937che si tocca nuovamente un punto critico nelle relazioni tra Stato e Chiesa, e cioè quando viene sollevata «la questione della incompatibilità tra iscrizione al Pnf e all’Azione cattolica»(L. Ceci, L’interesse superiore, 218). A questo punto Pio XI reagisce con la minaccia della scomunica, dapprima riservata, poi resa pubblica in un discorso al Collegio Urbano del 28 luglio 1938. La reazione di Mussolini non si fa attendere: si provvede ad allontanare dai quadri dirigenziali fascisti gli iscritti all’AC, ma pensando pure di eliminare definitivamente da posti di responsabilità i membri di AC. Alla fine il papa a malincuore deve cedere per salvare la situazione: accetta di non parlare più del razzismo e dell’ebraismo per salvaguardare l’intesa del 1931, anche se continua fermamente a condannare il totalitarismo ed il nazionalismo.

    Persecuzione nazi-fascista degli ebrei. La persecuzione nazi-fascista degli ebrei in Italia si svolse senza particolari difficoltà grazie all’appoggio di Mussolini, che ebbe un ruolo essenziale. Le leggi razziali del 1938 diedero, infatti, il via libera a quell’antisemitismo esasperato che, fino ad allora, il Duce era riuscito a dominare, assicurando addirittura l’anno precedente, che non ci sarebbe stata alcuna politica antiebraica in Italia. Ma dal 14 luglio 1938 «l’antisemitismo divenne ideologia e prassi ufficiali del fascismo italiano» (Storia della Shoah in Italia, v. I, 283), atteggiamento che potrebbe trovare una spiegazione, se non in una libera scelta dell’Italia fascista, in una sorta di “imposizione” compiuta dalla Germania nazista – all’epoca alleata dell’Italia – la quale già dal 1933 aveva varato una intensa legislazione antiebraiaca. Pio XI in questa circostanza volle precisare che le idee fasciste sulla razza non potevano assolutamente trovare spazio nell’ambito del cattolicesimo. In particolare il papa proprio dal 1938 aveva deciso di opporsi fortemente all’antisemitismo fascista, discostandosi pure dalla concezione antiebraica propria del cattolicesimo. Dalle semplici indagini della polizia fascista – volte ad accertare la presenza, il numero ed il ruolo sociale dei singoli ebrei in Italia – il passo alla discriminazione e poi alla persecuzione fu breve. In un primo momento la popolazione ebraica non sembrò emotivamente coinvolta dai fatti, quasi a volersi rifiutare di credere che si potesse arrivare alle conseguenze più estreme e che la svolta razzista di Mussolini fosse solo temporanea; poi, però, di fronte alle pressanti discriminazioni e vessazioni delle autorità, che con provvedimenti legislativi ed amministrativi avevano privato la popolazione ebrea dei diritti più elementari, si verificò la presa di coscienza e la decisione – per molti ebrei italiani – di lasciare il paese per rifugiarsi all’estero. Tra il 1938 ed il 1941 emigrarono circa 6000 ebrei. Dal 15 giugno 1940, però, la fuga divenne più difficile: uno specifico decreto impose l’internamento di quegli ebrei ritenuti “pericolosi” per l’ordine pubblico nei campi di prigionia, tra i quali va ricordato quello di Ferramonti Tarsia (CS), dove, secondo il piano fascista, sarebbero dovuti rimanere fino alla fine della guerra per essere trasferiti «nei paesi disposti a riceverli» (M. Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista,172). Nel maggio del 1942, con provvedimento amministrativo, gli ebrei maschi tra i 18 e 55 anni vennero avviati al “lavoro obbligatorio”. Fino al 1943 gli ebrei italiani furono duramente perseguitati dal regime fascista, che aveva come obbiettivo la loro eliminazione dal paese. Nel settembre 1941 i nazisti cominciarono la prassi dello sterminio. Dopo l’8 settembre 1943 essi diedero inizio a quella feroce persecuzione che portò allo sterminio di migliaia di ebrei italiani da nord al centro e fino a Roma. Ma la deportazione degli ebrei del ghetto di Roma, la comunità più numerosa, fu l’atto più vergognoso in assoluto: gli ebrei, infatti, furono illusi sul fatto che si sarebbero potuti salvare pagando 50 Kg di oro. Alla raccolta parteciparono anche comunità cattoliche, le quali contribuirono con ben 15 kg di oro. La Santa Sede, da parte sua, diede la sua disponibilità ad aggiungere, eventualmente, la parte mancante. Ma, nonostante il pagamento fosse avvenuto il 28 settembre, un reparto specializzato, nei giorni successivi, mise in atto uno scrupoloso saccheggio, alla fine del quale, furono deportati tutti gli ebrei del ghetto – 2091 – senza nessuna distinzione. Era l’alba del 16 ottobre 1943. La Santa Sede si adoperò con tutti i mezzi possibili per fermare lo sterminio degli ebrei, in particolare quelli del ghetto di Roma. Molti di loro fuggendo trovarono rifugio presso istituti religiosi, parrocchie e proprietà del Vaticano, di fatto extraterritoriali. Un cappuccino francese, p. Benoît Marie assisteva clandestinamente i fuggiaschi e forniva loro documenti di identità falsi. Ma va anche ricordata l’opera dell’allora mons. Ottaviani, il quale oltre ad accogliere gli ebrei rilasciava loro certificati di battesimo (Cf. G. Sale, Hitler, la Santa Sede e gli ebrei, 192-208). I nazisti erano a conoscenza di questa attività e nel febbraio del 1944 entrarono in San Paolo fuori le mura arrestando tutti coloro che vi si trovavano. A nulla valse la protesta del papa. Gli ebrei deportati ed uccisi in Italia furono circa 7900. Il 27 gennaio 2000 è stato istituito “Il giorno della memoria” per non dimenticare questo terribile olocausto.

    Le foibe dimenticate. Le foibe (fovea=fossa) si presentano come profonde cavità rocciose naturali a forma di imbuto, ma al rovescio, che si formano a causa dell’erosione delle acque e sono tipiche del paesaggio carsico. Normalmente venivano usate dalle popolazioni locali come discariche naturali per ogni tipo di rifiuto. Tra il 1943 ed il 1945, in due ondate, esse si trasformano in veri e propri depositi di cadaveri, nel tentativo di nascondere le vittime della persecuzione comunista avvenuta nell’Istria settentrionale, tra le zone di Gorizia, Pola, Trieste e Fiume. Il primo momento ha luogo nell’autunno del 1943, dopo l’armistizio dell’8 settembre, quando il vuoto di potere sbaraglia l’esercito italiano e spinge i tedeschi ad effettuare feroci rappresaglie contro i traditori. Nell’Istria del nord, il movimento di liberazione croato-jugoslavo, d’accordo con molte delle autorità del luogo, inizia un processo di “epurazione” consistente nella cattura di tutti quegli italiani che, in qualche modo, simboleggiavano con la loro presenza quel potere statale “italiano” – in realtà si trattava del regime fascista – considerato oppressivo dalla popolazione croata. Al fattore politico si somma quello etnico e sociale: quest’ultimo provoca un’ondata persecutoria anche nei confronti dei possidenti italiani. I prigionieri, ammassati in particolar modo a Pisino e Pinguente, dopo essere stati torturati, seviziati e – nel caso di donne – molto spesso stuprate, subivano uno sbrigativo e simbolico processo che si concludeva con una sistematica condanna a morte. I cadaveri scomparivano nelle viscere della terra, come semplici “rifiuti” (G. Oliva, Profughi. Dalle foibe all’esodo: la tragedia degli italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia, 61). L’avanzata dei tedeschi verso i territori istriani acutizza le uccisioni perché i partigiani comunisti, costretti a ritirarsi velocemente e disordinatamente, uccidono e gettano nelle foibe il resto degli italiani catturati. Nel 1945, mentre nel resto d’Italia si celebrava l’avvenuta liberazione, la Venezia Giulia, secondo i piani delle autorità di Belgrado, sottostava ad un violento processo di “jugoslavizzazione” a tolleranza “zero”. Nelle città tra Trieste e Gorizia il processo di “infoibazione” raggiunse l’apice massimo ed il limite della disumanità. Nelle cronache si parla di almeno 150 finanzieri catturati e “fatti a pezzi” dai partigiani. Non mancano vittime gettate ancora vive nelle foibe, o perché solamente ferite o per precisa volontà degli esecutori: messi in fila sull’orlo della foiba e legati tra loro, i primi prigionieri venivano fucilati trascinando via anche quelli vivi. Tra i prigionieri e le vittime anche sacerdoti, almeno quindici. Don Wagenhanger, tedesco, viene internato nel campo di Capodistria e vive in condizioni pietose insieme ad altri suoi connazionali. Una sorte peggiore tocca a don Angelo Tardicchio, giovane parroco di Villa Rovigno, catturato ed infoibato nella notte tra il 21 ed il 22 settembre del 1943. Viene ritrovato nella Foiba di Gallignana completamente nudo e con una corona di filo spinato sulla testa. Don Francesco Bonifacio scompare nel settembre del 1946. Solo anni più tardi si conosce la sua sorte: anche lui torturato, ucciso e gettato in una foiba. Tra questi vi sono anche sacerdoti croati, come il giovane don Miro Bulesic, della diocesi di Parenzo-Pola, sgozzato nel 1947 dai «titini» e beatificato a Pola nel settembre 2013. In totale, tra il 1943 ed il 1945 si possono contare tra le 4000 e le 5000 vittime delle foibe. Le foibe più conosciute sono quella di Basovizza, vicino Trieste, che raccolse un grandissimo numero di cadaveri e la foiba detta “dei colombi” a Vines (oggi territorio croato); da quest’ultima vennero estratti circa 84 corpi. Di questo massacro si venne a sapere solo a cose fatte per via della cortina di ferro alzata dai partigiani titini. La stessa Segreteria di Stato Vaticana ricevette una richiesta di aiuto solo nel mese di luglio del 1945, quando già gli alleati erano arrivati in quella che si chiamerà la “zona A”. Dunque non potè compiere nessun tipo di azione volta a fermare questa immane strage. La tragedia delle foibe va ricollegata a due puntuali momenti di quel travagliato periodo storico, la Seconda guerra mondiale, dalla quale l’Italia – che con la Germania in primo luogo, ha contribuito allo scoppio del conflitto – esce sconfitta . Per molto tempo delle foibe si è scritto e detto poco, negando alle migliaia di vittime, secondo quanto affermano diversi studiosi, il diritto ad una memoria storica “nazionale”, che rimane per un lungo periodo patrimonio locale ed esclusivo di chi ha vissuto direttamente questo evento doloroso. Solo verso la fine degli anni ’80, con i contributi di storici quali Miccoli, Fogar, Pupo, Spazzali, Sala, si è pervenuti ad una storicizzazione dell’evento in grado di metterne in luce le diverse cause di un fatto storico che «non riuscì mai a raggiungere la coscienza collettiva degli italiani, sia perché veniva letto entro la logica delle contrapposizioni ideologiche, anzi partitiche, tipiche degli anni del dopoguerra […] sia perché si intrecciavano con scelte di politica strategico-internazionale che non si voleva in nessun modo mettere in pericolo» ( G. Sale, L’occupazione di Trieste e il cosiddetto «genocidio degli italiani», 542). Nel 2004 la legge 92 del 30 marzo ha proclamato il 10 febbraio “Giorno del Ricordo delle foibe”.

    Fonti e Bibl. essenziale

    I fascisti contro l’Azione Cattolica: P. Scoppola, La Chiesa e il fascismo. Documenti e interpretazioni, Laterza, Bari 1971; G. Sale, Fascismo e Vaticano prima della conciliazione. Popolari, chierici e camerati, v. 2, Jaca Book, Milano 2007; M. Tagliaferri, L’unità cattolica. Studio di una mentalità, Ed. Gregoriana, Roma 1993, 284-286; M. Casella, L’Azione cattolica nell’Italia contemporanea, AVE, Roma 1992. E. Fattorini (a cura di), Diplomazia senza eserciti. Le relazioni internazionali della Chiesa di Pio XI, Carocci, Roma 2013; L. Ceci, L’interesse superiore. Il Vaticano e l’Italia di Mussolini, Laterza, Bari 2013; A. Acerbi (a cura di), La Chiesa e l’Italia. Per una storia dei loro rapporti negli ultimi due secoli, Vita e Pensiero, Milano 2003. R. Pertici, Chiesa e Stato in Italia. Dalla Grande guerra al nuovo concordato (1914-1984), Il Mulino, Bologna 2009; S. Rogari, Azione cattolica e fascismo, II, La crisi del 1938 e il distacco dal regime, in «Nuova Antologia», CXIII, 1978, 534, 340ss; P. Pennacchini, La santa Sede e il Fascismo in conflitto per l’Azione Cattolica, LEV, Città del Vaticano, 2012. Persecuzione nazi-fascista degli ebrei: Storia della Shoah in Italia, a cura di M Flores (et al.), 2voll., Utet, Torino 2010, v. 1, 146-147; A. Riccardi, L’inverno più lungo. 1943-44: Pio XII, gli ebrei e i nazisti a Roma, Laterza, Roma-Bari 2008; G. Sale, Hitler, la Santa Sede e gli ebrei, Jaca Book, Milano 2004, pp.192-208; R. Moro, La Chiesa e lo sterminio degli ebrei, Il Mulino, Bologna 2002; E. Fattorini, Pio XI, Hitler e Mussolini. La solitudine di un papa, Torino, Einaudi, 2007. M.A. Matard-Bonucci, L’Italia fascista e la persecuzione degli ebrei, trad. it. Bologna, il Mulino, 2008. G. Sale, Le leggi razziali in Italia e il Vaticano, Milano, Jaca Book, 2009; M. Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista. Vicende, identità e persecuzione, Einaudi, Torino 2000; R. Ascarelli (a cura di), Oltre la persecuzione. Donne, ebraismo, memoria, Carocci, Roma 2004; A. Foà, Diaspora, Laterza, Bari 2009; A. Chiappano, Memorialistica della deportazione e della Shoah, Milano, Unicopli 2009. Le foibe dimenticate: G. Sale, L’occupazione di Trieste e il cosiddetto «genocidio degli italiani», in Civ. Catt., 2004 I, 532-543; G. Oliva, Profughi. Dalle foibe all’esodo: la tragedia degli italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia, Mondadori, Milano 2005; G. Valdevit, Foibe: l’eredità della sconfitta, in G. Valdevit (a cura di), Foibe. Il peso del passato. Venezia Giulia 1943-1945, Marsilio, Venezia 1997, 16; R. Pupo, Violenza politica tra guerra e dopoguerra, in G. Valdevit (a cura di), Foibe. Il peso del passato. Venezia Giulia 1943-1945, Marsilio, Venezia 1997. B. Coceani, Mussolini, Hitler e Tito alle porte orientali d’Italia, Istituto Giuliano di storia e documentazione, 2002; R. Pupo, La foiba di Basovizza, in Irsml, Un percorso tra le violenze del Novecento nella provincia di Trieste, Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia, Trieste 2006; G. Barral, Borovnica 1945, al confine orientale d’Italia. Memorie di un ufficiale italiano, a cura di R. Timay, Paoline, Milano, 2007; R. Pupo, Foibe ed esodo: un’eredità del fascismo?, in R. Pupo, Il confine scomparso. Saggi sulla storia dell’Adriatico orientale, Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia, Trieste, 2007.


    LEMMARIO