Tolleranza – vol. I

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    Autore: Jörg Ernesti

     

    Antichità e Medioevo. Il Nuovo Testamento è ambiguo sulla questione della tolleranza religiosa. Nel Vangelo, accanto al precetto generale di battezzare (Matteo 28,18 ss.), troviamo anche l’esortazione di Gesù ai suoi discepoli ad andare oltre, quando in qualche luogo non li si voglia ascoltare (Marco 6,11). Questa ambiguità si riflette nell’atteggiamento della Chiesa primitiva. Nell’impero romano ci fu sostanzialmente tolleranza religiosa, intesa come libertà di culto e di coscienza, fin quando nel terzo secolo, di fronte alle nuove minacce provenienti dall’esterno, la religione, rafforzata dagli imperatori pagani, fu sentita come strumento di coesione sociale e si giunse a ricorrere ad ampie misure contro i cristiani visti come dissidenti religiosi. Anche quando la legislazione degli imperatori cristiani favorì la Chiesa, non si può tuttavia parlare di una sistematica soppressione del paganesimo nel IV secolo. Troviamo un’eco della più antica idea romana di tolleranza negli anni Sessanta e Settanta, in relazione alle figure dell’imperatore Giuliano e di Simmaco, il leader dell’aristocrazia senatoria romana. Soltanto alla fine del secolo, dopo che negli anni 392-394 l’usurpatore Eugenio aveva ancora messo in atto una politica di tolleranza verso i pagani, sotto l’imperatore vittorioso Teodosio si aggravò ancora di più Ia condizione giuridica per i pagani (divieto di praticare riti pagani, di consultare l’oracolo di Delfi e di celebrare le Olimpiadi). Il Codice Teodosiano e il Codice di Giustiniano introducono numerose misure contro gli eretici e gli scismatici e provvedimenti contro pagani ed ebrei. Questa posizione fu approvata dagli scrittori ecclesiastici: Agostino da un lato sottolinea la libertà nelle scelte di fede, ma dall’altro non si oppone alle misure coercitive dello Stato contro gli eretici (ep. 185).

    La situazione cambiò di nuovo radicalmente con la conversione dei Longobardi in Italia e degli altri popoli germanici. Mentre l’adesione alla fede cristiana nei primi tre secoli della storia della Chiesa era frutto di una decisione individuale, ora invece avveniva a livello collettivo nell’ambito di un gruppo o di un popolo. Questa evoluzione produsse nuove forme di costrizione religiosa, quali il mondo antico non aveva conosciuto (si pensi al massacro di Verden del 792 in cui furono uccisi, per ordine di Carlo Magno, 4500 Sassoni). Tale tipo di coercizione è concepibile soltanto attraverso una cooperazione tra potere temporale e statale, così come andò configurandosi a partire dal XII secolo anche nella lotta contro i vari movimenti eretici da parte dell’Inquisizione.

    Nell’alto Medioevo troviamo spesso sovrani interessati ad uno scambio con il mondo culturale islamico e tolleranti nei confronti dei musulmani, come Ruggiero II di Sicilia (†1154), l’imperatore Federico II (†1250) e Alfonso il Saggio di Castiglia (†1284). Con Raimondo Lullo (†1316) inizia anche un discorso teorico..

    Rinascimento. Le idee di Lullo sono riprese nel Rinascimento dal cardinale Niccolò Cusano (†1464), che in qualità vescovo-principe di Bressanone, dopo la caduta di Costantinopoli scrisse l’opera De pace fidei (1453), nella quale pose in risalto gli elementi comuni delle tre religioni monoteistiche. Per Cusano Dio è inconoscibile e ineffabile. Nelle varie epoche della storia del mondo, Dio ha inviato agli uomini dei profeti per dare loro insegnamenti. Le pratiche religiose (l’autore parla di “riti”) che ne costituiscono il risultato, condizionate nelle diverse religioni dal contesto storico, furono considerate dagli uomini come verità assoluta.

    La pace tra le religioni è possibile se gli uomini si rendono conto che dietro le varie forme di pratica religiosa vi è un unico Dio. Queste forme trovano la loro giustificazione in quanto tentativi di avvicinamento al Dio inconoscibile e devono essere pertanto tollerate (anche le non cristiane). La posizione di Cusano, tuttavia, non sfocia nell’indifferentismo: occorre avvicinare a coloro che professano un’altra fede l’essenza del Cristianesimo a tal punto che possano riconoscervi il nucleo della propria religione. Le conclusioni raggiunte nel De pace fidei furono riutilizzate da Cusano sette anni più tardi nello scritto Cribratio Alkorani, applicate in modo specifico ancora all’Islam.

    Analogamente il filosofo fiorentino Giovanni Pico della Mirandola (†1494) si propose di formulare una conciliazione fra tutte le dottrine religiose e filosofiche. Pico nelle sue 900 tesi tentò di armonizzare le tradizioni delle tre grandi religioni monoteistiche e ritenne la Cabala particolarmente conciliabile con il Cristianesimo. Nessuna religione possiede la verità assoluta. Piuttosto una “rivelazione originale”, che sta a monte rispetto alle rivelazioni delle varie religioni, è accessibile a tutti gli uomini come philosophia perennis. Sulla base di questa convinzione egli promuove il rispetto per le altre concezioni religiose.

    Dopo la Riforma I: Tolleranza pragmatica. Nell‘antichità, nel Medioevo e nel Rinascimento il discorso della tolleranza aveva riguardato i non cristiani. In seguito però alla divisione confessionale dell’Europa causata dalla Riforma, l’orientamento cambiò. Il vivere accanto a cristiani di “altre confessioni” conferì al concetto di tolleranza religiosa una dimensione pragmatica e divenne un elemento fondamentale della ragione di stato. I principi sanciti dalla Pace di Augusta nel 1555, ratificati nella loro sostanza dalla Pace di Westfalia del 1648 (e validi anche nei principati vescovili di Trento e Bressanone) costituirono il modello per le normative successive. Dal momento che né i dialoghi sull’unità né le guerre di religione avevano risolto la questione confessionale, con tali accordi si garantì una convivenza pacifica fra persone mediante un complesso di strumenti politico-legali, senza che si giungesse già ad una asserzione di principio riguardo alla tolleranza nei confronti di quanti professavano una fede diversa, e senza che fossero compresi tutti i gruppi religiosi.

    Lo stesso vale per l’Editto di Nantes (1598), che in Francia riguardava gli ugonotti calvinisti (ma non i luterani), e per il Bill of Rights (1689), documento sulla base del quale vennero protetti i gruppi separati dalla chiesa di stato anglicana (non però i cattolici). Un caso parallelo è rappresentato dal trattamento riservato ai Valdesi, il gruppo più numeroso di non cattolici presente in Italia. Nel 1532 il loro sinodo generale decise di aderire alla Riforma. Nell’ambito della controriforma, i duchi di Savoia perseguitarono i Valdesi. In particolare nelle Pasque piemontesi (1655) ebbero luogo scontri sanguinosi che, in seguito alle pressioni delle potenze internazionali, sfociarono nella concessione da parte del duca Carlo Emanule II di una limitata libertà religiosa ai Valdesi (Patenti di grazia del 1655). Un altro momento cruciale si ebbe con le persecuzioni del 1686. Costretti ad emigrare a Ginevra, i Valdesi dovettero difensersi. Avendo vinto contro i Piemontesi, il duca Vittorio Amedeo II di Savoia concesse loro ampia tolleranza. Le disposizioni del governo piemontese sono in linea con le normative sopra ricordate vigenti nel Sacro Romano Impero, in Inghilterra e in Francia, in quanto si tratta di insiemi di regole pragmatiche di natura politico-giuridica, ma non della tolleranza vera e propria nei riguardi di questa minoranza. Solo con le Lettere Patenti firmate dal re Carlo Alberto il 17 febbraio 1848 i Valdesi ottennero finalmente la piena libertà religiosa e la parità civile e politica. Il testo dice: “I Valdesi sono ammessi a godere di tutti i diritti civili e politici de’ Nostri sudditi … Nulla è però innovato quanto all’esercizio del loro culto ed alle scuole da essi dirette”.

    Nel Regno d’Italia, a partire dal 1861 anche altre confessioni religiose godettero di tolleranza religiosa, compresi gli ebrei ormai completamente emancipati. A Roma dopo il 1870 furono edificati numerosi edifici sacri non cattolici. Al tempo dello Stato Pontificio il culto non cattolico era stato possibile solo nelle ambasciate delle potenze straniere, come ad esempio avveniva nella cappella della legazione prussiana sul Campidoglio. Quando moriva un non cattolico a Roma, veniva sepolto nel Cimitero acattolico (l’11 ottobre 1821 il cimitero fu aperto ufficialmente con editto della Segreteria di Stato, dopo che già in precedenza vi erano state delle sepolture).

    Dopo la Riforma II: Il discorso teoretico. Se i tentativi fin qui esaminati erano ancora di natura pragmatica, tesi cioè a risolvere i conflitti politico-giuridici tra le diverse confessioni, in una seconda fase (in parte parallela) si sviluppò un nuovo dibattito teoretico sul concetto di tolleranza. Erasmo da Rotterdam (†1536) si espresse ripetutamente contro l’applicazione di misure coercitive contro gli eretici, in particolare nell’opera Moriae Encomium (1509). Sospettato nel frattempo egli stesso di eresia, durante il Sacco di Roma del 1527, ammise che i sovrani possano agire contro i rivoltosi se l’ordine pubblico è minacciato, ma senza che venga applicata la pena di morte. La condanna al rogo dell’antitrinitario Michele Serveto nella Ginevra di Calvino mostrò chiaramente che i protestanti avevano uguagliato i cattolici quanto a durezza inquisitoria. Contro tali pratiche Sebastiano Castellione (†1563), nell’opera De haereticis, an sint persequendi, sulla scorta della tradizione dimostrò che gli eretici non dovrebbero essere perseguitati (1554). A partire dal XVII secolo i diritti civili fondamentali divennero sempre più spesso prioritari rispetto alle giustificazioni teonomiche tradizionali (sono da considerare pionieri John Locke, Baruch Spinoza, Samuel von Pufendorf, e successivamente Charles de Montesquieu e Thomas Jefferson). Dove l’appartenenza al sistema statale assicurò i diritti civili, non vi fu più spazio per l’intolleranza religiosa. Locke nella sua Lettera sulla tolleranza del 1689 si riferiva ancora ai non conformisti (cristiani non appartenenti alla Chiesa anglicana) ed escludeva cattolici e atei. In modo analogo già Spinoza aveva mostrato nel suo Tractatus theologico-politicus del 1670 che è per il bene dello Stato concedere ai sudditi la tolleranza religiosa.

    Nell’Illuminismo si sviluppò l’idea di una religione razionale, la cui conseguenza logica fu un ethos della tolleranza nei confronti di appartenenti ad altre fedi (Voltaire, Gotthold Ephraim Lessing). Dopo la rivoluzione francese, con il riconoscimento anche politico dei diritti umani, la tolleranza religiosa divenne definitivamente un diritto appartenente ai cittadini in quanto tali, invece che una grazia concessa di tanto in tanto dalle autorità. La religione e la libertà di coscienza sono diritti di ogni essere umano in quanto tale. Anche se questa evoluzione fu rifiutata ancora da Gregorio XVI (Mirari Vos, 1832) e da Pio IX (Quanta Cura / Syllabus 1864), il termine tolleranza fu usato per la prima volta in senso positivo da Leone XIII: la tolleranza di altre forme di religione da parte dello Stato è consentita, se con essa può essere evitato un male maggiore (Immortale Dei, 1885).

    Fonti e Bibl. essenziale

    M. Firpo, Il problema della tolleranza religiosa nell’età moderna. Dalla riforma protestante a Locke, Torino 1978; La questione della tolleranza e le confessioni religiose. Atti del convegno di studi, Roma, 3 aprile, 1990, Napoli 1990; La tolleranza religiosa. Indagini storiche e riflessioni filosofiche, a cura di Mario Sina (= Cultura e storia 2), Milano 1991; A. Natale Terrin, La tolleranza nelle religioni di ieri e oggi, in Credere oggi 101 (1997), 47-63; G. Carobene, Tolleranza e libertà religiosa nel pensiero di Voltaire (= Classici sulla libertà religiosa 6), Torino 2000; De Pace Fidei. Die Toleranz. La tolleranza. Ein Schauspiel von Nikolaus von Kues, a cura di Philipp Steger (= SYN 6), Bressanone 2001; Wege zur Toleranz. Geschichte einer europäischen Idee in Quellen, a cura di Heinrich Schmidinger, Darmstadt 2002; F. Lomonaco, Tolleranza. Momenti e percorsi della modernità fino a Voltaire, Napoli 2005; A. Angenendt, Toleranz und Gewalt. Das Christentum zwischen Bibel und Schwert, Münster 32007; ‘Dignitatis Humanae’. La libertà religiosa in Paolo VI (= Colloquio Brescia, 24.-26.9.2004 / Istituto Paolo VI. Pubblicazioni 29), Brescia – Roma 2007; G. Salvini, La ‘Dignitatis humanae’. La libertà religiosa in Paolo VI, in La Civiltà Cattolica 159 (2008), 338-348; M. Cassese, Espulsione, assimilazione, tolleranza. Chiesa, Stati del Nord Italia e minoranze religiose ed etniche in età moderna, Trieste 2009; S. Salvadori, Sebastiano Castellione e la ragione della tolleranza. L’ars dubitandi fra conoscenza umana e veritas divina, Milano 2009; L. Sandoni (Hg.): Il Sillabo di Pio IX. Introduzione di Daniele Menozzi, Bologna, CLUEB, 2012.


    LEMMARIO