Folclore – vol. I

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    Autore: Stefano Brancatelli

    Premessa. Parlare di folclore è impresa difficile per lo storico. Avendo per dominio l’insieme delle “persistenze”, ossia le tradizioni antiche e persino arcaiche tramandate mediante scrittura, oralità e ritualità, esso è divenuto oggetto di studio dell’antropologia e dell’etnologia e solo raramente (a partire dall’école des Annales) della scienza storica che diffida del comparativismo, metodo pseudoinduttivo non poggiante sulle basi stabili delle fonti, ma solo sull’apparente similitudine di epifenomeni, sincronicamente o diacronicamente attestati. Riguardo ad alcune forme di f. la mancanza di fonti non consente di individuare eventuali continuità col passato, anche se le similitudini sono evidenti: si pensi, ad esempio, alle processioni siciliane con rami di alloro in onore dei santi, evocanti le dafneforie pagane. Anche se ciò fosse, il diverso linguaggio religioso ha comunque determinato nel corso dei secoli non solo variazioni esterne, ma soprattutto una transignificazione interiore, per cui riti apparentemente simili in contesti religiosi diversi esprimono significati polivalenti.

    Principali forme di folclore. Individuiamo, senza pretesa di esaustività, tre cicli festivi: settimana santa, mezz’estate, tempo natalizio.

    Settimana Santa. All’origine della molteplicità di questi riti vi è il teatro sacro, che a sua volta trae genesi nello spirito devoto medievale atto in tutt’Europa a compensare la sempre meno compresa ritualità liturgica. La drammatizzazione della Settimana Santa generò così due gemelli: il rito liturgico e il dramma sacro extraliturgico che nel XII secolo ebbe rapida diffusione e laicizzazione uscendo dalle mura monastiche. La visitatio Sepulchri nacque in ambito monastico inglese dapprima come tropo intraliturgico e nel X secolo come scena dialogata extraliturgica posta fra la depositio e l’elevatio crucis (et hostiae). In Italia, dentro i possedimenti spagnoli, nel XVII secolo si accentuò questa teatralità, generando abusi e provocando la reazione di alcuni sinodi post-tridentini: l’uso di mettere all’asta la chiave del “Sepolcro” il Giovedì Santo (Sinodo di Messina, 1621) o il denarium crucis (la prima moneta offerta dal Capitolo alla Croce) il Venerdì Santo o i tizzoni del fuoco nuovo la veglia pasquale (Melfi, 1635), rischiava di avallare credenze scaramantiche. Il teatro religioso ebbe il suo apogeo nelle Sacre Rappresentazioni del XVI secolo coi Gesuiti che, fra i tanti, privilegiarono soprattutto il tema della Passione. Nel 1750 si diffuse in tutta la Sicilia l’opera teatrale di Filippo Orioles “Riscatto di Adamo nella morte di Gesù Cristo” o “Mortorio di Cristo”: la ricchezza di riti folcloristici per la Settimana Santa è data dalla frantumazione e dispersione di questo dramma sacro rappresentato lungo i sette giorni o solo parzialmente. È il caso delle deposizioni dalla croce della statua del Cristo morto nel sepolcro, o delle cene parlanti, come quella ancor oggi posta in essere il giovedì Santo nella Chiesa di S. Fratello (ME) in Sicilia, col sacerdote nei panni di Cristo. In diversi luoghi il Venerdì Santo è inscenato il funerale di Cristo, al pari dell’Entierro spagnolo, mediante processioni “penitenziali” (alla presenza di penitenti incappucciati detti babbaluti o di flagellanti detti vattienti) e/o “drammatiche” con gruppi statuari (Misteri) o viventi. Diffusissime sono la notte di Pasqua la “calata del telone” dinanzi alla statua del Risorto, che ben rende l’evento epifanico della Risurrezione, e il giorno dopo la rappresentazione della cerca e dell’incontro della Madonna, avvolta nel velo nero del lutto, col Figlio sinché, al cadere del manto, lo riconosce Risorto: il dramma sacro ha così il suo epilogo. A Prizzi (PA), sempre in Sicilia, tale rappresentazione è accompagnata dall’abballu di li diavuli: alcuni uomini in rosso (i demoni) ed uno in giallo (la morte) tentano di frapporsi per tre volte all’incontro della Madonna col Risorto sino a che, alla fine, vengono uccisi dalle spade degli angeli. E’ evidente l’allusione allegorica al peccato ed alla morte sconfitti dal Risorto, retaggio della sacra rappresentazione detta Diavolata ed Angelicata scritta nel 1752 da Anselmo Laudani. Ancor più originale a San Fratello (ME) è la festa dei Giudei: centinaia di uomini incappucciati e vestiti con una giubba giallo-rossa disturbano i riti devoti dei fedeli col suono di trombe. Lo stesso folclorista G. Pitré, nel descrivere questa manifestazione, la giudicava con disprezzo: in realtà, lungi da essere carnascialesca, essa è una sorta di “canone inverso”, di adynaton tra due forme, quella orante e quella di disturbo, ad evocare il binomio rifiuto-accoglienza del mistero di Cristo da entrambe rappresentato.

    Mezz’estate. Il 24 giugno, solstizio di estate, presenta tradizioni arcaiche, alcune delle quali inculturate cristianamente con la festa del Battista, altre combattute come superstiziose in epoca post-tridentina. I rituali, diffusi in tutta Europa, erano di svariato tipo e legati al comparatico, ai fuochi notturni, ai bagni rituali, alla raccolta della rugiada (Sinodo di Ferrara, 1612 etc.) da utilizzare per l’impasto del pane ricavato dalle spighe mietute quel giorno (Crema, 1590) o per impregnare i panni contro le tarme (Urbino, 1678) e, ancora, alla ricerca di erbe (Napoli, 1576; Gerace, 1651 etc.), al suono ininterrotto notturno delle campane (Treviso 1581; Vicenza, 1647; Pinerolo, 1714 etc.), agli auspici di matrimonio (Montalcino, 1675; Otranto, 1641 etc.). In Piemonte, diversi sinodi condannarono l’usanza di cospargersi di rugiada, di praticarsi il salasso (Vercelli, 1576) e di preparare infusi di noci. In Sicilia ad Alcara li Fusi (ME) caratteristica è la festa del “Muzzuni”: la notte di S. Giovanni, dopo la processione della testa del Battista, ogni quartiere prepara un “altarino” con una brocca mozzata (muzzuni) riempita di spighe ed adorna di gioielli. Davanti ad essa si canta per tutta la notte e ci si lega col comparatico (ossia lo scambio di promesse, di fiori e di confetti), alla cui pratica, a mio avviso, ancor più che a presunti culti di fertilità precristiana, tale rito è legato. Pitré (Spettacoli e feste, 297) descrive l’uso allora presente a Caccamo (PA) ma oramai scomparso, per cui da due brocche rotte, dette muzzuni, una per gli uomini ed una per le donne, si estraevano i nomi delle coppie di compari e comari. Qualcosa di simile avveniva in Sardegna, come attesta il gesuita A. Bresciani (Dei costumi dell’isola di Sardegna comparati con gli antichissimi popoli orientali, Uffizio della Civiltà Cattolica, Napoli 1850, 270-271): le giovani a cui gli uomini avevano chiesto di diventare comari per tutto l’anno, alla fine di maggio piantavano grano o orzo in vasi di sughero, detti Erme o Nenneri, riempiti di terra, fatti fermentare nel buio e rotti il 24 giugno contro la porta della chiesa a suggellare la promessa di comparanza. Ad Ozieri (SS) l’erma, ornata di nastri, veniva posta sul davanzale rivestito di drappi colorati. Il Bresciani stesso collega questi vasi di germogli di frumento eziolato – in molti paesi del meridione collocati il giovedì santo presso gli altari della Reposizione e che ad Alcara corredono il Muzzuni – al rito precristiano dei cosiddetti “giardini di Adone”.

    Tempo natalizio. Oltre l’antica usanza di accendere fuochi, diffusa è la preparazione alla solennità del Natale mediante nove giorni di celebrazioni in chiesa, spesso accompagnate da manifestazioni esterne. A questa dimensione extraliturgica si prestarono novene cantate, aventi diverse tipologie (Pastorali, Ninnenanne etc.): sono i cosiddetti “canti degli orbi”, canzoni popolari a sfondo religioso attestate nel 1661 a Palermo allorché i cantastorie ciechi si riunirono nella congregazione dell’Immacolata Concezione sotto la guida dei Gesuiti. Un originalissimo tipo di novena che si diffuse in tutta la Sicilia a partire dal XVIII secolo, ed ancora presente in numerosi centri, è il “Viaggio doloroso di Maria Santissima e del patriarca S. Giuseppe” di Biniditto Annolero, pseudonimo anagrammatico di Antonino Diliberto di Monreale: Pitré (Notizie sulle rappresentazioni in Sicilia, in “Archivio storico siciliano” (1876) 176-177) riporta che per nove giorni per strada questi cantastorie cantavano alternamente la leggenda poetica delle vicende del viaggio dei genitori di Gesù da Nazaret a Betlemme, prestando voce uno a San Giuseppe, l’altro a Maria o al narratore. Non è mai stata effettuata una ricerca storica sulla fonte da cui avrebbe attinto Annolero: se ne è ipotizzata l’origine nelle laudi medievali, nelle “omelie dialogate” bizantine, nei “misteri medievali” (F. Conigliaro – A. Lipari – C. Scordato, Narrazione, teologia, spiritualità del Natale, San Martino delle Scale 2004, 35). In realtà, il testo è collegato all’ambito francescano del Seicento, con evidenti assonanze tematiche e lessicali con “La mistica città di Dio” di Suor Maria di Gesù di Agreda, testo diffuso nel regno di Napoli e nei possedimenti aragonesi latino-americani. Annolero quindi trasformò in canto questo scritto: si noti come in Messico una simile ritualità per le strade sia ancor oggi legata alle festività natalizie mediante la rinomata Posada, mentre in Colombia il testo della suora venne trasformato anch’esso in novena, ma stavolta recitata in chiesa. Concludiamo questa elencazione di usanze con una pratica oggi scomparsa ma un tempo diffusissima in tutta Europa e soprattutto in Germania ed in Francia il 28 dicembre per la festa dei Santi Innocenti: consisteva nel vestire con paramenti episcopali (mitria, croce pettorale, pastorale etc.) un ragazzo detto nel Canavese Abate degli Innocenti ed altrove Episcopello o Vescovello. Deplorata sin dal Concilio di Cognac (o copriniacense) del 1260 e da quello di Basilea del 1431 al canone 21, l’usanza è ancora in Italia condannata (De episcopello tollendo) da alcuni sinodi siciliani (Patti, 1537; Catania, 1668), piemontesi (Torino, 1547 etc.), pugliesi (Trani e Salpi, 1589). Pitré (Spettacoli e feste, 137) dice che già dai vespri del 27 sino al 28 dicembre di ogni anno, l’episcopello, assistito da altri coetanei, parodiava in chiesa il ministero episcopale, proclamando il Vangelo e predicando, sino a percorrere poi le principali strade cittadine benedicendo la folla. Fortemente osteggiata, tale consuetudine perdurò a Palermo sino alla seconda metà del XVI secolo e a Catania sino al 1736. Ultimamente è stata ripristinata in centri della Spagna ed in particolare della Catalogna.

    Conclusioni. Se è soprattutto a partire dal periodo controriformistico che si è iniziato a guardare con sospetto a forme di f. sino ad allora tollerate se non apprezzate, per radicare la fede in contesti popolari, oggi in ambito ecclesiale si è ricompreso come esse, quando non cadono nell’esperienza del magismo o della superstizione, non è detto che indulgano al folclore (in senso dispregiativo) o che contaminano la fede che esprimono, bensì al contrario raccontano il modo stesso con cui la fede si è incarnata in un determinato territorio e, come tali, oltre che come facenti parte del patrimonio culturale di un popolo, debbano essere tutelate e valorizzate.

    Fonti e Bibl. essenziale

    G. Di Marzo (ed.), Drammatiche rappresentazioni in Sicilia e poesie di autori siciliani dal secolo XVI al XVII, in Biblioteca storica e letteraria di Sicilia, I, Palermo 1876; G. Pitré, Spettacoli e feste popolari siciliane, in Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane, XII, L. Pedone Lauriel, Palermo 1881 (ristampato da Forni, Bologna 1980); I. Carini, L’episcopello nel Medio Evo, Tip. Sociale, Roma 1887; B. Rubino, Folklore di San Fratello, A. Reber, Palermo 1914; Id., La lavanda dei piedi à San Fratello: ultime sacre rappresentazioni in Sicilia, in “Il folklore italiano” 1 (1925); C. Corrain – P. Zampini, Documenti etnografici e folkloristici nei Sinodi Diocesani italiani, Forni editore, Bologna 1970 (ristampa anastatica di interventi in “La palestra del clero” dal 1964 al 1967); E. Guggino, I canti degli orbi. I cantastorie ciechi a Palermo in I quaderni di Zu Rusalinu, I-II-III, Palermo 1980-1981-1988; S. Mangione (ed.), La coena Domini a S. Fratello. Dalla tradizione orale un testo poetico e misterioso, Coop. Regina Adelaide, Troina 1984; A. Plumari, Le espressioni di religiosità popolare della Settimana Santa in Sicilia, Città aperta, Troina 2009; Discografia: E. Guggino – G. Garofalo (edd.), I cantastorie ciechi a Palermo, disco Albatros VPA 8491, Milano 1987; M. Sarica – N. Lo Castro (edd.), A cantata di li pasturi, CD Ethnica TA008, Firenze 1993, 20002.


    LEMMARIO