Pieve – vol. I

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    Autore: Tommaso di Carpegna

    Derivato dal latino plebs (popolo), il termine ha tre significati correlati: una comunità di battezzati, un edificio di culto provvisto di fonte battesimale, il distretto di pertinenza questa chiesa. Durante l’evangelizzazione fra tarda antichità e alto medioevo, si svilupparono comunità periferiche di credenti che avevano come nodi le chiese battesimali sparse nelle campagne. Queste ebbero in genere il nome di parrocchie, ma in Italia centrosettentrionale e in Corsica furono chiamate pievi. Il limite meridionale della loro presenza, già ritenuto corrispondente all’asse Viterbo-Chieti, è stato spostato dalla ricerca contemporanea fino a comprendere anche l’area salernitana e beneventana. Il resto d’Italia meridionale e insulare non conobbe invece questa forma di organizzazione del territorio.

    Le prime pievi sono attestate in Toscana – almeno come termine impiegato nella documentazione – alla fine del VII secolo e si diffondono in tutta l’Italia centrosettentrionale nel corso dei tre secoli seguenti, costituendo i gangli fondamentali, soprattutto a partire dalle riforme del periodo carolingio, di un articolato sistema di gestione e controllo del territorio rurale. Differentemente dalle numerose chiese e cappelle fondate da privati, la pieve era una chiesa pubblica, sottoposta – almeno in termini di diritto – direttamente al vescovo e affidata a un collegio di chierici retto da un arciprete. Essa aveva una propria circoscrizione ricavata all’interno della diocesi, entro la quale esercitava le prerogative di chiesa matrice sul popolo abitante nell’area, che doveva ricevervi il battesimo, corrispondere le decime e le primizie e accorrere in occasione delle festività maggiori. All’interno del distretto plebano (detto anche piviere e pievania), le cappelle, gli oratori e gli altri edifici di culto (qualora non fossero stati resi esenti) dipendevano dalla pieve e dal suo clero e non godevano dei diritti parrocchiali. Esistevano anche pievi cittadine, con funzioni di matrice, distinte rispetto a quelle della cattedrale: per esempio ad Arezzo.

    Questa organizzazione fu tipica dell’alto medioevo, fino al secolo XI compreso, quando erano pienamente in essere i sistemi abitativi e gestionali delle curtes (in area franco-longobarda) e dei fundi (in area bizantina), nei quali le grandi proprietà fondiarie erano spesso non compatte e in cui la principale forma di insediamento nelle campagne era ancora l’abitato sparso, cosicché le cappelle private non erano in grado di acquisire ampie funzioni pastorali e di cura d’anime. La pieve, al contrario, funzionava proprio come centro di raccordo e di raccolta di una popolazione che, sparpagliata in villaggi e case isolate, vi confluiva per ricevere il battesimo: per questa ragione, l’edificio sacro si trovava spesso lungo una importante via di comunicazione, o sulle sponde di un fiume, o nel fondovalle. Da ciò scaturisce la questione, molto dibattuta dalla storiografia, se le pievi siano o meno da considerarsi come prosecuzione diretta, in senso istituzionale e finanche topografico, degli antichi pagi romani. La risposta che è stata data è articolata, occorrendo distinguere tra l’area bizantina, dove la continuità è riconoscibile, e l’area franco-longobarda, dove le cesure sono più evidenti (Castagnetti); ma in effetti tale correlazione va sottolineata, almeno dal punto di vista tipologico, in quanto sia il pagus che la pieve rispondevano ad esigenze insediative analoghe.

    Il sistema per pievi cominciò a entrare in crisi nel corso del secolo XI, quando la formazione delle signorie territoriali di banno e l’incastellamento sempre più diffuso mutarono profondamente i sistemi abitativi, che divennero sempre più accentrati. Dall’inizio del XII secolo le chiese castrali, a volte sostenute dal signore del luogo, presero a rivendicare con sempre maggior determinazione alcuni diritti parrocchiali (messa pubblica festiva, penitenza privata, decime, cimitero e diritti di sepoltura), dando vita a conflitti molto accesi con i collegi dei chierici della pieve. In alcune zone, come nel Lazio, l’incastellamento provocò la definitiva scomparsa del sistema plebano e l’attribuzione di tutti i diritti parrocchiali alle chiese di castello. Nel resto dell’Italia centrosettentrionale, invece, il fenomeno della rivendicazione dei diritti parrocchiali complicò il quadro gerarchico, comportando la creazione delle parrocchie come elemento intermedio tra la sede cattedrale e la pieve. Quest’ultima non fu peraltro esautorata, continuando invece a mantenere la funzione di chiesa battesimale e di centro di raccordo, ora non più di cappelle, ma di parrocchie. Il sistema fu reso ancora più complesso dal fatto che i comuni cittadini, nella fase di conquista del contado operata spesso ai danni del vescovo e dei signori rurali, assunsero come proprio il reticolo delle pievi: soprattutto in Toscana e nella Pianura Padana, i pivieri divennero circoscrizioni amministrative con le quali la città si proiettava nel distretto. La crisi, dovuta alle nuove forme di insediamento (borghi franchi e “ville nove”), ai nuovi indirizzi della pastorale, che insistevano sulla necessità di un frequente accesso ai sacramenti, e soprattutto alle nuove forme di devozione popolare, indirizzata verso altri luoghi di culto, portarono al tramonto del sistema delle pievi. Durante i secoli XIII e XIV il sistema per parrocchie – detentrici di tutti i diritti legati alla cura d’anime e provviste di un clero stabile e residente – si andò sostituendo un po’ dovunque. Ciononostante, in alcune aree periferiche – come per esempio nel Montefeltro – il sistema più antico sopravvisse durante tutta l’età moderna.

    La storiografia sulle pievi nasce dal principio del secolo XX. Oltre alle robuste indagini in campo storico-artistico (essendo spesso le pievi edifici di notevole importanza), fu inizialmente privilegiata la storia del diritto, cui nel corso dei decenni si è andato affiancando l’interesse per la storia economica, istituzionale, ecclesiologica e devozionale. Numerosissimi sono inoltre gli studi di storia regionale e locale.

    Fonti e Bibl. essenziale

    Le istituzioni ecclesiastiche della «Societas Christiana» dei secoli XII-XIII. Diocesi, pievi, parrocchie, Atti della Sesta settimana internazionale di studio, Milano 1-7 settembre 1974, Vita e Pensiero, Milano 1977; A. Castagnetti, L’organizzazione del territorio rurale nel medioevo: circoscrizioni ecclesiastiche e civili nella Langobardia e nella Romania, Patron, Bologna 1979 Pievi e parrocchie in Italia nel basso medioevo (sec. XIII-XV), Atti del VI Convegno di storia della Chiesa in Italia, Firenze 21-25 settembre 1981, Herder, Roma 1984; L. Mascanzoni, Pievi e parrocchie in Italia. Saggio di bibliografia storica, 2 voll., Dipartimento di Paleografia e Medievistica dell’Università di Bologna, Bologna 1988-1989; R. Salvarani, Pievi del Nord Italia: cristianesimo, istituzioni, territorio, Banco Popolare – Gruppo Bancario, Verona 2009; E. Curzel (ed.), L’organizzazione ecclesiastica nelle campagne, in Reti medievali. Repertorio, 2010, http://fermi.univr.it/rm/repertorio/rm_curzel_organizzazione_ecclesiastica_nelle_campagne.html (cons. aprile 2012).


    LEMMARIO