Ordini mendicanti – vol. I

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    Autore: Felice Accrocca

    Gli Ordini mendicanti ebbero origine variegata: Domenico di Calaruega dette subito ai Frati Predicatori una chiara impronta apostolica, a differenza di Francesco d’Assisi, che nel Testamento vietò ai Frati Minori di richiedere privilegi in funzione di una loro azione pastorale; Carmelitani e altri gruppi che poi confluiranno a formare l’Ordine agostiniano spiccavano, invece, per una chiara impronta eremitico-contemplativa. Nondimeno, anche per il chiaro indirizzo impresso dalla Sede Apostolica, in breve finirono tutti per omologarsi e la scelta della povertà sia personale che comunitaria, la vita in fraternità, l’apostolato attivo in ambito urbano, l’impegno intellettuale e l’insegnamento divennero denominatori comuni.

    Frati Predicatori e Minori ebbero origine sotto Innocenzo III, ma una loro conferma da parte pontificia si ebbe solo con Onorio III, che nel 1216 prese sotto la protezione di san Pietro la chiesa di S. Romano di Tolosa e nel 1223 approvò la Regola di Francesco. Fu però Gregorio IX il primo papa a scommettere con determinazione sulle nuove formazioni religiose, immettendole sempre più nell’attività pastorale. Il vero motivo del loro successo fu la scelta della città quale campo di apostolato, una scelta alla quale il monachesimo – per sua natura – non poteva far fronte; inoltre gli Ordini mendicanti avevano una struttura di governo centralizzata, ciò che consentiva loro di muoversi con un’agilità e un’efficacia superiore rispetto al passato. All’inizio il pontefice sembrò assegnare campi diversi ai due Ordini: ai Minori prevalentemente la riforma all’interno della Chiesa, ai Predicatori la lotta antiereticale. Ben presto, però, i piani finirono per incrociarsi e sovrapporsi e tanto i Predicatori quanto i Minori furono impegnati nell’attività inquisitoriale.

    Sotto i pontificati di Innocenzo IV e Alessandro IV assunsero forma definitiva anche le altre famiglie mendicanti. Alcuni eremiti stabilitisi sul monte Carmelo ricevettero un propositum vitae da Alberto, patriarca di Gerusalemme, tra il 1206 e il 1214; l’Ordine della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo fu confermato poi da Onorio III il 30 gennaio 1226. Emigrata in Occidente a motivo dell’incertezza politica dominante nella regione, la piccola famiglia ricevette una configurazione mendicante da Innocenzo IV, che nel 1247 ne adattò la Regola.

    Pure l’Ordine degli Eremitani di sant’Agostino ebbe origine da diversi gruppi eremitici dell’Italia centro-settentrionale. Sollecitato anche dalla richiesta di alcuni di essi, il 16 dicembre 1243 Innocenzo IV decretò l’unione (lettera Incumbit nobis) sotto la Regola di Agostino, di vari gruppi di eremiti toscani. Sostenuta dal favore della Sede Apostolica, la nuova famiglia ricevette forma definitiva sotto Alessandro IV, con la Magna unio del 1256 (lettera Licet Ecclesiae Catholicae), che raggruppò gli Eremitani di sant’Agostino e di san Guglielmo, gli eremiti di Brettino e di Montefavale e il gruppo degli eremiti di Giovanni Bono (Guglielmiti ed eremiti di Montefavale, tuttavia, finiranno per seguire presto vie proprie).

    Impronta eremitica, con forti venature pauperistiche, aveva in origine anche l’Ordine dei Servi di Maria, sorto per iniziativa di un gruppo di laici (i sette santi fondatori), appartenenti a una formazione penitenziale sulla quale aveva esercitato il suo influsso il domenicano Pietro da Verona (†1252). Approvati in un primo momento da legati di Innocenzo IV (1249-1250), furono poi confermati dallo stesso pontefice (1251-1252) e, in seguito, da Alessandro IV (1256).

    Pure i Servi di Maria, come già i Domenicani, adottarono la Regola di Agostino, alla quale affiancarono proprie costituzioni: fu però la legislazione domenicana a fare scuola, influendo sulla legislazione dei nuovi Ordini religiosi. L’impronta domenicana sugli altri Mendicanti fu evidente anche nell’ambito della vita liturgica e dell’organizzazione degli studi. Nel terzo quarto del Duecento, mentre gli Ordini ‘maggiori’ sostenevano una difficile battaglia contro il clero secolare, anche gli Ordini ‘minori’ s’inserirono sempre più nell’attività pastorale: la tensione crebbe, al punto che si rese necessario affrontarla espressamente in un Concilio ecumenico.

    Nel 1274 il Concilio di Lione II decretò quindi la soppressione di tutti gli Ordini sorti dopo il Concilio Laternanense IV (1215) privi di conferma pontificia e la naturale estinzione di altri che pure l’avevano ricevuta: tuttavia, in ragione della loro “manifesta utilità” per la “Chiesa universale”, tali decisioni non riguardarono Frati Minori e Frati Predicatori, insieme ai quali riuscirono a sopravvivere anche Carmelitani ed Eremitani di S. Agostino che – dopo un’iniziale sospensione – ottenennero l’approvazione da Bonifacio VIII nel 1298. Dal loro canto, i Servi di Maria – non nominati nei decreti del II Concilio di Lione – furono definitivamente approvati da Benedetto XI nel 1304 (lettera Dum levamus): a quel tempo l’Ordine contava 31 conventi, 27 dei quali nel centro e nel nord Italia.

    Chiusa positivamente la lunga battaglia per l’esistenza, gli Ordini mendicanti poterono finalmente dispiegare la propria attività d’insegnamento, di predicazione, di ministero pastorale, con una presenza nel territorio che – soprattutto per l’ampia diffusione del mondo francescano – non ha avuto eguali tra le altre famiglie religiose. Nella seconda metà del ’200 crebbe anche il loro inserimento nella gerarchia ecclesiastica, al punto che i Predicatori, con Innocenzo V (1276), e i Minori, con Niccolò IV (1288), salirono sulla cattedra di Pietro.

    Ordine dei Predicatori. Impegnati principalmente nello studio e nell’insegnamento, i frati s’inserirono in tutti i campi correlati a tale attività: alla metà del Duecento erano già dispersi in ogni parte d’Europa (occidentale e orientale), dell’Africa del Nord, del Medio Oriente, dell’Asia; nel 1303 l’Ordine contava circa 10.000 frati, distribuiti in 590 case, divise tra 18 province. Teologi domenicani furono protagonisti nelle sedute dei grandi Concili, composero opere di grandissima diffusione (si pensi, ad esempio, allo Speculum Historiale di Vincenzo di Beauvais e alla Legenda aurea di Jacopo da Varazze o alle opere di Domenico Cavalca e Jacopo Passavanti), guidarono l’attività inquisitoriale, motivo quest’ultimo, di frequenti ostilità e ritorsioni nei loro confronti. Una chiara rappresentazione della raggiunta autocoscienza dell’Ordine si ha nell’esaltazione che ne fece Andrea di Bonaiuto nell’affresco della Chiesa militante e trionfante in S. Maria Novella a Firenze: i frati domenicani (cani bianchi pezzati in nero: domini canes) difendono il popolo cristiani (agnelli) dalla minaccia degli eretici (lupi).

    La difficile situazione della Chiesa nel Trecento, aggravata dalla peste nera e culminata nello Scisma d’Occidente, segnò anche la vita dei Predicatori, con un allentamento della vita comunitaria e della pratica della povertà, minacciata soprattutto dal diffondersi di varie forme di possesso individuale. Sotto il governo di Raimondo da Capua (†1399), discepolo prima ancora che direttore spirituale e confessore di Caterina da Siena, prese avvio un’attività di riforma che in Italia trovò concreta attuazione con l’opera di Giovanni Dominici (1357-1419). Le decisioni di Sisto IV (1475 e 1478), poi confermate dal Concilio di Trento, disciplinarono infine la pratica della povertà, escludendo ogni proprietà privata e concedendo invece ai conventi di possedere beni e rendite fisse.

    La lotta contro il luteranesimo impegnò notevoli energie nel corso del ’500, evidenziando le doti di molti polemisti; tutto ebbe evidenti contraccolpi nelle aree d’infuenza della Riforma, con una drastica riduzione della presenza domenicana nelle province del centro e del nord Europa. Spina dorsale dell’Ordine rimasero dunque italiani e spagnoli, che improntarono l’espansione missionaria del nuovo mondo (spagnoli) e diedero un contributo notevole al Concilio di Trento, favorendo anche la diffusione della dottrina ivi definita con il Catechismo Romano.

    Nell’epoca post-tridentina l’Ordine raggiunse la sua massima espansione numerica, anche se le pressioni delle potenze e dei governi secolari, oltre all’accanirsi di dispute dottrinali interne alla Chiesa, non giovarono troppo alla vita spirituale. Immune dalle soppressioni che investirono gran parte d’Europa nella seconda metà del ’700, in Italia l’Ordine non riuscì ad evitare la soppressione napoleonica, mentre si accendeva un’altra questione che avrebbe potuto minarne l’unità: Pio VII, infatti (lettera Inter graviores, 1804), sottoposto alla pressione del re di Spagna, per consentire l’alternanza di spagnoli e ‘romani’ alla guida suprema dell’Ordine, aveva portato a 6 anni la durata in carica del maestro generale, che fino a quel momento era stata a vita; la scissione fu tuttavia evitata e nel 1872 Pio IX revocò la lettera del suo predecessore.

    Ordine dei Minori. Dopo il 1274 crebbe il dibattito interno in merito alla fedeltà dei frati alla volontà del fondatore, sfociato poi in aspri conflitti sotto il pontificato di Giovanni XXII (1316-1334). La lotta interna si trasformò infine in una lotta con il papato quando Giovanni XXII dichiarò (lettera Cum inter nonnullos, 1323) eretica la tesi dell’assoluta povertà di Cristo e degli Apostoli: le più alte gerarchie dell’Ordine, che in precedenza avevano condannato le insubordinazioni degli Spirituali, si ribellarono quindi apertamente al pontefice alleandosi con la fazione imperiale di Ludovico il Bavaro.

    Queste evidenti difficoltà non devono comunque far dimenticare che, grazie al coraggio di grandi missionari (Giovanni da Pian del Carpine era giunto in Asia molto prima di Marco Polo), l’Ordine si era ormai ramificato in tutto il mondo allora conosciuto: secondo il Provinciale vetustissimum, nel 1334 contava 35 Provincie, 5 Vicarie, quasi 1.500 conventi. Intanto riprendevano vigore le antiche inquietudini degli Spirituali – elemento ricorrente della storia francescana –, nel movimento dell’Osservanva, che riuscì a trovare positiva accoglienza grazie anche a una serie di fattori concomitanti, non ultimi gli sconvolgimenti prodotti dalla grande peste del 1347-1350, interpretata da molti come un segno apocalittico. Alla morte di Paoluccio Trinci (1309-1391), iniziatore del movimento, la ‘riforma’ Osservante contava ancora poche decine di religiosi: all’inizio essa aveva optato per l’eremo, ma in seguito s’immerse decisamente nelle realtà urbane, grazie soprattutto alla svolta impressa da Bernardino degli Albizzeschi (1380-1444), che nel 1412-1413 lasciò l’eremo del Colombaio presso Siena, per gettarsi a capofitto nella predicazione.

    Gli Osservanti conquistarono pian piano la loro autonomia dal resto dell’Ordine (Conventuali). Divisi in due Vicarie (Ultramontana e Cismontana), erano presieduti da due vicari generali, che dovevano però essere confermati dall’unico ministro generale dell’Ordine: tale situazione fu definitivamente varata da Eugenio IV (lettera Ut sacra, 1446), sotto il cui pontificato l’Osservanza fu colmata di una serie impressionante di privilegi. I Conventuali tentarono di reagire e la situazione sembrò ribaltarsi al tempo di Sisto IV (1471-1484), papa proveniente dalle loro stesse fila. Tuttavia, grazie anche al favore di cui godeva presso vari principi, l’Osservanza riuscì a resistere e d’allora in poi furono i Conventuali a doversi difendere. In effetti, fu soprattutto per la capacità di espansione dell’Osservanza che il francescanesimo impresse la propria orma sulla vita religiosa e sociale del ’400 (rilevante, in proposito, l’invenzione dei Monti di Pietà e dei Monti frumentari).

    Infine sotto Leone X, nel 1517, si giunse alla definitiva separazione tra Conventuali e Osservanti (lettera Ite vos, eufemisticamente detta ‘bolla di unione’). Eppure anche nell’Osservanza covava, da tempo, un moto d’insoddisfazione che portò alla nascita della riforma dei “Frati Minori della vita eremitica”, detti poi Cappuccini, sanzionata da Clemente VI nel 1528 (lettera Religionis zelus). In seguito e ancora a lungo (fino al XIX secolo) si diffusero inquietudini all’interno dell’Osservanza e degli stessi Conventuali che portarono allo sviluppo di altri gruppi di riforma, dando vita a tensioni evidenti.

    I Conventuali, mortificati dalle decisioni del 1517, dovettero subire nuovi colpi nel corso del XVI secolo: nel 1566 e 1567 Pio V, dietro petizione dei rispettivi sovrani, soppresse l’Ordine in Spagna e in Portogallo, incorporandolo all’Osservanza. Il papa conventuale Sisto V (1585-1590) cercò di aiutarli come poté, anche sostenendo i vari tentativi di riforma, e per questo offrì protezione ai Conventuali riformati, che però nel secolo seguente vennero definitivamente soppressi. Nel 1625 il Capitolo generale promulgò delle nuove Costituzioni, poi confermate da Urbano VIII nel 1628, che ressero l’Ordine per lungo tempo, conferendogli la sua moderna fisionomia. Fedeli alla propria tradizione, i Conventuali si distinsero negli studi.

    I Cappuccini, nel Capitolo romano del 1536 vararono le Costituzioni che – con successivi aggiustamenti – rimasero in vigore per oltre quattro secoli. Dopo un inizio di vita eremitica, l’Ordine s’immise più decisamente nell’apostolato; superate le difficoltà determinate dall’apostasia di Bernardino Ochino, nel 1564 ottenne un proprio cardinale protettore, cessando infine di dipendere dal maestro generale dei Conventuali nel 1619. Suoi principali settori di apostolato furono la predicazione e il ministero del confessionale, grazie ai quali conquistò fiducia, simpatia e stima in larghe fasce di popolazione. All’inizio sospettosa verso gli studi, la riforma cappuccina finì pian piano per condividere – almeno su questo aspetto – le tesi degli Osservanti.

    Nel complesso, i francescani non furono mai così numerosi come nel XVIII secolo, ma le ricorrenti tensioni interne e un evidente rilassamento (comune a tutte le famiglie) produssero anche germi di dissoluzione. La minaccia più grande, tuttavia, giunse dall’esterno: le soppressioni napoleoniche e le esclaustrazioni di epoca liberale produssero una drastica riduzione del numero dei frati e danni incalcolabili al patrimonio, anche librario e documentario.

    Ordine degli Eremitani di sant’Agostino. Grazie al cardinale Riccardo Annibaldi, che per un trentennio fu la vera guida dell’Ordine, gli Agostiniani s’erano insediati a sud di Roma sin dal 1273. Con Niccolò IV, poi con Celestino V e Bonifacio VIII essi guadagnarono progressivamente l’esenzione dagli ordinari diocesani, completata infine da Clemente VI (lettera Ad fructus uberes, 1347). Nel 1295 l’Ordine contava già 16 province, che nel 1329 erano salite a 24, con una diffusione che abbracciava tutta l’Europa, la Terra Santa e le isole del Mediterraneo. Gli Eremitani si dedicarono soprattutto all’attività intellettuale, grazie anche all’influsso esercitato, fra XIII e XIV secolo, da Egidio Romano (†1316). La crisi del Trecento non risparmiò l’Ordine, generando però anche energie riformatrici: a partire dal 1387, alle province si affiancheranno le congregazioni, che finirono per raggrupparsi in congregazioni di Osservanza e di Scalzi.

    Alla grande peste fece seguito (ma fu problema comune a tutti gli Ordini mendicanti) una poco vigile accoglienza dei nuovi candidati; la difficile situazione della Chiesa, vessata dallo scisma, finì per rendere tutto più difficile, al punto che i priori generali si decisero a rendere indipendenti dai singoli provinciali le congregazioni di Osservanza, sottomettendole al loro governo diretto: inutilmente Eugenio IV tentò di riunirle sotto la guida di un unico rettore. Nonostante la crisi, non mancarono figure di alto livello culturale, come l’umanista Andrea Biglia (†1435 ca.); in quegli anni consumò la sua vicenda terrena Rita da Cascia (†1456), il cui culto ha conosciuto una straordinaria diffusione in Italia.

    I secoli XVI-XVIII furono caratterizzati invece da un’invidiabile fioritura, non solo numerica: fra 1650 e 1750 gli Agostiniani, compresi gli Osservanti, avevano in Italia oltre 800 insediamenti; alla metà del secolo XVIII l’Ordine contava oltre 20.000 frati, più di un terzo in Italia. A dispetto delle tensioni con il resto dell’Ordine, ebbe una grande diffusione la riforma degli Scalzi, i quali emettevano un quarto voto di “umiltà”: eretta a Napoli nel 1593, s’irradiò anche nell’Europa centro-orientale. Le soppressioni ottocentesche decimarono gli Agostiniani, che alla fine del secolo erano ridotti del 90% rispetto a poco più di cent’anni prima.

    Ordine della Beata Vergine Maria del monte Carmelo. L’Ordine fu definitivamente confermato da Bonifacio VIII (1298) e Giovanni XXII (1317 e 1326). Alla crisi del ’300 seguì il fiorire dei movimenti di riforma, tra i quali si distinse la congregazione poi detta Mantovana, che ebbe anche notevoli dispute con i priori generali e fu poi riunita all’Ordine da Pio VI (1783); notevole attività riformatrice esplicò anche il priore generale Giovanni Soreth (†1471): i diversi tentativi, proseguiti nel secolo seguente da alcune grandi figure di priori generali, faticarono tuttavia a produrre frutti duraturi.

    Esplose quindi la riforma teresiana: nel 1562 Teresa d’Avila (1515-1582) fondò il primo monastero di Carmelitane Scalze, maturando l’idea di avere dei frati idonei alla guida spirituale delle sue monache; nel 1568 fu così inaugurato il conventino di Duruelo, presso Avila, che ebbe tra i primi abitatori il giovane sacerdote Giovanni della Croce (1542-1591). Gli Scalzi acquisirono progressivamente la loro autonomia fino a raggiungere la completa separazione nel 1593 (ratificata da Clemente VIII con la lettera Pastoralis officii). Ideali riformatori continuarono ad agitare anche il resto dell’Ordine, dando vita ad alcune riforme, che in Italia presero piede in Sicilia (1619, riforma del Primo Istituto o di Monte Santo), a Napoli (1631, riforma di S. Maria della Vita), Torino (1633, riforma di Piemonte o di Torino), Siracusa (1724, riforma di S. Maria Scala del Paradiso).

    Nel 1584 gli Scalzi penetrarono in Italia, a Genova; nel 1597 si aggiunse un’altra comunità a Roma: i due conventi furono da Clemente VIII (breve Sacrarum Religionum) esentati dalla giurisdizione dei superiori e sottomessi direttamente alla Sede Apostolica. Tre anni dopo il medesimo pontefice trasformò i conventi italiani in una congregazione indipendente, la cosiddetta Congregazione d’Italia, che nel 1617 contava già 6 province, 3 delle quali in Italia, e nel 1631 vide approvate le sue costituzioni da Urbano VIII. Essa raggiunge la sua massima espansione alla metà del ’700 (oltre 4.000 frati), momento in cui si evidenziarono anche segni di affievolimento, poi seguiti dalla dura fase delle soppressioni.

    Il mondo carmelitano, segnato da una chiara devozione verso la Madre di Dio, ha impresso un’orma non lieve nella spiritualità del popolo cristiano.

    Ordine dei Servi di Maria. Approvato definitivamente nel 1304, l’Ordine dei Servi conobbe una fase di espansione nei secoli successivi, come risulta dal catalogo del 1580, che enumera 1818 frati divisi in 241 conventi, 227 dei quali sul suolo italiano. Nella crisi generale del ’300, tentativi di riforma partirono dai priori generali Pietro da Todi (1314-1344) e Andrea da Faenza (1374-1396). Si dovette però attendere il Capitolo generale del 1404 e l’azione del priore generale Niccolò da Perugia (1427-1461) per avere un’azione più incisiva con la nascita della congregazione dell’Osservanza (approvata da Eugenio IV nel 1440), che si sviluppò soprattutto nel nord Italia non senza contrasti con il resto dell’Ordine, detti Conventuali: alla fine del secolo, l’Osservanza vide comunque diminuire il suo fervore; nel secolo successivo nacquero perciò nuove riforme, non solo in seno all’Osservanza, ma anche tra i Conventuali.

    Dal secolo XIV si assistette anche ad una progressiva marginalizzazione dei non sacerdoti, fino alla loro completa esclusione dai Capitoli. Ai campi di lavoro consueti a tutti gli altri Mendicanti, i Servi aggiunsero come proprio segno distintivo il servizio ai santuari mariani e l’impegno in alcune attività caritative; inoltre, la spiritualità mariana accentuò il culto dell’Addolorata. Intorno al 1750 l’Ordine contava 15 province (3 negli stati austro-ungarici), 225 conventi, 2731 religiosi: alla fine del secolo seguente i frati erano invece 359, divisi in 53 conventi.

    La storia degli Ordini mendicanti in Italia registra delle costanti. Alla lotta per l’esistenza, vinta con il decisivo sostegno del papato, fece seguito una prima espansione; sopraggiunsero poi la crisi del ’300, le riforme di Osservanza, l’espansione dei secoli XVII-XVIII, la drastica riduzione seguita alle soppressioni.

    I Mendicanti hanno impresso un’orma marcata nella storia della Chiesa e della società italiana: la loro capillare dislocazione sul territorio ha influito sull’architettura e la topografia di città e paesi incrementandone il patrimonio artistico, mentre l’apporto dato dai frati alle diverse arti è stato notevole. A livello religioso, si è poi rivelato determinante il loro contributo alla predicazione, all’insegnamento, al ministero della confessione e della direzione spirituale. Infine, pagine di straordinario interesse, purtroppo non sempre facili da documentare, sono state scritte dai frati laici, che hanno inciso tra il popolo non meno dei sacerdoti: a motivo della questua, essi entravano infatti in tutte le case, offrendo a gente di ogni ceto una prima rudimentale catechesi, alleviando molte sofferenze, guadagnando ai diversi Ordini un gran numero di vocazioni.


    LEMMARIO