Visite pastorali – vol. II

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    Autore: Angelo Turchini

    Il XIX e il XX secolo non sono parchi di visite pastorali, occorre piuttosto studiarle più di quanto sia stato fatto, per uno studio non solo della vita sociale e religiosa, centrata sempre più sulla parrocchia sia al Nord che al Sud del nuovo stato unitario, una realtà non chiusa ai moti della società civile e religiosa, riflettendosi in esse la storia della chiesa calata nei contesti locali, presentando magari situazioni in lenta evoluzione, andando al di là di mode elevate a criterio di scienza e di verità, ritornando alle fonti che obbligano all’umiltà della ricerca.

    In questo senso G. De Rosa, riferendosi al Veneto dopo l’unità, annota: “L’annessione del ’66, liberando parroci e vescovi dal legame di una stretta sudditanza al monarca e limitando la proprietà ecclesiastica, scristianizzò il popolo o non piuttosto mise in luce le insufficienze di un’educazione religiosa protetta? Come vide e visse il clero, che aveva responsabilità di cura d’anime, questa crisi civile, che sembrò infirmare anche l’autorità religiosa? E, all’inverso, fu cristianizzazione la corsa affannosa a recuperare le masse, portando politica, economia, ideologia in chiesa?” (De Rosa, 331).

    Si ricalca magari il modello di visite precedenti, si segue la tradizione che vede la visita locale e personale (più i decreti), ma al di là della disposizione del materiale, che dipende sempre dalla personalità e dalla sensibilità del vescovo, si affrontano o si toccano contenuti nuovi. Si evidenzia attenzione alle specifiche, effettive necessità del momento, agli obbiettivi generali e tradizionali calati nelle realtà concrete, adeguati ai problemi contemporanei.

    Nel 1917 si ha la pubblicazione del CIC, con cui cambia la struttura della visita, con un questionario abbastanza fisso e determinato: il vescovo visiti la diocesi almeno in parte ogni anno e per intero una volta ogni cinque anni – di fatto con diverse tornate di visita, con un inizio e una fine, si tratti di una visita generale (uffici e persone in genere) o speciale (con oggetto particolare) – guardando a quanto serve all’esercizio pubblico del culto, ai benefici, alle fondazioni e ai legati pii, ai beni ecclesiastici, alle cause pie, ai luoghi sacri pubblici e semipubblici, luoghi pii (più diritto di resa dei conti can. 1492, §1), non escludendo gli esenti (i regolari come da tradizione) per quanto concerne la cura delle anime, e gli ordini femminili.

    Il vescovo, tramite questo strumento di inchiesta sulle parrocchie e sulla vita religiosa della diocesi, prende conoscenza diretta, mediante ispezione, del territorio a lui affidato, per provvedervi adeguatamente (can. 343),emanando eventuali decreti e precetti; ma nella visita il pastore deve procedere in forma paterna per ciò che riguarda l’oggetto della visita; il questionario eventualmente predisposto diventa più che per il passato come uno strumento di lavoro per i parroci disposti ad interrogarsi sui più diversi aspetti della vita parrocchiale, dalla statistica socio-religiosa alla prassi sacramentaria dei fedeli, dal regime beneficiale al patrimonio artistico, dalle fabbricerie alle associazioni, dalla catechesi degli adulti e organizzazione della dottrina cristiana per i bambini, alle devozioni ed opere di pietà e via dicendo.

    Dopo il concilio Vaticano II cambia l’attenzione non tanto all’elemento gerarchico (al rapporto esistente fra vescovi e sacerdoti in cura d’anime andando oltre una visione più interna) quanto al modo di sentire la vita religiosa da parte del popolo dei fedeli nel suo rapporto continuo, amministrativo e comunitario, con il pastore.

    Così nel CIC del 1983 si ricordano i molteplici scopi della visita, ribadendo quelli consolidati della tradizione: sono soggetti alla visita ordinaria le persone (chierici e laici), istituzioni come le scuole cattoliche, gli oggetti e i beni ecclesiastici, i luoghi sacri (chiese, oratori, cimiteri), mentre la visita ai membri di istituti religiosi di diritto pontificio e alle loro case può avvenire solo nei casi espressamente previsti (can. 397); si aggiunge inoltre che la visita offre materiale per compilare oggettivamente la relazione ‘ad limina’ quinquennale, con cui stabilisce un nesso formale.

    Ma soprattutto la visita diventa quasi un atto finale di un lavoro preparatorio precedente (magari anche con Carlo Borromeo), di un rinnovato impegno del clero parrocchiale per la riorganizzazione della parrocchia in funzione dell’incontro visitale; la preparazione diventa importante più che gli atti seguenti ai fini di una rinascita religiosa e morale, di una mobilitazione di energie, come atto di rilievo comunitario pubblico maggiore che per il passato.

    Fonti e Bibl. essenziale

    Cfr. G. De Rosa, Vescovi popolo e magia nel Sud, Napoli 1971 (il saggio di ordine generale Introduzione alle visite dei vescovi veneti nell’Ottocento, già in La visita pastorale di Ludovico Flangini nella diocesi di Venerzia, 1803, a c. di B. Bertoli, S. Tramontin, Roma 1969) e la collana Thesaurus ecclesiarum Italiae recentioris aevi [sec. XVIII-XX], Roma 1976 ss.


    LEMMARIO