Associazione Italiana dei Professori di Storia della Chiesa

Dizionario Storico Tematico La Chiesa in Italia
Dopo l'Unità Nazionale
Roma 2015
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Catechesi, Catechismi - vol. II


Autore: Luigi La Rosa

Negli anni che hanno visto la nascita dell’Unità d’Italia e nel trentennio immediatamente successivo, la Chiesa ha concepito se stessa come una cittadella assediata dalle forze anticlericali, liberali, massoniche e laiciste, per cui ha sentito il bisogno di compattare le fila dei suoi fedeli intorno alla gerarchia, che aveva il suo fulcro nel papa. Ha prevalso così il modello ecclesiologico istituzionale-piramidale, difeso ad oltranza dal clero intransigente, fautore di una pastorale difensiva, fondata sul binomio: pastore-gregge. Di fronte al pastore, soggetto attivo, sta il gregge dei fedeli, affidato alla cura della gerarchia, assistita dall’azione dello Spirito Santo. Espressione di questa pastorale sono state: una fitta rete di organizzazioni di fedeli laici in completa dipendenza dalla gerarchia; un progetto catechistico teso a salvaguardare la fede del popolo dai pericoli del secolo; la formazione alla vita devota mediante il controllo della religiosità popolare e l’opera formativa delle missioni; e soprattutto la formazione di un clero più preparato, culturalmente secondo la tradizione tomista, spiritualmente mediante la vita devota, caratterizzata dai sacramenti della confessione e della comunione, e pastoralmente mediante l’acquisizione della consapevolezza del proprio compito di pascere (amministrare i sacramenti), docere (fare il catechismo) e praedicare. La meta dell’institutio catechetica è in stretta continuità con quella dei secoli precedenti: si vuole “formare” il “devoto cristiano praticante”, ricco di sentimenti di fede, speranza e carità, capace di instaurare un rapporto individuale con il Signore, come fondamento di tutta la vita. Ogni credente, attraverso il disciplinamento della pratica sacramentale, è chiamato a divenire un buon cristiano e per ciò stesso un buon cittadino, abituato alle regole della “creanza cristiana”. Egli deve essere consapevole che nella vita quotidiana, nell’attimo presente si gioca l’affare più importan­te della sua esistenza, cioè l’eternità. Ma le voci critiche non mancano e sottolineano la sterilità di tanta istruzione cristiana, fatta di formule e pratiche devozionali. Cito due personaggi, posti agli estremi di un periodo di lunga durata: Mons. Filangeri, arcivescovo di Palermo e autore di un Breve Compendio della Dottrina Cristiana, mons. Ange­lo Ficarra (vescovo di Patti dal 1936 al 1957). Il Filangeri in una sua lettera pastorale del 1770 si lamentava che «la cristiana religione… salvoché in pochissimi, ormai è spenta: siamo Cristiani ma­teriali, e di solo nome, senza averne lo spirito. No che non è vero Cristiano colui, che solo si prefigge l’ascoltare cotidianamente la Messa, il frequentare i Sagramenti, il di­giunare ne’ prescritti giorni, lo udire le prediche, il concorrere alle processioni, il reci­tare alcune preci, il portare addosso delle Reliquie de’ Santi, il baciarne le Immagi­ni; simiglianti azioni, quantunque sante e lodevolissime, non costituiscono però il ve­race spirito del Cristiano, che Gesù Gristo ne’ suoi seguaci richiede…». Ciò che do­veva essere un mezzo, e cioè la pratica delle devozioni e la stessa sacra­mentalizzazione, unito a una persistente e profonda ignoranza, a dispetto di tanti catechismi, si era tradotto nell’animo popolare in un “materiali­smo religioso” greve e poco evangelico. Allo stesso modo il Ficarra scriveva nel 1923 (Le devozioni materiali, La Zisa, Palermo 1990, 62): «Una gran parte del nostro popolo non concepisce la religione come una liberazione dalla pressura del male, una purificazione interiore e un’elevazione spirituale, ma come un complesso di riti, di mezzucci, di pratiche esterne, di palliativi, di devonzioncelle, di talismani, di pannicelli caldi da mettere sulla coscienza incancrenita».

Così l’età contemporanea si apre con il grido battagliero “Torniamo al catechismo” e si proietta in avanti, tesa tra nostalgia del passato e rischio creativo, tra consapevolezza della necessità di superare il modello della catechesi tradizionale e l’esaltazione del ruolo della dottrina per contrastare il relativismo e il soggettivismo del tempo post-moderno, in modo da cercare un nuovo paradigma catechistico personalizzante, iniziatico, ermeneutico significativo, comunitario, aperto al dialogo, fatto di discernimento evangelico e di simpatia, con il mondo e la storia, luogo delle mirabilia Dei. Il momento spartiacque di questo movimento è costituito dal Vat. II (1962-1965), che, pur non avendo una trattazione specifica sulla catechesi, contiene molte suggestioni operative che traghettano il concetto di catechesi da atto di istruzione a processo formativo (cf. CD 13-14 e 44; GE 2; SC 64; AG 44) adatto alla mentalità, alle capacità e alle condizioni di vita degli uditori per guidarli al raggiungimento della statura della pienezza di Cristo, alla capacità di testimoniare la fede e di promuovere l’elevazione in senso cristiano del mondo, e inoltre fornisce risposte nuove sulla rivelazione, come parola-evento, sulla fede, sulla Chiesa, sull’uomo e sul mondo, elementi tutti essenziali per la prassi catechistica. Il momento di inizio di questo movimento può essere indicato nel Congresso catechistico del 1889, organizzato dalla rivista Il Catechista cattolico (nata nel 1876 per opera di G.B. Scalabrini). Esso galvanizza intorno a sé gli interessi, le proposte, le problematiche di tutti coloro che hanno a cuore le sorti del catechismo. Gli argomenti di discussione riguardano la necessità dei catechismi per ogni ordine di età (a cominciare dagli adulti), la concentrazione cristocentrica del contenuto della fede e suo svolgimento storico-biblico, la centralità del mistero pasquale, la necessità del rinnovamento metodologico facendo posto al metodo intuitivo-induttivo. Alcune idee del Congresso vengono riprese da Pio X nell’enc. Acerbo nimis (1905) e realizzate, in parte, con il Catechismo maggiore (1905) e il Catechismo del 1912 (un piccolo compendio teologico neoscolastico con un formulario ritmico facile per la memorizzazione) e da Pio XI nel decreto Provido sane(1935), che dà nuova linfa al movimento catechistico attraverso un’accurata organizzazione (erezione del Sodalizio della dottrina cristiana in ogni parrocchia, istituzione della scuola domenicale di catechismo, il catechismo per gli adulti, erezione dell’U.C.D., nomina degli ispettori di religione nelle scuole pubbliche, istituzione della giornata catechistica, formazione dei catechisti). Si attua intanto una svolta metodologica con il superamento del metodo deduttivo, grazie allo sviluppo delle nuove esperienze pedagogiche (Herbart, Piaget, Freinet, Ferrière, Decroly, Montessori, Agazzi, Dewey) che rifluiscono nella prassi catechistica (Metodo di Monaco, Metodo Quinet, Metodo psicologico di Fargues, metodo storico-induttivo e metodo educativo liturgico).

In Italia si afferma l’organizzazione catechistica in forma di vera scuola con metodo ciclico-intuitivo di Pavanelli (1876-1945) e Vigna (1876-1940), che affiancano il Catechismo di Pio X con una batteria di sussidi didattici Fede mia, vita mia!, con relative Guide didattiche. Il loro insegnamento viene emulato da tanti altri, come per es. da Vincenzo Bonetti S.J. che nel 1915 pubblica a Palermo una serie di sussidi con il titolo Fede Legge Grazia. Con il secondo dopoguerra si afferma come metodo proprio del catechismo l’attivismo, per merito degli studi di Mario Casotti, Gesualdo Nosengo, Silvio Riva, per l’azione teorico-pratica di Candido Chiorra e di Francesco Tonolo, per l’attività vasta e frenetica di Leone di Maria, e per l’esperienza pratica dell’A.C. (le Guide didattiche annuali CENAC) che produce i primi testi attivi di cultura religiosa Il Credo, la Legge, la Grazia ed è condiviso dal primo direttore dell’Ufficio catechistico centrale Carlo Maria Veneziani. Tuttavia, bisogna sottolineare che in moltissimi ambienti parrocchiali sostenuti, da pubblicazioni come Il Prontuario del Catechista. Il Buon Maestro che attraversa il tempo dagli anni trenta agli anni sessanta mettendo al centro la spiegazione del catechismo di Pio X, non viene colto il valore dei nuovi orientamenti pedagogici e metodologici, per cui ripetizione, memorizzazione meccanica e interrogazione sono considerati strumenti idonei alla fissazione e all’interiorizzazione, anche senza una piena comprensione. Ricordiamo la contestazione di don Milani negli anni cinquanta. Il movimento catechistico viene sostenuto, promosso e diffuso dai Fratelli delle Scuole cristiane, che già nel 1910 (Manuale del Catechista. Metodica per l’insegnamento della religione) introducono le conquiste della didattica nel catechismo, da vari Centri catechistici come quello Salesiano e Paolino, dalle Riviste catechistiche, dalle Collane editoriali insieme alle pubblicazioni di metodologia catechistica e dai Congressi (fondamentali quelli di Milano (1910) Brescia (1912), Roma (1929) ).

Il primo Centro, fondato da Pietro Ricaldone nel 1939 a servizio della Congregazione salesiana, estende la sua azione a tutta la Chiesa italiana nel 1947 per sensibilizzare le comunità ecclesiali ai problemi della catechesi e dell’I.R. nella scuola ed offrire strumenti di lavoro ai catechisti e ai catechizzandi. Il secondo viene costituito nel 1952 per volontà di Giacomo Alberione con il chiaro proposito di portare “tutto l’uomo (volontà, mente e cuore) a Cristo, Via Verità e Vita”. Le riviste catechistiche italiane nate tra il 1919/1950 sono: Catechesi, Via Verità e Vita, Catechisti parrocchiali, Rivista del Catechismo e Sussidi per la Catechesi,L’Informatore). Fra le Collane ricordiamo quelle della LDC Fondamenti di una catechesi rinnovata, Quaderni di Pedagogia catechistica e quella delle Paoline Bibbia e Catechesi. Fra gli anni ’43 e ’60 si prende coscienza dei limiti dell’approccio metodologico seguito, che intanto si arricchisce degli apporti del movimento personalistico (insistenza sulle categorie pedagogiche di personalizzazione e socializzazione) con il metodo dei modelli di Antonio Cojazzi, con gli interventi sull’educazione religiosa scolastica di Angelo Zammarchi sulla rivista Scuola Italiana Moderna e con la psicologia personalistica di Roberto Zavalloni. Non solo bisogna salvaguardare l’originalità della rivelazione e della trasmissione della fede, ma ci si rende conto che il metodo coinvolge il problema dei fini e del contenuto stesso della catechesi (termine che soppianta ed include il termine “catechismo”, che viene affiancato da “sussidi” e perfino sostituito dal “quaderno attivo”).

La prassi catechistica si muove tra due indirizzi: quello che insiste sulla trasmissione di verità (opzione dottrinale e coscienza di chiesa piramidale gerarchica) legato strettamente al formulario da memorizzare, e quello preoccupato di tracciare itinerari di fede nella storicità del divenire della salvezza (opzione esistenziale e coscienza di chiesa comunionale). Intanto bisogna riconoscere all’A.C. il merito di essere uscita dalle strettoie contenutistiche tradizionali fornendo con i suoi testi un vero e proprio itinerario catecumenale post-battesimale e ai Convegni catechistici “Amici di Catechesi”, organizzati dal Centro Catechistico Salesiano (1959, 1960, 1962, 1966), di avere affrontato i temi della natura dell’atto catechistico, delle mete, del metodo e del contenuto, considerato come storia della salvezza nella triplice dimensione biblica, liturgica ed ecclesiale, luogo di incontro tra Dio e l’uomo in Cristo. Ma già dal 1950, data del 1° Congresso catechistico internazionale di Roma, il movimento catechistico italiano si è aperto sempre più al movimento più vasto di tutta la Chiesa, risentendone un benefico influsso e uno stimolo fecondo di nuovi sviluppi, che lo vedono protagonista durante le varie fasi, che denominiamo: kerigmatica, antropologica e politica. La fase kerygmatica, lanciata dal Congresso catechistico di Eichstat del 1960 sostiene le seguenti linee per una nuova catechesi: la c. si situa nella missione della Chiesa; il vero problema della c. non è il metodo, ma il contenuto; il cristianesimo non è un insieme di verità, ma un messaggio-persona e cioè Cristo, salvezza del mondo, cosicché la c. deve essere personalistica, cristocentrica e relazionale. Si abbandona l’ordine logico dei catechismi e la catechesi diventa fondamentalmente biblica, narrativa e dialogica; essa vuole narrare la storia della salvezza, che il credente vive nell’oggi della sua esistenza alla luce del mistero pasquale di Gesù. La prima realizzazione riuscita di questa fase è stato il Catechismo cattolico delle diocesi tedesche (1955), in cui le lezioni sono svolte in maniera espositiva, tendente a spiegare non formule dottrinali, ma la vita cristiana. In Italia, il più bel testo di questo indirizzo è La scoperta del Regno di Dio, che mantiene un raro equilibrio tra le varie dimensioni dell’atto catechistico: Bibbia, liturgia, vita, sono considerati fatti-segni per un incontro con Cristo, che trova un momento di riflessione nella dottrina. L’approfondimento dell’indirizzo kerygmatico porta, come a sua naturale conseguenza, alla fase antropologica poiché il messaggio salvifico è rivolto all’uomo, che è chiamato ad accoglierlo con libertà e responsabilità. Non si può parlare di Dio senza parlare dell’uomo.

Siamo di fronte alla fase antropologica, che si specifica come esistenziale ed esperienziale sulla scia della riflessione teologica (J. Mouroux, P. Roqueplo, P. Tillich, E. Scillebeeckx, K. Rahner, L. Boff, L. Sartori, J. Gevaert, A. Godin, Z. Trenti et alii), che introduce nella catechesi i concetti di correlazione, di concentrazione cristocentrica, di ermeneutica, di interpretazione-illuminazione dell’esistenza come intervento salvifico di Dio. La Settimana catechistica internazionale di Bangkok (1962) e il Congresso di Manila (1967) si fanno promotori della fase antropologica parlando non solo di adattamento e, quindi, di pre-evangelizzazione e di pre-catechesi, ma anche di incarnazione del messaggio nelle varie culture e della necessità del dialogo. Come frutti possiamo indicare il Catechismo Olandese (1966) e il Nuovo Catechismo tedesco (1969). Intanto il riconoscimento della centralità del soggetto apre la strada dell’accoglienza nella prassi catechistica delle teorie dell’apprendimento, della dinamica di gruppo, della ricerca di una didattica olistica, della programmazione curricolare, dei linguaggi multimediali e di quelli non verbali, delle riflessioni sulle esigenze della comunicazione. Particolarmente significative e utilizzate nella prassi catechistica sono state le analisi della psicologia umanistica, la teoria del campo di K. Lewin e la non-direttività di C. Rogers. Dal punto di vista del Magistero l’accoglienza della via antropologica trova il suo punto più alto nella Redemptor hominis con l’affermazione che l’uomo è <la prima e fondamentale via della Chiesa> (nn. 10-14).

Con la II conferenza del CELAM a Medellin (1968) esplode la fase politica, che sottolinea il ruolo del messaggio cristiano nella salvezza integrale dell’uomo e quindi il suo incarnarsi nei processi di promozione umana, superando ogni tipo di dualismo, con l’opzione per una Chiesa povera che sa parlare ai poveri e ne sostiene le rivendicazioni di giustizia e di pace. Così il metodo si arricchisce, sostenuto anche dalla riflessione pedagogica di Paulo Freire e di Ivan Illich, dei criteri metodologici di liberazione, esperienzialità, esistenzialità, situazionaltà, coscientizzazione, creatività, descolarizzazione, contestualizzazione e i testi catechistici che vi si ispirano sono: Mondo più giovane e il Catechismo dell’Isolotto di Firenze Incontro a Gesù (1968-69), ritmato sulla triade metodologica “dalla vita-al vangelo-alla vita”. La catechesi liberatrice, che ha trovato il suo fulcro nella vita della Chiesa latino-americana, è stata tradotta in Europa, all’interno di una pedagogia liberatrice, come liberazione dell’uomo da ogni forma di schiavitù/alienazione o di dipendenze che feriscono la dignità dell’uomo per vivere l’amore universale di Cristo, con responsabilità e partecipazione, nel concreto divenire storico vissuto dagli uomini e dalla comunità cristiana. Questo orientamento è presente anche nel II Congresso Internazionale della Catechesi (Roma 1971).

Lo “spirito del concilio” con i suoi tre slogans “aggiornamento”, “sviluppo”, “ritorno alle fonti” fa sorgere una nuova primavera nella Chiesa, spinge ad andare avanti, apre spazi al dialogo, al pluralismo teologico (riabilitazione della nouvelle théologie e superamento dei manuali teologici caratterizzati da metodi giuridici e astorici), alla ricerca di un modo nuovo di essere chiesa tenendosi lontani da ogni orizzontalismo puramente intramondano o verticalismo ignaro della vita degli uomini. Ma le tensioni sono forti tra i cosiddetti progressisti e i tradizionalisti, si ha paura che il vangelo venga snaturato e la chiesa destrutturata per cui si afferma una corrente normalizzatrice del Concilio, che fa sentire il suo influsso determinante anche sulla nuova catechesi spingendola o riducendola verso le forme “tradizionali” del “sapere”. È il primato della “verità”, del depositum fidei (pensato come intangibile e sostanzialmente immutabile), custodito autorevolmente dal magistero nella sua purezza e interezza, e che deve essere trasmesso nella sua integrità. L’apprendimento di tutti i punti della dottrina, definita nella sua oggettività, costituisce una sorta di vademecum, che consente alle persone, credenti o non di abbracciare facilmente l’intero patrimonio della chiesa, e, nel contempo, la sua piena accettazione costituisce la via della liberazione e della salvezza dei popoli. I tre nuclei dottrinali fondamentali per Giovanni Paolo II (espressi già a Puebla nel 1979) sono: Cristo (la sua persona, il suo insegnamento, la promessa del Regno); la Chiesa, germe e inizio del Regno, che ha la missione fondamentale di evangelizzare, come soggetto unitario; l’uomo, la cui dignità, espressa nella creazione e nella redenzione, viene difesa dalla Chiesa sia a livello individuale (libertà, libertà religiosa, integrità fisica e morale, accesso ai beni essenziali della vita) sia a livello sociale e politico (diritto di partecipazione, diritto di non essere sottoposti a coercizioni ingiuste e illegittime). Queste verità insieme alle esigenze etiche che ne derivano e alla dottrina sociale della Chiesa devono essere il contenuto della nuova evangelizzazione, che si potrà attuare con la preghiera, i sacramenti, il precetto domenicale, l’educazione dei giovani, la chiamata alla santità e alla conversione interiore. Questo pensiero diventa più stringente nell’impianto apologetico di papa Ratzinger (dal Rapporto sulla fede del 1985 a Regensburg (2006) e a numerosi interventi in qualità di pontefice) quando stabilisce un nesso intrinseco tra libertà e verità, tra Dio e uomo, che trova in lui la sua dignità, tra ragione e fede per cui l’ortodossia si traduce inevitabilmente nell’ortoprassi, pena lo snaturamento dell’una e dell’altra, e vede la sintesi catechistica della verità nei quattro pilastri dottrinali/morali: Credo, sacramenti, decalogo e preghiera. Questa centralizzazione della dottrina è bene espressa dalla pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica (1992), offerto alla Chiesa universale non solo come punto di riferimento per l’elaborazione dei catechismi nazionali, ma come testo da usare direttamente nella catechesi; dal Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica (2005), che il Motu proprio di approvazione, per la sua brevità, chiarezza e integrità, offre a <ogni persona che,vivendo in un mondo dispersivo e dai molteplici messaggi, desidera conoscere la Via della Vita, la Verità, affidata da Dio alla Chiesa del suo Figlio>; e da Youcat (2011), offerto, nellaPremessa”, da Benedetto XVI ai giovani con l’esortazione:<Dovete sapere che cosa credete; dovete conoscere la vostra fede con la stessa precisione con cui uno specialista di informatica conosce il sistema operativo di un computer>. Compito della catechesi è la trasmissione e volgarizzazione delle verità cristiane in modo razionalmente convincente per tutti e in modo da raggiungere una fede adulta, criterio basilare per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità.

Ma se consideriamo l’insieme dei documenti magisteriali (Christus Dominus 1965; Rinnovamento della Catechesi 1970; Direttorio catechistico generale 1971 e Direttorio generale della Catechesi 1997; Evangelii nuntiandi 1974; Messaggio al Popolo di Dio del IV Sinodo dei Vescovi 1977; Catechesi tradendae 1979; Codice di Diritto Canonico 1983, Catechismo della Chiesa Cattolica 1992, Itinerario per la vita cristiana 2000, le tre Note della CEI 1997, 1999, 2003 con gli Orientamenti pastorali per il decennio del 2000), anche quelle parti che tendono a ridurre il ruolo della catechesi alla conoscenza e al sapere, accanto alla riflessione catechetica (ricordo i primi due manuali italiani di catechetica: Catechetica voll. 1-3 di Anselmo Balocco del 1950 ed Educare, vol. 1-3, edito dal PAS nel 1964) ci troviamo di fronte a un’idea di catechesi di ampio respiro, fedele a Dio e all’uomo: essa è contemporaneamente e in maniera indissolubile istruzione/apprendimento, educazione e iniziazione (DGC68). In quanto istruzione la c. tende all’apprendimento/interiorizzazione da parte del soggetto delle verità di fede in maniera certa, chiara ed ortodossa; da qui l’importanza della elaborazione e memorizzazione dei Simboli della fede, della realizzazione dei catechismi-compendio, delle molteplici strategie didattiche attente all’oggettività e integrità del contenuto, al rispetto della gerarchia delle verità, al cristocentrismo e alle esigenze di una comunicazione efficace. In quanto azione educativa la c. tende allo sviluppo di una personalità umana e cristiana fino al raggiungimento della mentalità di fede (cf. Convegno di Assisi 1960). Si attua come un processo educativo permanente attento a far sì che la trasmissione-elaborazione delle conoscenze di fede si intrecci con la maturazione di esperienze umane basilari, che sono il presupposto di ogni autentica crescita cristiana e, nello stesso, tempo si preoccupa di interpretare la cultura e la vita dei soggetti alla luce della fede e di ripensare le verità di fede alla luce e alle istanze della cultura e alle sfide della vita, in modo che la parola di Dio che risuona sulla bocca del catechista sia <un’apertura ai propri problemi, una risposta alle proprie domande, un allargamento ai propri valori ed insieme una soddisfazione alle proprie aspirazioni>(RdC 52).

La c. viene così a strutturarsi in un cammino educativo, intessuto di fede, speranza e carità, per formare il discepolo di Cristo, iniziandolo all’incontro con Lui e, progressivamente, sviluppando nel soggetto la conoscenza e l’accoglienza della fede, nutrendolo con la parola di Dio, introducendolo alla celebrazione sacramentale e qualificandolo al servizio della comunità umana, in modo che egli realizzi una vera integrazione tra fede e vita. Proprio per questo si realizza pienamente come iniziazione, cioè come tirocinio di vita cristiana. ad itinerario catecumenale e mistagogico, sviluppato nel contesto di una comunità-comunione che annuncia, testimonia e celebra la sua fede e, quindi, capace di facilitare un’esperienza integrale di vita cristiana. Siamo di fronte a una nuova impostazione della pastorale catechistica, non più all’interno della “cura animarum” ma del tentativo di attualizzazione del mistero della salvezza nella storia, da parte di tutta la Chiesa con la partecipazione di tutti i suoi membri. La c. così intesa è come un grande albero che affonda le sue radici, attraversando molteplici percorsi storici e strutturandosi in modalità varie a seconda della particolare coscienza ecclesiologica, delle correnti esperienziali e/o teologiche, delle circostanze, degli ambienti, dei destinatari e dei metodi, nella c. apostolica e patristica.

Penso che sia un merito della Chiesa italiana di mantenere, anche se in un instabile equilibrio, la complessità della prassi catechistica con il suo “Progetto catechistico”, che affonda le sue radici ne Il Rinnovamento della catechesi (1970). Tra gli anni 1970/1982, a partire da questo documento base, che ha lo scopo di preparare le comunità cristiane all’esercizio responsabile della nuova catechesi e all’accoglienza dei nuovi catechismi, vengono pubblicati ad opera della CEI otto testi diretti ad ogni fascia di età e tali da costituire insieme l’unico catechismo nazionale per la vita cristiana. È un periodo di grande fervore e dinamismo catechistico, che coinvolge tutte le regioni e si prolunga negli anni 1984-1987, come tempo di verifica che sfocia nella nuova redazione dei testi stessi (1991-1997) con delle significative variazioni, attenti al “sapere della fede”, inserito nel processo di iniziazione cristiana. Cosicché la catechesi si configura essenzialmente come kerigmatica-esperienziale, attenta a trasmettere l’integrità della fede in maniera ciclica e induttiva, al soggetto, considerato nel suo dinamismo verso la maturità di fede, e alla comunità come luogo di esperienza di fede, mentre cerca di intrecciare in sapiente equilibrio la dimensione biblica, esperienziale, liturgica e dottrinale, offrendo ai catechisti la possibilità di realizzare, a seconda del contesto, vari itinerari (biblico-dottrinali, liturgico-spirituali, relazionali-ecclesiali, educativo-esperienziali) tesi al conseguimento della mentalità di fede e, quindi, necessariamente aperti agli apporti delle scienze umane. Questo impianto viene ribadito nei due Convegni catechistici nazionali di Roma (1988 Catechisti per una chiesa missionaria e 1992 Testimoni del Vangelo nella città degli uomini), nel documento Annuncio e catechesi per la vita cristiana (2010) e negli orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020 Educare alla vita buona del Vangelo. Nel frattempo il movimento catechistico si coniuga e si inserisce nel rinnovamento della pastorale (1973 ad oggi) della chiesa italiana che ha fatto suo, il primato dell’evangelizzazione articolandolo in varie tappe decennali (Ev. e sacramenti; Comunione e comunità; Ev. e testimonianza della carità; Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia; Educare alla vita buona del Vangelo) e ritmandolo con i Convegni ecclesiali (Ev. e promozione umana – Roma 1976; Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini – Loreto 1985; Il vangelo della Carità per una nuova società in Italia – Palermo 1995; Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo – Verona 2006 ).

Prima di concludere è necessario dire una parola sulla “catechesi scolastica”. Così indica il DB l’insegnamento della religione (IR) nella scuola, considerato come espressione della cura educativa della Chiesa nei confronti dei suoi figli, ma già aperto al rispetto della natura e delle finalità della scuola stessa. Tale apertura fa sì che si arrivi alla costituzione dell’IRC come autentica disciplina scolastica (anche se atipica), riconosciuta dalla revisione del Concordato del 1984 e dai relativi Accordi di Villa Madama. L’IRC è presente nella scuola secondo le potenzialità e le finalità della scuola pubblica dello stato laico; è una disciplina scolastica curricolare; contribuisce, paradossalmente, con la sua presenza a salvaguardare la laicità stessa della scuola, poiché l’esclusione radicale della dimensione religiosa della vita e del fenomeno religioso sarebbe puramente laicismo emarginante e quindi non democratico. Possiamo dire di essere passati da una “laicità escludente”, tipica dello stato liberale positivista, a una “laicità inglobante”, realizzatasi con la riforma Gentile, a una nuova “laicità dialogante”. A partire dalla netta separazione tra sfera pubblica e privata e in base alla convinzione che la religione è un fatto privato e tale deve rimanere la Sinistra (storica) al potere si mosse decisamente, con un insieme di circolari, decreti e regolamenti, per estromettere la religione dalla scuola pubblica: nel 1870 il ministro Correnti rendeva facoltativo l’IR nelle elementari; nel 1877 veniva abolito l’ufficio del Direttore spirituale, che curava l’IR nelle superiori, e la Legge Coppino, regolamentando l’obbligo scolastico dai 6 ai 9 anni, dimenticava di inserirlo nei programmi; nel 1883 l’IR veniva abolito nelle magistrali; nel 1904 con la nascita della scuola popolare (classi V e VI delle elementari) se ne escludeva del tutto l’IR; nel 1908 il Regolamento Rava ne riconfermava la facoltatività e lo abbandonava all’arbitrio dei Consigli comunali; subito dopo seguiva la mozione Bissolati alla Camera dei Deputati affinché venisse definitivamente abolito l’IR anche nelle elementari; anche se la mozione venne respinta la situazione restò nella sua ambiguità e nella reale difficoltà di espletare l’insegnamento nella scuola (basta pensare al Decreto Credaro del 1910 che prescriveva di tenere l’istruzione religiosa fuori dai locali e dagli orari scolastici e si proibiva ai Comuni di distribuire alle famiglie i moduli per farne richiesta per i propri figli) fino a quando si arrivò al compromesso politico con il Patto Gentiloni, voluto da Giolitti in cambio dei voti dei cattolici ai liberali moderati.

Con il cambiamento culturale provocato dall’idealismo la religione è entrata a pieno diritto nella scuola, non per la sua intrinseca identità, ma in quanto momento del divenire dialettico dello Spirito (arte, religione, filosofia) che si incarna nella Nazione. Su questa premessa si affermava la valenza culturale della religione come iniziazione alla comprensione elementare della realtà e di fondamento della formazione morale. Cosicché nella Riforma Gentile, non solo l’IR rientrava nella scuola elementare come fondamento e coronamento secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica (e quindi il catechismo che ne è lo strumento tipico), ma con il Concordato del 1929 di tutta l’istruzione pubblica. Oggi, forse siamo su una “via italiana” della laicità dialogante, lontana dal laicismo anticlericale o dalla strumentalizzazione ideologica, e intesa, non come indifferenza o addirittura negazione di ogni ruolo pubblico della religione, ma come garanzia dello Stato per salvaguardare la libertà di religione in un contesto di pluralismo religioso e culturale e di servizio nei confronti della centralità della persona in una scuola pubblica e democratica. Credo che ciò sia possibile perché non ci troviamo più di fronte a uno Stato giurisdizionalista, o confessionale o etico, ma ad uno Stato che si pone a servizio della persona e delle concrete istanze della coscienza civile e religiosa dei cittadini; ci troviamo di fronte ad una scuola pubblica, luogo di cultura, che, educando in rete, vuole essere “scuola di tutti, per tutti e mediante tutti”; e siamo di fronte a un nuovo volto di Chiesa, aperta al mondo e impegnata nel dialogo sincero con la cultura/e e le religioni. Per cui lo Stato laico può riconoscere pieno diritto alle religioni di avere uno spazio pubblico e di stringere accordi su determinate materie in vista del bene comune. La sua neutralità e la sua autonomia consistono nel trovare i valori, i criteri e le norme con cui regolare la vita associata nelle tradizioni che sostanziano la sua Costituzione. Cosicché alla luce dei principi costituzionali di sussidiarietà, di equità e di solidarietà, insieme al rispetto della natura e delle finalità (Riforma 2003) della scuola pubblica, luogo autonomo (1999) di trasmissione/produzione della cultura e di educazione attraverso l’istruzione, ci può essere spazio per un IRC culturale, realizzato come un servizio offerto alla persona del cittadino per la sua formazione integrale; come strumento di socializzazione che permette di vivere consapevolmente il proprio contesto socioculturale; come strumento per acquisire competenze e valori utili alla vita democratica; come strumento di alfabetizzazione, di ricerca e di confronto critico alla realtà della religione cattolica e delle religioni.

Problemi aperti. La catechesi è prassi, realtà storica, un divenire che sente tutte le sollecitazioni della vita ed è chiamata ad accoglierne le sfide differenziandosi in una molteplicità di forme e di itinerari, alla luce delle scienze della formazione e di indirizzi teologici, adatti a guidare una nuova reinterpretazione (capace della prudenza dell’audacia) del vangelo incarnato nelle culture: anzitutto, la sfida dell’ideologia, che in quanto sistema di pensiero ordinato alla prassi coinvolge tutti, credenti e non, per cui la c. è servita da instrumentum regni, ha educato ad essere sottomessi convincendo della bontà dell’alleanza trono ed altare, ha insegnato la sopportazione passiva delle ingiustizie (anche uomini di grande spiritualità e di attenzione alle necessità degli uomini sono stati ciechi, per es. Las Casas che spese la vita per la libertà degli indios accettò la schiavitù dei neri, per poi farne ammenda alla fine della sua vita, o Valignano, fautore del “metodo soave” e dell’inculturazione del vangelo presso cinesi e giapponesi, non lo riteneva possibile presso gli altri popoli); ciò che rende l’ideologia un fatto negativo, poiché diventa falsa coscienza, è l’acriticità, l’unilateralità, la rigidità assolutista, la pretesa di definitività, tutti aspetti che possono essere combattuti nel seno stesso della catechesi con il discernimento, realizzato con il pensiero critico e la profezia che diventano dialogo, con la ragione e la fede, con la verità e l’amore; la sfida educativa posta dalle nuove generazioni in una società complessa e post-cristiana; la ricerca di una identità umana (dell’umanità dell’uomo) di fronte alle antropologie dell’oltre umano e/o del post-umano; la sterilità dell’iniziazione cristiana; la centralità formativa della parrocchia insieme alla famiglia nonostante i grandi limiti e la precarietà; la presa di coscienza che la catechesi non può essere più un fatto isolato, ma esige una comunità educante, una collaborazione in rete con tutti gli enti formativi e coinvolge necessariamente l’ambiente vitale dei soggetti, tentando di rileggere dal suo interno il vangelo; la necessità inattuale di realizzare una catechesi “lenta”, cioè capace dei tempi lunghi per favorire apprendimenti qualitativamente significativi (valori, relazioni personali, emozioni) nel rispetto dei ritmi individuali e dello sviluppo di una personalità cristiana armonica, intessuta di fede, speranza e carità; la necessità di riscoprire il linguaggio della fede come linguaggio di amicizia nei confronti di questo mondo amato da Dio e, quindi, la realizzazione di un vero dialogo profetico con gli uomini, le culture, le religioni, come espressione della carità-dono per la crescita di tutti verso la pienezza di umanità.

Fonti e Bibl. Essenziale

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LEMMARIO