Autore: Francesco Saverio Venuto
Definizione generale di recezione: componenti, dinamiche e periodizzazione. Con il termine “recezione” si intende generalmente «un processo di carattere spirituale attraverso cui un concilio e le sue decisioni vengono assimilati e integrati nella vita di una comunità ecclesiale come espressioni viventi della fede apostolica» (G. Routhier, La réception d’un concile, Editions du Cerf, Paris 1993, 69). L’espressione, desunta dall’ambito giuridico, è stata introdotta nella riflessione storico-teologica cattolica, principalmente per descrivere dinamiche relative allo sviluppo del dogma e alla prassi ecclesiale, da due insigni teologi: Alois Grillmeier e Yves Congar. Entrambi hanno contribuito a definire il significato storico e teologico della recezione, differenziandolo da interpretazioni giuridiche di stampo conciliarista e gallicano, secondo le quali la recezione equivarrebbe ad un’approvazione necessaria dal basso. Una lettura sincronica e diacronica della Tradizione della Chiesa e, in particolare della storia dei concili, ha consentito loro di descrivere gli elementi portanti di un processo recettivo: il soggetto operante (la comunità ecclesiale), il contenuto (l’avvenimento conciliare e le sue codificazioni), le dinamiche (la relazione tradizione-progresso) e, non ultimo in ordine di importanza, i soggetti intermediari, meglio identificati come “agenti della recezione” (persone, istituzioni, mezzi d’informazione), che in modi e gradi di influenza differenti favoriscano o, al contrario, limitano un fenomeno recettivo, fino al punto di impedirlo e annullarlo. I suddetti fattori sono indice della complessità delle dinamiche recettive di un’assise conciliare, in riferimento alle quali è opportuno distinguere due precisi momenti. Primo: la fase ermeneutica, ossia la comprensione e l’interpretazione dell’avvenimento conciliare e delle sue decisioni in relazione ad un presente e ad un vissuto ecclesiali. Secondo: l’applicazione, vale a dire la realizzazione totale o parziale dei dettami conciliari da parte della competente autorità. In tal modo, il processo recettivo di un concilio non si esaurisce con il solo atto ermeneutico, e neppure con quello semplicemente applicativo, ma dipende dalla sinergia di entrambi. Nel caso specifico del Concilio Vaticano II, in ambito storiografico si è generalmente concordi nel suddividere la periodizzazione della recezione – dalla conclusione nel 1965 al discorso del 2005 di Benedetto XVI alla Curia Romana, relativo all’ermeneutica conciliare (riforma-continuità-discontinuità-rottura) – in due ventenni: dal 1965 al 1985 e dal 1985 al 2005. La fase intermedia tra questi due periodi coincide con la convocazione del Sinodo Straordinario dei Vescovi del 1985, promosso da Giovanni Paolo II per commemorare il primo ventennio dalla chiusura del Concilio e per verificarne soprattutto la recezione nella Chiesa.
Informazione e orientamenti ermeneutici sul Vaticano II. «Il concilio, così concluso, segna un punto di svolta, grazie alla costituzione sulla chiesa e all’apertura espressa; esso aziona degli scambi, ma in quest’istante storico non sappiamo ancora dire dove arriverà il treno, poiché le forze della tradizione e del progresso combattono fra loro». (H. Jedin, Storia della mia vita, Morcelliana, Brescia, 1987, 323).
All’interno del dibattito sulla dinamica Tradizione-Progresso, caratterizzante in particolare il Vaticano II, non principalmente i vescovi o i decreti sinodali ricoprirono un ruolo fondamentale, bensì i mezzi d’informazione, che già dalla fase preparatoria e poi durante l’intera celebrazione orientarono la recezione, non soltanto in ambito ecclesiale, ma anche rispetto all’opinione pubblica generale. Riviste ecclesiali, divulgative e scientifiche e, per la prima volta, documentari televisivi raggiunsero le molteplici componenti della Chiesa italiana. Periodici internazionali come Concilium e Communio in edizione italiana ebbero una larga diffusione e favorirono un processo recettivo del Vaticano II ampiamente favorevole alle istanze di rinnovamento e riforma, pur se con differenti indirizzi: Concilium, più disposto a una riforma radicale delle istituzioni ecclesiali (promozione della collegialità episcopale, della sinodalità nel governo della Chiesa, e della responsabilità del laicato) e a un confronto più aperto con il mondo; Communio, intenzionato a formulare una più incisiva ripresentazione della fede cristiana di fronte ai repentini cambiamenti del mondo, pur mantenendo rispetto ad esso una tensione, dal momento che questa era giudicata necessaria per la custodia dell’identità del dogma cristiano. Ben presto apparvero altri periodici, rappresentativi delle principali tendenze diffuse tra i Padri conciliari soprattutto in relazione all’attuazione dell’aggiornamento ecclesiale secondo le intenzioni di Giovanni XXIII. In accordo con le istanze della minoranza conciliare, favorevole ad un rinnovamento ecclesiale piuttosto moderato, il periodico Renovatio, espressamente voluto dal Cardinale Giuseppe Siri (Arcivescovo di Genova e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana durante l’intero svolgimento del Vaticano II), intese difendere l’integrità della dottrina cristiana in opposizione alle audaci tesi “progressiste” della rivista internazionale Concilium. Diversamente, periodici come Testimonianze, Il Regno, Idoc, Il Gallo si espressero per un aggiornamento più radicale in campo dottrinale ed ecclesiologico e per un libero e più aperto dialogo con la modernità, superando per certi aspetti le posizioni della maggioranza conciliare. Ben presto le tesi più estreme di alcuni periodici e pubblicazioni prevalsero: gruppi “tradizionalisti” (simpatizzanti del vescovo francese Mons. Lefebvre) e comunità di base (Isolotto di Firenze, Comunità del Vandalino a Torino), contrari i primi, e favorevoli le seconde, al “rivoluzionario” rinnovamento del Vaticano II – così da entrambi qualificato –, contestarono apertamente l’autorità ecclesiale, ritenuta la principale responsabile dello stravolgimento della Tradizione per gli uni, o della mancata riforma profetica della Chiesa per le altre.
Anche le cronache e i diari conciliari, le ricostruzioni storiche e i commentari teologici sul Concilio contribuirono ad animare il dibattito post-Vaticano II. Specialmente presso gli Istituti teologici e i Seminari, ebbero un’ampia diffusione in traduzione italiana le opere dei più importanti esponenti della teologia rinnovatrice di area franco-olandese-tedesca (Y. Congar, M.-D. Chenu, H. de Lubac, E. Schillebeeckx, H. Küng, K. Rahner, J. Ratzinger). Le cronache conciliari, soprattutto quelle del gesuita G. Caprile e di R. La Valle, di stampo giornalistico, insieme a molte altre, in traduzione o in lingua originale (Y. Congar Diario del Concilio, Torino 1964; H. Fesquet Diario del Concilio. Tutto il Concilio giorno per giorno, Milano 1967; X. Rynne Letters from Vatican City, 4 vol., London 1963-1966; A. Wenger Vatican II, 4 vol., 1963-1966; R. Wiltgen The Rhine flows into the Tiber. The Unknown Council, New York 1967), divennero un importante riferimento per l’ambiente ecclesiale italiano. La televisione ebbe per la prima volta un ruolo decisivo. Già durante il Concilio furono realizzate trasmissioni televisive (Diario del Concilio, a cura del giornalista Luca di Schiena), che in modo più immediato e persuasivo raggiunsero un pubblico più vasto, anche al di là degli ambienti strettamente ecclesiali. Un dato comune, tendenzialmente mitizzante, sembra unificare e caratterizzare i diversi orientamenti sul Concilio amplificati dai mezzi di comunicazione. Il Vaticano II più che significare una raccolta di documenti dottrinali e pastorali, ai molti appariva come un evento epocale, un’atmosfera, una rinnovata e creativa Pentecoste, se non addirittura un’utopia (G. Zizola, L’utopia di papa Giovanni, Cittadella, Assisi 1973).
Recezione del Vaticano II e il fenomeno del ’68: contestazione e pluralismo. Paolo VI, già dal 1965, dovette confrontarsi con due realtà: un’opinione pubblica sempre più critica verso la Chiesa e l’affermarsi di un pluralismo ideologico all’interno degli ambienti ecclesiali. Se da un parte Montini, in linea con il suo mandato di pontefice per l’intera Chiesa, considerava fondamentale il ruolo centrale di Roma nell’applicazione e realizzazione dei dettami conciliari, dall’altra riteneva doverosa anche una collaborazione sinodale con le periferie. Il Papa guardava così all’Italia e in particolare alla sua “giovane” Conferenza Episcopale, invitandola in qualità di Primate dei Vescovi italiani all’unità e alla corresponsabilità per far fronte collegialmente ai nuovi problemi delle diocesi italiane e favorire l’applicazione del Vaticano II. Era necessario un nuovo episcopato e in tal senso si orientò la nomina dei vescovi per le più importanti diocesi italiane: Pellegrino a Torino, Ursi a Napoli, Pappalardo a Palermo, Colombo a Milano, Dell’Acqua e poi Poletti Vicari di Roma, Ballestrero a Bari e poi a Torino, e Poma a Bologna. Ma gli entusiasmi che contrassegnarono le prime riforme conciliari (la liturgia, la catechesi, la pastorale) furono smorzati al punto tale da mettere in discussione le novità introdotte e, addirittura, lo stesso Concilio di fronte ad un’inattesa crisi, correlata al fenomeno “rivoluzionario” del ’68, secondo alcuni, o culminante con esso, secondo altri. L’unità del mondo cattolico italiano subì una frantumazione. La Tradizione con le sue relazioni di continuità e sviluppo venne messa in discussione. La ricerca emotiva del nuovo e la soggettività, condivise in modo trasversale per età e per posizione da numerose componenti del laicato e del clero, prevalsero nel modo di interpretare la volontà e i contenuti di riforma del Vaticano II, fino al punto che la stessa istituzione ecclesiale fu radicalmente criticata sulla base di concetti idealizzati, come “popolo di Dio” e “assemblea”.
Le tesi del teologo H. Küng (Veracità per il futuro della Chiesa, Queriniana, Brescia 1968 e La Chiesa, Queriniana, Brescia 1969) divennero fonte di ispirazione per esperienze che ritenevano possibile un’autoriforma spontanea della Chiesa a partire dalla base. Parma, Torino (la Comunità del Vandalino), Firenze (l’Isolotto di don Mazzi), Milano (l’Università Cattolica), Ravenna (il Vescovo Baldassarri), Roma (l’Abate Fransoni), divennero così luoghi simboli di movimenti che aspiravano a cambiare la Chiesa. Tuttavia, il dissenso secondo il modello italiano differiva da quello di altri luoghi. Esso non si delineò come il tentativo di dare vita ad una Chiesa parallela scismatica, quanto piuttosto nell’inseguire modelli ecclesiali alternativi e pluralisti. In Italia questo fenomeno si orientò generalmente nel cercare nuove espressioni di presenza cristiana in politica: bisognava rompere il collateralismo con il partito cristiano di maggioranza, ovverosia la DC e, soprattutto, aprire un intenso dialogo con il marxismo. Questo significò la messa in discussione dell’unità politica dei cattolici, verso la quale Montini non fece mai mancare il suo accorato sostegno. Tuttavia, le spinte della base prevalsero e le conseguenze di questo orientamento si evidenziarono con l’esito contraddittorio del referendum sul divorzio (1974). I repentini cambiamenti, ma specialmente lo stato di crisi e, in alcuni casi, di ingovernabilità venutisi a creare allarmarono l’episcopato italiano. I giudizi, le reazioni e le scelte pastorali furono assai diversi: segno di un pluralismo ormai affermatosi. Alcuni attribuivano la crisi direttamente all’interpretazione “progressista” del Concilio, se non addirittura direttamente ad esso, e per tal ragione auspicavano drastici interventi di restaurazione. Altri ritenevano necessario proseguire sulla via delle riforme, ma come conseguenza di una “conversione” alla vita cristiana. Questa posizione fu ampiamente condivisa dai nascenti movimenti e comunità ecclesiali. Altri ancora imputavano a Paolo VI e a gran parte dell’episcopato la responsabilità di aver “bloccato” le spinte innovatrici del Vaticano II. L’autorità della Chiesa si trovò in stato di smobilitazione. Questo si rese ancora più evidente nella contestazione contro di essa, specialmente in seguito alla pubblicazione da parte di Paolo VI dell’enciclica Humanae vitae (1968) e alle dimissioni del Card. Lercaro, uno dei protagonisti del Vaticano II.
Dalla crisi al rinnovamento: da Paolo VI a Giovanni Paolo II. Uno dei segni maggiori della crisi della Chiesa si manifestò nel drastico calo delle vocazioni. I seminari si svuotavano, ma soprattutto era l’identità tradizionale del sacerdote ad essere radicalmente criticata. Paolo VI si trovò così a dover concedere a sacerdoti in crisi sempre più dispense dal loro ministero. La CEI prese coscienza delle difficoltà e dell’inadeguatezza del clero di fronte alle nuove sfide pastorali, ma in particolare dell’invito montiniano a superare la polarizzazione intorno all’interpretazione del Vaticano II e a guardare ad esso piuttosto come ad una fonte di rinnovamento. L’episcopato italiano promosse iniziative in vista di una piena recezione del Vaticano II: il rinnovamento della catechesi e della liturgia (Evangelizzazione e sacramenti: 1972-1975), l’elaborazione di un Liber pastoralis per rispondere alle problematiche del clero, e nel 1976 un convegno, Evangelizzazione e promozione umana. Questo meeting della Chiesa italiana sembrò offrire l’opportunità alle diverse anime del laicato di ascoltarsi reciprocamente e di tendere, pur nella legittima articolazione, ad un modello unitario di presenza ecclesiale. Se il clero e le istituzioni furono più colpite dalla crisi post-conciliare, il laicato, pur se non esente da essa, viveva un periodo di particolare fermento. Nel mondo laicale italiano era venuta meno la compattezza intorno all’Azione Cattolica che tuttavia tentò un rinnovamento: la discussa “scelta religiosa” e, quindi, la separazione dal diretto impegno politico. Accanto al tradizionale associazionismo, si ebbe una fioritura di nuovi movimenti ecclesiali: alcuni in polemica con la gerarchia (Cristiani per il socialismo); altri (Comunione e Liberazione, Movimento dei Focolari, Cammino Neocatecumenale, Rinnovamento nello Spirito), al contrario, in risposta all’appello per l’evangelizzazione. L’episcopato italiano, temendo l’azione dei primi, non sempre dimostrò un’immediata simpatia verso queste nuove realtà che difficilmente riusciva ad inquadrare nei propri piani diocesani. Il pluralismo divenne ormai un elemento qualificante della Chiesa in Italia: Paolo VI chiese ai vescovi di “vegliare” che questa diversificazione non diventasse causa di scontro ideologico. L’avvento di Giovanni Paolo II con la sua ferma convinzione di continuare e portare a compimento la recezione e l’applicazione del Concilio contribuì ulteriormente a superare alcune difficoltà. Il pontefice offrì ai vescovi due importanti appuntamenti sinodali. Nel 1985 fu convocato un sinodo in forma straordinaria per celebrare il primo ventennio dalla chiusura del Vaticano II e per verificarne le modalità recettive. Nel 1987 un secondo sinodo ebbe come oggetto di riflessione la missione dei laici. Wojtyła, in continuità con Paolo VI, incoraggiò lo sforzo per una nuova evangelizzazione, offrendo piena fiducia alle nuove comunità e movimenti ecclesiali, espressione più genuina del rinnovamento conciliare in ambito laicale. Giovanni Paolo II incoraggiò la celebrazione di un secondo convegno per la Chiesa italiana (Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini). Sotto la guida del Card. Ballestrero, Presidente della CEI, furono affrontati alcuni nodi ecclesiali (rapporto tra Chiesa locale, associazioni e movimenti; spazi di partecipazione all’interno della Chiesa; pluralismo culturale) che in chiusura del pontificato montiniano rischiavano di lacerare la spinta missionaria e l’azione pastorale della Chiesa in Italia.
Gli entusiasmi e le tensioni di fronte alla recezione del Vaticano II – ancora nella sua fase iniziale in Italia e nel resto del mondo – non permettono una qualificazione globale dell’avvenimento conciliare dal punto di vista storico e teologico. In ogni caso, il dibattito ermeneutico e la sua recezione continuano. “Riforma”, “continuità-discontinuità” e “rottura”, come di recente ha sottolineato anche Benedetto XVI nel suo intervento alla Curia Romana del 22 dicembre 2005, sono le categorie che animano ultimamente il confronto ecclesiale sul Vaticano II.
Fonti e Bibl. essenziale
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