Associazione Italiana dei Professori di Storia della Chiesa

Dizionario Storico Tematico La Chiesa in Italia
Dalle origini all'Unità Nazionale
Roma 2015
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Credo - vol. I


Autore: Paolo Siniscalco

Con il termine “Credo” si intende quella formula che riassume per i cristiani gli articoli essenziali della loro fede, l’aspetto oggettivo della verità rivelata. Esso presenta una storia lunga e complessa che, dalle espressioni più semplici, si sviluppa fino alle più complesse stabilite in particolare dai primi grandi concili. In questa esposizione, forzatamente breve, pare opportuno considerare alcuni momenti importanti dell’evoluzione del “Credo”, se si vuole, del “Simbolo di fede” o, con una espressione latina, della Regula fidei. Fin dal Nuovo Testamento si incontrano formule concise che esprimono la fede di chi le pronuncia. Così nelle epistole paoline (cf. Rom 10, 9; 1, 3-4; 8, 34; 1 Cor 12, 3; Fil 2, 11; 1 Tim 3, 16) o nelle epistole pastorali (cf. 1 Gv 4, 15, 5, 5). Esse sono molto spesso di carattere cristologico, e se ne capisce la ragione: la verità inaudita stava nel riconoscere “Gesù il Figlio di Dio”, ”Gesù il Cristo”, “Gesù il Signore”, il Kurios, il Dominus. Compaiono pure formule binarie (cf. 1 Cor 8,6; Rom 4, 24; 1 Pt 123, 21) e trinitarie (cf. 2 Cor 1, 21 s.; 12, 4; 1 Pt 1,2). È probabile che esse fossero legate all’esercizio della liturgia e, a cominciare dal II secolo, alla catechesi. In tale senso sono particolarmente interessanti le espressioni che si leggono negli Acta martyrum e poi nelle Passiones martyrum in quanto riflettono quella che doveva essere, per dire così, la cultura religiosa dei semplici fedeli, uomini o donne che fossero, che, condotti nei tribunali e interrogati, dovevano rendere conto di ciò in cui credevano (cf. Eusebio di Cesarea, Hist. Eccles. 5, 1, 3 ss., ove è riportato il testo della Lettera delle Chiese di Lione e di Vienna nella quale si narra la persecuzione subita subito prima del 180 d.C.).

Negli Acta Iustini (2, 5) e negli Acta Cypriani (1,2) si leggono vere e proprie professioni di fede, ma non è improbabile che tali documenti abbiano subito rielaborazioni successive. Non si può d’altra parte dimenticare che fin dal II secolo e poi nei successivi si diffondono dottrine (gnosticismo, marcionismo, ecc.), respinte dalla Grande Chiesa che sente l’esigenza di meglio definire il contenuto dottrinale proposto. Nel III secolo, con l’aumento del numero dei fedeli, si perfeziona l’istruzione per i catecumeni e comincia ad essere praticato l’uso della traditio e della redditio Simboli, di modo che i catecumeni stessi possano recitare la formula loro consegnata durante il rito del battesimo. Il “Simbolo romano”, che comincia ad avere una fisionomia complessa, si diffonde tra la fine del II e l’inizio del III secolo; è uno dei più antichi e diviene parte essenziale nella liturgia battesimale della Chiesa appunto di Roma. Ippolito nella Traditio Apostolica (inizio III secolo) riferisce di una professione corrispondente in sostanza a quelle riportate più tardi, in greco, da Marcello di Ancira e, in latino, da Rufino di Aquileia. Queste ultime testimonianze danno a vedere che la forma si sta definitivamente fissando e le aggiunte delle epoche successive intendono precisare ciò che sinteticamente è stato espresso.

Con i grandi Concili del IV e del V secolo) i simboli di carattere locale fino ad allora diffusi, lasciano il posto a sommari di fede riconosciti come ortodossi. Con il Concilio ecumenico di Nicea del 325, riunito da Costantino per definire la questione sollevata da Ario, tutti i partecipanti sottoscrivono una unica formula, che sarà ampliata, in rapporto alle discussioni avvenute sullo Spirito Santo, nel Concilio di Costantinopoli del 381. Il Simbolo cosiddetto niceno-costantinopolitano è così destinato a imporsi gradualmente in Oriente e in Occidente e ad essere universalmente riconosciuto come unico “Credo” dalla cristianità e tale rimanere fino ad oggi. All’inizio del VI esso è introdotto dalle Chiese orientali nella liturgia battesimale e nella celebrazione eucaristica. Tra il VI e l’inizio del IX si afferma nella liturgia delle Chiese occidentali. Con Fozio, Patriarca di Costantinopoli, si apre sul “Credo”una controversia con la Chiesa di Roma, controversia ancora viva attualmente. Forse fin dal VI secolo, dapprima in Spagna e poi in altri luoghi, era invalso l’uso, nel punto del Simbolo in cui si recita «Credo nello Spirito Santo che procede dal Padre», di aggiungere «e dal Figlio» in latino Filioque –. La formula fu adottata dalla chiesa di Roma solamente nell’XI secolo. Ma, ben prima, essa fu usata dai missionari romani di Bulgaria. Cosa che provocò la reazione della Chiesa costantinopolitana, che ritenne l’aggiunta teologicamente errata. Si trattò di una disputa sottile, nata anche per difficoltà terminologiche: i latini insistevano sulla substantia, principio di unità nella Trinità; i greci sulla distinzione tra le tre Persone. Il professare che lo Spirito procede dal Padre e dal Figlio sacrificava, secondo il loro punto di vista, la monarchia del Padre.

Fonti e Bibl. essenziale

Ancora fondamentale rimane l’opera di G.N.D. Kelly, Early Christian Creeds, pubblicata a Londra nel 1972. In trad. ital. è uscita di recente una nuova edizione riveduta e corretta (sulla III ed. inglese del 1987), Dehoniane, Bologna 2009; G.L. Dossetti, Il Simbolo di Nicea e di Costantinopoli, Roma 1967; S. Sabugal, Io credo La fede della Chiesa:. Il Simbolo della fede, storia e interpretazione, Dehoniane, Bologna 1990; Gennadios, Metropolita di Sassima, Il “filioque” rimane ancora un motivo idi conflitto tra l’Occidente e l’Oriente nel dialogo ecumenico?, Udine 1998; B. Studer, in NDPAC, vol. II, (ed.), Marietti, Genova-Milano 2007, 1944-1945, s.v. Filioque; A.E. Siecienski, The Filioque. History of a doctrinal controversy, Oxford University Press, Oxford 2010. Vd. pure: http://www.Cathopedia.org.


LEMMARIO